martedì 31 luglio 2018

Saluti




Differenze



Ah beh...



Mattino travagliato


martedì 31/07/2018
Alta Voracità

di Marco Travaglio

L’aspetto più comico dell’opposizione politico-affaristico-mediatica al governo è che gli rimprovera contemporaneamente di non cambiare nulla e di cambiare troppo. E, delle due critiche, almeno la seconda fa ridere perché gli elettori di 5Stelle e Lega proprio questo chiedono: di cambiare. Sennò avrebbero rivotato Pd e FI. Ora, per esempio, i giornaloni scrivono che il Nord sarebbe in “rivolta”, sull’orlo della guerra civile, per la pretesa del M5S di fare ciò che ha promesso agl’italiani fin da quand’è nato: sbaraccare il Tav Torino-Lione, la più inutile e dannosa e costosa fra le grandi opere progettate negli anni 80 del secolo scorso e rimasta allo stato larvale dopo 1,6 miliardi di sprechi e 17 anni di studi e carotaggi. Siccome per completarla servirebbero sulla carta un’altra quindicina di miliardi, che poi nella realtà salirebbero a 20-25 (le grandi opere in Italia lievitano in media del 45%), il minimo di un “governo del cambiamento” è riunire i protagonisti – quelli ancora in vita – e annullare un’impresa nata già morta quando fu pensata, figurarsi oggi dopo trent’anni e passa. Ma il fatto che si osi discutere il dogma della Santissima Alta Velocità semina il panico fra i prenditori e scatena le fake news dei loro giornaloni. La propaganda terroristica del partito-ammucchiata Calce& Martello, che affratella la “sinistra” di scuola Marchionne (il Pd dei Chiamparini), FI, Lega, triade sindacale, Confindustria, coop bianco-rosse e mafie varie, minaccia “penali” da pagare e “miliardi” (2, anzi 3) da “restituire” non si sa bene a chi, nonché “referendum” da bandire contro l’“isolamento del Nord-Ovest”, il “rischio Brexit per l’talia” e altre cazzate.

Il contratto. Nel contratto M5S-Lega, sul Tav Torino-Lione, si legge: “Ci impegniamo a ridiscutere integralmente il progetto nell’applicazione dell’accordo tra Italia e Francia”. Quindi, quando Salvini dice che “il Tav si farà e basta”, viola gli accordi da lui stesso firmati. E quando il suo sottosegretario alle Infrastrutture Armando Siri (grosso esperto del ramo: 18 mesi patteggiati per bancarotta fraudolenta) spiega che “i costi di uno stop sarebbero superiori ai benefici”, dovrebbe spiegare perché ignora i veri costi dell’opera e perché è entrato in un governo con un programma opposto al suo.

Merci e passeggeri. Quando partì l’idea della Torino-Lione, si pensava a un supertreno per passeggeri sullo snodo italo-francese del Corridoio 5, da Lisbona a Kiev. Di quel progetto, mai realizzato (il primo paese a sfilarsi fu nel 2012 quello di partenza: il Portogallo), restano due reperti archeologici.

E cioè: un tratto di pennarello su un dossier nel cassetto; e un solo cantiere aperto, il Torino-Lione. Infatti, pur di non ridiscutere il dogma, anni fa si virò disinvoltamente dall’“alta velocità” (persone) all’“alta capacità” (merci). Chi, come La Stampa o l’ineffabile Siri, favoleggia di “treno per persone e merci” non sa che dice: il Torino-Lione riguarda solo le merci, mentre le persone viaggiano serene da decenni sul Tgv o su comodi aerei. Il Tav sarebbe una seconda linea ferroviaria da affiancare a quella storica (la Torino-Modane, inutilizzata all’80-90 %), scavando 57 km di tunnel dentro montagne piene di amianto e materiali radioattivi e devastando l’intera Valsusa. Il tutto per soddisfare un fabbisogno che non esiste: il previsto boom del traffico merci su quella direttrice si è rivelato una bufala colossale.

Merci fantasma. L’ha riconosciuto a fine 2017 persino l’Osservatorio della Presidenza del Consiglio: “Molte previsioni fatte 10 anni fa, anche appoggiandosi a previsioni ufficiali dell’Ue sono state smentite dai fatti”. Sulla Torino-Modane i treni merci viaggiano carichi di container perlopiù vuoti. La linea è utilizzata per un quinto delle potenzialità: che senso ha affiancargliene una nuova? Anche l’aumento dei Tir nel traforo del Fréjus è una panzana: nel 2017 l’hanno attraversato 740 mila mezzi pesanti, stessa cifra di vent’anni fa. Come ha scritto sul Fatto il prof. Francesco Ramella, “l’attuale capacità disponibile è sovrabbondante e sarà ulteriormente incrementata a breve con l’apertura al traffico della seconda canna del traforo stradale del Fréjus. Anche qualora l’attuale ripresa dovesse proseguire, non si verificherebbero criticità per almeno mezzo secolo. Ogni giorno percorrono l’autostrada tra Torino e il confine francese poco più di 11.000 veicoli contro i 33.000 della Torino-Piacenza: si tratta dunque di una infrastruttura poco utilizzata”.

Ce lo chiede l’Europa. Secondo Aldo Grasso, ottimo critico televisivo del Corriere di cui si ignoravano (e si continuano a ignorare) le competenze in materia di Tav, questa “è una delle opere più importanti che l’Europa aspetta da anni”. Nell’ambito di una non meglio precisata “piattaforma logistica del Nord Ovest”. Ma – come spiega non il movimento No Tav, ma il sito lavoce.info, molto apprezzato quando c’è da difendere il fondatore Tito Boeri - “la Commissione Ue non ha mai chiesto che l’attraversamento delle Alpi avvenga su una linea ad alta velocità: sia a Est sia a Ovest le merci possono tranquillamente continuare a viaggiare su reti ordinarie, come da Lione a Parigi”.

L’occupazione. Alta velocità, bassissima occupazione: le previsioni più rosee indicano 4 mila nuovi occupati. Visto quanto ci costerebbero pro capite (in soldi e in danni ambientali stimati dall’Agenzia nazionale per l’ambiente francese e dai migliori atenei italiani), è molto più conveniente mandarli a spaccare pietre e poi a reincollarle.

I costi. La delibera 67/2017 del Cipe (governo Gentiloni) stima il costo complessivo del solo tunnel di base in 9,6 miliardi. Di questi, il 57,9% lo paga l’Italia e solo il 42,1 la Francia (disparità incredibile, tantopiù che il tunnel insiste per l’80% in territorio francese e solo per il 20 in territorio italiano, e spiegabile solo con l’ansia di convincere Parigi, da sempre renitente all’impresa). Non solo: la delibera Cipe autorizza la spesa dei 5,5 miliardi per 5 “lotti costruttivi non funzionali” del tunnel di base che, presi singolarmente, sono inutilizzabili se non a opera ultimata. Lavori inutili in caso di revisione o annullamento dell’opera. Infatti il Cipe avrebbe potuto finanziarli solo se anche la Francia avesse stanziato la sua quota: cosa che Parigi non fa, né si sa se e quando la farà. Dunque la delibera è in forte odore di illegittimità.

Penali e restituzioni. Stampa, Repubblica, Corriere e Grasso vaneggiano poi di “penali”, “multe” e “restituzioni” miliardarie. Anche se avessero ragione, varrebbe comunque la pena sborsare 2 miliardi per risparmiarne 10 o 20. Ed è curioso che tutti s’interroghino quanto costerebbe non fare il Tav, e mai su quanto costerebbe farlo (l’operazione al completo, per i docenti Andrea Debernardi e Marco Ponti, produrrebbe una perdita economica di 7 miliardi, che salirebbe a 10 con le lievitazioni all’italiana). In ogni caso, non è vero niente. Non c’è un solo contratto o accordo col governo francese, con l’Ue o con ditte appaltatrici (per il tunnel di base non è stata bandita alcuna gara) che parli di penali. L’Italia, nel tracciato italiano, può fare ciò che vuole. La legge 191/2009, art. 2, comma 232 lettera c prevede che “il contraente o l’affidatario dei lavori deve assumere l’impegno di rinunciare a qualunque pretesa risarcitoria eventualmente sorta in relazione alle opere individuate… nonché ad alcuna pretesa, anche futura, connessa al mancato o ritardato finanziamento dell’intera opera o di lotti successivi”. Quanto alla Ue, finanzia solo lavori ultimati: dunque, se il Tav non si fa più, l’Italia non deve restituire un euro, al massimo non incassa fondi per un’opera annullata. Quando il Portogallo si sfilò, non sborsò un cent alla Spagna né all’Ue. Idem la Francia: si finge interessata al Tav, ma ha sospeso i cantieri sulla tratta nazionale (anche per i fulmini della Corte dei Conti) e per quella internazionale – il tunnel di base – non ha mai erogato i finanziamenti (come l’Ue). Senza l’ombra di una penale. I fessi che prendono sul serio la patacca stanno tutti Italia (“prima gli italiani”, direbbe Salvini). Se avessero intascato tangenti e temessero di doverle restituire, almeno li potremmo capire. Ci facciano sapere.

Montanari da riflettere


martedì 31/07/2018
Ci vuole orecchio per battere Salvini

di Tomaso Montanari

Caro direttore, Roberto Saviano ha invitato a rompere il silenzio sulla politica e la retorica sostanzialmente fasciste di Matteo Salvini. Ho dedicato un piccolo libro (Cassandra muta. Intellettuali e potere nell’Italia senza verità, Edizioni del Gruppo Abele) al dovere di – sono parole di Bobbio – non lasciare il monopolio della verità a chi ha già il monopolio della forza: e lì ho indicato proprio in Saviano uno dei non molti intellettuali liberi, e disposti a schierarsi. Su Salvini, poi, ho preso la parola in ogni sede: scrivendo, tra l’altro, la prefazione al libro che Antonello Caporale e Paper First hanno dedicato al “ministro della paura”.

Ma rompere il silenzio non basta. Racconta Emilio Lussu di un comizio in cui, quando un ascoltatore reclamò: “voce!”, si sentì rispondere: “orecchio!”. Per battere questa destra orrenda serve più orecchio che voce. Ci vuole ascolto, per capire perché (oltre al tessuto ricco, e talvolta razzista, del Nord che da anni si riconosce nel potere della Lega) anche i poveri, gli ultimi, gli “scartati” (come li chiama papa Francesco) hanno votato in massa per le forze che si sono saldate in questo governo. E perché, nonostante tutto, continuano a sostenerle. Se non lo capiamo, rischiamo di maledire un sintomo (Salvini) senza curare la malattia. È un problema di credibilità, certo: nessuna voce contro Salvini è sincera se non ha detto, o non dice, che Marco Minniti ha fatto di peggio, anche se lontano dalle telecamere.

O se non dice che il Dario Nardella che si fa riprendere mentre spiana con le ruspe un campo rom a Firenze è un sintomo della stessa malattia. E così via. Ma c’è qualcosa di terribilmente più profondo. Come si fa a chiedere agli italiani sommersi e sfruttati di stringersi intorno ai valori della Costituzione proprio mentre Sergio Mattarella, massimo garante della Carta e del suo primo articolo, si genuflette di fronte a un Sergio Marchionne? Questi è stato un formidabile campione della anti-costituzione materiale per cui lavoro e diritti non sono compatibili: se vuoi il primo, devi rinunciare ai secondi. Come si fa a non vedere che tra la canonizzazione di Marchionne e il consenso a Salvini c’è un nesso strettissimo? Come possiamo pensare che gli italiani in difficoltà ascoltino i nostri appelli antifascisti se essi sono sostenuti dallo stesso establishment che esalta Marchionne, il quale non ha voluto restituire all’Italia, e a ciò che resta del suo stato sociale, nemmeno i soldi delle tasse sul proprio gigantesco patrimonio? Come sperare che vengano ascoltati giornali e partiti nei quali Marchionne è esaltato come un super-uomo, in vita e in morte lontano anni luce dai sotto-uomini che muoiono sul lavoro, il corpo oscenamente sfranto in pubblico, o affogano aggrappati al relitto di una barca, sotto l’occhio delle telecamere?

Tutto l’establishment che chiama al conflitto contro Salvini è quello che diceva e dice che non è possibile alcun conflitto sociale: che è invece lo strumento per creare giustizia sociale, ed è stato disinnescato proprio dal Partito Democratico e dai suoi sostenitori. Quando Salvini dice “prima gli italiani”, nessuna risposta è credibile se non afferma la necessità di un conflitto invece “tra gli italiani”: tra i poveri e i ricchi, che “non vogliono le stesse cose” (Tony Judt).

Alla sinistra dei politici, professori, giornalisti paghi di appartenere alla ristretta cerchia dei salvati, disinteressati a cambiare il mondo e capaci solo di parlare di “austerità” e “responsabilità”, è subentrata una destra con una visione terribile e propagandistica, sanguinosa e fasulla. Salvini sa benissimo che non potrà cambiare in meglio la vita degli italiani: ed è per questo che accende la miccia della caccia al nero.

Ma nessuna risposta capace di erodere questo disperato consenso può fermarsi alla proclamazione delle ragioni dell’umanità. Carlo Smuraglia ha di recente ricordato che “ben pochi giovani sarebbero stati disposti a prendere le armi e a cacciare i fascisti solo per tornare allo Statuto albertino: quello in cui il sovrano concedeva, di sua iniziativa, i diritti al popolo”. Ebbene, davvero pensiamo di convincere gli italiani a una nuova (e ovviamente diversa) resistenza, solo per tornare all’Italia del Pd (e che sia il Pd di Renzi o Zingaretti davvero poco cambia), dell’inutile e distruttivo Tav, del Jobs Act, e di tutto il resto?

Bisogna saper vedere, e saper dire, che Salvini è il sintomo terribile, e finale, della malattia che ha devastato questo Paese anche “grazie” a ciò che chiamavamo “sinistra”. Bisogna saper indicare un’altra strada per costruire giustizia, eguaglianza, inclusione. Rompiamo il silenzio con tutta la forza che abbiamo, d’accordo: ma, per capire cosa davvero dobbiamo dire, bisogna prima saper ascoltare il Paese. Mai come oggi “ci vuole orecchio”.

lunedì 30 luglio 2018

C’ho provato!



Nel giorno in cui cerco una pace interiore, lontano da liti, alterchi ed affini, ecco affiorare dalla melma vischiosa di un anonimato shakerato con leopoldiane fregnacce, questa Alessia Morani una “nessuno” portata alla ribalta da un ebete, che grazie all’uso di un aggeggio elettronico è riuscita ad entrare nella hall of fame dei babbani riuscendo a criticare l’uso di un areo di stato, non quello preso col leasing dal suo capo nocchiere che non vola è mai volerà pur essendo stato noleggiato per 150 milioni ed essendo tanto grande da non stare dentro gli hangar di stato per cui si è dovuto cercarne un altro in affitto; non quello lì ma uno della nostra flotta, gestito dall’Areonautica Militare, perché se non lo sapesse il Presidente Conte va a Washington in visita dal Presidente degli Stati Uniti e in questo contesto occorre rispettare norme ferree in materia di sicurezza, per cui Conte non può volare con un volo di linea e neppure fare come gli pare. L’aereo in uso è il classico aereo usato da tutti i precedenti premier italiani, che necessita di uno scalo tecnico per raggiungere gli States, cosa appunto che irritava molto l’ex faraone rignanese ora caduto in oblio come spero presto questa anonima, insignificante Alessia Morani.

Impresa


Come fare, facendo di cognome Lamborghini, ad assomigliare ad una Prinz.



Estratto


Strampalato, sfasato, incontrollato: proveniva da queste scempiaggini emozionali ed era diretto verso un'aridità mai provata prima; aveva assaggiato l'amore come uno a cui, vivendo di stenti, s'apparecchia una tavola imbandita senza freni costellata di primizie, di prelibatezze. Il suo cuore era impazzito, come non mai dinnanzi all'emozione squassante del fremito, del battito d'ali accomodante presso la zona vip dell'amore, ed i suoi livelli, le sue sensazioni erano decollate verso l'incognito. Tutto accanto a lui scolorì, divenne insipido, senza luccichii, senza appeal. Furore, spaesamento, delega alla gestione del poco che aveva. Tutto fu offuscato da lei, dal suo timbro vocale, dal suo battito di ciglia, dai suoi sguardi, dai rannicchiamenti di fronte, di gote, di labbra. Depose ogni difesa, si lasciò avvinghiare in ogni anfratto, perse conoscenza, limiti, confini, consegnandosi senza remore. Fu questo il suo errore fatale che lo portò, in pochi lustri, ad un'aridità inusuale, ad una pianura senza nuvole, ad un orizzonte tanto ristretto che il suo futuro, i suoi traguardi erano dipendenti da ore, a volte minuti, senza che potesse apprezzare la sana e misteriosa voluttà nel futuro, i giochi mixati ai sogni, le ansie cancellate dai desideri; l'arsura dei giusti non gli apparteneva, non la poteva non solo apprezzare ma, infaustamente, neppure comprendere. 
La lotta era talmente impari che, il gettare lo scudo, più facile di sorseggiare l'acqua di fonte, i suoi progetti talmente soffocati, invalidati, temporizzati da risultare finanche comico l'atteggiamento ilare, sereno, oltre le linee nemiche che tentava, riuscendovi il più delle volte, di proporre agli astanti, mai dubbiosi sul suo atroce dilemma esistenziale. Non poteva credere di essere un "non-essere", di navigare in una vasca da bagno. Stentava a discernere, non osava domandarsi null'altro che una soporifera, infima, deturpante normalità, scansante paracarri, deglutente chicchessia, assolutizzante l'attimo in procinto di trasformarsi in ricordo. Già i ricordi! Pietre incastonate nel buio dell'intimo che solo pochi sorrisi anzi, un solo mostrar dentatura, era in grado d'illuminare, seppur per pochi, pochissimi attimi, un decilitro di carburante indispensabile per continuare questo cammino a tentoni che era, è, e sarà la sua piccola e già vetusta vita.        

domenica 29 luglio 2018

Chiarimento (l’ennesimo)


Sono fiero di aver votato il Movimento 5 Stelle.

Il cambiamento, l’abbattimento della casta non può avvenire con un colpo di bacchetta magica, ma attraverso un processo che metta definitivamente all’angolo cialtroni che vivono sulle spalle del paese da tempo immemore.

Sono a disagio per la coalizione con Salvini come penso lo siano state persone normodotate che votavano PD, quando il loro capo politico, da me chiamato Ebetino, dialogava, patteggiava, consociava con il Delinquente Naturale nonché pagatore di rette alla mafia di Riina.

Ammetto che vi siano difficoltà di prosecuzione del contratto, ma al momento il decreto dignità rappresenta il massimo che si poteva fare in questo contesto, con una stampa quasi totalmente contraria, con servi indegni ancora in giro a raccattar patacche per infangare questo cambiamento.

Sono disposto a criticare assieme ad altri l’attuale maggioranza solo in presenza di un chiaro ravvedimento di coloro che un tempo credevano di essere di sinistra votando PD, ritrovandosi invece in uno schieramento retto e diretto dal Delinquente Naturale. 

Per il resto chiedo a chiunque voglia dissertare con me sulle malefatte attuali, di accertarsi di non avere qualche trave negli occhi, che lo porti ancora a credere che le Madie, le Boschi, gli Orfini, i Calenda fossero politici.

Senza alcuna rivalsa o ripicca, pace e bene!

Di tutto di più!


Intervista



Sempre in coppia Marco!


Stavo per cedere, credendo alla possibilità di essere andato fuori pista, di essermi allontanato troppo dalla ragione. Sopratutto sulla questione Rai, ricevendo inviti a desistere, a calmarmi, a riflettere. 
Per fortuna è arrivato lui e questo suo articolo di fondo magistrale e in sintonia completa con quanto da me asserito. Ora siamo in due. E la lotta continua...

 domenica 29/07/2018
La bufala in freezer

di Marco Travaglio

Quando uno fa una predica, viene giudicato non solo su quello che dice, ma anche sul pulpito da cui lo dice. Se un prete pedofilo si scaglia contro la pedofilia, dai banchi della chiesa qualcuno gli urlerà “senti chi parla!”. È quel che sta accadendo con le omelie delle cosiddette opposizioni e della stampa al seguito sulle nomine Rai. Il contenuto è sacrosanto: il governo e i partiti della maggioranza che decidono i vertici del “servizio pubblico” è sempre uno spettacolo inverecondo, a prescindere da protagonisti e comparse. Ma è il pulpito che lascia a desiderare: che a insorgere come un sol uomo e a invitare la cittadinanza alla resistenza, siano il Pd e FI, cioè i più volgari lottizzatori dell’ultimo quarto di secolo, che hanno trasformato la Rai da grande azienda culturale a ufficio di collocamento per trombettieri e trombati, raccomandati e poco raccomandabili, amanti e leccaculi (fatte salve le solite eccezioni, peraltro ridotte al lumicino dalla stratificazione delle epurazioni), fa ridere i polli. Se poi pensiamo che le ultime due leggi sull’emittenza, che hanno consegnato la Rai dalle mani dei partiti direttamente a quelle del governo, portano le firme di Gasparri (FI) e di Renzi (Pd), e che dunque quanto stanno facendo Di Maio e Salvini non solo è consentito, ma addirittura imposto dalle norme volute da chi ora grida allo scandalo, viene proprio da sbudellarsi.

Naturalmente nessuna legge può obbligare il governo a nominare incompetenti, portaborse o falliti di partito azzerbinati ai loro mandanti. La Rai è sempre stata lottizzata dai partiti (con Renzi da uno solo). Ma, soprattutto nella Prima Repubblica e più raramente anche nella Seconda, poteva capitare che i partiti scegliessero anche qualcuno bravo: i famosi “competenti di area”. Oggi i mostri sacri sono tutti morti. Ma non si può negare che Fabrizio Salini, ex manager di Fox, Discovery, Sky e La7, sia un manager tv competente e indipendente. Marcello Foa – per quel che conta ormai il presidente Rai dopo la controriforma Renzi – è invece culturalmente più connotato: è un “sovranista” (qualunque cosa voglia dire), un anti-euro e un filo-Putin. Ma non è un leghista né un grillino militante e, diversamente da tanti ex presidenti e consiglieri Rai, neppure un ex-parlamentare o portaborse. Ha le sue idee, anche opposte alle nostre. Ma pure un curriculum rispettabile: capo degli esteri al Giornale di Montanelli, docente universitario di media, manager del gruppo stampa-tv del Corriere del Ticino, autore di saggi interessanti come Gli stregoni della notizia sulla disinformatija d’Occidente.

Il classico “intellettuale di area” che piace alla Lega senza esservi iscritto (diversamente da altri pretendenti per fortuna scartati, come Bianchi Clerici e Del Noce) né doverle la carriera. Gli è anche capitato (come a tutti gli umani) di sbagliare: tipo quando ha ritwittato la fake news della migrante camerunense con le unghie smaltate. E di esagerare, come quando ha espresso “disgusto” per il discorso di Mattarella sul caso Savona, ma aveva il pieno diritto di farlo, essendo ancora un privato cittadino. Dissentire anche ferocemente dal capo dello Stato non è (ancora) reato. E nessuno dovrebbe saperlo meglio degl’indignati a singhiozzo di Repubblica, immemori delle campagne del loro fondatore Scalfari contro i presidenti Segni, Leone e Cossiga. Il che rende comicissimi i titoli di Repubblica e Messaggero sul “gelo del Colle” su Foa, oltre ad attirarsi l’inevitabile replica: e chi se ne frega! Mattarella non ha alcun ruolo nella scelta del presidente Rai, e infatti non risultano sue dichiarazioni in merito, né acquisti di congelatori supplementari per l’occasione. Ammesso e non concesso che Mattarella sia rimasto gelato, pazienza: prima o poi qualche anima pia provvederà a sbrinarlo dal freezer. Ora Repubblica – di cui sfuggono le battaglie contro la “riforma” Renzi, la renzizzazione delle tre reti e dei tre tg Rai e le epurazioni di Berlinguer, Giannini, Giletti e Gabanelli – invita alla pugna Pd e FI (sic) per “fermare questo brutto spettacolo” che strappa Viale Mazzini ai “valori repubblicani” (quelli di Saccà, Del Noce, Masi, Minzo, Riotta, Orfeo & C.) e lo consegna al “proconsole di Mosca”.

A questo proposito, si potrebbe ricordare agli smemorati colleghi che, fino a pochi anni fa, il loro giornale era così ancorato ai valori repubblicani (nel senso di Repubblica) e scevro dall’“apostolato” dei “proconsoli di Mosca” da ospitare ogni mese la traduzione italiana di Russia Oggi, organo del Cremlino che dipingeva il regime putiniano come un’oasi di pace, libertà e democrazia, con “giudizi entusiastici sul presidente russo” da far impallidire i tweet di Foa. Poi il comitato di redazione si imbizzarrì e, dopo lunga e faticosa battaglia, ne ottenne la rimozione. Foa è anche accusato, da Repubblica e Stampa, di produrre fake news à go-go. Il che è senz’altro deplorevole. Peccato che la predica venga da giornali che, nella pagina accanto, diffondono fake news à go-go. La Stampa: “Nessuna maggioranza ha mai escluso l’opposizione da tutte le reti” (falso: l’ha fatto Renzi, mentre i gialloverdi non hanno ancora toccato una rete né un tg). La Stampa e Repubblica vaneggiano delle “penali miliardarie” (inesistenti, mai previste da alcun contratto) che l’Italia dovrebbe sborsare se annullasse il Tav Torino-Lione, definito da La Stampa “treno ad alta velocità per persone e merci” (falso: è solo per le merci). Il che spiegherebbe il titolo della stessa Stampa sulla fantomatica “ira del Nord” per il no grillino al Tav (e chi l’ha detto? e chi sarebbe l’iracondo portavoce del “Nord”? e “il gelo del Nord” no?). Ma forse è solo invidia: i monopolisti della bufala temono di perdere l’esclusiva.

sabato 28 luglio 2018

Crassa, sempre crassa!



L’ho osservato probabilmente con la stessa curiosità con cui Armstrong ed Aldrin hanno guardato la prima roccia lunare. Scocciato per l’ignoranza insita in me, ho cercato di capire cosa fosse perché si, l’ammetto, non sono stato in grado di dire il suo nome. Eppure lo vendono al supermercato dove io, come su una rotaia, compio da sempre la stessa traiettoria senza curarmi del resto, e se per caso mi spostassero gli scaffali andrei più nel panico di Melanie Daniels in “Uccelli” di Hitchcock! Si sbuccia, ha dentro dei noccioli sferici e la polpa sembra marmellata leggermente amarognola. Uso a volte il suo nome, che per la gioia di Angela credevo fosse una radice, per significare un qualcosa di antico, di passato, di vintage. Dopo oltre mezzo secolo l’ho conosciuto; d’altronde che ti vuoi aspettare da uno che fino a poco tempo fa credeva che i totani fossero realmente degli anelli fluttuanti nel mare... mannaggia questa ignoranza!
(P.S. no, no, no! Non ve lo dico cos’è!)

Nel Cosmo



L'eclissi di Luna di ieri sera mi ha concesso la possibilità di entrare, molto bovinamente, nel Cosmo, affascinante come non mai. Sono andato sul Monte Viseggi dove la società astronomica spezzina ha organizzato un incontro per l'evento. 
Oltre alla Luna rossastra ho avuto la possibilità di ammirare, mediante telescopi amatoriali, la bellezza dei molti pianeti presenti, quasi a festeggiare, la recita del nostro satellite. 
Il primo incontro l'ho fatto con Jupiter, il più grande di tutti, il principe del Sistema Solare: sono rimasto a bocca aperta nel vedere le strisce di Giove, la sua tempesta perenne, tanto vasta che potrebbe contenere agevolmente tutto il nostro pianeta. Giove è lo spazzino del nostro spazio: grazie alla sua enorme forza gravitazionale è in grado di attrarre molti corpi celesti che potrebbero rivelarsi nocivi per la vita terrestre. Giove a detta di molti una stella mancata: una baggianata in quanto dovrebbe aumentare di un'ottantina di volte la propria massa per essere pronto all'innesco fatale, per noi. Giove il gassoso, elio e idrogeno liquidi a coprire il nucleo non ancora certo di cosa essere composto. Giove, la potenza, la bellezza della grandezza, la principesca presenza della sua massa, due volte e mezzo più grande della massa di tutti gli altri pianeti messi insieme. 
E poi il Bello, l'altero, il superbo: Saturno con i suoi anelli che ho ammirato estasiandomi. Un gioiello lontano da noi ma sempre presente a ricordarci il valore della bellezza. 
Marte, il rosso, vicinissimo di questi tempi: il suo colore a far paio con quello della Luna, la crescente convinzione che tra non molto qualcuno di noi lo andrà a visitare. Infine Venere, l'unico che nella serata donava l'impressione di normalità, di essere un sasso illuminato dal Sole, pur sempre bello anch'esso. 
La regina della notte però era lei, Madame Luna, rossa appunto per l'occasione. Mi ha affascinato pensare a quello che avrebbe visto un ipotetico umano nel momento in cui la Terra ha coperto il Sole alla Luna: innanzitutto il rapporto della sfera nel cielo, molto più grande di quello che vediamo noi alzando gli occhi di sera mentre ammiriamo il nostro satellite. Poi quell'azzurro intenso carta d'identità terrestre, il buio totale, quel rosso intenso figlio di un'ombra speciale, annuncio di beltà irraggiungibili, come la consapevolezza di essere partecipanti a questa storia infinita, spettacolare, infarcita di preziosi stimoli meditativi, quali la centralità di ognuno nel rispettivo Cosmo, silenzioso ingranaggio che era, è, e sarà per sempre. 

Dove sta il punto?


Il punto sta proprio qui: non sopporto, ed è un mio limite, questa rispolverata di effervescenza culturale, d'opinione, di moto di pensiero dinamico, propositivo, attento alle sfumature, rigido nel difendere diritti e soprattutto doveri, da parte di coloro che nei tanti anni passati di Puttanesimo, Leopoldiano Ebetismo, hanno digerito macigni senza neppure chiedere dell'acqua, per poi andare a Capalbio a discernere sulle disparità sociali, tra un gin tonic ed un Krug. A questi signori preferisco centomila volte Di Maio, Grillo e compagnia cantante!

Servire a qualcosa



Mai nessuno, in duemila anni di storia, si era spinto a tanto, in un'epica ed invereconda smargiassata, richiedente, oltre ad una citazione nella rubrica "Strano ma vero" della Settimana Enigmistica, anche una targa a ricordo del raggiungimento del fondo del barile della decenza, da posizionare in qualche luogo istituzionale per una memoria da tramandare ai posteri, i quali tra cent'anni rimembreranno ancora l'evento in questione, difficilmente superabile: Michele Anzaldi, difficile definire la sua professione a meno che non si voglia incappare in qualche denuncia, ha postato questo scritto in cui, eroicamente dal suo punto di vista, critica le nomine Rai dell'attuale maggioranza, arrivando a dire "Salvini e Di Maio militarizzano la Rai con una spartizione senza precedenti."
Ora delle due l'una: o Anzaldi è convinto di convivere in una nazione formata da 60milioni di coglioni, o la mancanza di ritegno della sua psiche ha raggiunto livelli tali da richiedere una serie di sedute in analisi tendente all'infinito.
Come infatti non ricordarsi delle gesta politiche del suo pupillo, lo Sbruffone Rignanese, che prese a calci per il culo personaggi televisivi che portavano share in casa Rai, del tipo Floris, Giannini, Gabanelli, Giletti solo perché non erano d'accordo con il verbo, chiamiamolo così, leopoldiano?
Come non riandare all'impresa titanica di affondare sempre più il servizio pubblico al fine di consentir maggior incassi alla concorrenza, per modo di dire, di proprietà dello Zio Delinquente del suddetto Ebetino?
"il PD farà battaglia dura con tutti i mezzi disponibili per difendere l'indipendenza dell'informazione."
Dopo che Anzaldi ha scritto questa colossale fregnaccia, pare si siano rivoltati, ella propria tomba, vari defunti politici tra cui il sommo Enrico che, pare, abbia raggiunto addirittura il centro della Terra. 
Anzaldi non si ricorda, o finge magistralmente di farlo, la cacciata della Berlinguer dal TG3, l'arrivo dell'adenoica Brignardi in grado di distruggere in pochissimi mesi una rete capace negli anni di conquistarsi un suo spazio autonomo nella giungla televisiva? 
La Rai al tempo del Bomba e dei suoi silenti successori è stata brutalmente e totalmente lottizzata, superando addirittura le slinguate servili profuse a frotte durante la famigerata Era del Puttanesimo; nessuno, mai, si era spinto sino a quell'ignobile farsa grottesca che, ricordo bene, arrivò al punto di inviare 5, diconsi cinque, troupe Rai a New York in occasione del discorso dell'Egoriferito all'Onu, di cui naturalmente non è rimasto nessuna traccia, a meno che non si consulti le grandi opere comiche del millennio. 

Anzaldi è la personificazione di tutto quanto non si debba fare per garantire una democratica e sana imparzialità nel campo dell'informazione; per fortuna quindi anche lui a qualcosa è servito.

venerdì 27 luglio 2018

Cautelativamente



Nell'ambito dell'ennesima triste e nauseante storia coinvolgente un sacerdote, accaduta a Calenzano, trovato seminudo in auto, nel parcheggio di un supermercato, assieme ad una bimba di dieci anni, il Cardinal Betori arcivescovo di Firenze ha sospeso don Paolo Glaentzer dal ministero sacerdotale, usando un avverbio abbastanza scomodo per l'occasione: cautelativamente. 
Ora sia chiaro, nessuno ha in mente di far di tutta l'erba un fascio, perché per fortuna esistono, e sono tanti, sacerdoti sani mentalmente e forti nello spirito. 
Stanno però affiorando dalla melma dell'occultamento, molte storie squallide riguardo a persone che solo grazie ad una maldestra cernita pastorale, sono riuscite a divenir preti pur avendo carenze psico attitudinali e, se non fermate in tempo, in grado di provocar danni irreparabili in giovani vite. 
La pedopornografia riesce a penetrare in queste menti malate, provocando quello che poi tristemente apprendiamo dai media. 
Occorre una ferma, intransigente, ferrea azione di pulizia, di areazione, di novità in grado di spazzare questa pula nefasta. Senza usare cautelativamente, senza indecisioni, senza ritrosie. Per il bene dei più deboli e per la buona navigazione della barca di Pietro.     

Passatempo



Nella foto altri amichetti del Presidente Macron che si preparano ad ingannare il tempo in nobili iniziative.

Travaglio!


venerdì 27/07/2018
Il bonus Renzusconi

di Marco Travaglio

Il Corriere lancia un giusto allarme sulla mancanza di opposizione a un governo che, dopo due mesi, gode ancora di un consenso spropositato (due italiani su tre). Spropositato rispetto non tanto alla somma dei due partiti che lo sostengono, quanto agli esecutivi precedenti e soprattutto alle cose realmente fatte finora (pochine e non tutte esenti da critiche, anzi). È vero che, a un governo che rappresenti la maggioranza degli italiani, non eravamo più abituati: l’ultimo che esprimeva la volontà della maggior parte del popolo fu il terzo di B. (almeno all’inizio). Poi seguirono vari inciuci creati in laboratorio da B.&Pd, con la collaborazione di Napolitano fino al 2015, all’insaputa degli elettori, ma formalmente legittimi in virtù del premio costituzionalmente illegittimo del Porcellum, che trasformava le minoranze in maggioranze come la fata Smemorina tramutava le zucche in carrozze. Senza quell’obbrobrio di legge elettorale, sommato ai voltagabbana alfaniani e verdiniani, né Renzi né Gentiloni avrebbero avuto i numeri per governare. Ora la maggioranza di Conte corrisponde a quella dei votanti del 4 marzo. Anzi, stando ai sondaggi che danno la Lega a un passo dai 5Stelle sopra il 30%, la supera abbondantemente. Eppure c’è anche un terzo di italiani che non apprezza o detesta il governo Conte ed è rappresentato dal Pd e FI, con rispettivi satelliti. Cioè non è rappresentato.

Infatti l’opposizione, non esistendo il vuoto in politica, se la fanno spesso le due forze di maggioranza, in casa. Si dirà: quando governava B., il centrosinistra fingeva di opporsi, e lo stesso accadeva a parti invertite. Verissimo, tant’è che i “girotondi” nacquero non tanto per le vergogne di B., quanto per il consociativismo del centrosinistra. Ma almeno, nella Seconda Repubblica, era chiaro che se cadeva B., dall’altra parte c’era una coalizione (Ulivo, poi Unione, poi Pd&C.) pronta a prendere il suo posto. E viceversa. Stavolta no. Se un domani cascasse Conte, che accadrebbe? Il Pd naviga poco sopra il 15%, parla lingue sconosciute come gli indemoniati e si riunisce nelle librerie di Tor Bella Monaca nell’indifferenza generale. FI è un cadavere ambulante, irrimediabilmente avvitato alla salma politica del suo leader buonanima. Se si mettessero insieme, perderebbero altri voti. Se provassero ad allearsi gli uni col M5S e gli altri con la Lega, li infetterebbero. Per questo il governo Conte, con una maggioranza contraddittoria ai limiti dell’innaturale, potrebbe avere una lunga luna di miele e una lunga vita: per l’assoluta mancanza di alternative. Sì, l’incidente di percorso è sempre possibile.

E il prossimo redde rationem fra annunci e realtà (la manovra finanziaria di fine anno) lo rende persino probabile. Ma, se uno dei dioscuri rompe l’alleanza, poi con chi va? È una situazione inedita e pericolosa per la democrazia, che si regge su due gambe e non può camminare su una. Come dice Bersani, che meno conta e più diventa lucido, la strategia di chi spera nello schianto del governo per ritrovare gli elettori perduti è votata al fallimento: tale è il discredito di chi c’era prima che solo un azzeramento totale del passato e delle sue facce, nel Pd, nella sinistra e in FI, potrebbe invertire la rotta. Chi accusa i fan del governo di ripetere a ogni errore o scandalo giallo-verde “e allora il Pd?” o “e allora B.?” non si accorge che quelle domande sono nella testa della gente. E le può cancellare solo una generazione di leader che nulla abbiano a che fare con quel passato e possano rispondere: “Io non c’ero, ripartiamo da zero”. Anche gli aspiranti “nuovi”, tipo il borioso Calenda, sono già consumati: se Di Maio – il famigerato “ex bibitaro dello stadio San Paolo”, come lo deridevano i sinceri democratici dalle loro terrazze – riuscirà a spuntare un solo esubero in meno e un po’ di ambiente in più all’Ilva, il sor Carletto dovrà ritirarsi in buon ordine.

Il miglior pregio di Gastone Conte e degli altri fortunelli del suo governo è, in attesa che combinino qualcosa di importante, di non essere chi c’era prima. Anche se litigano, sbagliano, si ricredono, delirano, hanno in mano un gigantesco bonus “Renzusconi” da spendere per vivere di rendita altri mesi, forse anni. Se poi riusciranno pure a bloccare o anche solo a smussare alcune porcate fatte dai predecessori, che poi sarebbe il minimo sindacale, qualcuno griderà al miracolo: i vitalizi, la marchetta Mittal-Ilva, il Tav Torino-Lione, la fusione Fs-Anas, il bavaglio sulle intercettazioni, l’ultima legge svuotacarceri, su su fino alla mangiatoia Rai, alla legge Fornero e agli accordi di Dublino sui migranti. Tutta robaccia che nessuno rimpiangerà. Ieri, per dire, i ministri Trenta, Toninelli e Di Maio hanno stracciato il contratto che Alitalia fu costretta a firmare tre anni fa con Etihad per il leasing dell’aereo di Stato più costoso del mondo dopo l’Air Force One: l’Air Force Renzi, monumento allo spreco e al superego del rottamatore rottamato, 150 milioni (penali escluse) per una carcassa mai alzatasi in volo, se non – udite udite – per aviotrasportare Ivan Scalfarotto in missione a Cuba per conto di Matteo. Il quale ha risposto con un tweet che dice tutto dell’inevitabile nullità dell’opposizione: “Quando tornano su bufale come ‘l’aereo di Renzi’ significa che sono disperati: quell’aereo non era per me, ma per le missioni internazionali delle imprese (sic, ndr). Io non ci ho mai messo piede”. Così, se qualcuno ancora dubitava dell’inutilità dell’Air Force Renzi, ne ha avuto conferma dal non-utilizzatore finale. Che ci ha fatto spendere un capitale per un aereo mai usato. Un genio. Finché a contrastare il governo ci sarà gente così, Conte&C. – lo diciamo con sgomento – potranno permettersi di tutto: anche, volendo, rapinare le banche.

giovedì 26 luglio 2018

Posizionamento


Sono totalmente d'accordo con il Presidente Mattarella su quanto ha dichiarato riguardo alla vicenda della povera bimba ferita gravemente da quella incommensurabile testa di cazzo di pensionato. Spero di cuore che l'imbecille in questione marcisca in galera, anche se purtroppo ne dubito.

Tiè!



Il bello è che il futuro conduttore di programmi storici su Mediaset (ma perché non si butta nel comico che è stato sempre un genio in materia) vulgo l'Ebetino si è giustificato così:"Io non l'ho mai usato!" 
Si ma il leasing da 150milioni l'ha aperto mia nonna! 
Invece di sparare queste colossali cagate ci spieghi il poveretto come si fa ad accendere il quarto mutuo avendo solo 15mila euro in banca (l'ha detto lui) per acquistare una villa vicino a piazzale Michelangelo a Firenze del valore di 1,3 milioni di euro, da ristrutturare e, ma guarda il caso, condonata per un piccolo abuso edilizio da Nardella a dicembre del 2017 dopo un'attesa di otto anni. Guarda a volte il caso... 

Comunque bravo Luigino! Continua così! tiè! Maalox per tutti i rosiconi!

Altro clic mnemonico


Camminando per il Salento ho visto fermo al semaforo un uomo, abbronzato da fatica, appoggiato ad un carretto con sopra delle cassette di frutta. Le guardava con tenerezza, le accarezzava mentalmente rappresentando per lui la magra fonte di guadagno. Aveva lo sguardo spento, pregno di sfiducia e, nel contempo, una grande voglia di rivincita. Venti, trenta euro che solo l'acquisto di quella merce avrebbe monetizzato; l'ombra non arrivava a proteggerlo completamente, per cui gran parte dei suo stanco corpo era alla mercé del caldissimo sole. Ma non demordeva, non mollava la presa, confidando su improbabili acquirenti che però tardavano ad arrivare. 
Non so se alla fine della giornata avrà venduto tutto o almeno qualcosa; la sua immagine, i suoi vestiti ombrati dalla fatica, la canottiera quasi sgualcita, i pantaloncini blu spento, i sandali consunti, spegnevano la possibilità della realizzazione del suo sogno di lotta, di ricerca, di ribellione. 
Osservava le macchine ferme al semaforo, senza agitarsi, senza accenno di alcun cenno visibilità, sopraffatto immagino dalla delusione. 
Lo penso a sera maledire il destino, confidando nella giornata nuova che non avrà tardato molto ad arrivare. I suoi dialoghi mentali con le cassette di frutta, la speranza che il caldo non afflosci la mercanzia. Scene di privazione, di grave difficoltà, di assenza di un'occupazione certa. Come l'affanno e la fatica inutile di ogni giorno dannato, dequalificante, enfatizzante altresì le diversità di ceto, di ricchezza, di dignità. Trasportate anch'esse, a fatica, sul carretto.  

Come si cambia...



Un fuscello leggiadro, leggero, sempre in forma. Una bomba d'attacco. Il più forte. La dietorella giusta per lo scudo! 

(per la serie "come cambia un uomo nel pallone!")

Happy Sir!



Nel rispetto


giovedì 26/07/2018

PAROLA PER PAROLA

Le strade comode sono una trappola

PUBBLICHIAMO STRALCI DEL DISCORSO CHE SERGIO MARCHIONNE HA TENUTO AL MEETING DI RIMINI IL 26 AGOSTO 2010


di Sergio Marchionne


Non mi capita spesso di avere di fronte una platea composta da così tanti giovani e mi sento investito di una grande responsabilità. Parlare ai giovani è una delle cose più difficili da fare. Lo è perché voi non amate le conferenze e i congressi che riempiono di parole giornate intere senza dire nulla. Non amate gli incontri formali, che lasciano ai partecipanti poco più di un badge da esibire, quasi fosse una medaglia. Ne ho visti centinaia in questi anni – e in alcuni rari casi sono stato anche chiamato a intervenire. Non li amo neppure io.

A costo di passare per rude, quello che ho sempre cercato di fare è parlare in modo chiaro e diretto, senza la presunzione di avere la verità in tasca. E questo è quello che vorrei fare anche oggi. Vi confesso che l’intervento che avevo preparato per voi era molto diverso da quello che invece sentirete. Avrei voluto parlarvi dei grandi temi su cui la nostra società – qualunque società che voglia davvero definirsi giusta – ha il dovere di interrogarsi. Avrei voluto riflettere sul senso della globalizzazione, quando porta benefici reali alle nostre vite; e sul non-senso della globalizzazione stessa, quando non ha nulla da offrire a chi è devastato dalla violenza della povertà. Avrei voluto raccontarvi di quando, undici anni fa, ho avuto la fortuna di incontrare Nelson Mandela, a Davos. Avrei voluto condividere con voi le questioni più spinose con le quali l’umanità si deve confrontare: come sia possibile restare indifferenti di fronte allo scandalo della distribuzione della ricchezza mondiale; come sia possibile parlare di sviluppo e benessere se gran parte della nostra società non ha nulla da mettere in gioco al di fuori della propria vita. Ma non posso ignorare l’importanza di quello che sta succedendo in Italia, collegato alle vicende dello stabilimento di Melfi, e la gravità delle accuse che ho sentito muovere verso la Fiat. E non è mia abitudine evitare i problemi. Per questo gli eventi delle ultime 48 ore mi hanno costretto a modificare radicalmente il tenore del mio discorso, portandolo a un livello molto più locale. E di questo vi parlerò tra qualche minuto. Anche se il titolo del mio intervento è Saper scegliere la strada, non ho intenzione di farvi nessuna lezione. Quello che posso fare per contribuire all’incontro di oggi è condividere con voi le mie esperienze, quelle che ho maturato, prima da ragazzo e poi da uomo, incluse quelle che ho vissuto come amministratore delegato della Fiat. Sono nato in Abruzzo, a Chieti, a circa 250 chilometri da qui ma, per ragioni familiari e per motivi di lavoro, ho vissuto all’estero la maggior parte dei miei anni. Ho dovuto abituarmi presto a cambiare casa, abitudini, amici. Avevo 14 anni quando la mia famiglia si è trasferita in Canada. Non è mai facile iniziare tutto da capo, in una terra sconosciuta e in una lingua straniera, imparare a gestire la solitudine di alcuni momenti. Non è facile lasciare le certezze del tuo mondo abituale per le incertezze di un mondo nuovo. Aveva ragione Cesare Pavese quando disse che: “Viaggiare è una brutalità. Obbliga ad avere fiducia negli stranieri e a perdere di vista il comfort familiare della casa e degli amici. Ci si sente costantemente fuori equilibrio. Nulla è vostro, tranne le cose essenziali - l’aria, il sonno, i sogni, il mare, il cielo. Tutte le cose tendono verso l’eterno o ciò che possiamo immaginare di esso”. Ma è proprio per questo che viaggiare, cambiare ambiente e conoscere altre culture è uno straordinario modo per crescere – e per farlo in fretta. Anche dopo l’università, quando ho iniziato a lavorare, mi sono trovato costretto più volte a cambiare città e Paese. Si è trattato di passaggi sofferti, perché è stato come ricominciare sempre da capo. Quando ti trovi a vivere o a lavorare in un Paese che non è il tuo, devi imparare a gestire qualcosa in più rispetto agli altri. Mi riferisco alla diffidenza che ogni tanto percepisci, quella che qualcuno prova verso gli stranieri. E mi riferisco anche allo stato d’animo che tu stesso provi, collegato al fatto di non avere radici in quella società, e di avere invece dubbi e timori nell’affrontare un mondo nuovo. Sono dovuti passare quasi quarant’anni e altre due nazioni – la Francia e la Svizzera – prima che la vita mi riportasse in Italia, nel 2004, quando ho assunto la guida della Fiat. Le esperienze che ho compiuto in giro per il mondo sono state tutte importanti per la mia crescita professionale. Ed è questa conoscenza che ho cercato e sto cercando di mettere a disposizione della Fiat perché non resti isolata da quello che accade intorno nel mondo. Oggi la Fiat è una multinazionale che opera e gestisce attività industriali in ogni parte del mondo. Siamo presenti in tutti i continenti e abbiamo rapporti commerciali con oltre 190 Paesi. La partnership raggiunta con Chrysler nel 2009 è nata sulla base delle competenze tecnologiche della Fiat, ma si è resa possibile solo grazie alla sua apertura internazionale. (…) Ma Fiat e Chrysler stanno anche dando vita a un’integrazione culturale basata sul rispetto e sull’umiltà; un’integrazione che è una straordinaria fonte di ricchezza umana. Non è facile trovare un’impresa che possa contare su un’esperienza internazionale così ampia, basata non soltanto sull’accordo con Chrysler, ma anche sulla posizione di leadership in America Latina e sulle iniziative create in Cina e in Russia. (…) Sfortunatamente ho l’impressione che in Italia non ci siano interesse né fiducia verso questo bacino di informazioni. O forse, più semplicemente, non ne vogliamo sapere perché ci manca la voglia o abbiamo paura di cambiare. Molto spesso le ragioni del declino sociale ed economico di un Paese hanno a che fare con ciò che non abbiamo saputo o voluto trasformare, con l’abitudine di mantenere sempre le cose come stanno. Questo è stato per tanto tempo anche il grande male della Fiat. Quando sono arrivato, nel 2004, ho trovato una struttura immobile, che prendeva come base di riferimento i propri risultati invece delle prestazioni della concorrenza. Aveva perso la voglia e l’abilità di competere e di confrontarsi con il resto del mondo. Questo, purtroppo, è anche il rischio che corre il nostro Paese. (…) Ciò di cui c’è bisogno è riconoscere la necessità di cambiare, di aggiornare un sistema che garantisca alla Fiat di continuare a competere. Quella a cui stiamo assistendo in questi giorni è una contrapposizione tra due modelli, l’uno che si ostina a proteggere il passato e l’altro che ha deciso di guardare avanti. Non so quali siano i motivi di questo scontro, se ci siano ragioni ideologiche o altro. Quello che so è che fino a quando non ci lasciamo alle spalle i vecchi schemi, non ci sarà mai spazio per vedere nuovi orizzonti. (…) Troppo spesso, però, l’elogio del cambiamento si ferma sulla soglia di casa. Va bene finché non ci riguarda. (…) La Fiat – quella che è uscita con le proprie forze da una situazione che nel 2004 sembrava a fondo cieco; la stessa che oggi sta cercando nuove strade per diventare uno dei più grandi costruttori di auto al mondo – ha fatto la propria scelta. Ha deciso di stare al passo con la realtà.(…) Eppure ho sentito accuse assurde, che non voglio certo alimentare. Sento però il dovere di difendere non solo la serietà del nostro progetto, ma anche le ragioni di chi ha abbracciato questa sfida. Mi riferisco, in particolare, alla Cisl e alla Uil, che ci stanno accompagnando in questo processo di rifondazione dell’industria dell’auto italiana. L’accordo che è stato firmato per lo stabilimento di Pomigliano ha ottenuto prima il consenso della maggioranza delle organizzazioni sindacali e poi quello della maggioranza dei lavoratori. Rispettare un accordo è un principio di civiltà. (…) Mi rendo conto che certe decisioni, come quelle che abbiamo preso a Melfi, non sono popolari, ma non si può far finta di niente davanti a quelle che per la Fiat sono palesi violazioni della vita civile in fabbrica. Sono state spese molte parole sulla vicenda di Melfi. Vorrei essere assolutamente chiaro. La Fiat ha rispettato la legge e ha dato pieno seguito al primo provvedimento provvisorio della Magistratura. (…) La Fiat non pretende di essere salutata ogni giorno con le fanfare, come è successo quando siamo tornati dall’America con i 2 miliardi di dollari della General Motors o quando il presidente Obama ha annunciato l’accordo con Chrysler. Ma non troviamo giusti nemmeno i fischi gratuiti. (…) Quello che trovo assurdo è che la Fiat venga apprezzata e riceva complimenti ovunque, fuorché in Italia. La Fiat è un’azienda seria, gestita da persone serie con una forte carica di valori. Quest’etica di business è stata la chiave della rinascita, che ha strappato il Gruppo dal fallimento al quale sembrava destinato nel 2004. Oggi continua a essere il cuore della nostra azione.

Forse, a questo punto, vi state chiedendo in che modo la testimonianza che vi ho portato oggi e la storia recente della Fiat possa avere a che fare con voi. Da tutte le esperienze che ho fatto nella mia vita, mi sono reso conto che ogni storia di successo si basa sulla capacità di donne e di uomini di assumersi la responsabilità e l’impegno di imprimere una svolta culturale a un certo ordine di cose. Questo vale per un sistema industriale, ma vale anche per la vita di ognuno di noi. L’invito che posso fare a voi giovani oggi è quello di prepararvi a entrare in un grande processo di costruzione, di prepararvi a far parte della squadra che darà forma al futuro. Di solito si ritiene che la vita delle persone sia suddivisa in due momenti distinti. Quello della formazione e quello dell’attività lavorativa. Si crede che il primo periodo della vita serva a dare all’individuo quelle conoscenze sufficienti ad affrontare la fase successiva. Con l’idea che le nozioni apprese possano bastare a ricoprire ruoli e mansioni stabili nel tempo. Penso che una persona così si trovi del tutto disarmata di fronte a un mondo che cambia alla velocità della luce. Questo scriveva Hegel nella prefazione ai Lineamenti di Filosofia del diritto: “A dire anche una parola sulla dottrina di come deve essere il mondo, la filosofia arriva sempre troppo tardi. Come pensiero del mondo, essa appare per la prima volta nel tempo, dopo che la realtà ha compiuto il suo processo di formazione ed è bell’e fatta…. Quando la filosofia dipinge a chiaroscuro, allora un aspetto della vita è invecchiato, e, dal chiaroscuro esso non si lascia ringiovanire, ma soltanto riconoscere: la nottola di Minerva inizia il suo volo sul far del crepuscolo”. La conoscenza è come la nottola di Minerva. Arriva a cose fatte, quando la realtà è già passata. Quello che si studia nei libri sul mondo dipinge una situazione che è già un’altra. Per questo non è importante la strada che sceglierete. È molto più importante l’approccio con cui deciderete di percorrerla. Se c’è una cosa che ho imparato in tutti questi anni è che la prima garanzia che dobbiamo conquistarci per poter scegliere è la libertà. Essere liberi significa avere la forza di non farsi condizionare. Essere liberi vuol anche dire trovare il coraggio di abbandonare i modelli del passato. Le strade comode e rassicuranti non portano da nessuna parte e di sicuro non aiutano a crescere. Fanno solo perdere il senso del viaggio. La libertà di cui parlo è prima di tutto una libertà mentale, la condizione che raggiunge chi decide di confrontarsi con il mondo e di sposare l’etica del cambiamento. Le ore passate a studiare su un libro con centinaia di pagine o davanti a un computer non sono solo una strada per entrare nel mondo del lavoro. Vi danno la possibilità di prendere in mano quegli strumenti, culturali e umani, per affrontare un campo aperto, globale e uguale per tutti. Senza dubbio il mondo di oggi si trova in un momento difficile da capire e da gestire. In ogni epoca, milioni di persone si trovano a fare i conti con quello che è stato lasciato dal passato. È la storia della vita, quando capita di venire in possesso di un’eredità enorme. Non hai fatto nulla per averla. A quel punto, puoi scegliere cosa fare per chi domani dovrà raccogliere la tua eredità. Voi avete la grande occasione di mettere quello che siete, i vostri sogni e le vostre qualità in questo progetto, per creare un domani esattamente come lo volete. La forma e il significato della società del futuro dipenderanno dai vostri ideali, dal vostro modo di pensare e di agire. L’uomo che segue il proprio comodo è condannato a vivere in una prigione che si è costruito da solo, dove i muri sono troppo alti e troppo spessi per far passare l’aria o vedere la luce. Chi guarda solo a se stesso non sarà mai una persona libera perché non ha altro spazio se non quello limitato e fragile di uno specchio. La vera libertà esiste solo nell’impegno. Penso che questo sia anche il senso del titolo del vostro meeting, che richiama molto da vicino quello che lo stesso Hegel disse sulla natura umana: “Nel mondo nulla di grande è stato fatto senza passione”. Credo che sia anche l’unico modo per trovare una realizzazione personale e dare un significato più profondo alla nostra vita. Nel seguire la propria strada, la responsabilità di ogni individuo, di ognuno di noi, è enorme. Circa 500 anni fa, Niccolò Machiavelli, ci ha offerto questo spunto: “Il ritorno al principio è spesso determinato dalla semplice virtù di un uomo. Il suo esempio ha una tale influenza che gli uomini buoni desiderano imitarlo e quelli cattivi si vergognano di condurre una vita contraria al suo esempio”. Se c’è un segreto nella Fiat di oggi, è proprio questo: abbiamo avuto la fortuna – e forse anche la capacità – di costruire un’azienda di uomini e donne di virtù. Sono persone che sentono il peso della responsabilità di ciò che fanno, che agiscono con decisione e coraggio, che non si tirano indietro quando si tratta di dare il buon esempio. Sono persone che sanno che solo una condotta morale può assicurare merito e dignità a qualunque risultato. Questo è l’augurio con cui vorrei lasciarvi. A prescindere dalla strada che sceglierete, auguro a ognuno di voi di diventare come la persona descritta da Machiavelli, uomini e donne di virtù.


mercoledì 25 luglio 2018

Toninelli, Toninelli!


Ma Toninelli cosa combini? Azzeri tutta la dirigenza delle Ferrovie dello Stato che avrebbero voluto fare un bel matrimonio con Anas, per continuare quella politica di sfanculamento dei treni regionali presi da quegli straccioni dei pendolari? Dai Toninelli non scherzare! Così fai una politica di sinistra! E noi lo sai siamo dei razzisti populisti che non riusciamo neppure a comprarci una villa a Firenze da 1,3 milioni di euro, avendo 15mila euro sul conto in banca e accendendo il quarto mutuo! Dai Toninelli ripensaci! Lunga vita alle Frecce e a culo tutto il resto! (cit.)

Lo sa, lo sa!



L’Insaputo lo ha sempre saputo quale fosse la verità!

martedì 24 luglio 2018

Niente foto, solo emozioni


Basta selfie, pose, inquadrature al tramonto, basta primi piani, artistiche riprese di bellezze nostrane! 
Occorre far galoppare la fantasia, rincorrere il dettaglio descrittivo verbale. Perché continuare a scattare, a perdersi la diretta di qualsiasi avvenimento con il motivo a volte demenziale di "avere un ricordo da sfogliare a casa, magari d'autunno, soli, senza beltà attorno, ritrovandosi a frinire, lacrimando, su attimi sfuggiti?"
Cercherò di autolimitarmi l'immagine, lasciando alla mia memoria, già imbolsita, di rinvangare attimi, emozioni papillari, profumi scorrazzanti in sinapsi. E se un giorno me li dimenticherò, pazienza! M'innervosisco infatti a vedere attorno a me tantissimi miei simili inforcare lo smartphone per immagazzinare immagini levando alla diretta, all'emozione dell'attimo, la fragranza propria del vivere un qualsiasi momento confezionato dal presente già storia, come un piatto speciale da consumare nel confine-istante, vacillante verso i ricordi. 
E allora vi trasmetto foto-mnemoniche della breve vacanza in Puglia: due signore in una spiaggia libera del Salento, avvolte da un mini ombrellone, chinate quasi sull'arenile: una sensazione di tristezza perché stavano quasi aggrappate l'un l'altra, in quello spazio-ospizio, in silenzio, attendendo chissà cosa, sguardi lontani, forse erano madre e figlia, mai una parola tra loro, solo la costante ricerca dell'ombra, una sorta di eliofobia esasperata. Tristezza nel ricordarle: il mini ombrellone, quasi ombrellino, sarà stato alto non più di un metro e mezzo, di tonalità azzurro grigio; le due donne non erano completamente in costume, avevano dei camicioni di cotone celanti i loro corpi logori; sono stato su quella spiaggia per almeno un'ora e mezza: mai viste scambiarsi un cenno, un commento, una parola a mezz'aria. Parevano costrette da chissà chi a rimanere in quella sofferenza, i loro volti erano maschere di cera, gli occhi puntavano verso l'infinito nell'attesa di qualcosa che gli fremesse le ciglia, di un diversivo mai arrivato, almeno sino a quel momento. Ogni tanto la più anziana cambiava posizione, rimanendo magistralmente dentro l'elisse d'ombra, che il moto del sole striminziva in continuazione, quasi avesse raccolto la sfida. Non guardavano nulla accanto a loro, quasi smaniavano nella speranza che l'orologio accelerasse sfidando leggi fisiche. Intorno la vita di spiaggia si srotolava senza alcun cenno di attenzione verso questa eclatante sofferenza.    

(1-Continua)

Inspirare!




L’ex, per fortuna, ministro Calenda avrebbe potuto farsi un bel suffumigio ieri mattina a Taranto e magari meditare sulla vendita dell’Ilva da lui coordinata, con annesse le garanzie sul miglioramento delle invereconde garanzie ambientali. Sarà stato invece impegnato a Capalbio, a parlare di nuova sinistra e di sinergie occupazionali arricchenti sempre più i soliti noti a scapito della qualità occupazionale. Fumenti compresi.

Un racconto per sperare


QUEL MIRACOLO SUL TRENO

Matteo Bussola per Repubblica

Ero su un treno regionale, fermo a una stazione. Un ragazzo disabile in carrozzina, il busto piegato in avanti da un’evidente malformazione, è salito aiutato da tre persone. Lo spazio riservato ai portatori di handicap era occupato da due ingombranti valigie, il controllore ha chiesto a voce alta: «Di chi sono questi bagagli?!». Un uomo si è alzato per spostarli, lamentandosi del fatto che nel vano apposito non ci stessero, non sapeva dove metterli. Il ragazzo, mentre la sua carrozzina veniva legata con le cinghie, non ha detto niente, negli occhi la stanchezza di chi è abituato a reazioni simili. Tornando al suo posto l’uomo si è lasciato sfuggire una frase, a bassa voce: «Perché questi non se ne stanno a casa invece di andare in giro?». Lo abbiamo sentito in due, io e una signora anziana seduta vicino a me. Stavo per reagire duramente quando lei mi ha anticipato, si è alzata, si è piazzata davanti all’uomo e gli ha detto: « Si dovrebbe vergognare, perché non se ne sta a casa lei invece di andare in giro e costringerci a sentire le sue sciocchezze!».
L’uomo ha assunto d’un tratto l’espressione di un bambino sgridato dalla madre. « Ha ragione » , ha detto. «Mi scusi, scusatemi tutti, sono stanchissimo e ho proprio esagerato». Poi è andato dal ragazzo: «Scusami davvero, sono un imbecille». L’altro gli ha sorriso: «Tranquillo, da quello se vuoi si può guarire». Si sono presentati e hanno cominciato a parlare. Il ragazzo si chiama C., è un ingegnere informatico. L’uomo si chiama S., è un metalmeccanico pendolare. Abitano a neanche dieci chilometri e non si erano mai incontrati. Quel giorno invece si sono visti.
Questa situazione sarebbe potuta finire in tanti modi diversi, invece ho assistito a questo piccolo miracolo che ha avvicinato due esseri umani: un calcio in culo al momento giusto — da chi si è assunto la responsabilità di darlo — , la volontà di chiedere scusa, un sorriso ricambiato.
Ho raccontato la vicenda sulla mia pagina Facebook. La cosa che mi ha sorpreso, fra i vari commenti, sono state le reazioni di chi ha scritto di non credere nemmeno a una parola, che è evidentemente una storia inventata dai soliti "buonisti". Sarebbe fin troppo semplice rispondere a queste persone nella maniera più ovvia: io c’ero, voi no. Io ero su quel treno, ho guardato negli occhi quel ragazzo, ascoltato le parole di quell’anziana signora e di quell’uomo. Le scuse inattese, che hanno lasciato spazio alla speranza che questo mondo possa essere un posto migliore rispetto a quanto ci viene sempre più spesso fatto credere.
Ma il punto è che, ormai, nemmeno le testimonianze dirette possono servire a scalfire una narrazione del reale in cui è il "cattivismo" ad avere vinto. Se un episodio riportato non coincide con la propria visione del mondo, dev’essere per forza falso. Invito perciò gli increduli, se lo desiderano, a prendere la vicenda come un semplice racconto. Scopriranno che non cambierà niente, che il loro fastidio nel "non riconoscersi" nei comportamenti descritti resterà inalterato, perché questa per loro non è la realtà.

Ma in ogni narrazione non è la realtà di una storia che conta, ma se mentre la leggiamo siamo in grado di riconoscere la verità che contiene. La verità, in questo caso, è che le persone possono cambiare il mondo quando riescono davvero a vedersi, oltre il muro del pregiudizio e della discriminazione. E per fortuna, in questa vicenda, nessuna incredulità potrà mai scalfire il coraggio di C. e S., il non arrendersi alla propria condizione del primo e la capacità di chiedere scusa del secondo. Perché la differenza non la fa mai ciò che la vita ha scelto per noi, ma ciò che noi, ogni giorno, scegliamo per le nostre vite.

Epistolario


martedì 24/07/2018
Caro Marco…

di Roberto Saviano

Caro Marco, ho letto il tuo riferimento a me nel tuo editoriale di oggi e francamente non comprendo come quello che scrivi possa essere messo in relazione alle mie critiche a Salvini e al governo, anche se converrai che il primo è stato il governo in queste prime settimane. Il tuo commento alla sentenza emessa nel processo trattativa, il racconto delle responsabilità accertate in primo grado, lo utilizzi per dirmi che erano quelli i ministri della Mala Vita e non Salvini? Non capisco e non credo si tratti di una versione più paludata dell’inflazionato “e allora il Pd?”. Dovremmo forse accettare le parole e le azioni di Salvini perché quelli che c’erano prima erano peggio? E davvero tu credi che il 4 marzo abbia rappresentato questo cambio epocale? Sto leggendo con attenzione le inchieste del tuo giornale sull’inferno libico e sulle nefandezze della Guardia costiera di quello Stato in disarmo e mi sembra che tale sia l’orrore raccontato, che le parole di Matteo Salvini e dei ministri di punta dei 5stelle contro le Ong siano del tutto inaccettabili. Ho l’impressione che i colpi inferti in queste poche settimane all’idea di Stato di diritto rappresentino una escalation che forse non tutti comprendono. E non regge neppure l’idea di Salvini cattivo, 5stelle buoni.
Toninelli ha mentito in maniera continuata sulla apertura/ chiusura dei porti e, cosa più grave, lo ha fatto con esseri umani sofferenti in mare. Credo sia evidente a tutti come Salvini sia nella totale disponibilità di Vladimir Putin, che condivide con Donald Trump il superamento dell’Europa, per finalità evidenti di spartizione. Lo afferma lui continuamente, non lo dico io. Purtroppo chi dovrebbe bilanciare (pia illusione) tutto ciò, continua a fare campagna elettorale, in maniera distinta sui temi, ma non nei modi. L’altra sera mi è capitato di ascoltare il tuo vice, Stefano Feltri, intervistato su RadioUno, che affermava che con ogni probabilità Luigi Di Maio ha mentito sulla questione stime Inps. La cosa che però mi ha colpito di più dell’intervista è che Feltri, con ogni ragione, non si capacitava del fatto che Di Maio, pur di fare comunicazione, ha deciso di non difendere un provvedimento anche giusto, ma che ovviamente porterebbe a dei possibili (ma pare minimi) effetti collaterali. È questo il “cambiamento” cui dovremmo dare fiducia? Menzogne e poco coraggio? Francamente è un film già visto in più condito da un marketing asfissiante sulla supposta novità di un indirizzo politico che sconta la sconcertante invisibilità del presidente del Consiglio. A questo proposito, mi ha molto colpito il titolo dell’intervista che gli hai fatto nei giorni scorsi, “Ecco chi sono”: non mi pare rassicurante che a distanza di settimane dal suo insediamento, sia lo stesso presidente a porsi il problema di dover spiegare lui chi è e ti posso assicurare che ancora oggi io non ho idea di chi sia e a chi risponda poiché lo si è visto sempre, e in maniera anche poco dignitosa, accucciarsi non appena richiamato all’ordine. Però, su Salvini, voglio cogliere il tuo suggerimento, anche per evitare altre querele su carta intestata del ministero: da oggi per me il ministro della Mala Vita diventa il cagnolino di Putin. Ai 5stelle la scelta di seguire il capo branco o essere qualcos’altro. Ma perché ci riescano c’è bisogno di maggiore rigore, soprattutto da parte di chi negli anni ha dimostrato di saperlo fare con inflessibilità.


martedì 24/07/2018
Caro Roberto…

di Marco Travaglio

Caro Roberto, anzitutto riporto qui la mia frase che ha originato la tua lettera: “Caro Roberto Saviano, chi governa merita certamente le critiche più feroci. Ma prima dev’essere chiaro a tutti quali ‘ministri (e governi) della malavita’ hanno infestato l’Italia fino a quattro mesi fa”. È la coda di uno degli articoli che ho dedicato alla sentenza della Corte d’Assise di Palermo sulla trattativa Stato-mafia. Una sentenza che ti consiglio di leggere, da esperto appassionato di mafie come sei. Tu mi domandi che cosa volevo dirti fra le righe. Forse che è sempre colpa del Pd? O che “dovremmo accettare le parole e le azioni di Salvini perché quelli che c’erano prima erano peggio”? No, volevo dirti semplicemente quello che ti ho scritto: le critiche a questo governo quando sbaglia, come a tutti i governi quando sbagliano, sono doverose. Ma, in tema di mafie, a questo governo nato due mesi scarsi fa non si può (ancora?) rimproverare nulla. Perciò non ho capito la tua definizione di Salvini “ministro della malavita”. E non perché io nutra simpatie per Salvini: il quale, prima di provarci con te, ha querelato per ben 7 volte me e il Fatto, uscendo sempre sconfitto (te lo dico perché hai ottime speranze di vincere anche tu).
Bensì perché sono anch’io preoccupato per le sue sparate razziste, le sue politiche xenofobe e i suoi rapporti con Putin, ma ancor più per la folla plaudente e tracimante che si assiepa sotto il suo balcone (o la sua ruspa). E temo che le tue denunce su quei temi escano non rafforzate, ma indebolite dall’attribuirgli condotte o relazioni malavitose. Ci sarà tempo per analizzare la portata delle elezioni del 4 marzo che, grazie anche all’aventinismo folle e suicida del Pd, hanno partorito questo governo Frankenstein tra due forze molto diverse, capaci di produrre contemporaneamente misure “di sinistra” come il dl Dignità e “di destra” come quelle sui migranti. Non penso certo a un partito buono e a uno cattivo, ma a due esperienze molto variegate che sarebbe sbagliato schiacciare in un unico giudizio monolitico, liquidatorio e definitivo. Lo stesso vale per quell’Ufo di Giuseppe Conte, oggetto misterioso ancora tutto da scoprire (perché non provi a incontrarlo anche tu? Io qualche curiosità me la sono levata).
Sulle politiche migratorie siamo in dissenso dall’anno scorso, quando io, diversamente da te, condivisi molte scelte di Minniti: per esempio, il Codice di condotta per le Ong e una politica più attiva per stabilizzare la Libia. Una linea proseguita ora da Conte e Moavero, anche con piccoli passo in avanti con l’Ue e con alcuni partner comunitari, e sporcata dalle vergognose sparate di Salvini sulle “crociere” e la “pacchia” dei migranti.
Come tu noti nella tua lettera, non abbiamo smesso un solo giorno di indagare sulle magagne e le disumanità della cosiddetta “Libia”, ancora poco più che un’espressione geografica, ma al contempo di augurarci che: prima o poi diventi uno Stato degno di questo nome; ci aiuti a combattere il vero nemico cioè le organizzazioni criminali del traffico di esseri umani (di cui l’antimafia ufficiale parla malvolentieri); sottoscriva e poi rispetti la convenzione di Ginevra; si doti di una Guardia costiera in grado di salvare vite umane, di porti sicuri in cui rimpatriare gl’irregolari e di strutture di accoglienza e smistamento dei profughi controllate da Onu e Ue. Questo nostro sforzo di affrontare in termini complessi una questione complessa presta il fianco a entrambi gli opposti estremismi: quello di chi pensa di risolvere il problema indossando una maglietta rossa e urlando “porti aperti a tutti per sempre” (e non mi riferisco a te e a tutti gli aderenti alla campagna di don Ciotti, ma solo a chi l’ha trasformata in défilé senza argomentare); e quello di chi, specularmente, liquida la faccenda indossando una felpa verde o blu strillando “negher foera dai ball” o blaterando di “aiutarli a casa loro” (slogan caro anche a Renzi). Certo, è molto più comodo intrupparsi in una delle due tifoserie, ma è anche molto più inutile: i problemi si affrontano proponendo soluzioni, non lanciando slogan per esorcizzarli.

Infine: lo so anch’io che la Lega non è il nuovo, e non solo perché è il partito più antico su piazza; e che i 5Stelle già manifestano molti vizi del “vecchio”. Ma è indubbio che il voto degli italiani, il 4 marzo, abbia spazzato via un sistema di potere consociativo che aveva retto l’Italia per 24 anni e che affonda le sue radici proprio nella trattativa bipartisan Stato-mafia. Che storicamente fu avviata sotto il vecchio centrosinistra (governi Amato e Ciampi) e chiusa dal Berlusconi I, ma poi proseguita con una serie sciagurata di norme bipartisan che hanno smantellato il meglio dell’antimafia. Infatti solo ora che i vecchi centrodestra e centrosinistra sono out si intravede qualche spiraglio di luce su quella stagione nera, lasciata al buio da quel sistema per un quarto di secolo. Merito di Salvini o dei 5Stelle? No, colpa di chi c’era prima. Che va sempre ricordato, perché ci aiuta a comprendere quel che accade oggi.

lunedì 23 luglio 2018

Da Capalbio con fetore



Ci voleva un'inchiesta di un giornale di destra, il Tempo, per confermare quello che si sospettava da parecchio: nella spocchiosa Capalbio, frequentata da coloro che vivono di blaterate sinistrorse, adepti di un oramai inverecondo radical chic, l'accoglienza è una parola che si accosta per di più agli inviti alle verticali di Krug. 
La finta rifugiata ha raccolto infatti solo 11 euro e tanti insulti. Complimenti pensatori del bla-bla!


Per vedere il video dell'inchiesta 
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sabato 21 luglio 2018

Domanda



Da molto tempo osservarlo mi fa sbocciare una domanda, per certi versi scomoda. Un quesito incentrato su questo soggetto ex Confindustria poi tesserato dell’ultim’ora in un partito che dovrebbe essergli agli antipodi ma, visto che ha vinto a mani basse nel quartiere Parioli, così non è.
Il moto interrogativo apparentemente non ha risposta, forse è aria fritta, ma funge da traino per preamboli attorno ad un modo più o meno dignitoso, di far politica. 
Soprattutto però è l’avvertimento minaccioso di lasciare subitaneamente l’appena nata appartenenza a quel partito che m’ha ingigantito la domanda che ora svelo: ma cosa cazzo vuole Calenda?