martedì 30 aprile 2019

Grù Grù!



Quel gran pezzo dell'Isotta!


Conoscete Paolo Isotta? 
Uno storico, presidente del Biogem ad Ariano Irpino. Musicologo, uomo di cultura, introverso, molto edotto in variegate arti, soprattutto la musica. 

Leggete questo stralcio da un articolo preso da Libero (Dio mi perdoni!)

Non aggiungo altro. Non serve!

Racconto un caso occorsomi su di un treno regionale Roma-Foligno. Bisognerebbe fare di queste esperienze, per cedere com' è davvero la "gente". Sale una coppietta di ventenni. Non brutti, non sporchissimi. Lui, un biondino di un metro e ottanta, aveva addosso del vestiario per il quale avrei calcolato 40 euro tutto compreso. Dalla tasca destra tira fuori l'ultimo modello di cellulare Apple (circa 900 euro), dalla sinistra lo stesso modello. Lei tira il suo, idem. In tre, 2700. Si sono messi a "chattare". Solo che lui "chattava" simultaneamente con la destra e con la sinistra. Il suo, a dir così, cervello, riusciva a sdoppiarsi, dando due comandi diversi alle due mani.


È una vera mutazione antropologica, magari notissima a chi mi legge, che mi ha lasciato senza parole. Non ho osato fotografarlo per paura di trovarmi bucata la pancia da un coltello. Lei pure "chattava". Probabilmente lui, con una delle mani, "chattava" con lei. Non hanno detto una parola per tutto il viaggio. Ma io so anche per chi votano, e non c'è bisogno che lo spieghi.

Al ristorante, si vedono coppie borghesi del tipo medio-alto che fanno lo stesso. Non parlano. Stanno col telefonino in mano e "chattano" ciascuno per conto proprio.
Forse soffrono per la disperazione della solitudine di coppia, e vanno dallo psicanalista; forse sono felici. Mi basta riflettere su casi siffatti per comprendere quanto io sia un privilegiato.

Non sono per principio un nemico di Internet. In mano a una persona dotata di intelligenza e cultura, può essere comodo e facilitare e accelerare il lavoro. Ma in mano a costoro? Il tempio di Gobekli Tepe, risalente a 9500 anni prima di Cristo, è stato costruito dagli extraterrestri, come le Piramidi. Lo sbarco sulla luna non è mai avvenuto. La terra è piatta, oppure cava. Et coetera. Quando quasi tutti erano analfabeti, il contadino credeva alla Madonna, ai Santi, all' influsso della luna, alla magia e alla medicina delle erbe. Così, egualmente, in tutto il mondo. Non era molto meglio?

Questi, purtroppo, non sono analfabeti. E siccome usano internet, credono agli extraterrestri. Forse addirittura l'istruzione è di per sé un male: aiuta i cretini a diventarlo di più. Il dottissimo cardinale Federico, tanto caro al Manzoni, era convinto che la peste di Milano fosse opera di untori pagati dal demonio: e sappiamo come finì, con la Colonna Infame. Trovò quale solo oppositore Don Ferrante, che dimostrava doversi alla congiunzione di Giove con Saturno.

Un commento



Manduria siamo noi. Davvero? Ma quanto?


di Omar di Monopoli* *Scrittore (Il suo “Uomini e cani” è stato da poco ripubblicato da Adelphi; per le sue storie si è parlato di noir mediterraneo, western pugliese, neorealismo in versione splatter)


Svegliarsi di soprassalto a Manduria guatati dagli occhi di una feroce e inspiegabile fantasima che alleggia nell’aria; accendere la televisione e ritrovare nello schermo una galleria di scorci urbani noti, familiari, lingue di asfalto crepacciato battute quotidianamente, la sbilenca listellatura di una tapparella dirupata dalle intemperie, uguale a mille altre a queste latitudini, più e più volte sfilata al tuo fianco senza la menoma contezza di quanto dolore rattenesse, di quale irreparabile dramma tenesse lontano dalla tua vista.


Svegliarsi di soprassalto a Manduria e scoprirsi parte inconsapevole di una trama rivoltante eppure efficacissima, scritta per te e per migliaia di tuoi conterranei da un demiurgo misterioso, implacabile, che non si perita di ricorrere all’effettaccio per ricordarci quanto siamo fragili, insignificanti e spregevoli noi esseri umani.


Svegliarsi di soprassalto a Manduria in un giorno quieto di mezza primavera, col sole che sboccia tra i tetti grondando tuorlo tra nuvole di cartavelina, e venire risucchiati di colpo dall’orrore che bussa e palpita a pochi metri dalla tua casa, lo stesso che capolina sull’uscio di continuo, a cicli regolari: è il battito e la sinestesia di un Male sempre all’erta, mai domo, destro a concimare il loglio del suo prato. Come con la piccola Sarah, a pochi chilometri dal tuo giardino, o con l’efferato delitto di Giuse Dimitri, artista massacrato quaggiù in una notte di tregenda di non troppo tempo fa, da demoni con la faccia d’angelo non tanto dissimili da quelli che hanno fatto strame di ogni futuro del povero Antonio Stano, pensionato, single, afflitto da qualche turba psichica e, in definitiva, uomo.


Pure, ancora: svegliarsi di soprassalto a Manduria avviluppati dal ronzio costante e fastidioso degli odiatori da tastiera e sorprendersi incolpevolmente (davvero? ma quanto?) marchiati delle più spregevoli etichette: omertosi, incuranti, indifferenti, sordi al dolore altrui, merde.


“I manduriani non potevano non sapere” è il riff che riverbera a nastro per ore, giorni, ere interminabili sulle moltitudini di bacheche digitali degli analisti di professione, ingrossandosi come un soffocante nembo velenoso.


“I vicini non potevano non sapere” è la cantafera che si rimpalla la popolazione della stordita e incolpevole (davvero? ma quanto?) cittadina messapica per sgravarsi di ogni colpa.


“I genitori non potevano non sapere” è il carme intonato dagli abitanti della strada in cui il sangue è stato versato e che hanno assistito all’ignobile stillicidio di violenza senza vedere (davvero? ma quanto?).


“Come facevamo noialtri a sapere?” è infine la dubitativa retorica con cui chi ha procreato quei demoni chiude il cerchio della discolpa, allogando sé stessi assieme a tutti gli altri in quella zona di auto-assoluzione per la quale alla fine è sempre l’altro, ciò che è fuori da noi, a doversi fare carico di ogni responsabilità.


E intanto, mentre una comunità intera si ritrova attonita a confrontarsi tra gli anneriti coriandoli di un funesto carnevale, il lutto generale si consuma srotolandosi tra consuete marce di solidarietà e fiaccolate tardive, discussioni da bar e indici puntati, riflessioni antropologiche in odore di talk-show e funerali appartati in fuga dai teleobiettivi. Su tutto, il perenne brusio di sottofondo che sfuma nell’abbacinamento collettivo: davvero siamo noi, davvero siamo questo?


Ma “dietro a ogni scemo c’è un villaggio”, diceva una canzone nota, e oggi più che mai quel villaggio non può essere semplicemente racchiuso nei pur problematici confini di una sperduta (davvero? ma quanto?) cittadina di una regione, la Puglia, che sembra sempre a un passo dall’affrancamento definitivo dai cliché di un Sud barbarico e arretrato, e che invece puntualmente progredisce verso il domani con ostinato passo da gambero: ora avanzando in una luce numinosa (il turismo, la cultura, la gastronomia), ora piombando nella pece più nera (la criminalità, i veleni dell’Ilva, lo sfruttamento dei nuovi schiavi nei campi di raccolta).


Mai come in queste ore bisognerebbe invece sforzarsi di immaginarsi tutti come un unico grande villaggio in cui, per paradosso, siamo tutti Antonio Stano (davvero? ma quanto?), un popolo variamente disagiato, tenuto in scacco nelle nostre magioni da aguzzini dal volto angelicato, mostri che qualche volta, specchiandoci di sfuggita, rischieremmo di guardare dritti negli occhi.


 

lunedì 29 aprile 2019

Dalla parte di Acciughino




Riguardo alla polemica sorta tra Adani ed Allegri, non ho dubbi: sto con Acciughino. E mi spiego: questi commentatori, strapagati di Sky o di altre reti, tendono a trasformare il più bel gioco del mondo in un dedalo di prefissi, 4-4-2 o 3-4-3 e via andare, tramutando tutto in ampollose elucubrazioni tecniche portanti noi malcapitati ad esclamare variegati "ma va dar via le ciap!" verso di loro, formulari viventi, saggi onnipotenti, custodi della verità pallonara. Acciughino ha ragione, il calcio è semplicità, divertimento, passione, tutte qualità che svaniscono dinnanzi a ragionamenti che farebbero cader in depressione pure il grande Albert. 
E già che ci sono: anche il Var mi ha rotto le palle, con le sue attese, i suoi verdetti che infondono la certezza in un campo, nomen omen, che di certezze non ne dovrebbe avere, se vuole continuare ad affascinare cuori labili quali sono quelli dei tifosi. Nel sacro lunedi post partite, già pure lui colpito dalla mefitica mano di Sky che pospone anche lì incontri, nel santuario del bar sono cessate le discussioni giganti attorno ad un episodio, le incazzature, gli sfottò che costituivano il condimento, il coronamento della giornata di campionato appena passata. "Eh ma il Var ha giudicato che non era fallo!" - "l'ha detto il Var!"
Ma torniamo ad Adani personificante il saccente, il tuttologo, l'illuminato in un ambito che vive di illusioni, di sospetti, di dietrologie.
Non si può ragionare sul terreno di gioco, razionalizzare ogni passaggio, evidenziare ogni carenza tattica come se si stesse parlando di chimica organica. 
Tecnicizzare il Calcio ad un bignami di formule equivale a decretarne la sua fine della sua beltà. 
Guardate la Formula 1: l'hanno ridotta ad un raccoglitore di sbadigli, dai box controllano tutto, il pilota non deve quasi più metterci del suo, la pianificazione delle strategie è ossessionante e basilare. 
Dice quindi bene Acciughino, semplicità: quando attacchi devi soffocare la difesa avversaria, quando difendi devi intontire gli attaccanti dell'altra squadra. E' tutto qui, Orsato permettendo naturalmente!     

Tanti auguri!


A leggere le previsioni di domenica prossima a Berceto c’è da andare da Giovannelli a comprare il muschio e le statuine delle pastorelle! Jingle Bells!



Estikazzi!



Principi, principesse, reali, regali messaggi altisonanti che piovono a mo' di brioche su noi popolino ingenuo, mite ed allocco! 
Guardate la foto del principe Harry che durante la giornata della Terra del 22 aprile scorso (ma quante giornate mondiali ci sono? Se rimane un giorno libero nell'anno non si potrebbe fare la giornata mondiale di quelli che organizzano le giornate mondiali?) vuole scuotere le coscienze dei sudditi, non solo i suoi ma anche di altre nazioni, perché, chi più chi meno, siamo tutti sudditi di qualcuno o qualcosa, riguardo ai poveri animali in via d'estinzione, come se gli albionici nei loro trascorsi di guerre, violenze, conquiste si fossero sempre posti il problema della preservazione delle specie, dell'ambiente. 
E che ti combina il sangue blu pazzerello! Lega l'elefante, come potete notare in basso a destra, lo fa sedare per toccarlo senza nulla rischiare. Estikazzi! 
Questi eletti da non si sa chi smaniano di apparire lindi, sensibili, amanti della natura solo per lavarsi la coscienza dal fatto che, non facendo nulla di utile in vita, il mondo debba essere salvato per mezzo della cura, dell'attenzione di ognuno di noi. 
Cercano quindi di ergersi a fari nelle nebbie di questa vita terrestre irta e pregna di delitti ambientali, di cui sono figure di riferimento.  
Fingendo di non recepire che per rimanere lì nei lussi, negli agi principeschi, occorrano necessariamente violenza e soprusi. 
Un escamotage per continuare a restare sul piedistallo reale. In fondo in fondo quel povero elefante legato e sedato ci assomiglia molto. 
Buone vacanze vostra altezza!  

domenica 28 aprile 2019

Così sembra




Non voglio fare il capzioso, né apparire quello che non sono, xenofobo. Ma questa foto scattata l’altro ieri alla stazione di Vernazza m’addolora più che la sconfitta bianconera in Champions ad Orsato. 
M’intristisce per come siano riusciti a snaturare, a deturpare luoghi resi stupendi solo dal sacro silenzio, quello del pescatore intento a riparar le reti abbracciato al fumo dell’immancabile sigaro. 
Dolore per tutti gli indigeni che non possono godere di tanta bellezza, a causa di scelte politiche vergognose che antepongono lucro e spartizione del bottino ad una saggia educazione turistica ed ambientale. 
Non me ne frega un cazzo di continuare a sentire frasi imbiancate nei sepolcri quali “una riduzione dei flussi nuocerebbe all’occupazione”, frase già spesa dai soliti noti per mascherare al tempo la containerizzazione dell’intera provincia e portante molti allocchi ad esultare ogniqualvolta fronde capziose spargono notizie funeree spacciandole per vittorie economiche, tipo il raggiungimento della movimentazione di due milioni di teu, li chiamano così ma sono solo container del cazzo, all’anno. 
Quella foto indigna, indispone, atterrisce. In questo inferno pullulante di briganti, chiedete a questi poveri naufraghi della ragione quanto hanno pagato un pezzo di focaccia o, ai più malcapitati, se abbiano davvero trascorso la notte in una cantina riverniciata a prezzi da NH, nessuno si azzarda a muovere un dito per frenare la barbarie culturale, tipica di un paese che non allontana neppure dai musei coloro che fotografano un’opera, noncuranti degli altri e di quanto sia scontato che non serva a nulla immortalare un quadro, eccetto il caso di staccarlo dalla parete per selfarsi con esso, visto che al piano terra generalmente vendono immagini molto migliori di quella sfornata dal minchioso smart. 
Numeri chiusi, controlli nelle stazioni, aumento della tassa giornaliera. Palliativi, semplici palliativi. Finché non si struttura un percorso di civiltà, di educazione, di formazione simile a quello che normalmente ti fa evitare di sparare raudi nel tinello di chi ti ha invitato a cena, tutto resterà nelle mani dei pochi seguaci di slides e grafici tendenti all’infinito a cui interessa solo il frusciar moneta, ossessivamente venerati sia da chi appioppa focaccia a 5-10 euro o organizza il triplo turno Findus ristoratore, sia da coloro che sperano ansiosamente nei futuri tre milioni di Teu all’anno. Sai che culo!

sabato 27 aprile 2019

Pizza di classe



Appunti



Premesso che non ho figli, questa storia della provincia di Taranto dei cosiddetti ragazzi di buona famiglia rende alquanto difficile non commentare, non esprimere un benché minimo fastidio in merito. 
Ma se i cardinali ci insegnano, intromettendosi, sulle vicende e le problematiche legate al sesso, perché non lanciare in etere un tremebondo vaffanculo a tutti quei genitori che per anni non si sono accorti che il loro figlio tanto carino e profumato, andava assieme ad altri ad importunare pesantemente, con violenza inaudita, una persona disabile che per paura non usciva più di casa e che è morta per un'emorragia interna, pare, frutto dei pestaggi? 
Che cazzo metti al mondo un figlio se poi non te ne curi, non gli insegni l'educazione fondamentale per aiutarlo a scegliere il bello, il giusto, l'umano? 
Anni di soprusi, di pesanti dileggi, di gare a chi gli procurava più fastidi, dolori. 
E adesso tutti ritornati buoni, angelici e poi gli avvocatoni che questi figli di papà si potranno permettere e che ma si, dai! alla fine vedrete che sarà colpa del disabile, il quale oltre ad essere morto verrà probabilmente svilito pure della poca dignità rimastagli per assecondare la voglia di impunità che già aleggia attorno a quei rimbambiti minorenni. 
Una storiaccia degna del peggior paese, del decadimento culturale così tanto eclatante che porta la famigerata frase "lo facevamo per ingannare il tempo" ad assurgere a tesi inglobata nel mefitico regno dell'impunità, seguita istantaneamente dal quel "So' ragazzi!" che a parer mio dovrebbe essere sanzionata pesantemente ogniqualvolta allocchi di ogni genere la pronunciano. 
E soprattuto un ricordo ed un pensiero al martire di questa vicenda, Antonio Stano, deceduto dopo sofferenze ed atrocità subite per mano di figli degeneri di una moltitudine di inetti ed incapaci!

Se è così...



Punti di vista



Paraculi travagliati


sabato 27/04/2019
Paradossi&paraculi

di Marco Travaglio

Amanti dei paradossi come siamo, assistiamo con sincero spasso al cabaret dei giallo-verdi e dei loro presunti oppositori. I 5Stelle fanno entrare nel governo il sottosegretario Armando Siri che ha patteggiato 1 anno e 8 mesi per bancarotta fraudolenta e sottrazione fraudolenta di beni al fisco, poi chiedono la sua cacciata quando viene indagato per corruzione. Il Pd strilla un giorno sì e l’altro pure contro l’“occupazione” giallo-verde della Rai, poi però l’Agcom richiama Viale Mazzini a un maggiore equilibrio perché dà troppo spazio al Pd e troppo poco ai 5Stelle. Le sinistre tutte tuonano contro il governo razzista e xenofobo che respinge, anzi stermina i migranti, mica come la Francia dell’accogliente Macron e le altre democrazie progressiste europee: poi Eurostat certifica che nel 2018, primo anno del regime razzista e xenofobo, l’Italia ha superato la Francia per il numero di profughi accolti con diritto d’asilo (47.885 a 41.440) e ha fatto meglio di tutti gli altri 27 Stati membri della Ue, tranne la Germania (139.600). Ma il recordman mondiale dei paradossi rimane Salvini. Ieri si è saputo che due pentiti del clan Rom di Latina hanno raccontato ai pm di aver “fatto campagna elettorale per la Lega” e “affisso manifesti della lista ‘Noi con Salvini’”. Altro che xenofobia: se tutto fosse confermato, si tratterebbe di un mirabile caso di integrazione. Manca soltanto che, alle prossime elezioni, la Lega si apparenti con una lista “Rom con Salvini”. Un paradosso che fa il paio con quello dei soi disant “sovranisti” ministri leghisti che disertano il 25 Aprile, festa “sovranista” quant’altre mai (la liberazione dell’Italia dall’occupazione degli odiati tedeschi).

Ma c’è di più e di meglio. Da quando aveva smesso di insultare i meridionali e i romani, cancellando il “Nord” dal logo e la “Padania” dal vocabolario, ci eravamo fatti l’idea che Salvini volesse accreditare la sua nuova Lega nazionale e nazionalista. E, visti gli attacchi quotidiani alla Raggi, volesse partire dalla conquista di Roma. Ora però si scopre che lo stop da lui imposto l’altro giorno, in Consiglio dei ministri, alla norma Taglia-debiti della Capitale e assurdamente subìto dai 5Stelle manderà Roma in default dal 2022. Occhio alle date: il mandato di Virginia Raggi scade nel 2021 e, nei piani di Salvini, da allora Roma dovrebbe avere un sindaco leghista. Non sappiamo chi sarà il fortunato vincitore, ma sappiamo già che cosa gli toccherà in sorte appena insediato in Campidoglio: la bancarotta della sua città a causa delle scelte scellerate del suo leader.

Il quale, nel 2019, credendo di fare un dispetto alla Raggi, aveva piazzato nell’ufficio del sindaco una bomba a orologeria col timer puntato al 2022. Così da far esplodere non la Raggi, ma il leghista. Non è meraviglioso? Naturalmente non è ancora detto che le cose vadano così: il no al Taglia-debito, che farà fallire la capitale d’Italia, rischia di costare molti voti all’aspirante sindaco leghista: i romani informati tutto faranno, fuorché votare per un partito che Roma l’ha prima chiamata “ladrona” e poi condannata a morte. Ad approfittarne potrà essere persino la Raggi, che col suo assessore Lemmetti e la sottosegretaria Castelli aveva escogitato una norma per salvare Roma senza gravare sugli altri cittadini. Basta chiudere la fallimentare gestione commissariale del debito capitolino (15 miliardi nel 2010, ora ridotti a 12, accumulati dalle giunte di pentapartito, di sinistra, di centrodestra e di centrosinistra dagli anni 50 al 2008) e cedendo la parte finanziaria al ministero dell’Economia perché rinegozi gli interessi (ora vicini al 6%, roba da usura), con risparmi per i romani e gli altri italiani fino a 2,5 miliardi. L’aveva confermato lo stesso ministro Tria: “La norma è a costo zero, senza alcun onere per lo Stato”. Cioè non è affatto “salva-Roma” né tantomeno “salva-Raggi”, ma un “Salva-Italia”. E fin dal 4 aprile la Lega, con una email del sottosegretario Garavaglia, aveva dato l’ok a inserirla nel dl Crescita.
Poi è esploso il caso Siri e Salvini ha deciso di prendere in ostaggio non la Raggi, ma la Capitale, per salvare il culo al sottosegretario e la faccia alla Lega: e giù sproloqui sui “debiti della Raggi” (inesistenti: sotto la sua giunta il debito si è ridotto), “altre città da salvare” (ce ne sono a centinaia, ma nessuna ha il debito commissariato, dunque non c’entrano una mazza con Roma) e naturalmente delle “buche” (le stesse che un anno fa, quando doveva leccare i piedi ai 5Stelle, Salvini disse di non vedere, anche se erano molte più di oggi). L’idea di sabotare le città governate dai 5Stelle per favorire quelle care alla Lega non è nuova: il Carroccio aveva già sabotato la candidatura di Torino alle Olimpiadi invernali del 2026, cioè l’unica che avrebbe avuto un senso: Torino ha già le strutture sportive e ricettive dello stesso evento di 13 anni fa. Ma la Lega sponsorizzò Cortina e Milano, una con le montagne e l’altra senza, per giunta distanti su strada 409 km. Ora, se la strana coppia avesse la meglio, il governo dovrebbe tirar fuori mezzo miliardo (infatti le Olimpiadi non le vuole più nessuno: oltre ai nostri eroi, è rimasta solo Stoccolma). Ma Torino s’è rimboccata le maniche e, contro ogni previsione, ha battuto 40 concorrenti (pure Londra e Tokyo) e si è aggiudicata un evento molto meno costoso (78 milioni dal governo) e più lucroso: le Atp Finals di tennis, che non durano 15 giorni, ma 5 anni. E portano alla città centinaia di migliaia di turisti e centinaia di milioni di introiti. Altro che un terzo di Olimpiadi invernali. Ora si attende la contromossa di Salvini. Tipo marciare su Torino in divisa da tennista e spaccare la racchetta in testa a Chiara Appendino.

venerdì 26 aprile 2019

Ritorna!



Sul far dei settant’anni ecco la notizia che aspettavano tutti i cultori della Musica! Torna il Boss con un nuovo album, Western Stars composto da 13 inediti:

1. “Hitch Hikin’”
2. “The Wayfarer”
3. “Tucson Train”
4. “Western Stars”
5. “Sleepy Joe’s Café”
6. “Drive Fast (The Stuntman)”
7. “Chasin’ Wild Horses”
8. “Sundown”
9. “Somewhere North of Nashville”
10. “Stones”
11. “There Goes My Miracle”
12. “Hello Sunshine”
13. “Moonlight Motel”

Finalmente qualcosa che riporti la barra della navigazione al centro, all’essenzialità, al buon suono e ai testi decorosi, accerchiati come siamo da trapper, rumori e flatulenze, indegne per questa tipologia di arte. 
See ya up the road, Boss!

Ps: se volete vedere il primo video dell’album 
Cliccate qui!

Sic transit


“Ho aspettato di finire prima le celebrazioni ufficiali per il 25 aprile e poi il bellissimo pranzo a Casenuove prima di commentare quanto accaduto stamattina. Quello che vedete sotto è uno dei tabelloni elettorali che qualche burlone si è divertito per tutta la notte a riempire con falsi manifesti del PD con una foto di 5 anni fa di me insieme a Matteo Renzi.
Il burlone ha ovviamente evitato di attaccarli in Piazza della Stazione dove ci sono le telecamere e nei tabelloni davanti a casa mia, ma si è curato di fare il giro di tutti gli altri sparsi per il territorio comunale. Ovviamente sono già stati rimossi ma ci tengo a dire due cose su questo stupido scherzo.
La prima: se non avete altri argomenti per fare campagna elettorale se non parlare di me e del PD vi consiglio di ritirarvi prima del 26 maggio perché per amministrare un Comune servono idee e mi pare scarseggino.
La seconda : se pensate che quella foto mi metta in difficoltà vi sbagliate di grosso perché a differenza vostra ho sempre espresso in modo chiaro le mie idee, fatto scelte non per tornaconto ma per passione e dimostrato con i fatti cosa voglia dire rimanere coerenti con i propri valori.
E quindi miei cari burloni (attenti perché ci sono più telecamere di quelle che credete) vi auguro di trascorrere un bel 25 aprile.
Noi andiamo avanti con tranquillità e determinazione per Empoli e gli empolesi.”

Ecco il nettare della politica nostrana, incarnato in questo post della sindaca di Empoli Brenda Barnini, del PD ex iper&ultra renziana, un tempo, alla quale dei buontemponi hanno attaccato nel comune toscano molti manifesti che la ritraggono accanto al Bomba, oggi neo anonimo, per fortuna. Sic transit gloria mundi si dirà; ma dare dei burloni a chi l’accosta all’Ecoballa rignanese, un tempo oggetto di autentica devozione da parte della Barnini tanto da essere stata definita “la nuova Serracchiani” (sai che culo!) non ha prezzo. Rimanere in sella è priorità assoluta qui ad Alloccalia, noto paese de-coerenzizzato!

giovedì 25 aprile 2019

Appunto liberatorio




Mission impossible?


L'ignoranza, la sottocultura, il degrado mentale, la fede deformata dall'impossibilità a pensare umanamente per deficit culturali. La pazzia che scaturisce dalla mancanza assoluta di traguardi, obiettivi, speranze di sollevamento personale. 
Fino ad oggi pensavo che fossero questi gli ingredienti da cui fioriva la cultura di morte innescante l'idiozia che porta esseri umani a farsi esplodere in chiese, in strade, in palazzi con il seguito di nefasti e tremebondi assassini di massa. 
Fino ad oggi. Poi leggendo che uno dei kamikaze dello Sri Lanka, Inshaf Ahamed Ibrahim, di 33 anni, aveva una laurea presa in Inghilterra e un dottorato in Australia e, a completare il nefasto quadro, era ricchissimo possedendo tra l'altro una fabbrica di rame, la Colussus Copper a Wellampitlya nel nordest di Colombo, dove sono stati pure fabbricati i giubbotti esplosivi usati dai 9 bastardi, questo convincimento si è afflosciato come un pupazzo di neve a 25 gradi. 
Tra loro vi era pure Fatima che si è fatta saltare assieme ai tre figli più quello che portava in grembo, nella sua bella villa di Dematagoda, ridotta in macerie allorquando tre militari, morti anch'essi, andarono a prelevarla per portarla in galera. 
E dunque? 
Crollano le convinzioni, resta un mistero e la certezza che sia sempre più difficile, se non impossibile, prevenire questi eccidi di massa dettati dalla pazzia e da una fede insanamente alterata. 
Se anche persone agiate, istruite, capaci di discernere il vero dalle agghiaccianti favole, perseverano e seguono tali insegnamenti, vanno dietro a convincimenti pazzeschi, allora tutte le attività messe in atto per fermare le stragi, diventano come detto neve al sole. 
Siamo in preda ed in mano a scellerati che ardono di uccidere loro simili, privi di guide spirituali che riescano ad imporre la ragione, ogni fede pur essendo spirituale ha in sé un basamento di ragione, di pragmatismo, di concretezza. Se questo non accade sorge come epidemia, credenze deleterie, violente ed assassine. 
Pur riconoscendo i gravi errori del passato, e del presente, di noi cosiddetti occidentali, urge una coesione in grado di far ragionare, meditare, screditare teorie tanto imbelli da farci rimanere basiti in merito all'alto grado di aggregazione che riescono ad ottenere. Nei poveri substrati di menti malate per povertà e assenza di scopi ed ora, ahimè, pure in cervici agiate ed istruite. 
Chissà dove andremo a finire! 

Tiè!



Ci vorrebbe...



Si, ci vorrebbero proprio loro oggi, ore 12, a piazzale Clodio, a Roma. Titolo della manifestazione di Forza Nuova: “25 aprile: liberiamoci dall’antifascismo”. Sulla locandina un fotogramma che mostra una spia fucilata dagli inglesi. In basso, i simboli dei promotori: quello del partito dell’ex terrorista Roberto Fiore, quello della Comunità di Avanguardia, e il logo di “Roma ai romani”, emanazione di FN. «Il 25 aprile è superato dalla storia — recitano su Fb — l’Italia e gli Italiani si sono liberati dal veleno antifascista e sono pronti all’attacco finale». (fonte Repubblica).
Ci vorrebbero loro, un bel ponte e la Dodge Monaco, la Bluesmobile. E tanta acqua lavante ogni cosa, anche poveri imbecilli di tale portata!

martedì 23 aprile 2019

Sempre in caccia



Chissà quanto avrà dovuto faticare il presenzialista nonché direttore del giornale Marco Damilano, per cercare la giusta foto, la più brutta chissà, forse pure photoshoppata; il mostro in prima pagina, in questo caso la preda per antonomasia, la sindaca di Roma Virginia Raggi!
Come spiega bene oggi Travaglio, la Raggi è oggetto di un accanimento ossessivo e mediatico senza precedenti, in quanto rappresenta lo spauracchio vivente di come la sua politica possa alterare definitivamente i rapporti tra le forze, anche illegali, che si sono spartiti la capitale, gozzovigliando "brigantescamente" nei tanti anni che precedettero l’avvento pentastellato. 
Damilano, che ritenevo una persona saggia, si è dovuto piegare ai voleri del Gruppo Gedi ed al suo comandante John Helkann. Balle, semi balle, fregnacce, fetecchie e tanta tanta immaginazione: il menù ideale per caricaturarla oltremodo, sperando che il popolino ancora creda alle soporifere fiabe a loro riservate, quali bravi e baldi allocchi. Per il bene di pochi e l’ingiustizia su molti, combattuta egregiamente dall’Espresso che fu, ormai labile ricordo svanito dal nuovo corso infingardo.

lunedì 22 aprile 2019

Pasqua nel pensiero


Sarà l’abnorme quantità di cibo e vino ingurgitati, sarà la festa ed il suo significato, oppure le vicende della vita, la parte di sentiero che sto percorrendo con mio padre e le sue difficoltà: ma alcuni pensieri emergono, fluttuanti, flash sbalorditivi sulla quotidianità. Senza alcun stupore ad esempio abbiamo conglobato, ruminandolo ogniqualvolta la nostra effervescenza mentale ce lo consente, che esiste nell'universo un luogo, uno spazio dove né la luce né il tempo possono entrarvici. Si, i buchi neri. Sedetevi, rilassatevi, chiudete gli occhi, inspirate: è certezza che il tempo possa venir deformato. 
Entriamo conseguentemente dentro ad una dimensione che non ci è propria, tipica di tutto quello che abbiamo letto o visto nei meandri di ciò che bolliamo come fantascienza. Invece è realtà, abbiamo pure la foto. Oltre a pensare che ne esista uno pure nella nostra galassia, non so se potrebbe inghiottirci e non mi pongo il problema, l’idea della modificabilità del tempo mi trasporta immediatamente verso il concetto di eternità. E qui, prima di continuare, chiarisco alcuni aspetti (il vino era buono ma i suoi effetti forse un po’ meno): 
sto attraversando una fase molto critica o forse, a seconda dei punti di vista, più matura; una specie di idiosincrasia alla ritualità. Un rigetto, un distacco per quella fede vissuta, anzi usata, come un portafortuna e raramente come esperienza di crescita, di vita. Invidio i credenti non i baciapile, ho rispetto per gli atei e comprendo che nell’eterno guado in cui mi trovo a quest’età avanzata, la scelta, la decisione su come approcciarmi nel momento della discesa dal treno sia fondamentale e non più procrastinabile. 
Cerco prove? Ardo per conferme? Mi dilanio per non essere nella sequela?
Niente di tutto questo! Detesto sentirmi tranquillo, nel cosiddetto ovile, placido e satollo. M’infervoro per un cambiamento oramai più vicino alla chimera che alla speranza. Delle grandi domande dell’umanità ne ho fatto fagotto. Questa realtà modificante il tempo però mi sprona a guardare in alto, consapevole di essere composto della stessa sostanza di Plutone e di Alpha Centauri. Sarà l’ingurgitamento di “quello buono”, sarà chissà cosa, ma sovviene dentro me un versetto dei salmi che vorrei condividere con voi, con la speranza che possiate abbandonare fobie e timori. Si, lo possiamo dire, ruminarlo, contro le nefandezze, le asperità quotidiane, le ineluttabilità difficilmente accettabili, soprattutto oggi che tentiamo di non voler far vedere a noi e agli altri che s’invecchia, che il botulino è una stronzata, un’aberrante finzione: “tutto canta e grida di gioia!”
Un bacione sulla nuca!

domenica 21 aprile 2019

Si può!


Ho chiesto un parere ad un altolocato monsignore del Vaticano il quale mi ha detto che si, anche a Pasqua si può! In certe circostanze, eccezionali, si può! E allora Luca Morisi: ma vaffanculo va!



Più forte di me!


Non ho resistito! Ora mi aspetto ritorsioni! Sappiate che vi stimo!



Domande pasquali


domenica 21/04/2019

10 domande a Salvini

Abbiamo chiesto un’intervista al Matteo Salvini. Nessuna risposta. Casomai ci ripensasse, queste sono le domande che avremmo voluto porgli, per il dovere di trasparenza che è richiesto a un uomo di governo della sua importanza dinanzi ai cittadini.

1. Ministro Salvini, lei parla e twitta su tutto, dal menu delle sue colazioni al festival di Sanremo, da quel che dovrebbero fare gli altri ministri a come si governa Roma: possibile che non trovi il tempo per dire una parola sulla famiglia Arata? Chi e quando le ha presentato Paolo Franco Arata, genovese, 69 anni, ex parlamentare di Forza Italia che in un’intercettazione si definisce “socio al 50 per cento” almeno dal 2015 del pregiudicato (per corruzione e truffa) Vito Nicastri, il re dell’eolico siciliano ora ai domiciliari, destinatario di un sequestro preventivo di 1,3 miliardi dalla Direzione Antimafia di Palermo perché ritenuto il finanziatore della latitanza di Matteo Messina Denaro?

2. Ha conosciuto prima Arata padre oppure il figlio Federico, 34 anni, che del 2016 risulta seguire i rapporti internazionali della Lega e nel 2017 ha organizzato il fugace incontro Salvini-Trump a New York, grazie ai suoi rapporti con Steve Bannon, aspirante federatore dell’internazionale “sovranista”? Ha mai pensato di prendere informazioni su quella strana famiglia, prima di inocularla come un virus letale nella Lega? Ora che gli inquirenti hanno scoperto quei terribili legami fra Arata sr., Nicastri e Messina Denaro, perché non rassicura i suoi elettori e tutti i cittadini sul fatto che terrà Arata e la sua famiglia alla larga della Lega e del governo?

3. Da anni Paolo Arata possiede varie società nel settore energia e questo, diversamente dai suoi rapporti con Nicastri, lo sapevano tutti: bastava una ricerca su Google o una visura camerale. Perché lei, malgrado il suo plateale conflitto d’interessi, lo incaricò di scrivere il programma della Lega proprio sull’energia, lo invitò a parlare al convegno programmatico di Piacenza nel luglio 2017?

4. Lei ha compiuto sforzi immani per riverginare l’immagine della Lega, screditata dagli scandali di Belsito, della Family Bossi, dei 49 milioni scomparsi ecc. Perché diede proprio ad Arata, legato a tutta la vecchia politica siciliana e non (da Mannino a Miccichè ad Alberto Dell’Utri), un ruolo così centrale nel suo “nuovo” partito, al punto che – come risulta dalle carte dell’inchiesta delle Procure di Palermo e Roma – fu addirittura Arata a sponsorizzare la nomina dell’amico e corregionale Armando Siri a sottosegretario ai Trasporti?

5. In dieci mesi di governo, Arata e famiglia hanno beneficiato di una serie impressionante di favori targati Lega. Lei, ad agosto, tentò di farlo nominare presidente dell’Authority dell’energia, cioè controllore di se stesso, visto il suo palese conflitto d’interessi di imprenditore dell’eolico (nomina stoppata da Di Maio). Siri, fra luglio e dicembre, provò in ogni modo a far approvare una norma chiesta da Arata per favorire la sua azienda eolica (quella a mezzadria col finanziatore di Messina Denaro). Il sottosegretario Giancarlo Giorgetti ha appena assunto il figlio Federico Arata a Palazzo Chigi come “esperto” del Dipartimento programmazione economica, dopo che quello l’aveva aiutato nella discussa trasferta di marzo negli Usa. La Lega deve qualcosa a quella famiglia? Salvini può garantire che mai gli Arata hanno finanziato la Lega?

6. Ora Arata sr. è accusato di aver corrotto il sottosegretario Siri con una tangente di 30mila euro in cambio dell’emendamento su misura per la sua società eolica, che avrebbe moltiplicato i guadagni suoi e del socio occulto siciliano. La presunta tangente dovranno accertarla o smentirla i giudici, e non risulta che lei ne sapesse alcunché. Ma l’emendamento ad Aratam è già arcisicuro: “le tariffe incentivanti e i premi di cui al decreto ministeriale 6 luglio 2012 e ai suoi allegati, del ministero dello Sviluppo Economico, si applicano agli impianti aventi accesso diretto agli incentivi ai sensi del… medesimo decreto, alla condizione che siano entrati in esercizio fino al 30.9.2017 e documentino di aver inviato la comunicazione di fine lavori al competente gestore di rete entro il 30.6.2017”, quindi senza rispettare il termine di legge. E guardacaso proprio in quella situazione si trovava la società di Arata (e Nicastri). Cosa pensa Salvini di quella legge ad aziendam e dei suoi che l’hanno spinta?

7. I massimi funzionari dello Sviluppo economico hanno raccontato ai pm che a luglio Siri tentò di far passare l’emendamento ad Aratam nel dossier sulle Rinnovabili, e fu da loro respinto; il capogruppo leghista Romeo ci riprovò in dicembre, nella legge di bilancio, e fu bloccato dal ministro dell’Ambiente Costa; Siri ritentò e ricevette l’alt del ministro dei Rapporti col Parlamento Fraccaro; ma non si arrese e azzardò il colpaccio nel Milleproroghe, scontrandosi con i sottosegretari pentastellati Castelli e Crippa. Intanto Arata rassicurava Nicastri (ai domiciliari) tramite il figlio Manlio: “Ci pensa il mio uomo”. Salvini ha mai saputo niente di quel pressing? Se sì, perchè non l’ha bloccato, visto che non riguardava interessi generali, ma affari personali di Arata? Se no, come giudica il comportamento del sottosegretario Siri, asservito a quegli interessi privati?

8. Giovedì, appena appreso di essere indagato, Siri ha dichiarato: “Non so assolutamente chi sia questo imprenditore coinvolto (Arata, ndr), non mi sono mai occupato di eolico in tutta la mia vita. Sono senza parole, credo che si tratti di un errore di persona”. Venerdì, smentito persino dal suo capogruppo Romeo, ha cambiato versione: “Ho presentato un emendamento che mi ha chiesto una filiera di piccoli produttori”. Ieri ha raccontato un’altra storia ancora: “Arata mi ha detto che rappresentava un’associazione dei piccoli imprenditori dell’eolico… mi ha fatto una testa così e io gli ho detto: va bene, mandamelo”. A prescindere dalle accuse di corruzione (da dimostrare) e dall’asservimento della sua funzione pubblica a interessi privati (dimostrata), Siri è un bugiardo seriale: non basta questo per dimissionarlo dal “governo del cambiamento”?

9. Ministro Salvini, lei ha difeso Siri perché è “soltanto” indagato per corruzione e ha ricordato ai 5Stelle il precedente di Virginia Raggi, più volte indagata. Ora, la Raggi non c’entra nulla: non è mai stata indagata per corruzione, è stata assolta e prosciolta e archiviata da tutto, e non si comprende perché lei ne abbia chiesto le dimissioni, se non per coprire lo scandalo Siri. Ma, sulla presunta corruzione di Siri, lei ha ragione: finché non si proverà che Arata se l’è comprato con 30mila euro, il fatto resta controverso e nulla autorizza nessuno a cacciarlo dal governo in quanto corrotto (semmai per le sue bugie e i suoi traffici per una norma ad aziendam, e che aziendam!). Però il suo “garantismo” su Siri “solo” indagato cozza col fatto che la sua fedina penale riporta già una sentenza definitiva di colpevolezza: un patteggiamento del 2014 a 1 anno e 8 mesi di reclusione per bancarotta fraudolenta e sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte. Cioè: è stato lui stesso a concordare la pena per avere svuotato le casse di una società, lasciando 1 milione di buco e occultando parte del bottino nel paradiso fiscale del Delaware. Quindi Siri non deve uscire dal governo perché indagato: non avrebbe dovuto entrarvi perché ha patteggiato. Che le è saltato in mente di nominare sottosegretario e ideologo della politica fiscale leghista un bancarottiere e frodatore del fisco?

10. Se lei, ministro Salvini, avesse tenuto a distanza, se non dalla Lega, almeno dal settore energia, un faccendiere in conflitto d’interessi come Arata e, se non dalla Lega, almeno dal governo un sicuro bancarottiere e frodatore come Siri, oggi il governo non sarebbe scosso dal suo primo scandalo e la Lega non sarebbe in imbarazzo per il suo ennesimo scandalo. Non è il momento di fare un po’ d’autocritica e di pulizia, di cestinare le mele marce, di presidiare meglio le porte del partito e di chiedere scusa al premier Conte, agli alleati, ai leghisti e soprattutto agli italiani?

Ma si dai speriamo!



Ma si dai, speriamo che finisca presto questa telenovela indegna, riservata ad allocchi della peggior specie! 
Speriamo che finalmente la sindaca di Roma si dimetta, si dimetta lasciando il campo finalmente a chi di politica se ne intende, ai vari Alèdanno, alla pletora del partito che fu di sinistra che portarono avanti progetti e soprattuto contratti seri dando vita, così parrebbe, ad un coacervo di commistioni con mafie, brodaglie intellettuali indegne di uno stato civile.
Dimettiti Virginia, tanto non serve a nulla proseguire su questa strada di legalità. Le buche ci sono sempre state, l'immondizia per strada pure, anzi magari no quando si facevano affari con il ras del pattume di Malagrotta.
Che cazzo vuoi che interessi a giornali come Repubblica che ora i contratti non si fanno più a chiamata, alla volemose bene, cercando di allontanare inverecondi orchi magnaccioni?
Che vuoi che interessi a chi teme di vedere affiorare una specie di buona politica rivolta a tutti, una consapevolezza compartecipativa mai fino ad ora provata?
Virginia, sappiamo pure che Zingaretti, che ritengo una brava persona, è indagato. Eppure a leggere nell'alterata stampa nazionale, appare poco, velatamente.
Ed invece ogni qualvolta iniziano i sussurri su di te, ecco le prime pagine, mefitiche, imploranti la cessazione di quella che vorrebbero farci intendere essere una conduzione inesperta, mentre invece cerchi solo di seguire ed obbedire a delle regole.
Già le regole! Come quando fecero fuori dal notaio un sindaco per bene, Ignazio Marino, che non seguiva i dettami dell'Era del Ballismo, che non voleva cioè trasformarsi in un orfini qualsiasi. Ma questo andava bene ai giornaloni, ansiosi di rivedere briganti in Campidoglio come ai bei tempi, quando si assumevano parenti, amici di parenti, zie, nipoti e amici degli amici, quando per fare un contratto bastava un bicchiere degli Castelli, e tutto sembrava andar bene tranne il bilancio, quei miliardi accumulati senza nessun fruscio di polemica, solo buffetti ovattati dalla falsità!
Speriamo che ti dimetti Virginia. Sono stanco e stufo di veder attorno babbei, allocchi, sperare nel ritorno della politica per loro seria e competente, in realtà il solito abbraccio mortale tra devoti del Puttaniere e i soliti ignoti fingenti di far politica per le masse.
Lasciamoli giocare di nuovo con gli ideali svenduti in modalità peripatetica, con i discorsi altisonanti valenti arie corporali!
Salutiamo tutti e lasciamoli strada libera, naturalmente prima di aver scrollato la polvere da sotto le scarpe, in modo da non condividere nulla con la politica tecno.raptro dei riccastri, ad uso e consumo per allocchi guardanti affascinati il solito dito.

Auguri a tutti voi!


L’IMPEGNO DELLA PASQUA
Enzo Bianchi

Perché questa notte è diversa da tutte le altre notti?». Così l’altra sera il più piccolo di ogni famiglia ebraica ha aperto la serie di domande al cuore del seder pasquale, la liturgia domestica che fa memoria dell’uscita del popolo d’Israele dall’Egitto e dalla condizione di schiavitù. Diversa, radicalmente diversa perché notte dell’inaudito, del sogno sempre vivo del prevalere della libertà sulla schiavitù, della luce sulle tenebre, della vita sulla morte.
Purtroppo oggi i credenti sembrano ignorarlo, ma la Pasqua è una festa di liberazione: un gruppo di migranti nelle terre del Medio Oriente, accolti in Egitto dopo la loro corsa verso il pane, sono diventati ben presto schiavi, ma grazie alla loro fede nel Dio “ goel, liberatore”, sono usciti dall’oppressione del faraone verso una terra di libertà. Migranti erano dunque i nostri padri e in realtà in questa condizione — ripetono i cristiani — restiamo anche noi, sempre impegnati nell’incessante ricerca di una terra abitabile nella libertà, nella giustizia e nella fraternità.
Anche per questo, in un certo senso, ogni notte di Pasqua è diversa anche da tutte le notti di Pasqua che l’hanno preceduta nel corso dei secoli. Diversa non certo perché muta il mistero celebrato dagli ebrei e poi dai cristiani. Eppure ogni Pasqua è diversa perché è diverso ciascun credente che la celebra, diverso dai suoi fratelli e sorelle nella fede e diverso da se stesso nel mutare delle stagioni e degli anni. Più in profondità ancora, ogni notte di Pasqua è diversa anche perché diversa la società all’interno della quale i cristiani la celebrano, non solo per la differenza esistente tra Paesi in cui essi sono stati storicamente maggioranza e Paesi in cui sono minoranza più o meno esigua e più o meno osteggiata o perseguitata.
No, la diversità della Pasqua la ritroviamo anche nel profondo mutamento avvenuto negli ultimi decenni anche in Italia, Paese di antica cristianità in cui fino a poco tempo fa era semplicemente impossibile che ci si vantasse in pubblico di infrangere i comandamenti o di sconfessare impudicamente con discorsi e azioni di odio il messaggio delle beatitudini evangeliche. Invece ora, a seguito della crisi politica ed economica conosciuta da tutto l’Occidente e in particolare dal nostro Paese, si sono sviluppati risentimenti, rancore e cattiveria, fomentati e fatti emergere senza la minima vergogna: la povertà è diventata una colpa e gli esclusi, gli “ scarti”, gli emarginati sono diventati i “ delinquenti” da far sparire perfino dalla vista, numeri e non persone di cui diffidare e da cui difendersi.
Così un nuovo elemento di diversità si è imposto nella Pasqua del nostro Paese: la celebrazione del mistero della risurrezione diviene manifestazione della cura della Chiesa per il diverso. Mai sono mancati nella storia i testimoni della carità cristiana, ma i sofferenti verso i quali si chinavano erano quasi sempre appartenenti alla medesima comunità di fede, quindi sentiti e percepiti come “ nostri”. La voce di autorevoli pastori, a cominciare da papa Francesco, si leva con forza, anche a costo di sfidare un buon numero degli stessi cattolici praticanti, per non parlare di chi concepisce il suo essere cristiano come difesa identitaria di un campanile che sembra mandare solo lugubri rintocchi di resistenza a un nemico creato dall’immaginario collettivo. Occupa sempre più la scena una politica che non si nutre di cultura e non conosce nessun umanesimo ma è fatta di insulti, maldicenze, rozzezze che rendono impossibile ogni confronto.
Eppure, se c’è un elemento universale nel tempo e nello spazio dell’annuncio cristiano è l’equivalenza tra amore di Dio e amore del prossimo che si spinge fino all’amore per i nemici, se c’è un volto di Cristo che non muta nella storia è quello impresso in ogni essere umano sofferente o indifeso: il debole, lo straniero, l’orfano e la vedova, il malato, il carcerato, l’affamato e l’assetato, l’ignudo, in una parola “il diverso” o, con un termine ricorrente nel Vangelo, “il piccolo”. E, proprio in virtù di questa presenza del loro Signore nei più poveri, la Pasqua dei cristiani, sempre diversa, ha una tonalità immutabile: è festa di speranza per tutti, nessuno escluso, nessuno emarginato, nessun messo “ dopo” un “prima” che significherebbe “mai”.

Pasqua allora non può significare “ contemplazione”, memoria di eventi passati, ma richiede un impegno a quanti la celebrano: impegno a una indignazione efficace e a un sussulto delle coscienze che provochino una nuova resistenza di fronte alla cultura della discriminazione, della violenza, dell’illegalità. Il fatto che i cristiani, come singoli e come comunità, siano sovente gravemente mancanti nel testimoniare ogni giorno questa “opzione preferenziale per i poveri” non potrà mai giustificare lo stravolgimento del Vangelo e del messaggio della croce e della resurrezione, l’abusarne per brandirli come arma contro i diversi, gli altri, quelli che siamo sempre tentati di schiacciare pur di non occupare noi l’ultimo posto. L’apertura a chi fugge da fame e guerra, l’accoglienza dello straniero e del povero, il rispetto della dignità umana non sono solo iscritti nella legge del mare, nella Costituzione o nella Dichiarazione universale dei diritti umani: sono iscritti con parole di fuoco nel Vangelo stesso, sono il cuore del messaggio della Pasqua, della vita più forte della morte, della vittoria dell’amore.

sabato 20 aprile 2019

Effettivamente




Viva lo sfottò!



Ah però!


sabato 20/04/2019
Si chiama crisi

di Marco Travaglio

Chiamiamo le cose con il loro nome. Nel breve volgere di una settimana, il vicepremier Matteo Salvini ha, nell’ordine: delegittimato il premier Giuseppe Conte, impegnato in una difficilissima mediazione diplomatica sulla guerra in Libia, facendo incontri paralleli con rappresentanti libici e non; impartito direttive sulla panzana dei “porti chiusi” ai vertici militari e costringendo lo Stato Maggiore della Difesa a spiegargli con un’inedita nota scritta la corretta linea gerarchica Quirinale-Palazzo Chigi-Difesa-Esercito, escluso dunque il Viminale; tentato di commissariare i sindaci di tutta Italia con una sgangherata direttiva ai prefetti che ne aumenta i poteri in caso di non meglio precisate “denunce” di “illegalità” (escluse, immaginiamo, quelle dei leghisti); aggredito con assalti quotidiani la sindaca della Capitale, Virginia Raggi, fino alla ridicola richiesta di dimissioni per il ridicolo “caso” montato da ridicoli giornali (tutti) sul bilancio farlocco dell’Ama, bocciato dal collegio sindacale e da tutte le istituzioni preposte a valutarlo, dunque sacrosantamente respinto dal Campidoglio; difeso a spada tratta la permanenza al governo del pluri-impresentabile sottosegretario Armando Siri, che ha patteggiato 1 anno e 8 mesi di carcere per bancarotta fraudolenta e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, ed è di nuovo indagato per presunte tangenti da un socio occulto del prestanome di Messina Denaro, in cambio di una norma su misura per una sua società; annunciato il no della Lega a una misura già concordata in Consiglio dei ministri per la fine della gestione commissariale del debito di Roma (13 miliardi di buco accumulati dagli anni 50 al 2008 dalle giunte di pentapartito, di sinistra e di destra, e dirottati in una bad company da B. e Alemanno, cioè da FI, An e Lega), che farà risparmiare ai romani e al resto degl’italiani centinaia di milioni rinegoziando gl’interessi con le banche.

Questa escalation di smargiassate e gaglioffate da guappo di cartone ha un solo nome: crisi di governo. “È fattuale”, come direbbe il Feltri di Crozza. Qui siamo ben oltre le punzecchiature fra alleati, le sparate propagandistiche (come l’irrealizzabile Flat Tax) e le rivendicazioni delle proprie specificità tipiche delle campagne elettorali nei sistemi proporzionali. Quella di Salvini è una lucida e cinica strategia per schiacciare il partito di maggioranza relativa, i 5Stelle, mentre si riprendono anche mediaticamente il ruolo loro affidato dagli elettori il 4 marzo 2018. Il vicepremier sabota sistematicamente il governo. Straccia il contratto di programma.

E distrugge quel poco di buono che potrebbero ancora a fare i giallo-verdi per affermare che l’Italia è cosa sua e mascherare il suo nervosismo. Da un mese l’avanzata della Lega nei sondaggi s’è fermata, anzi molti la danno in discesa. E lo scandalo Siri, che poi è lo scandalo Arata, dimostra plasticamente i virus introiettati da quel vecchissimo partito finto-nuovo che è la Lega imbarcando il peggio dell’Ancien Régime e del Partito degli Affari, dalla Sicilia in su. Arata, sul Carroccio, non l’ha portato la cicogna: l’ha portato Salvini. Gli ha fatto scrivere il programma leghista sull’energia in barba al suo clamoroso conflitto d’interessi; ha tentato di piazzarlo all’Authority per l’Energia; gli ha fatto sistemare da Giorgetti il figlio Federico (amico di Bannon) al Dipartimento programmazione economica, gli ha regalato un potere abnorme che lo autorizzava a sponsorizzare Siri come sottosegretario e poi a commissionargli una norma ad (suam) aziendam. Ora, nel tentativo disperato di dirottare altrove l’attenzione generale, Salvini chiede in combutta col Pd la testa della sindaca eletta dal 67% dei romani, con l’aiuto della stampa amica e di quella finto-nemica. Purtroppo per lorsignori, la Raggi non ruba. E più escono le sue chat e le sue conversazioni, più si scopre che dice in privato ciò che dice in pubblico. Ma ancora una volta viene usata da tutti come arma di distrazione di massa: dalla Lega per nascondere Arata e Siri; dal Pd per far dimenticare Zingaretti indagato per finanziamento illecito, la giunta umbra dei concorsi truccati e tante altre vergogne; da Forza Italia per occultare Forza Italia; e dai giornaloni (anche de sinistra) per fare pari e patta tra il finto scandalo Ama e i veri scandali dei vecchi partiti.
Il 16 maggio 2018, in una leggendaria diretta Facebook, Salvini magnificava “le bellezze di Roma” e aggiungeva entusiasta: “E non ci sono buche, almeno qua dove sono io!”. Una ridicola captatio benevolentiae al futuro alleato di governo, con cui stava trattando per il Contratto: possibile che scopra le buche un anno dopo, quando sono pure diminuite per la partenza di molti cantieri stradali? È chiaro come il sole che Salvini vuole arrivare alle Europee con i 5Stelle sotto le scarpe, pronto a mollarli subito dopo per andare al più presto alle elezioni anticipate. La sua ascesa si sta esaurendo e attendere altri mesi, per un bulimico da social e da sondaggi come lui, sarebbe esiziale. Se non ufficializza ancora la crisi, è solo perché non saprebbe come spiegare agli italiani la caduta di un governo col 60% di consensi che, senza alternative, getterebbe l’Italia nel marasma in un momento tanto delicato. Spetta dunque ai 5Stelle e al premier Conte rompere gli indugi, evitare altri compromessi al ribasso e sfidare Salvini a viso aperto: o libera il governo dalla presenza inquinante di Siri (e la Lega, se può, dei vari Arata), vota la norma taglia-debito di Roma e riprende a collaborare lealmente (sempreché conosca il senso dell’avverbio) con i partner che s’è scelto 10 mesi fa, oppure è lui ad aprire la crisi. E sarà lui a dover spiegare ai fan perché, fra l’Italia e gli Arata, sceglie i secondi.

Così, per caso...



Silenzio si gira!


Altisonante, fuorviante, deprimente, irriverente, sconosciuta, mal sopportata, commercializzata, idealizzata, soffocata. Anche quest'anno la festa principale dei cattolici ha la valenza di quella precedente. In questo giorno di silenzio, di solitudine, di sapore amaro cerco appigli, spuntoni per essere parte, minimamente,  dell'Evento. Mi è difficile, tremendamente difficile, sentendomi come un allocco avviluppato dalle onde alla ricerca frenetica di uno scoglio a cui aggrapparmi. 
Solitudine inappropriata, ondivaghi moti ondosi, fluorescenze, increspature: sono loro, in questo sabato santo, a governar la povera imbarcazione. Il pensiero mi è pesante come l'attesa, la compartecipazione asfittica. Resto distante, ignaro con la pigrezza datami in dote all'inizio del viaggio. 
Il comparar rende difficile ogni movimento, il lessico vien meno. Effluvi di parole, di riti ovvi privi di alcun nettare sensato. 
Attorno al fulcro ruota tanto squallore, le ceste sono vuote, l'aridità galoppa su un destriero indomito. 
Non resta che guardare, nel silenzio mai amato come oggi. 
Forse un rivolo, una brezza s'insinuerà nelle fredde rocce dell'ingordigia altalenante, forse un bagliore ne attirerà l'attenzione, l'accensione del dinamico riflettere su se stessi, avendo nello skyline quel corpo inanimato, l'indicibile alla portata di povere menti e di cuori tanto sofferenti da essersi trasformati in amebe, qual è il mio. 
Quel che conta è risollevarsi. Se solo potessi trovar agio ed energie nel raddrizzarmi ecco si, ne sono certo, l'energia della roccia accogliente forse mi permetterebbe di compartecipare, di sentirmi rinato, svolazzante sulle tante miserie opprimenti, create ad hoc per prostrami in questo insano modo. 
Si, godo di questo silenzio, potrei pure fremere per l'attesa! 
Hanno sempre detto che sia anche per me, come per tutti. 
L'inconcepibile è parte di noi. In questo impercettibile tepore, nella solitudine ne odo la conferma. Basta poter sollevare fronzoli, fregnacce, stagnanti ipocrisie. 
Forse è anche per me. 
Sperando che s'avveri e s'avverta cerco di sparigliare insane abitudini e, concentrandomi oltremodo, vi formulo in semplicità gli auguri. Che possiate fremere di gioia vera. E pura.  

venerdì 19 aprile 2019

Pur di vendere



Il pseudogiornale del decotto Feltri raggiunge vette inimmaginabili per poter strappare la vendita di qualche copia in più! 
Al di là che Greta possa essere simpatica o meno, che senso ha aprire a otto colonne solo per il tentativo di emergere dalla melma dentro la quale è affondato questo giornaletto? 
Possibile che non vi sia nessuno in grado di frenare tanta caduta di stile dal sapore psichiatrico? 
Tenta pure di fare il simpatico con "Vieni avanti Gretina" rasentando un'idiozia difficilmente riscontrabile altrove. 
Fermatelo, o almeno consigliategli uno bravo da cui andare! Ammesso che esista. 

Parbleu!


Notre-Dame e le idee malsane di Macron
FRANCIA - IL PRESIDENTE ANNUNCIA PROGETTI ULTRAMODERNI DI RICOSTRUZIONE PER LASCIARE IL SUO SEGNO

di Tomaso Montanari

Tra i fumi tossici sprigionati dall’incendio delle carpenterie gotiche e neogotiche di Notre-Dame c’è anche quello che intossica e uccide l’idea stessa di Stato, di collettività, di interesse pubblico. Come in un’Italia qualsiasi, anche in Francia lo Stato è ormai evaporato, preso com’è tra due fuochi.

Da una parte il potere smisurato dei capitali privati. I signori della moda e del lusso sono accorsi al rogo: per aiutare, dicevano. Per legittimare, invece, anche sul piano simbolico e dell’immaginario collettivo un potere economico e politico che surclassa in misura quasi grottesca quello dello Stato. Sul sagrato di Notre-Dame, mentre ancora infuriano le fiamme, il presidente della Repubblica indice una questua: lo Stato pezzente, col cappello in mano, si prostra in diretta mondiale. Contemporaneamente, i paperoni che evadono per miliardi di euro gettano i loro soldi nel cappello, addossando allo Stato stesso (attraverso la defiscalizzazione) buona parte del costo di questa ‘beneficenza’. Così è compiuto il ritorno all’antico regime: la vita o la morte del patrimonio dipende dalla graziosa benevolenza del signore feudale, che alza o abbassa il pollice decidendo cosa si salva e cosa perisce. E così lo Stato esce anche dall’immaginario: e il patrimonio di tutti torna a legittimare il potere di pochi, come prima del 1789. Dall’altra parte, lo Stato è umiliato dall’indegno ceto politico che occupa i suoi stessi vertici. Innanzitutto, attraverso il criminoso definanziamento della tutela: in queste ore il Canard Enchaîné ha rivelato che il governo ha assegnato, per il 2019, alla manutenzione di ciascuno dei suoi monumenti (tra cui 86 cattedrali) meno di 100.000 euro: 18 milioni in tutto, una ridicola miseria.

Ma non è solo un peccato di omissione: bensì anche di parole, e di opere. “Non passa giorno dopo l’incendio di Notre-Dame senza che il presidente della Repubblica e il suo governo non ci gratifichino di annunci uno più scandaloso dell’altro”: così ha scritto Didier Rykner, il direttore della benemerita Tribune de l’Art, che da anni denuncia le colpe della politica nella decadenza del patrimonio culturale francese. Nella fattispecie, Emmanuel Macron ha pensato bene di annunciare un concorso internazionale per la ricostruzione della Flèche, la guglia inghiottita dalle fiamme in diretta mondiale. Notando che “non era originale”, Macron pensa di far riprogettare un ‘segno’ ultramoderno a un Renzo Piano o a un Frank Gehry. Una convinzione che galleggia su un oceano di brutale ignoranza: la Francia, come tutti i Paesi civili, ha sottoscritto la Carta di Venezia che regola il restauro architettonico vietando ogni ‘eugenetica dei monumenti’: non si può ‘debarocchizzare’ una chiesa romanica, o eliminare le parti ottocentesche di una chiesa gotica. Non si può perché i monumenti sono corpi vivi, accresciutisi lentamente grazie all’apporto di generazioni e generazioni: sono il risultato di una storia da leggere e da amare. Una storia che non si può cancellare come prova a fare sui nostri poveri corpi la chirurgia estetica: peraltro con risultati in generale terrificanti. Macron ignora tutto questo, e si comporta anche lui come un sovrano dell’antico regime: calpestando competenze tecniche, saperi, leggi e trattati. Vuole evidentemente imitare Mitterrand (senza la cultura di Mitterrand) e lasciare il suo segno sul volto di Parigi, approfittando dell’incendio. Questo misto di ignoranza e arroganza, quest’uso spregiudicato del patrimonio culturale, questa ostentata retorica della bellezza unita a un’attiva distruzione del sistema di tutela ricorda da vicino lo stile del clone italico di Macron: Matteo Renzi, che ha puntualmente pubblicato sul Foglio una incomprensibile, esilarante supercazzola retorica sulla bellezza di Notre-Dame. Come Macron anche lui, che voleva un referendum sulla costruzione della facciata michelangiolesca di San Lorenzo a Firenze e faceva trapanare gli affreschi di Vasari per trovarsi a tu per tu con un Leonardo inesistente, sa bene che il patrimonio può essere una efficacissima arma di distrazione di massa. Con o senza incendi.

giovedì 18 aprile 2019

Interessante e meditativo


Articolo molto, molto interessante.

giovedì 18/04/2019
L’ANALISI
Frustrazione, bulli e fake: 2019, prima fuga dai social
CONDANNATI - QUESTE PIATTAFORME SONO “UN GRANDE MIRAGGIO” AL QUALE REGALIAMO PORZIONI SEMPRE PIÙ ESTESE DI CERVELLO E DI LIBERO ARBITRIO

di Daniela Ranieri

I social network rendono possibile ciò che prima era impossibile. Questa asserzione, che fino a qualche tempo fa avremmo accolto con l’ottimismo compiaciuto che si riserva alle grandi invenzioni, sta svelando tutte le sue implicazioni terribili. Il “prima” è il tempo della vita analogica, quando per ritrovare un vecchio amico di scuola (uno degli intenti di Facebook ai suoi esordi) era necessario consultare elenchi telefonici e percorrere chilometri, investire tempo, denaro e aspettative nel conseguimento di un obiettivo sociale. Oggi, alfabetizzati da tante ore di pratica sottratte proprio a quella vita e a quella socialità, cominciamo a vedere le crepe di questo prodigio.

Grazie anche ai pentimenti di persone che quel dispositivo hanno contribuito a inventarlo, è ormai chiaro che su Facebook è possibile la compresenza di diverse opzioni relazionali: si può fare amicizia, oppure inventarsi un’identità fittizia per nuocere a qualcuno, diffamarlo o spiarlo, inscenare omicidi e suicidi, bullizzare e adescare adolescenti, fare attentati in tempo reale, esporre alla gogna persone riprese nella loro vita privata. Grazie al nostro consenso ai termini d’uso, Facebook può fare ciò che a qualunque azienda o multinazionale era prima impedito dalla tutela della dignità umana e dai diritti dei consumatori e dei lavoratori: detenere il controllo fisico e neurobiologico dei suoi clienti trasformati in schiavi felici, garruli, geo-localizzati e gonfi di dopamina.

I “mi piace” e il numero di follower agiscono da fattori di rinforzo, cioè svolgono la stessa funzione dei biscottini-premio per i cani addestrati. Il progettista di Google Tristan Harris ha detto di aver disegnato la piattaforma sulla base del meccanismo psicologico delle “ricompense variabili intermittenti”: tirare la levetta della slot machine è una intermittenza tra la frustrazione della sconfitta e la ricompensa della vittoria.

A maggio del 2017 il New York Times ha intervistato uno dei fondatori di Twitter, Evan Williams, “l’uomo che ha aperto il vaso di Pandora”. Williams dice: “Credo che Internet si sia rotto”. Su Facebook si trasmettono omicidi in diretta, Twitter è invasa dai troll (profili veri e finti dediti alla provocazione), le fake news e le molestie sessuali pullulano nel loro brodo d’elezione.

Dunque l’umanità è vittima di un’ambizione faustiana irreversibile, di un’eterogenesi di fini stabiliti dal Capitale, e ora non sa più gestire il potere che pensa di aver acquisito in cambio della sua anima? Forse è persino peggio di così. L’esperto di reti Jaron Lanier, già autore de La dignità ai tempi di Internet, nel recente Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social (Il Saggiatore) definisce i social “un grande miraggio” al quale regaliamo porzioni sempre più estese di cervello e di libero arbitrio. La “macchina della fregatura” mina la verità, toglie significato ai concetti alti (le “legioni di imbecilli” di Umberto Eco oggi godono davvero della stessa risonanza di un premio Nobel), distrugge la capacità di provare empatia inducendo torpore mentale e abituando a nefandezze, corrompe la democrazia mentre proclama di incoraggiarla.

Nella postdemocrazia, l’attenzione maggiore la ottengono non i contenuti ragionati, ma quelli a più alto tasso di emotività: accuse, denigrazioni, messaggi crudeli e paranoici. La politica in crisi di visione gode di riflesso di questa luce sinistra. Il whistleblower che ha rivelato all’Observer il ruolo della società Cambridge Analytica nel raccogliere i dati di 50 milioni di profili Facebook in occasione delle presidenziali Usa del 2016, ha ammesso di aver “mirato ai demoni interiori” delle persone. Il dissenso svanisce dentro un auto-obliterante pulviscolo carico di risentimento.

Spesso sono gli stessi i politici a aizzare i loro sostenitori contro i giornalisti, pubblicando passaggi decontestualizzati di articoli critici, che nessuno legge fino in fondo perché richiedono attenzione e perché sono a pagamento, e lasciando poi che le opposte fazioni si scannino tra loro. La popolarità di un politico si gonfia con gli strumenti del marketing applicati a una logica tribale: fidelizzazione, finta familiarità, coesione in caso di attacchi esterni.

Al contrario di quel che pensavano gli intellettuali integrati, a risentirne è anche la capacità linguistica. Trasformati in macchine di mera analisi del contenuto, ci abituiamo a usare solo il primo livello delle parole, quello denotativo e letterale, per evitare di essere fraintesi o sottoposti a fact-checking. Legioni di censori sotto botta dopaminica fanno partire shitstorm (letteralmente: tempeste di merda) contro autori di frasi che richiedono abilità di secondo livello, fraintese nel loro livello connotativo, spesso ironico, antifrastico o iperbolico. La precauzione si trasforma in autocensura per evitare grane (“Il mondo cade nelle mani della gente più rozza, egoista e meno informata. E chi non è stronzo fa la fine peggiore”, scrive Lanier). È un prodromo della società del controllo, dove ogni dominato aspira a diventare dominatore, delatore, carnefice.

Lo stress continuo a cui ci si sottopone toglie lucidità e stimola reazioni bellicose o ripugnanti (delle dieci ragioni di Lanier, la terza è: “I social media ti stanno facendo diventare uno stronzo”). Senza accorgercene, abbiamo lasciato che un disturbo ossessivo-compulsivo diventasse placidamente parte della nostra normalità e che i bisogni indotti da questi strumenti entrassero nella nostra economia psicofisica.

La presenza sui social è un classico caso di dilemma del prigioniero. Essere visibili, localizzabili, targetizzabili è, contro ogni ragionevolezza, la condizione per esistere. Cancellarsi dai social (l’invito è stato diffuso con la campagna #DeleteFacebook anche da Brian Acton, co-fondatore di WhatsApp, che ha poi venduto a Mark Zuckerberg per 19 milioni di dollari) è un atto politico (si rifiuta di partecipare all’ingrasso di una macchina regressiva e negatrice dell’umano) e una misura di igiene mentale che sempre più persone stanno compiendo. Daniele Luttazzi, osservatore acuto delle distorsioni della comunicazione digitale, ha scritto un articolo sul suo blog dal titolo I social network sono tossici, a cui ha fatto coerentemente seguire la cancellazione dei suoi account.

Nei Manoscritti economico-filosofici Marx consigliava di diffidare di qualunque dispositivo rendesse possibile l’impossibile (uno di questi è il denaro). I social non sono che la reincarnazione virtuale del denaro trasfigurato nella fregatura economica, linguistica e neurologica più riuscita della Storia.