lunedì 31 luglio 2023

Nella Gloria!



Samu è entrato nell’immensa sala trofei, tra l’altro senza occhiali da sole rischiando guai alla retina per l’eclatante sfavillio, e si è avvicinato ad uno degli innumerevoli Palloni d’Oro, quasi una profezia per i futuri sei che conquisterà da rossonero. Benvenuto mitico Chukweze!

Il Giorno della Marmotta marino


Com’è il giorno della marmotta marino? 

Semplice: prendi lo zaino, lo stesso zaino oramai ricettacolo di strani esseri curiosi, bradipi che s’adattano a qualsiasi temperatura, e lo riempi di libri, come se dovessi rieditare Cast Away, controlli di avere paglie a sufficienza, poi borsa frigo con acqua. pomodorini e mozzarelle, la focaccia indispensabile più che il boccaglio al sub, e i giornali, Gazza su tutti. 

Visto che non sei turista ma indigeno, l’unico posto che può ospitarti è Marinella, col suo vento perenne godereccio, e col mare che assomiglia sempre più ad una zuppa dimagrante ai cavoli neri. 


All’arrivo prima tappa alla gioielleria che finge di essere bar, per un caffè che ingurgitato ti porta ogni volta a domandare se per caso sia orzo, e tutte le volte che ti rispondono “no, no! è un caffè normale!” ti interroghi sul gusto che dovrebbe avere quello d’orzo, probabilmente sfiorante la merda. 

Arrivato in postazione e salutato gli statici vicini d’ombrellone, inneschi la prima paglia scrutando il panorama ed iniziando, protetto dagli impenetrabili occhiali neri, ad effettuare le prime Tac alle prove viventi della magnificenza del Creato. 

T’immergi nella lettura scrutando a volte l’orizzonte meglio di Nelson, zigzagando tra le inutilità ciancianti tipiche del luogo: meteo, clima, acqua sporca etc. 

La disposizione dei vicini di lettino ricorda il posizionamento dei banchi della fiera: ogni cento metri si ripetono, come le particolarità degli spiaggiati: la petulante, la ritmica, il domanda/risposta, l’affabulatore, il cercatore di meraviglie, l’assonnato, il Bernardo muto, l’incazzato eterno, il ciacolante, il soprano. 

Misteriosamente, come detto, queste categorie si replicano ogni cento metri, e i più temibili sono il soprano che parla in tonalità simile alla Callas scaligera, la petulante che verso le 9 si scaglia contro i ragazzi dello stabilimento che hanno spostato i suoi lettini di 3,5 mm, il cercatore di meraviglie che per attirare attenzione, dopo aver ingurgitato un megafono, spara racconti-fregnaccia conditi da balle clamorose solo per destare meraviglia; quello che domandando si auto risponde sino al calar della palla infuocata. 

Personalmente appartengo alla categoria Bernardo-servo di Zorro, dispensando mono sillabi con parsimonia, temendo di iniziare un discorso attorno al nulla che mi stravolgerebbe il rito circolare del giorno della marmotta, tanto bene spiegato in “Ricomincio da capo.” 


Prima del pranzo, la calata in mare col passaggio tra le file di lettini dei giovani abbrustoliti, con l’insolita morfologia del fondale che scende repentinamente per poi risalire facendoti arrivare alle caviglie l’acqua ad un centinaio di metri dalla riva, certifica il via libera alla classica mangiata all’ombra che, visto la grande quantità di pomodori, bocconcini di mozzarella e albicocche, è una prepotente sfida gastrica all’attacco diarroico, fortunatamente al momento sempre sventato. 

Il pomeriggio scorre tra un dormiveglia molto simile al risveglio post operatorio, con un rimbambimento al limite della visita neurologica, e il continuo spostamento del lettino per scansare i raggi infuocati con rotazioni dello stesso di oltre un angolo piatto, un tale rompimento di maroni che porta a desiderare la veridicità delle teorie copernicane con la stella fissa nel cielo! Sul far della sera il giorno della marmotta termina, pronto ripetersi in fotocopia alla prima occasione!

Senz'altro aggiungere

 


Ragogna!

 


Nando e il Cazzaro

 

Salvini, l’incontinente. Ennesima figuraccia: con Don Ciotti era meglio “tacere in tempo”
di Nando dalla Chiesa
Salvini all’attacco di don Ciotti. Come metterla, per evitare di rimestare nella cronaca? Partirò da una poesia bellissima, che apparentemente non c’entra niente. Una poesia di Erri De Luca del 2002. Si intitola “Considero valore”. L’autore vi allinea in una sequenza stupenda di ciò che secondo lui ha valore, dall’ “assemblea delle stelle” a “sapere in una stanza dov’è il Nord”. Un insieme di fatti e cose e pratiche che nella loro trama armoniosa ci regalerebbero, se da tutti considerati valore, un mondo cento volte migliore di quello in cui viviamo. Tra questi c’è un verbo, precisamente qualificato: “Tacere in tempo”. Il cui significato scava un abisso tra la sapienza adulta e quella giovanile. Per la sapienza adulta “tacere in tempo” è infatti un valore perché risparmia le figuracce, sottrae a rappresaglie, evita di sbilanciarsi gratuitamente. Tutela chi parla, insomma. Ma per la sapienza dei miei studenti è un valore perché evita di “ferire inutilmente”, di fare del male a qualcuno che non lo merita. Tutela chi ascolta. Due modi di vedere la vita agli antipodi.
Eppure nel caso di Salvini verso don Ciotti il tacere in tempo sarebbe stato un valore in tutti e due i sensi. Perché avrebbe evitato all’incontinente un’altra figuraccia, di lasciare scolpite nella memoria pubblica nuove parole che, per la loro incongrua violenza, lo appiccicheranno alla meno eccelsa storia politica del Paese in modo indelebile. Le famose parole che dopo un po’ di tempo bisogna rinnegare maldestramente (non l’ho mai detto, è stata una forzatura dei giornali) o confermare con orgoglio disastroso. Tipo l’uscita che chi vuol pagare un caffè con la carta di credito è un rompiballe, quando ormai, due anni dopo, bar e gelatai ti chiedono – loro!- di non costringerli ad armeggiare con gli spiccioli in cassa. Ma tacere in tempo avrebbe evitato all’incontinente anche di ferire non tanto don Luigi Ciotti (che ne ha vissute di ben peggio), ma l’intero popolo che in lui ha trovato un simbolo e una voce. Dalle migliaia di persone che hanno avuto nella propria famiglia una vittima innocente di mafia e che questo prete infaticabile sorregge tutti i giorni con una telefonata di conforto, trovando un avvocato, difendendo una causa, chiamando un prefetto, correndo a celebrare un battesimo; alle centinaia di migliaia di cittadini che dalla mafia si sentono minacciati nella loro vita quotidiana; alle più migliaia ancora che sono passate per il dramma della droga; ai milioni di credenti che in lui vedono una fede dal volto umano e amico, a partire dall’immenso mondo del volontariato: tutti arruolati dall’incontinenza maramalda di Salvini tra coloro che sarebbero felici di mandare don Luigi all’estero.
Ma il non tacere in tempo procura anche effetti suicidi immediati. Io per esempio, dopo tanto tempo, ero diventato possibilista sul ponte sullo Stretto. Ma dopo avere letto le motivazioni del ministro non lo sono più. Non solo gonfie di retorica (e ci starebbe) ma gravide di quella cultura che ha fatto per un secolo e mezzo la fortuna della mafia a Sud e a Nord. Quella per cui ogni timore e denuncia del pericolo mafioso è un’offesa agli italiani e all’Italia, perché – come si sa – mafia camorra e ‘ndrangheta sono un’invenzione delle fiabe cattive. Se mi avessero chiesto come potrebbe replicare un ciarlatano ai timori di don Ciotti avrei detto esattamente in quel modo. Con la storia delle grandi opere che danno il lavoro che sconfigge la mafia, con l’offesa al buon nome delle popolazioni. Ma il ministro non è un ciarlatano. È vero, prende le parole dall’aria che gli sembra di avere intorno e ci soffia dentro. È già stata la sua sfortuna; perciò, d’altronde, non fa più il ministro dell’Interno.
Ma quella reazione così irragionevole e offensiva mi ha insospettito, e molto. Perché il non tacere in tempo mette nell’aria perfino più parole di quelle che escono dalla bocca.

domenica 30 luglio 2023

Effetti collaterali



Dopo aver letto le prime duecento pagine del compendio finale sul Mausoleante di Travaglio, in cui vengono elencate cronologicamente tutte le nefandezze del fu Puttaniere, mi sono ritrovato vestito con pantaloni, gilet e giacca neri, un borsalino in testa e nell’andare via dalla spiaggia mi sono pure sgraffignato un lettino e un ombrellone!

Similitudine



Verstappen che supera Leclerc mi ha ricordato quando in auto, assalito da dolori di pancia, che ti portano a sognare la tazza, sul vialone sgombro incontro un’apecar…

Rieccola!



Era tanto che non entrava nei miei pensieri la Bella Etruriana, smaniante di ritornare a galla più dei figlioli del Mausoleante di entrare in possesso della fantasmagorica eredità, frutto di scorribande istituzionali, e di malaffare finanziario. La Corte Costituzionale non ha sentenziato che con la fondazione Open il Grullo non ha prelevato denari per le sue esigenze da egoriferito; ha solo detto che tutti i messaggi contenuti nei cellulari non devono essere presi in considerazione in quanto, essendo corrispondenza di un senatore, e che senatore, per essere acquisti a prova devono ottenere l’autorizzazione della camera di appartenenza. Pertanto il problema rimane anche se, togliendo le prove, diverrà molto difficile stabilire la verità. Un po’ come se a Clerville Ginko agguantasse Diabolik con gli arnesi da scasso in mano e il giudice sentenziasse che gli attrezzi per costituire prova, dovrebbero ricevere l’ok a procedere di Eva Kant! 
Ma la figlia del babbo aretino sorvola su queste quisquilie, essendo ella un’aurea figura politica, già pensierosa di presentarsi alle prossime elezioni in qualche enclave lontana per ottenere consensi che oramai la quasi totalità dell’elettorato le negherebbe, vista la mastodontica antipatia che traspare dal suo operato, emulante quello del Re Sole. Il Bimbominkia probabilmente la metterà a capo della commissione Covid incaricata di scovare le presidente nefandezze della Persone per Bene Conte nel tempo pandemico, commissione questa che ricorda le ribalderie fasciste per abbattere il nemico giurato, visto che già il tribunale di Brescia ha archiviato il caso. Ma Ella soffre e lotta contro l’anonimato, ricordando i tempi dorati quando mnemonicamente ripeteva le smargiassate del suo mentore rignanese. In questo paese avvilito e deturpato dalla protezione destrorsa dei forti, potremmo ritrovarcela a breve in tolda, finalmente libera dalla finzione d’interpretare ideali di sinistra, a lei confacenti come l’intelligenza a Gasparri.

Ferie dorate

 




Attorno alla povertà

 

I lavoratori poveri e l’elefante da talk
CHI PUÒ ASPETTARE E CHI NO - I soloni tv che invocano rinvii e ritocchi alla legge possono comodamente attendere. Chi non ha sostentamento, invece, è come la farfalla che vive solo un’ora e non ha tempo da perdere
DI DOMENICO DE MASI
In questi giorni, sono stato invitato a un paio di talk show televisivi in cui si è discusso del salario minimo e della relativa legge in bilico. Ascoltando gli interlocutori mi è venuta in mente la storiella indiana secondo cui l’elefante vive 100 anni e la farfalla vive solo un’ora.
Dunque, l’elefante non può dire alla farfalla: “Per favore, aspettami dieci minuti”. Molti intervistati si comportano come quell’elefante: invocano rinvii, ritocchi, ricalcoli e ripensamenti della legge come se i loro tempi di vita agiata coincidessero con quelli di milioni di working poor che attualmente guadagnano meno di 9 euro all’ora. Un povero è così povero che non può attendere. Lui e i suoi figli hanno bisogno di mangiare qui e ora.
Come faceva notare già mezzo secolo fa Gian Antonio Gilli, lo stato di povertà condiziona ogni aspetto della vita: rispetto ai ricchi, chi è povero ha molte più probabilità di non sopravvivere alla nascita, di morire in giovane età, di interrompere gli studi, di non saper verbalizzare, di contrarre determinate malattie, di rinunziare alle cure mediche, di andare in carcere o in manicomio, di essere costretto a un lavoro infame e di fame. Sia io che gli altri “esperti” dei talk show (tra i quali manca sistematicamente il sindacalista) godiamo di uno stile di vita infinitamente superiore a quello dei lavoratori poveri, magari alcuni di noi sottopagano la loro “serva” (come la chiamerebbe Leo Longanesi), eppure ci sentiamo in diritto di disquisire sulla condizione indigente, di sapere quali sono le loro esigenze, di decidere quali debbano essere i loro doveri e i loro livelli di sopportazione.
Ci sono dunque due convitati di pietra in questi talk show. Oltre ai sindacalisti, mancano proprio loro: i morti di fame, i percettori di un salario inferiore a 9 euro lordi. Eppure, come calcola Dino Greco in un suo articolo di lucida radicalità, sono 4.578.535. Quasi il 30% di tutte le lavoratrici e quasi il 40% di tutti i lavoratori giovani. Addirittura sono il 90% dei collaboratori e delle collaboratrici domestiche; il 35% di chi lavora in agricoltura. Ognuno di loro conosce certamente più di noi, finti esperti, la condizione di sfruttato e ne parlerebbe con ben maggiore cognizione di causa. Non sarebbe difficile convocarne qualcuno negli studi televisivi, magari pagandogli 10 euro. Bisogna risalire a Maurizio Costanzo Show o ai mirabili reportage di Domenico Iannaccone per trovare qualche povero dietro lo schermo, finalmente intervistato come fosse un essere umano, capace di intendere, volere ed esprimersi.
Ma i poveri, come diceva il leader brasiliano Leonel Brizola, non hanno lobby. Non solo sono tenuti lontani dagli studi televisivi, ma sono ignorati sia dal sindacato perché non hanno la tessera, sia dai partiti perché tendono a non votare. È un circolo vizioso: non si iscrivono e non votano perché sindacati e partiti non hanno voluto o saputo apprezzarli statisticamente, educarli politicamente, compattarli organizzativamente, difenderli economicamente. Se 4,5 milioni di lavoratori esasperati dalla miseria scendessero in piazza con i forconi, sotto un’unica bandiera, e assediassero Montecitorio con la stessa radicalità dei loro colleghi francesi, il 70% degli italiani sarebbe con loro, la legge passerebbe immediatamente e il minimo salariale arriverebbe a 12 euro come in Germania.
Questi lavoratori sottopagati non sono sottoproletari, “stracci al vento” come li chiamava Marx. Sono proletari a tutti gli effetti, dipendenti di aziende precise con una sede precisa, che svolgono mansioni precise e percepiscono paghe precise, regolarmente tassate. Ma il sindacato non è capace di includerli nella contrattazione collettiva, né gli interessa farlo perché li considera cani sciolti e randagi. Anche in alcuni casi in cui è riuscito a farsene carico contrattando in loro nome, non ha saputo ottenere dai datori di lavoro che paghe da fame. Dino Greco cita il caso di un Contratto Collettivo Nazionale dei Servizi fiduciari, regolarmente stipulato da Cgil, Cisl e Uil, che stabilisce un salario di 5 euro l’ora. È dovuta intervenire la Corte d’appello di Milano per invalidare questa clausola incostituzionale perché “non proporzionata alla qualità e quantità del lavoro prestato”. Dunque il sindacato, di per sé, ha ampiamente dimostrato di non saper raggiungere, aggregare e difendere i lavoratori poveri; tuttavia, è riluttante all’idea che, di fronte alla sua constatata incapacità, sia lo Stato a garantire la sopravvivenza dei poveri con una legge ad hoc.
In questi talk show taroccati, in cui non è mai prevista la presenza fisica di lavoratori poveri e di sindacalisti, spiccano i volti cupi degli economisti. Come sempre quando si tratta di aiutare i poveri e non i banchieri, essi si chiedono preoccupati dove si prenderanno i soldi per elevare i salari e che impatto avrà il salario minimo su quelle imprese che oggi sopravvivono proprio grazie al fatto che pagano salari di fame. Il loro collega Galbraith risponderebbe: “È bene che di tanto in tanto il denaro si separi dagli imbecilli”.
Dove si prenderanno i soldi? In Italia le 10 famiglie più ricche posseggono una ricchezza pari a quella di 6 milioni di italiani poveri. Perfino durante la grande crisi 2008-2018, il patrimonio dei 6 milioni di italiani più ricchi è ulteriormente cresciuto del 72%. È assai probabile che tra questi 6 milioni di straricchi ci siano coloro che reputano eccessivo un salario di 9 euro e, quando ne parlano, omettono di precisare che si tratta di 9 euro lordi. Quest’obolo, al netto delle ritenute fiscali e previdenziali, si riduce a 6 euro netti l’ora. In termini mensili si scende da 1.547 euro a 1.037 euro. Magari con questa somma il lavoratore povero deve sfamare non solo se stesso ma anche il coniuge e un paio di figli. Come se non bastasse, la Meloni lo incita a fare altri figli per donare altre braccia alla patria.
Fin dal primo momento ho sostenuto che l’andata al governo delle destre avrebbe ottenuto come primo risultato la polarizzazione delle posizioni in merito ai diritti civili e sociali. Dunque, avrebbe radicalizzato i conflitti e avrebbe riportato la politica sopra l’economia. Come in economia il dilemma contrappone socialismo a neo-liberismo, così in politica contrappone democrazia ad autoritarismo. Dunque la sfida, ridotta all’osso, è tra socialismo e democrazia da una parte, neo-liberismo e autoritarismo dall’altra.
Ai tempi del New Deal, per combattere la crisi, un padre del neo-liberismo come Ludwig von Mises predicava che tra libertà politica ed economia occorresse sacrificare la democrazia. Più tardi, ai tempi di Pinochet, l’altro padre del neo-liberismo, Friedrich von Hayek, confermò: “Meglio un liberalismo restrittivo, che sapesse un po’ di autoritarismo che una democrazia illimitata”. L’autoritarismo comincia sempre dall’oppressione dei più deboli. Questo governo di destra ha iniziato con i poveri, annacquando il Reddito di cittadinanza, sopprimendo il decreto Dignità e, ora, ostacolando il salario minimo proprio nel Paese che da trent’anni non fa altro che abbassare i salari.

Ragogna

 


Cina e spie

 

Body-scemi
di Marco Travaglio
Non male questi giornaloni che denunciano le fake news dei complottisti e intanto inventano fake news e complotti talmente ridicoli che, al confronto, è persino plausibile quello dei vaccini per controllare la popolazione mondiale con microchip sottopelle e tatuaggi quantici. Dopo anni passati a braccare hacker, hater e troll russi intenti a ribaltare tutte le elezioni dell’orbe terracqueo, ora l’ordine di scuderia è portarci in guerra contro la Cina facendoci sospettare di tutto ciò che viene di lì: da Tik Tok alle nuvole di drago. Ieri il nostro complottista anticomplottista preferito, Francesco Verderami del Corriere, ha messo ko il nuovo Impero del Male, a cui il solito Giuseppe Conte aveva spalancato le porte d’Italia. Tenetevi forte: “Una nota dei Servizi ha acceso un faro sulla sperimentazione delle ‘telecamere indossabili’ per i poliziotti… Un’operazione pilota fatta con una dozzina di apparecchiature” per “vagliare la funzionalità del sistema prima di assumere una decisione”. Avete capito bene: 12 videocamere “cinesi” (strano, vista la nota pippaggine della Cina nel settore). Tutta colpa del Conte-2 che nel 2020 indisse la gara. Vinta dai cinesi? Macché: da “un consorzio di aziende” guidato da Accenture, multinazionale di consulenza con sede a Dublino e capitali e vertici americani. Ma c’era pure un’altra società. Cinese? Macché: “italiana”, ma con “legami con la Cina”. L’operazione è “priva di rischi” e “tutto si è svolto nella più assoluta correttezza”. Ma tanto basta al Corriere della Nato per farci un’intera pagina dal titolo: “Le bodycam destinate ai poliziotti, un filo con la Cina allarma gli 007. Comprate per un test sotto il governo Conte”. La terribile “informazione è giunta ai rappresentanti del Copasir”: fortuna che lì vigila la premiata ditta Borghi (Iv) & Sensi (Pd), da anni in guerra contro le videocamere di sorveglianza cinesi “installate nelle procure, all’aeroporto di Fiumicino, nel centro di produzione Rai” e addirittura “a Palazzo Chigi”.
Ora si studia “un’apposita legge” per escludere dalle gare le aziende cinesi (viva il libero mercato) e riservarle a quelle “europee o americane” (vuoi mettere la soddisfazione di farti spiare dagli Usa, che già lo fanno da anni anche sui capi di governo e di Stato “alleati”). E bisogna affrettarsi: se i medici russi accorsi in pandemia all’ospedale di Bergamo riuscirono a spiare il Covid orobico, ben più prelibato di quello moscovita per farci il vaccino Sputnik, e persino a perlustrare a distanza le basi Nato di Ghedi (Brescia) e Amendola (Foggia), figurarsi quali segreti potrebbe carpirci Pechino con 12 telecamerine addosso ad altrettanti poliziotti. Senza contare le food-cam nascoste dagli 007 di Xi Jinping travestiti da cuochi negli involtini primavera.

sabato 29 luglio 2023

Briganti



Se qualcuno avesse difficoltà a scovare i briganti d’oggi, gli basterà recarsi presso un distributore autostradale e la missione sarà compiuta. Oppure pensare ai petrolieri, ai padroni delle raffinerie, insomma a tutti coloro che, ben sapendo della partenza di gran parte degli italiani per le vacanze, alzano spudoratamente e furfantemente il prezzo del carburante senza che chicchessia, deputato al controllo, intervenga, essendo anch’egli un brigante!

Tipicamente



Tipico festeggiamento degli ottant’anni assieme alla fidanzata…

Aiutone

 


Chiacchiere marine

 


Sempre dagli Usa

 


Parentele travagliate

 

I valori della famiglia
di Marco Travaglio
È un’infame calunnia che il governo trascuri le famiglie, come potrebbero pensare le 169mila destinatarie dell’sms dell’Inps con il lieto annuncio dell’abolizione del Reddito di cittadinanza, cioè del loro ritorno in miseria, ma con l’indubbia soddisfazione dell’“eventuale presa in carico da parte dei servizi sociali”. L’intera azione dell’esecutivo è improntata alla difesa della famiglia tradizionale: uomo, donna e figli naturali, ma sopratutto cognati. Il “cognato d’Italia”, a riprova del fatto che la categoria fondata da Galeazzo Ciano è andata progressivamente degradandosi, è Francesco Lollobrigida detto Gino, marito della sorella della premier, dunque ministro dell’Agricoltura e Sovranità alimentare. Il vice-cognato d’Italia è il neopresidente di Sport e Salute, Marco Mezzaroma, amico dei Melones-Lollobrigidas, ex presidente della Salernitana, ma soprattutto marito di Cristina Lotito, sorella di Claudio, presidente della Lazio e senatore di FI. Lotito, con la Lazio, vantava fino a poco tempo fa un debito di 1,4 milioni con Sport e Salute: che, se non è stato ancora pagato, potrà essere serenamente discusso tutto in famiglia, fra le mura domestiche.
Il ramo mariti/mogli o compagni/compagne, impazza soprattutto in tv. La prossima stagione televisiva sarà impreziosita, per la prima volta nella storia d’Occidente, da un talk show politico su Rete4 condotto dal compagno della premier, il leggendario Andrea Giambruno; da un talk show politico su Rai3 condotto da Nunzia De Girolamo, moglie del capogruppo Pd al Senato Francesco Boccia; e, sempre su Rai3, da un’ancora misteriosa versione “di destra” di Report (che non è né di destra né di sinistra, avendo fatto incazzare tutti, ma fa niente), affidata a Salvo Sottile, detto Batman, legato alla sottosegretaria leghista alla Cultura Lucia Borgonzoni. Che è un po’ come se in America la Cbs e la Cnn affidassero l’informazione politica alla moglie di Biden e alla compagna del braccio destro di Trump. Poi c’è il mitico compagno di Daniela Santanchè, Dimitri Kunz di Asburgo-Lorena all’insaputa degli Asburgo-Lorena, che rileva le quote del Twiga dalla ministra del Turismo perché non si dica che è in conflitto d’interessi e compra-vende in un’ora una villa in Versilia facendo un milione di plusvalenza in società con la moglie di Ignazio La Russa, presidente del Senato, perché non si dica che è una pippa. E non parliamo di figli, sennò tocca occuparsi di Leonardo Apache La Russa e le colpe dei figli non devono ricadere sui padri (semmai l’inverso, come dimostra il tragico caso di Alain Elkann sul giornale dell’incolpevole John). Alla mala parata, resta sempre l’“eventuale presa in carico da parte dei servizi sociali”.

L'Amaca

 

Il resto dell’opera
DI MICHELE SERRA
Il blocco parziale dell’aeroporto di Catania inchioda la Sicilia alla sua pessima situazione infrastrutturale. Chi viene dirottato a Trapani impiega cinque ore per tornare verso la costa orientale, poco meno per chi atterra a Palermo. Si leggono cronache di una regione infartuata da incendi e antiche inefficienze e ci si domanda, inevitabilmente, perché mai il dibattito politico sia sempre e comunque incentrato sul fantasmatico Ponte (del quale già si parlava come cosa fatta sulle copertine dei rotocalchi negli anni Sessanta) e ignori una realtà quotidiana fatta di eterni ritardi, rassegnazione, vassallaggio a questo o quel vice-potente nella speranza che “si faccia sentire a Roma”.
Di questa Sicilia non si parla, nessuno aPorta a Porta ha mai portato il plastico di un viadotto incompiuto o di un acquedotto bucato. È sempre il solito problema, il do di petto entusiasma, il resto dell’opera sembra quasi una trascurabile appendice — è invece la sostanza. E il resto dell’opera è la Sicilia tutta intera, il suo territorio, le sue strade mancanti e le sue ferrovie caracollanti. Cose che rimangono in ombra fino a che qualche accidente, come gli incendi di questi giorni, rende evidente quali sono le urgenze, quali le necessità, quali le cose fattibili e dunque da fare.
Ma appena spenti gli incendi, riaperto l’aeroporto e rientrata l’emergenza, si riparlerà di un Ponte che forse è tecnicamente irrealizzabile, forse costerebbe come rifare nuova l’isola intera, forse non si farà mai: ma vuoi mettere quanto vale, in termini di propaganda, immaginare lo Stretto con quella retta che lo sorvola, e tutto il resto lasciarlo al suo corso tortuoso, faticoso, mortificante?

venerdì 28 luglio 2023

Fuori!

 


Ancora dagli Usa!

 


Mecojoni!

 


Differenze

 


Dialoghi

 


Ragogna

 


Rai travagliata

 

Di Rai in peggio
di Marco Travaglio
L’unica mossa intelligente della nuova Rai è stata accantonare l’idea, partorita da non si sa quale mente malata, di affidare a Peter Gomez il martedì di Rai3 liberato da Bianca Berlinguer. Far condurre un programma giornalistico a un altro giornalista avrebbe creato un pericoloso precedente per la prossima stagione: quello di dare notizie vere, che per questo governo (e non solo questo) sono peggio dell’aglio per i vampiri. Pensate allo scandalo Santanchè: anziché chiamare i soliti camerieri a farsi una domanda e darsi una risposta, un Gomez avrebbe raccontato i fatti e sfidato gli ospiti a confrontarvisi. Pussa via: molto meglio chiudere anche l’ultimo talk giornalistico Rai (Vespa, com’è noto, è un “artista”) e rivolgersi a una strana figura dalla professione incerta ma dall’affidabilità certissima: Nunzia De Girolamo, ex ministra forzista e alfaniana divenuta una Barbara D’Urso che non ce l’ha fatta, però gradita a destra, ai renziani (tramite l’agente Presta) e pure al Pd (tramite il marito Boccia: ricordate le balle dei giornaloni sull’“asse Meloni-Conte in Rai”? Ecco). Perfetta per non dare fastidio (né notizie) a nessuno.
Ed eccoci alle mosse stupide. La prima è il fantasmagorico “Report di destra” di cui parliamo a pag. 14. La seconda è stata cancellare il programma di Filippo Facci all’ora della pennica su richiesta di quei geni di Pd & Rep per una battutaccia su Libero. A noi Facci è simpatico quanto un ascesso al dente del giudizio, ma non vediamo che diritto abbiano i capi Rai di sindacare gli articoli di giornale. E non vedevamo l’ora che partisse I Facci vostri, ovviamente per non guardarlo mai. La par condicio della censura ha prodotto quella a Saviano, che il suo programma l’ha già addirittura registrato, quindi la Rai lo paga e non lo manda in onda. Il tutto perché Saviano, come tutti sanno da anni, ha insultato Meloni (“bastarda”) e Salvini (“ministro della malavita”). E ne risponde in tribunale, com’è giusto che sia. Ma la Rai non è il Ministero della Verità: non può sentenziare con rito abbreviato al posto dei giudici. E, anche se Saviano fosse condannato, il suo programma dovrebbe giudicarlo il pubblico, non i magistrati o i telemanutengoli del governo. A proposito: tutto ciò non accadrebbe se l’ad Rai Carlo Fuortes avesse portato a termine il suo mandato, che scadeva fra un anno, anziché incassare la buonuscita offerta dal governo Meloni sotto forma di decreto ammazza-Lissner per liberargli il posto al teatro San Carlo di Napoli. Che lui finse di rifiutare e ora si affretta ad accettare. Se Fuortes fosse un uomo di destra, tutte le palle di “TeleMeloni” finirebbero in buca: invece purtroppo viene dal circoletto del Pd e fu messo lì dal mitico Draghi. Se abbiamo i Peggiori, è tutto merito dei Migliori.

Ancora selvaggiamente

 

Mister Meloni dichiara guerra al clima, al ciuffo e ai tedeschi
GIAMBRUNO, IL KEN DI GIORGIA - Raccomandato? Mai È su Rete4 perché se lo merita: le campagne per la scienza, gli ospiti autorevoli e le brillanti soluzioni tricologiche
DI SELVAGGIA LUCARELLI
“Chi mi attacca mira a Giorgia”, aveva dichiarato qualche tempo fa il compagno di Giorgia Meloni, Andrea Giambruno. Vorrei tranquillizzarlo: miriamo proprio a lui. Nessuna strumentalizzazione, l’oggetto del nostro dileggio è esattamente il first gentleman conduttore di Diario del giorno su Rete4. Che, se va avanti così, rischia seriamente di oscurare le performance comiche della compagna premier. Giorgia Meloni posseduta da Belzebù che sbraita “Io sono Giorgia” o che al vertice Nato dice “Mi fanno male i piedi” e manca poco che chieda le calze elastiche col borotalco come la Sora Lella è solo uno sbiadito ricordo. Ora c’è “Io sono Andrea”, il conduttore poser che si mette di tre quarti, poggia il gomito sulla scrivania e guarda in camera con l’aria da piacione consumato. Roba che se rifanno un remake di Barbie, altro che Ryan Gosling, il vero Ken è lui. Non solo perché è il perfetto “fidanzato di” come Ken, non solo perché è di gomma, ma soprattutto perché la vaporosa capigliatura è chiaramente in acrilico e fibre di vetro, di quelle che se avvicini una fiamma prende fuoco come la torcia olimpica.
La puntata del suo programma in cui si fa portavoce del negazionismo climatico è diventata anche quella in cui è stato eletto bandiera dei negazionisti tricologici, ovvero quella speciale corrente di complottisti convinti che i parrucchieri siano l’esercito segreto di Soros e che vadano evitati come il vaccino e il 5G. La pettinatura a “schiaffo di Anagni” e quel suo “appuuuuunto” che è già tormentone sono diventati argomenti di discussione più dei roghi, dei tifoni, della siccità, delle scie chimiche e degli aerei colpiti dalla grandine. Il momento televisivo in cui lui, in modalità Olmo (nel senso del personaggio di Fabio De Luigi), dice “Oggi è il grande giorno del caldo torrido e qualcuno si chiede se sia una novità che nel mese di luglio si raggiungano queste temperature, secondo noi non è una grande notizia” e ti aspetti che quindi passi la palla a un esperto meteorologo mentre la passa a Vittorio Feltri, è poesia pura.
Roba da spiegargli in diretta che, se lui non sente molto caldo, è perché il ciuffo gli fa ombra. Ma Feltri fa di più. Snocciola la sua raffinata tesi scientifica: “Quando ero bambino si diceva ‘ci sono 40 gradi all’ombra’, quindi evidentemente il caldo c’era”. Certo, si diceva pure “quando il gatto è fuori, i topi ballano”, ma non è che si vedessero i sorci in balera. Comunque il discorso si conclude con Giambruno che si volta di scatto, piccato, spostando il ciuffo di botto da un lato a un altro e provoca uno spostamento d’aria che per il noto “Butterfly effect” dà vita, pochi giorni dopo, al drammatico tifone su Milano. La verità è che il cambiamento climatico è colpa del ciuffo di Giambruno.
Infatti, non appena compresi i rischi della sua arroganza tricologica, il First Gentleman ha poi cambiato acconciatura e si è presentato in tv pettinato col capello all’indietro effetto bagnato come Gigi Hadid. Ma il nostro Ken di Rete 4 è instancabile e poco dopo è ritornato sul tema: il ministro della Sanità tedesco Karl Lauterbach, nel corso di una vacanza in Italia, si era detto scettico sulla capacità dei Paesi del Sud Europa di poter ancora a lungo ospitare i troppi turisti con queste temperature roventi causate dal cambiamento climatico. Giambruno non gliele ha mandate a dire: “Sono venti, trent’anni anni che in qualche modo i tedeschi ci devono spiegare come dobbiamo vivere noi. E, se non ti sta bene, te ne stai a casa tua. Stai nella Foresta Nera, no?”. E intanto agitava nervoso la foresta nera che abita sulla sua testa. La sua interlocutrice rilanciava con considerazioni scientifiche ancora più accurate: “Ce lo vogliono spiegare, però i tedeschi sempre qui stanno. Gli piace però l’Italia, eh?”. Mancava solo un bel “mangiatevi gli Spätzle a casa vostra”.
Insomma, io non so come si faccia a dire che Andrea Giambruno sia raccomandato. Che sia lì perché è il compagno di Giorgia Meloni. È evidente a tutti che quel posto sia suo di diritto e chi dice il contrario è un negazionista del merito altrui. Anzi, io penserei seriamente a portarlo in Rai e ad affidargli la versione sovranista dell’ex programma di Fabio Fazio: “Che tempo che fa”. Sottotitolo: “Qualunque sia, basta che non mi increspi i capelli”.

Su Giambruno

 

Il personaggio
Giambruno il tribuno La formidabile ascesa tv del first gentleman tra gaffe e negazionismi
DI MAURIZIO CROSETTI
Come hanno capito a loro spese il principe Filippo di Edimburgo, Ken di Barbie e Giuseppe, falegname in Nazareth, non è sempre facile essere il compagno di una donna importante. Ma nessuno di loro aveva a disposizione una trasmissione televisiva dove chiamare Stefano, e non Matteo, il boss Messina Denaro, dove dire che d’estate ha sempre fatto caldo mentre mezza Italia è devastata dal fuoco, dove usare il sostantivo “sparimento” invece di “sparizione” e dove consigliare a un ministro tedesco di nascondersi nella Foresta Nera. Perché nessuno di loro è mai stato Andrea Giambruno, in arte Meloni. Il lui di lei di Giorgia.
Il primo first gentleman della storia repubblicana rischia di diventare il personaggio dell’estate. Ha 41 anni, è milanese, fa il giornalista a Mediaset dove neppure Emilio Fede arrivò mai a tanto (con Silvio Berlusconi erano una coppia di fatto, ma non vivevano sotto lo stesso tetto). Invece il signor Meloni sta da sette anni con Giorgia, insieme hanno messo al mondo Ginevra che negli ultimi mesi è stata cresciuta da papà, immaginiamo divertendosi un mondo, visto che mamma torna tardi la sera. Per poter restare di più a casa, il principe Andrea è stato pure trasferito a Roma: Marina e Piersilvio sanno essere molto gentili quando occorre, e di questi tempi con Meloni è meglio esserlo.
La carriera del principe in monopattino, suo mezzo di locomozione preferito, ha vissuto una lunga stagione a Mediaset tra rassegne stampa e programmi di un certo livello, poi però sembrava sbriciolata dopo le elezioni stravinte da lei. Sparito dal video (passo indietro per evitare imbarazzi? pausa strategica?), Andrea Giambruno è tornato alla grande con il suoDiario del giorno , appuntamento satirico di costume, talvolta da bagno («Che d’estate faccia caldonon mi sembra una gran notizia»). E così, tra gaffe onomastiche e negazionismi meteo, sevizie al vocabolario e casi diplomatici, il nostro eroe si è preso quasi più titoli e link della compagna, non sappiamo se così contenta dell’ormai ingovernabile deriva familiare.
«Chi attacca me, mira a Giorgia » dice lui, onesto nell’ammettere che un cognome giusto resta pur sempre un grimaldello, se poi fai il giornalista non c’è porta che non si spalanchi. «Stare con lei? Ho qualche vantaggio. Magari il decreto Lavoro ho chi me lo spiega, se poi devo parlarne in tivù». Dunque si delineano meglio i ruoli di questa memorabile coppia: lei dà ripetizioni a lui nei corsi di recupero, è la sua insegnante di sostegno.
Poi, siccome viviamo in mezzo a cattiverie e invidie, tutti lì a far notare altri dettagli di un personaggio che andrebbe valutato soltanto per quello che dice, e già ce ne sarebbe d’avanzo, non per le scarpe con le suole blu o per la pettinatura appena cambiata: siccome sui social lo prendevano assai in giro, postando meme di Olmo, il leggendario presentatore creato da Fabio De Luigi, con l’identica zazzera del principe Andrea, ecco che ilfirst gentleman si è spalmato mezzo chilo di gelatina sulla capoccia: almeno nessuno potrà dire che non abbia una mente lucida.
Laureato in Filosofia alla Cattolica di Milano, dove probabilmente non amava i grandi pensatori tedeschi («Da trent’anni questi vengono in Italia per spiegarci come vivere, ci veniva pure la Merkel, eddài... Se non ti sta bene, stai a casa tua, stai nella Foresta Nera!» comeGiambruno ha detto non a Feuerbach ma a Lauterbach, ministro della Sanità teutonico, il quale si era lamentato del troppo caldo italiano), il gran consorte (il matrimonio è alle porte?) è ormai atteso dal pubblico come un appuntamento fisso, imperdibile. Cosa s’inventerà stavolta? Farà un altro duetto sul clima con Vittorio Feltri? Sono loro la nuova coppia comica dello schermo?
Narra la leggenda che Andrea e Giorgia si conobbero negli studi televisivi di Quinta Colonna , dove lei mangiava una banana e lui si preoccupò subito di raccoglierle la buccia: poi si è scoperto che gli sarebbe servita per scivolarci sopra. Sempre la leggenda tramanda che fu Lele Mora a portare il principe a Cologno Monzese, ma qui le fonti divergono e non concordano.
Passo dondolante un po’ western, capello bizzarro e barbetta giusta, Andrea Giambruno è un classico piacione, a occhio uno sciupafemmine, anche se alla fine gli è toccato un osso durissimo. Lui in tivù la chiama «il presidentedel Consiglio», rigorosamente al maschile, del resto un bravo giornalista sa usare le parole. Quando Giambruno collaborava con Il Tempo , si firmava Arnaldo Magro e nella rubrica “Segretissimo”, nome un po’ da parrucchiere o da “Intimità della famiglia”, svelava i retroscena del mondo politico italiano. Nessuno mai è riuscito a scoprire quali fossero le sue fonti, né chi gli raccontasse cosa si muove dentro il Palazzo.
Amici, dobbiamo proprio abituarci ad Andrea Giambruno («Non sono un raccomandato, io lavoro duro da vent’anni!») e al suo stile narrativo, perché ci accompagnerà a lungo: qui non c’è davvero rischio di “sparimento”. A meno che il presidente del Consiglio non riservi al suo principe il consiglio più importante: tacere.

giovedì 27 luglio 2023

Bis infausto



Tsutomo Yamaguchi il 6 agosto 1945 si recò per lavoro a Hiroshima e, mentre stava scendendo dal tram, esplose a 3 km di distanza Little Boy, la prima bomba atomica, che lo rese sordo, calvo, temporaneamente cieco e gravemente ustionato in almeno metà del suo corpo. Fu avvolto in bendaggi e passò la notte in ospedale. Ma poi volle tornare il giorno dopo a casa: abitava a Nagasaki… e fece doppietta! Mori a 80 anni soffrendo tutta la vita ma sbugiardando, per sua e nostra fortuna, il detto “non c’è due senza tre!”

Liberatelo!

 


Fate qualcosa vi prego! Liberatelo! 

Toglieteli il Giambruno che è in lui! Salvate questo vassallo della Ducetta che per emergere si sta ritagliando uno spazio tra i fessi negazionisti che, un po' per snob un po' per gettone, si stanno inerpicando nei meandri dell'idiozia più becera e nefasta, quella che si confà a tipici assertori del famigerato sovranismo. 

Il Gianbruno che è in lui lo porta a blaterare palesemente ad minchiam al fine di sbeffeggiare la oramai, per loro, famigerata scienza. 

Tuttologo come il ruolo di consorte gli impone, il Giambruno che è in lui sbeffeggia, in concerto con SuperCiuk Feltri, il cambiamento climatico e, non contento, sfancula il ministro della sanità tedesco che ha profetizzato guai per il turismo in Italia causa caldo, intimandogli di starsene a casa nella Foresta Nera. 

Fate qualcosa, liberatelo dal Giambruno che è in lui!  

Speciali

 


Certo che ricevere degli auguri speciali così...

Sulla guerra

 

Perfetti conosciuti
di Marco Travaglio
La famosa controffensiva ucraina di primavera, annunciata in autunno-inverno e partita in estate, si sta rivelando un disastro. E aggiungiamo “purtroppo”, perché significa altri morti, feriti, profughi e distruzioni. Ma la notizia – confermata financo da Kiev e dalla stampa atlantista – può stupire solo chi confonde l’informazione con la propaganda. Non noi del Fatto, che abbiamo la fortuna di ospitare analisti indipendenti e informati e fin dall’inizio abbiamo scritto come sarebbe finita: malissimo. Infatti ora il rischio è che il flop ucraino inneschi una controffensiva russa, come da avvisaglie a Kharkiv, Kupyansk e Odessa. Diversamente da chi ha passato 17 mesi a infilarci in liste di putiniani e un mese fa ci iscriveva fra gli sconfitti del golpe-operetta di Prigozhin (che poi ha deluso il fan club), noi non combattiamo guerre a mezzo stampa e non chiediamo a Tizio o Caio di scusarsi per ciò che ha scritto. Ma gli “esperti” che dal 24 febbraio 2022 non ne azzeccano una puntando il dito su chi le azzecca tutte dovrebbero almeno dare una controllatina alle loro fonti, per limitare le balle e il ridicolo. Magari domani le loro previsioni si avvereranno tutte insieme. Ma al momento Putin non è caduto, l’economia russa non è in default, le sue fabbriche producono più di prima (più missili degli Usa), le sanzioni danneggiano più i sanzionatori che il sanzionato, l’isolamento di Mosca non esiste (ora, oltre a Pechino, c’è pure Riad), il Fmi raddoppia la stima sul suo Pil mentre quello europeo ristagna, gli auto-bombardamenti russi ai gasdotti, alla centrale di Zaporizhzhia e al ponte di Crimea erano bufale, l’armata russa continua a ricevere truppe, armi e munizioni fresche, le sue difese dentate e minate nelle quattro regioni occupate reggono e fanno il tiro al bersaglio sui costosissimi Leopard 2 tedeschi e sui Bradley americani, mentre i soldati ucraini stremati, impreparati e senza ricambi vengono mandati al macello in trincea da comandanti senza strategia. Come ripete da mesi il generale Milley, capo di tutte le forze Usa.
Stiamo parlando dell’esercito più armato e più finanziato d’Europa: l’invincibile armata dell’Ucraina+“Nato allargata” (40 Paesi contro uno) che finora non ha neppure scalfito la tragicomica “armata rotta” di Putin. Infatti, non riuscendo a riconquistare che piccoli fazzoletti di terra, Zelensky si sfoga con attentati in Russia e in Crimea di nessun peso militare, solo per convincere un Occidente svenato, scettico e diviso a non mollarlo. Se le nostre Sturmtruppen cambiassero registro, o almeno occhiali, potrebbero persino scoprire che chi rischia l’umiliazione non è Putin, ma Zelensky. E il negoziato non conviene alla Russia, ma all’Ucraina, finché ne resta qualcosa.

L'Amaca

 

Che importanza dare agli sputi
DI MICHELE SERRA
Chiedo un consiglio a voi lettori. Un signore, non anonimo, ha scritto su Twitter questa frase: “Michele Serra nel 2018 invocava scuole separate per reddito perché dei compagni di classe proletari gli avevano picchiato il figlio”. Frase e autore sono poco significanti: appartengono al flusso ininterrotto di fandonie che gonfiano i social (niente, in quella frase, corrisponde al vero). Anche la mia reputazione, che quel tizio scempia, è ben piccola cosa rispetto ai problemi del mondo. E comunque non dipende da lui.
Il problema della libertà di menzogna, però, è tutt’altro che piccolo. Voglio dire: non riguarda me (chi se ne importa, di me).
Riguarda milioni di persone che a quel pozzo si abbeverano. Come reagire?
Replicare? E come si fa a replicare a un falso? Io poi non sono sui social — troppo alto è il rischio di incrociare fanatici e imbecilli — e dunque non posso fare come il mio valoroso amico Luca Bottura, che risponde punto su punto, da anni.
Querelare? A quasi settant’anni considero un punto d’onore non avere mai querelato nessuno — la pigrizia vince sull’offesa.
La sfida a duello? È illegale. Andare a cercarlo di persona e dirgli: o dimostri, parola per parola, che io ho scritto quello che mi attribuisci, o ti faccio fare il giro dell’isolato a calci nel culo? Bisognerebbe farlo con troppe persone, magari abitano lontano.

Nemmeno so se ho fatto bene a scrivere questa Amaca , che dopotutto ingigantisce uno sputo come se non fosse, a malapena, uno sputo. È anche possibile, detta banalmente, che i bugiardi abbiano vinto. E questo, come potete ben capire, non è un problema mio. È un problema sociale di prima grandezza.

mercoledì 26 luglio 2023

Han votato contro!




Ottant'anni che sono trenta!

 


Ezra Key è una vivace bimba di nove anni che probabilmente a scuola oggi dirà ai suoi compagni: "Oggi il mio bisnonno compie ottant'anni!", ricevendo attestati di stima e vagonate d'auguri per un traguardo così importante del bis nonnetto. La maestra le dirà "Ezra Key ma il tuo bisnonno vive ancora in casa o è in qualche struttura adeguata? Speriamo che questo pazzo clima non lo infastidisca più di tanto! Fagli tante feste e stagli vicino che gli anziani han bisogno di affetto, specialmente in queste ricorrenze, dove, ripensando ai tempi andati, con qualche lacrimuccia che scenderà loro dal viso, mentre alle sei di sera ceneranno con la solita tazza di latte, saranno immersi nelle loro amene fantasticherie, prima di coricarsi sul far della sera!"
Ezra Key alzerà lo sguardo basita e, tra lo sbigottimento generale, alzerà il volume dell'iPod, sparando a balla Jumpin' Jack Flash, dirà: "ma il mio bisnonno, che ha un giro vita da primo ballerino della Scala, è appena rientrato con la sua fidanzata da un'isola del Pacifico dove ha una delle innumerevoli case sparse nel globo, e ora sta partendo per gli States dove sta finendo di produrre il prossimo disco della sua band, e probabilmente il prossimo anno ripartirà per l'ennesimo tour mondiale! Non credo di vederlo perché si alza molto tardi e anche oggi farà serata con gli amici. Probabilmente riunirà i suoi sette figli per una cenetta, ma non ha molto tempo perché ha un sacco d'impegni in giro per il mondo, essendo il migliore frontman della storia del Rock dal 1962 senza mai dare segni di cedimento!"
Tanti auguri di cuore Sir Michael Philip Jagger! E grazie, grazie, grazie di tutto!

Robecchi

 

Clima: negare sempre. Gli scienziati del “ma pioveva pure nel Settecento”
di Alessandro Robecchi
In estate fa piuttosto caldo, in inverno fa decisamente freddino, piovere è sempre piovuto e la grandine c’era pure prima. Ecco riassunto in due righe il contributo al dibattito sul clima di quelli che negano il cambiamento climatico. Faccio una doverosa premessa: ognuno e chiunque ha il diritto di confondere il clima con il meteo, non si possono regolamentare per legge le stupidaggini ed esiste in qualche modo il diritto alla cazzata. Quindi di fronte a ricerche scientifiche, enti di ricerca, università, Onu, Nasa, scienziati, dati, statistiche, rilevazioni ed evidenze, uno può anche credere a Vittorio Feltri, perché no, tutti abbiamo amato Linus che credeva nel Grande Cocomero.
Naturalmente non mi occuperò né del clima né del meteo, cose per cui serve una competenza scientifica che non maneggio adeguatamente, ma della narrazione che ne sgorga, torbida e abbondante. In primis, notando come persino una cosa evidente e gigantesca come il cambiamento delle nostre abitudini di fronte al clima stia diventando una questione di fazioni contrapposte. Più i climatologi lanciano l’allarme e più balzano su come pupazzetti a molla certi pensatori a dire che faceva caldo anche nel 1843, il discorso finisce in vacca, si formano due partiti, si comincia a picchiarsi sui denti, e del clima non frega più niente a nessuno. Aggiunge ridicolo il fatto che ormai si è sedimentata la certezza che chi pensa all’emergenza sia “di sinistra” (una delle cose più generiche dopo “mammifero”, peraltro), e chi invece irride le paure e i timori sia “di destra”, pronto a sudorazioni improvvise non per il caldo afoso, ma perché vede minacciata la sua libertà di parola. Un delirio.
Quindi si rischia una paralisi nel dibattito sul clima, con forze equamente distribuite: i negazionisti hanno mezzi d’informazione, giornali agguerriti, trasmissioni televisive, come quella del compagno della presidentessa Meloni, che zittisce la sua inviata mentre fornisce dati scientifici per dare la parola al primo trombone che passa. È una comprensibile – psicologicamente comprensibile – reazione a certi millenarismi estremisti che dipingono la questione del clima come l’anticamera della morte collettiva: è scientificamente provato che di fronte a chi annuncia sventure si alzi qualcuno a dire che va tutto benissimo.
Quel che stupisce è la tigna ideologica, un meccanismo che sposta il discorso da quel che esiste e da quel che si potrebbe eventualmente fare, a una specie di impostazione dogmatica. Se dici che sarebbe meglio evitare voli privati dove arriva il treno sei “comunista” (ahah), se dici che l’aria condizionata nelle stanze d’albergo andrebbe settata in modo meno delirante, senza che si affacci un pinguino da sotto il letto, sei “contro la libertà individuale”. Insomma, ogni anche minuscolo accorgimento per arginare il delirio è contrastato non in termini di effettiva utilità – giusto, sbagliato, efficace, non efficace, come si converrebbe a un dibattito tra esseri senzienti – ma di impostazione ideologica: facciamo il cazzo che vogliamo e il problema non esiste, siete voi che fate tutto ’sto casino per impedirci di tenere il riscaldamento a 80 gradi, l’aria condizionata a meno dodici, che sono nostri inalienabili diritti. È in questo modo che il dibattito diventa non solo inutile, ma anche un po’ grottesco, come se davanti a un frontale in autostrada non si parlasse di chi ha ragione o a torto, o di come soccorrere i feriti, ma si negasse l’incidente: dài, guarda come sta bene il morto!

Attorno al PD

 

Coalizione a ripetere
di Marco Travaglio
La parabola dei lanzichenecchi che osano disturbare il fine intellettuale sul treno parlando di calcio e figa, narrata da Alain Elkann col sopracciglio e il mignolo alzati da dietro il Financial Times e la Recherche, ha riscosso persino più recensioni delle altre sue dimenticabili opere. Ma lascia inevaso un interrogativo: possibile che la direzione di Repubblica voglia così male al padre del padrone da non cestinare quel pezzo per il suo bene? L’unica risposta è che la direzione sia uguale a lui e non si sia posta proprio il problema dell’harakiri a cui lo (e si) esponeva. Le ultime annate trasudano un odio e un disprezzo per tutto ciò che è popolare (bollato di “populismo”) da far impallidire la Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare. Da quando il popolo vota all’opposto dei loro sogni, i salotti e le terrazze a mezzo stampa lo insultano per non sforzarsi di capirlo. E a farne le spese è l’unico soggetto che ancora li sta a sentire: il Pd che, a furia di seguirne i consigli, dimezza i voti a ogni elezione. Nel 2011, dopo tre anni e mezzo di B., ha le elezioni in tasca. Ma, su ordine di Napolitano e Rep, si ammucchia con FI nel governo Monti per tener lontani i 5Stelle. Che alle elezioni del 2013 balzano al 25,5%. Basta che Pd e M5S eleggano Rodotà al Colle per governare insieme. Ma Rep e i poteri retrostanti hanno un’idea migliore: Napolitano rieletto e altra ammucchiata Pd-FI-Centro col governo Letta (e poi con Renzi e Gentiloni) per tagliare fuori i lanzichenecchi “grillini”. Che infatti nel 2018 esplodono al 33%.
Di Maio ci prova col Pd. Che però, su ordine di Renzi e Rep, lo getta astutamente fra le braccia di Salvini. Nasce il governo Conte-1. Nel 2019 il Cazzaro Verde lo butta giù per votare subito e governare con “pieni poteri”. Rep è con lui: “Voto subito (ma c’è chi dice no)”, titola scavalcando la Padania. Per fortuna resta sola e, al posto del Salvini-1, nasce il Conte-2, il miglior governo degli ultimi vent’anni. Infatti Rep lo bombarda finché cade. I sondaggi danno ai giallorosa ottime chance nel voto anticipato, invece su ordine di Mattarella e Rep nasce l’ammucchiata Draghi. Che rade al suolo l’asse M5S-Pd e resuscita le destre: Lega e FI tornano al governo e FdI raddoppia i voti in 18 mesi di opposizione solitaria. La sola speranza è un’alleanza Pd-5Stelle, ma Rep la scomunica, Letta obbedisce in nome dell’Agenda Draghi e la Meloni stravince. Ora in Spagna i socialisti guadagnano un milione di voti e fermano la destra difendendo le loro riforme sociali (molto simili all’Agenda Conte) e rifiutando l’ammucchiata col Pp. E cosa consiglia Rep a Sánchez? Di “coalizzarsi col Pp”: una coalizione a ripetere, tipo quelle delle buonanime di Letta e Renzi. Fortuna che in Spagna nessuno legge Rep, sennò i lanzichenecchi di Vox avrebbero già vinto.