Jolly, peti & Kievfra Trump e Musk
IL DESTINO DEI NOMI - Le pretese del duo Usa offrono vantaggi a loro se non proprio all’Ucraina. Metterla sul piano degli affari è l’asso di Donald: tra lui e Zelensky si gioca un match tra bari, con l’Ue a fare la parte del pollo
di Fabio Mini
Le parole chiave di questo periodo in tutto il mondo sono Elon, Musk e Trump. Giustamente, visto che le prime due si riferiscono all’uomo più ricco del mondo e la terza a quello più potente.
Tanto potente da potersi permettere il lusso di avere quello più ricco al suo servizio. Elon sta diventando il nome di battesimo di molti neonati, anche se in ebraico significa soltanto “quercia” e nella Bibbia di Elon ce ne sono diversi, ma poco noti e comunque Musk non è ebreo. Prima della notorietà raggiunta con quelle poche centinaia di milioni spesi per quel viaggetto spaziale che la cagnetta Laika aveva avuto gratis, il nome Elon in America evocava l’omonima prestigiosa Università della Carolina del Nord e Musk richiamava più la fragranza del muschio che un’automobile. Per gli anglofoni è invece più problematico sentir gridare, sussurrare, declamare e bestemmiare Trump. Lui vorrebbe passare alla storia come il pacificatore, il liberatore del mondo dal flagello della guerra, ma la parola trump, oltre a essere vista a caratteri cubitali sui grattacieli e le mete turistiche evoca il gioco delle carte, dove “trump” è il Jolly, l’asso nella manica, la carta vincente, oppure la volgarità della scoreggia anch’essa liberatoria. Il presidente Zelensky forse non conosce queste particolarità dei nomi, ma ci è finito in mezzo e rischia di essere stritolato. Musk può togliergli il supporto del sistema di comunicazioni satellitari che consente ai suoi soldati di sapere dov’è il nemico e quindi regolarsi da che parte andare, o ai cittadini di Kiev e della maggioranza degli ucraini non toccati dalla guerra che non hanno mai smesso di chattare di tutt’altro. Zelensky deve però aver “annusato” qualcosa di conosciuto.
Le pretese americane così sTrump-alate possono nascondere qualche cosa di buono per lui e qualche altro amico, se non proprio per l’Ucraina. Metterla sul piano degli affari è un suo asso nella manica. Ha sempre detto che dare le armi a lui sarebbe stato un grande affare per chiunque a partire dagli americani per finire (in tutti i sensi) agli europei. Era un affare quando ha venduto la maggior parte dei terreni coltivabili alle multinazionali, le riserve di carbone, gas, petrolio e terre più o meno rare ai soliti circoli privati oppure aver ceduto le risorse finanziarie del passato ai fornitori di armi, al netto delle commissioni, e quelle del futuro alla speculazione. Ha sempre parlato di affari ed è stato coerente sin dall’inizio quando, con questo argomento, convinse il Congresso americano, l’Unione europea e la Nato a entrare in guerra. Ha convinto che la sua guerra, meglio di qualsiasi altra è un buon investimento.
L’ammiraglio Bauer, predecessore del nostro Cavo Dragone alla presidenza del Comitato militare della Nato ha detto chiaramente in un forum di imprenditori che la guerra è un buon investimento. Se ne rammaricava un po’ visto che la gente ha il vizio di morire in guerra, ma insisteva che comunque rimane un buon investimento. Semmai qualche dubbio potevano sollevarlo gli ucraini destinati a morire ammazzati, ma non l’hanno fatto e si sono accontentati dell’onore di aver combattuto e sacrificato la vita, per chi e perché non lo sapranno mai e forse è meglio così. Zelensky deve aver capito che Trump bluffava e anche se non lo avesse capito lui qualcuno deve averlo convinto che accettare il contratto capestro poteva fargli avere qualche vantaggio e comunque non sarebbe stato chiamato a rispettarlo. Anche Trump deve aver cercato di incastrarlo proponendo l’accordo senza intenzione di rispettarlo. Se Zelensky non avesse accettato Trump avrebbe potuto accusarlo di non volere la pace, nemmeno alle sue condizioni. Infatti Zelensky pure accettando l’accordo non ha rinunciato all’opzione di rivolgersi all’Europa per continuare la guerra. Per il momento, la partita tra Trump e Zelensky è tra bari, ops pari, ma non è la vera partita.
Il gioco si fa più pesante quando si considera che anche la Cina ha un ruolo nella partita ucraina. Quella tra Trump, Putin e Xi Jinping è una partita che deve ancora iniziare ed è la più difficile. I tre sanno che è molto meglio non bluffare e per questo partono anche loro da terra terra: dai rapporti diplomatici. Non si tratta di concessioni reciproche, ma del tentativo di costruire qualcosa che offra un vantaggio. La Russia e la Cina tengono molto alle intese politiche che danno loro forza nelle relazioni internazionali e questa è anche la volontà degli altri paesi Brics che hanno bisogno di credibilità internazionale. In particolare la Russia conta sul proprio ruolo di equilibrio internazionale nel caso che gli Usa si sgancino dall’Europa e si rivolgano contro la Cina, così come la Cina può esserlo nel caso che gli Usa o l’Europa o entrambe intendano continuare la guerra contro la Russia.
Trump si dice infatti pronto a concedere la riapertura dei rapporti con entrambi, ma non la revoca delle sanzioni o dei dazi e nonostante l’impegno a non ritenere la Russia un nemico, non è sicuro che ciò che dice possa essere mantenuto né dalla sua amministrazione né da quelle future. Da parte sua anche la Russia si riserva di giocare le proprie carte migliori quando dovranno giungere a un accordo sulla cosa più importante: la sicurezza dell’intero continente europeo. Siccome non è detto che ci si arrivi è interesse russo trarre dal rapporto diretto con Trump il massimo possibile al livello immediatamente inferiore: la sicurezza russa. La cosa banale di questa partita è che ognuno dei tre giocatori, pur facendo i propri interessi, sta costruendo qualcosa per porre fine al conflitto. Lasciarli proseguire dovrebbe essere saggio se non altro per vedere cosa possono realmente fare le tre maggiori potenze.
Qui interviene l’Europa con le sue velleità. L’Europa intende far continuare la guerra all’Ucraina portandola quindi fuori dalle stesse trattative con gli Usa e tenta di costituire una sorta di Patto di Varsavia al contrario staccato dalla Nato. Quest’ultima si trova a un bivio: non può rinunciare alla copertura Usa che è a sua volta legata alla Russia nella deterrenza strategica, e se al vertice Nato di giugno Trump sosterrà ciò che ha dichiarato, di non riconoscere la Russia come nemico di fatto, sballa tutta la strategia Nato e incide sulle stesse risorse per la difesa collettiva. Come ripiego temporaneo l’Unione europea intende giungere a un cessate il fuoco, portare truppe e armamenti in Ucraina con la solita operazione umanitaria e prendere tempo per riarmare l’Ucraina, come già accaduto nel 2015. Oltre al fatto che la Russia dovrebbe rivedere la sua posizione di non voler truppe dei paesi Nato in Ucraina, la sola idea di mettere delle truppe europee e 400 testate nucleari nelle mani della nomenclatura comunitaria e di quella di tre o quattro Stati membri che da dieci anni giocano alla guerra fregandosene delle conseguenze, dei costi e della sostenibilità è follia pura. E lo dico con rammarico per essere sempre stato un europeista convinto anche nella realizzazione di un esercito europeo. La cosa più probabile è che in queste condizioni la guerra in Europa si aggravi e che sia la stessa Europa a dover sopportare le peggiori conseguenze a causa di una mania di gioco tragicomico.
Quella in corso tra Russia, Usa e Cina sul tavolo verde ucraino è una sorta di partita a tressette col morto o una a poker con il “pollo” e all’Europa toccano questi ultimi due ruoli. A tressette il morto non gioca e neanche si siede al tavolo, a poker “se nella prima mezzora di gioco non hai capito chi è il pollo vuol dire che sei tu”.
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