lunedì 30 novembre 2020

Cani rognosi



Dai Riva con i loro guadagni immondi, fino ai bastardi di AcelorMittal e il loro squallido piano depotenziante l’acciaieria, per arrivare ad oggi con il probabile ingresso dello stato: nessuno al momento mette al primo posto la salute di Taranto, al primo posto davanti al lavoro, all’occupazione e a quel cazzo che gli pare. Intanto Vincenzo è morto a dieci anni, soffrendo come un cane, e con lui altri bimbi, giovani, adulti. Non c’è altro da aggiungere, eccetto che assassini!

Golosamente keccèdinuovo

 Imperturbabile agli eventi! E' questo il segreto per tempi duri e difficili qual è il presente. Imperturbabile come il velista solitario che non curandosi dei marosi, dei venti imponenti, guarda la rotta, fissa l'ago della bussola, incurante di tutto. 

Accadono fatti strani sapete? Non so voi ma a me fibrilla l'animo, aggrottandomi sugli spifferi gelidi di chi, o cosa, vorrebbe distoglierci. 

Vaccino si, vaccino no. Quello costoso e da tenere a -80 e quello da pochi euro bloccato da tenere normalmente in frigo che necessiterà di ulteriori conferme - quelli di Astrazeneca si sono accorti che sbagliando dose, dimezzandola, han portato dopo il richiamo l'efficienza del loro vaccino al 90%, e ci può stare perché l'errore, c'è chi lo chiama la Mano di Dio, e qui ripenso anche al mitico Diego, fu alla base della penicillina con Fleming che inavvertitamente contaminò una fiala di Staphilococcus aureo con colonie fungine, muffe, che inibirono la crescita del batterio, quindi Astrazeneca potrebbe essere anch'essa sulla strada giusta, ma come detto occorreranno ulteriori investigazioni, cioè tempo, tempo, mentre gli altri sono prontissimi e molti verranno vaccinati con Pfizer a -80, un ritrovato che modifica l'Rna e nessuno sa cosa comporta modificarlo, alcuni virologi tra cui la Gismondo, sostengono che occorrerebbe più tempo, tempo, tempo. 

Ma non possiamo permettercelo. E allora vaccineranno milioni di persone, e intanto il clima natalizio s'infervora, nessuno vuole rinunciare agli acquisti, allo shopping sano, o insano. Siamo chiamati a corroborare il PIL, a lenire le sofferenze di tanti commercianti, a riempire gli sterminati centri commerciali, a far code, pazienti per il gadget nuovo ed indispensabile, parlo così perché anch'io sento il frizzantino tipico della corsa folle verso il nuovo ritrovato, non sono migliore, o peggiore, di tanti, tutti, troppi infervorati dalla "strisciata" della carta, che poi quest'anno ci premiano pure, dai partiamo, andiamo ad ingolfarci di pacchettini rossi con nastri dorati, ahh come sono belli, ad infarcirci delle mielose riverenze di addetti, di chierici del dio acquisto, e ora che saremo tutti gialli, un tempo giallo significava aspetto preconizzante una malattia ora è sinonimo di libertà, che c'importa più di quel cavolo di virus che ha pure rotto le gonadi, e poi i morti stan calando, solo cinquecento, solo, solo, appena cinque centinaia al giorno, ah si! un tempo inorridivamo perché scomparivano in qualche incidente cinque persone ma oggi ci siamo evoluti e possiamo dire all'unisono sono solo cinquecento morti al giorno e quindi la situazione sta migliorando, ritorneremo ad essere pregni di quella felicità, un po' anomala perché dirompente e divaricante gli status di molti, che ha nel fregiarsi di ninnoli la spina dorsale della vita cosiddetta moderna, e poi questo distanziamento sociale, necessario e basilare, guarda che anche prima era vigente, hai mai visto per esempio un riccastro a pranzo con un cassintegrato? no? e allora vedi che il rapto capitalismo profetizzava già da tempo immemore che gli umani sono diversi tra loro? Che l'evoluzione finanziaria è spartiacque tra chi può e chi vorrebbe, ma questo virus ha mescolato le carte e soffriamo tutti di solitudine, d'inappetenza, di silenzio mefitico. 

Dai sta passando, torneremo quelli di una volta, impegnati come da sempre siamo a soverchiare l'altro, emergendo sulle sue spalle per distinguerci da lui. 

No, non abbiamo capito nulla, a mio parere e mi metto in prima fila, da questa pandemia non ancora vinta, solo sospesa causa shopping. Non abbiamo compreso l'essenza dell'essere qui su questo pianeta, avendo liofilizzato i messaggi chiari ed inequivocabili a proposito della nostra caducità, del nostro incespicare su eventi complicati ed imprevedibili. 

Sapete ad esempio che giri voce, date un'occhiata a quel che asserisce il filosofo Leonardo Caffo su ciò che Nasa e Onu vanno dicendo e che riviste quali Nature e Science riportano, che cioè siano attivi una cinquantina di virus non ancora compresi, catalogati, studiati che potrebbero innescarsi da un momento all'altro? 

Non voglio fare la Cassandra, ci mancherebbe! Idealizzo soltanto la possibilità che quello che eravamo difficilmente tornerà ad essere il nostro modo di vivere quaggiù. Shopping compreso.       

sabato 28 novembre 2020

Recordare a volte non aiuta

 

Impegnati come siamo a gestire il pandemico, non c'accorgiamo quasi di notizie come questa incutenti scoraggiamenti, delusioni e convinzioni. 

Mentre l'italia sta ansimando per ottenere 240 miliardi dall'Europa, in grado di rinvigorire economia e sviluppo, tale Roberto Recordare, gestore dal 1994 del gruppo Golem, tra l'altro con 800 clienti tra la Pubblica Amministrazione, pare, la conferma arriva da una conversazione intercettata nel 2017 con una sua consulente, pare controlli ed abbia in portafoglio qualcosa come 500 miliardi di euro, un immenso lavatoio al servizio di camorra, gli Iarunese di Casal di Principe, di mafia, di 'nrangheta come i Galiostro e gli Alvaro.

Cinquecento miliardi frutto di droga, pizzi e altro rumentario sociale, cinquecento miliardi da ripulire e fare rientrare attraverso carte di credito intestate a prestanomi, vedasi quella intestata ad un lituano di 32 anni, emessa dal gigante bancario Barclays che nell'agosto 2017 aveva un saldo di 2 miliardi di euro, o attraverso certificati di fondi d'investimento, come quello da 36 miliardi depositato presso la banca centrale di Danimarca. 

Quindi non sono ciarle pensare che il nascosto supera di gran lunga l'economia ufficiale. Il giro della malavita organizzata mondiale è immenso, incontrollabile, supportato da stati e banche canaglie, sperdute in paradisi off shore, giri infiniti di denaro passanti per Corea, Tagikistan, Malesia, Penisola Arabica, Cipro, Hong Kong, Afghanistan, Croazia, Bulgaria, Tunisia. 

A Dubai Recordare gestisce due grattacieli di proprietà di calabresi, e diversi conti correnti di capacità infinita. 

Insomma: la potenza di fuoco di Recordare è immensa, il giro di soldi sporchi tendente ad infinito, con tutti i supporti del caso di funzionari, impiegati, banche, società di comodo. Tutto ha un suo prezzo, tutto può essere amministrato con compiacenti gaglioffi. Viene a galla quasi la convinzione di essere inermi ed impotenti di fronte a questo tremebondo sistema economico retto e supportato da denari frutto di delitti. E sicuramente quello che è emerso non è che la punta di uno stratosferico iceberg nascosto ai più, ma in grado di determinare scelte politiche di pupazzi animati a gettone, che media compiacenti ci presentano invece come persone in grado di gestire il bene pubblico internazionale. 

Non è così e lo sappiamo bene. Ciò che non si vede è il motore silenzioso e volano dell'economia mondiale, intossicata e ferita probabilmente mortalmente dai tanti Recordare in giro per il mondo, impomatati, profumati e perché no: molto devoti alla statua di turno.      

venerdì 27 novembre 2020

Facci amoci del male!

 Ma si dai, perché no?

Facci (Facci!) che dice la sua sulla virologa Ilaria Capua!
ECCO LA VIROLOGA SENZA CAPUA NÉ CODA
Dice tutto e il suo contrario, ha persino lanciato l’allarme sui vaccinati che possono infettare. Ma le tv fanno a gara per ospitarla
di Filippo Facci
Nell’album delle figurine televisive dei virologi, all’inizio, la figurina di Ilaria Capua era ricercatissima. Quest’estate per un’Ilaria Capua ti davano addirittura tre Roberto Burioni, e c’è chi, per un’Ilaria, ha offerto 4 Bassetti, 19 Zangrillo e 22 Crisanti. Tanto l’album non lo finisce nessuno, anche perché, per finire l’assurda collezione, occorrerebbe al minimo vaccinarsi. Il problema, tornando alla Capua, sono le maldestre regole di mercato dell’opinionismo: siccome c’era penuria, hanno ristampato una quantità spropositata di Capua che non solo non si è opposta, ma ha accettato di proliferare anche perché si divertiva un casino.
Sapeva che tanto un giorno sarebbe finita e allora ha deciso di esagerare, soprattutto dal momento che La7 la paga ogni volta 2000 euro più Iva per un intervento di dieci minuti che non può sforare, altrimenti il costo sale: altro che problemi di collegamento col satellite, altro che Burioni col suo gettone di presenza da Fabio Fazio. Ora però c’è il rischio inflazione, anche perché alla Capua ormai mancano solo le ricette di cucina e poi ha parlato di qualsiasi cosa, ovviamente in maniera incoerente ma pur sempre in tv, dove le parole esistono solo nel transitorio e domattina puoi dire il contrario di quello che hai detto oggi e non se ne accorge nessuno.

LE COLLEGHE
Nell’era della smaccata demeritocrazia – dove troneggia, inarrivabile, il profilo sedato di Domenico Arcuri – nessuno ricorda che per esempio la scienziata del Fatto Quotidiano, Maria Rita Gismondi, assurse alle cronache per una solenne cazzata («si è scambiata un’infezione appena più seria di un’influenza per una pandemia», 23 febbraio) con il seguente risultato: ha coerentemente ottenuto una rubrica fissa su Il Fatto Quotidiano e hanno arruolato pure lei nel canaio televisivo, benché semplice biologa. Indovinate con chi aveva litigato? Con Burioni. E Ilaria Capua che peraltro è ufficialmente una veterinaria? Lei aveva detto, da principio: «il Covid è una forma simil influenzale, usiamo il cervello prima di diffondere notizie allarmistiche». Beh, ma era chiaramente un’esperta: e tutte le tv a inseguirla. Non che da queste parti ce l’abbiamo con lei, anzi, come altri siamo vittime della misteriosa aura «familiare» che circonda Ilaria Capua. Perché è il suo segreto: la sensazione, nostra e di noi tutti, d’averla già vista da qualche parte. In una farmacia del centro, scostante e distaccata, abbronzata perché nel weekend va sempre via. O forse no, era la direttrice di quella collana di Feltrinelli, o la direttrice di quella costosa scuola bilingue. Il tono è polivalente ma resta quello della professoressa che con tonalità didascaliche e manualistiche ci impartisce ogni volta lezioni, soprattutto moniti: «Vorrei ricordare che siamo in mezzo a una pandemia», «mettiamoci questa benedetta mascherina», «non tutti si sono comportati bene», «smettiamola di autofustigarci, facciamo invece convergere forze». Gli interventi sono continui inviti alla responsabilità del singolo.
Dapprima piaceva a tutti anche perché sembrava disposta a dire ciò che il pubblico forse non vuole sentirsi dire, in seguito è sorto il sospetto che tra le cose che il pubblico non voglia sentirsi dire ci siano anche le cazzate.
Ieri questa impressione aleggiava nell’aria. Sul social Twitter, Ilaria Capua poneva dubbi non da poco: «In generale», si è chiesta, «se una persona vaccinata contro la malattia X entrasse in contatto con il virus X si ammalerebbe di X? No. Ma in generale», si è chiesta ancora, «la stessa persona vaccinata ed esposta al contagio X potrebbe trasmettere virus X ad una persona non vaccinata? Sì», risponde la professoressa Capua, già direttrice dell’UF One Health Center dell’Università della Florida. Chiaro? No. Tanto che il professor Roberto Burioni ha replicato sempre su Twitter: «Se la malattia X e relativo vaccino fossero morbillo, rosolia, parotite o varicella - e qui mi fermo, ma la lista è lunga - la risposta sarebbe no», capovolge il virologo, «chi è vaccinato non può essere infettato e non può trasmettere la malattia». Bene, ma nel caso del Covid-19? «Ovviamente non lo sappiamo, ma è molto raro che un vaccino efficace non diminuisca (nel periodo di efficacia) anche la trasmissione. Al momento non me ne viene in mente neppure uno». Era l’inizio di un bisticcio professorale? No, era la perpetuazione di altre frasi lapidarie pronunciate dalla Capua a cui però, in genere, non si danno risposte puntuali.

GLI AFORISMI DI ILARIA
In qualsiasi caso lei non molla la postazione: «Sono in lockdown volontario, non mi voglio ammalare, non me lo posso permettere, anche come immagine. Devo dimostrare che questo virus posso tenerlo a bada, infatti non esco da molto tempo, faccio solo una passeggiata per sgranchirmi le gambe. Sono tornata negli States lo scorso 7 agosto, da lì ad oggi sarò uscita 20 volte in tutto», ha spiegato lo scorso 12 novembre. Non potersi ammalare per questioni di immagine: i medici che si fanno il mazzo in trincea (corsia) per fortuna questo problema non ce l’hanno, e possono accoratamente ammalarsi. Poi, in ordine sparso, Ilaria Capua: «Per fare i vaccini si potrebbero usare i cinema… sarebbe l’occasione per far incontrare virtuosamente due settori sostanzialmente disgiunti, paralleli e indipendenti: la sanità pubblica e l’intrattenimento». Ma non c’è già lei, per questo? Ancora Ilaria Capua: «Ha fatto più Berlusconi con il suo esempio impeccabile e responsabile che tanti altri con tante troppe parole». Un’autocritica? Sempre Ilaria Capua: «Anche le persone che prendono il virus in forma lieve possono avere delle conseguenze a lungo termine. Il Covid lascia delle cicatrici sul cuore o sui muscoli». Quasi poetico. Ilaria Capua: «Un vaccino anzitutto non c’è; secondo, non abbiamo certezza che quelli in sviluppo siano efficaci; terzo, non sappiamo se l’eventuale efficacia sia raggiungibile con una dose o se ce ne vorranno di più». Incoraggiante: ma lei, probabilmente, da Gainesville, capisce tutte queste cose. Ilaria Capua: «In Italia quest’estate portavo sempre la mascherina: mi è scoppiata una sinusite che secondo me era da mascherina, e che mi ha fatto venire una fortissima emicrania». Duemila euro per dieci minuti. Ilaria Capua: «Il problema Covid non lo risolveranno i politici, ma i singoli individui che si sentono parte di una collettività». Con applauso incorporato: forse avrà preteso un’extra. Ilaria Capua, e qui mettiamo la data perché era il 30 settembre scorso: «Se guardiamo ai numeri fuori dall’Italia, possiamo dire che abbiamo fatto un buon lavoro: quello che si vede oggi è il riflesso di come ci siamo comportati un mese fa». Avevamo altre cinque perle, ma lo spazio è finito.

giovedì 26 novembre 2020

Gianni Minà


È stato il suo amico giornalista. Giusto che parli lui

“A DIEGO"

di Gianni Minà

Con Maradona il mio rapporto è stato sempre molto franco. 
Io rispettavo il campione, il genio del pallone, ma anche l’uomo, sul quale sapevo di non avere alcun diritto, solo perché lui era
un personaggio pubblico e io un giornalista. 
Per questo credo lui abbia sempre rispettato anche i miei diritti e la mia esigenza, a volte, di proporgli domande scabrose.

So che la comunicazione moderna spesso crede di poter disporre di un campione, di un artista soltanto perché la sua fama lo obbligherebbe a dire sempre di sì alle presunte esigenze
giornalistiche e commerciali dell’industria dei media. 
Maradona, che ha spesso rifiutato questa logica ambigua, è stato tante volte criminalizzato. 

Una sorte che non è toccata invece, per esempio, a Platini, che come Diego ha detto sempre no a questa arroganza del giornalismo moderno, ma ha avuto l’accortezza di non farlo brutalmente, muro contro muro, bensì annunciando, magari con un sorriso sarcastico, al cronista prepotente o pettegolo “dopo quello che hai scritto oggi, sei squalificato per sei mesi. Torna da me al compimento di questo tempo.”
Era sicuro, l’ironico francese, che non solo il suo interlocutore assalito dall’imbarazzo non avrebbe replicato, ma che la Juventus lo avrebbe protetto da qualunque successiva polemica. 

A Maradona questa tutela a Napoli non è stata concessa, anzi, per tentare di non pagargli gli ultimi due anni di contratto, malgrado le tante vittorie che aveva regalato in pochi anni agli azzurri, nel
1991 gli fu preparata una bella trappola nelle operazioni antidoping successive a una partita con il Bari, in modo che fosse costretto ad andarsene dall’ Italia rapidamente. 
Eppure nessuno, né il presidente Ferlaino, né i suoi compagni (che per questo ancora adesso lo adorano) né i giornalisti,
né il pubblico di Napoli, hanno mai avuto motivo di dubitare della lealtà di Diego.

Io, in questo breve ricordo, a conferma di questa affermazione, voglio segnalare un semplice episodio riguardante il nostro rapporto di reciproco rispetto.
Per i Mondiali del ’90, con l’aiuto del direttore di Rai Uno Carlo Fuscagni, mi ero ritagliato uno spazio la notte, dopo l’ultimo telegiornale, dove proponevo ritratti o testimonianze dell’evento
in corso, al di fuori delle solite banalità tecniche o tattiche. Questa piccola trasmissione intitolata “Zona Cesarini”, aveva suscitato però il fastidio dei giovani cronisti d’assalto (diciamo così...) che
occupavano, in quella stagione, senza smalto, tutto lo spazio possibile ad ogni ora del giorno e della notte. La circostanza non era sfuggita a Maradona ed era stata sufficiente per avere tutta la sua simpatia e collaborazione.
Così, nel pomeriggio prima della semifinale Argentina-Italia, allo stadio di Fuorigrotta di Napoli, davanti a un pubblico diviso fra l’amore per la nostra nazionale e la passione per lui, Diego,
mi promise per telefono: “Comunque vada verrò al tuo microfono a darti il mio commento. E tengo a precisare, solo al tuo microfono.”

La partita andò come tutti sanno. Gol di Schillaci e pareggio di Caniggia per un’uscita un po’ avventata di Zenga. 
Poi supplementari e calci di rigore con l’ultimo, quello fondamentale, messo a segno proprio da quello che i napoletani chiamavano ormai “Isso”, cioè Lui, il Dio del pallone. 
L’atmosfera rifletteva un grande disagio. Maradona, per la seconda volta in quattro anni, aveva riportato un’Argentina peggiore di quella del Messico, alla finale di un Mondiale che la Germania, qualche giorno dopo, gli avrebbe sottratto per un rigore regalato dall’arbitro messicano Codesal, genero del vicepresidente della Fifa Guillermo Cañedo, sodale di Havelange, il presidente brasiliano del massimo ente calcistico, che non avrebbe sopportato due vittorie di seguito dell’Argentina, durante l’ultima parte della sua gestione.

C’erano tutte le possibilità, quindi, che Maradona disertasse l’appuntamento. E invece non avevo fatto a tempo a scendere negli spogliatoi, che dall’enorme porta che divideva gli stanzoni
delle docce dalle salette delle tv, comparve, in tenuta da gioco, sporco di fango e erba, Diego, che chiedeva di me, dribblando perfino i colleghi argentini. C’era, è vero, nel suo sguardo,
un’espressione un po’ ironica di sfida e di rivalsa verso un ambiente che in quel Mondiale, non gli aveva perdonato nulla, ma c’era anche il suo culto per la lealtà che, per esempio, lo aveva fatto
espellere dal campo solo un paio di volte in quasi vent’anni di calcio.

Cominciammo l’intervista, la più ambita al mondo in quel momento, da qualunque network.
Era un programma registrato che doveva andare in onda mezz’ora dopo, perché più di trent’anni di Rai non mi avevano fatto “meritare” l’onore della diretta, concessa invece al cicaleggio più inutile.
Ma a metà del lavoro eravamo stati interrotti brutalmente non tanto da Galeazzi (al quale per l’incombente tg Diego concesse un paio di battute) ma da alcuni di quei cronisti d’assalto che già
giudicavano la Rai cosa propria e che pur avendo una postazione vicina ai pullman delle squadre, volevano accaparrarsi anche quella dove io stavo intervistando Maradona. El Pibe de Oro fu
tranciante: “Sono qui per parlare con Minà. Sono d’accordo con lui da ieri. Se avete bisogno di me prendete contatto con l’ufficio stampa della Nazionale argentina. Se ci sarà tempo vi accorderemo qualche minuto.” Aspettò in piedi, vicino a me, che terminasse l’intervista con un impavido dirigente del calcio italiano, disposto a parlare in quella serata di desolazione, poi si risedette, battemmo un nuovo ciak e terminammo il nostro dialogo interrotto. Quella testimonianza speciale, di circa venti minuti, fu richiesta anche dai colleghi argentini, e andò in onda (riannodate le due parti) dopo il telegiornale della notte. 
Fu un’intervista unica e giornalisticamente irripetibile, solo per l’abitudine di Diego Maradona a mantenere le parole date.

Lo stesso aveva fatto per i Mondiali americani del ’94 quando aveva accettato per due volte di ritornare all’attività agonistica in nazionale prima per assicurare la partecipazione alla querida
Argentina nel match di spareggio contro l’Australia e poi giocando tre partite all’inizio dei Mondiali stessi, prima che lo fermassero. Eppure, val la pena ricordarlo, nel momento in cui, con un'accusa
ridicola era stato sospeso per doping dopo le prime due partite. 

La Federazione del suo amato paese non aveva mandato nemmeno un avvocato a respingere legalmente l’imputazione che non stava in piedi: “Hanno preferito trafiggere con un coltello il cuore di un bambino” aveva commentato Fernando Signorini, il suo allenatore e consigliere, quando la mattina dopo ci eravamo incontrati.
L’intervista da un motel dove aveva soggiornato con i parenti l’avevo ottenuta io. I giapponesi l’avevano mandata in diretta e i francesi in differita, un po’ di ore dopo, non credendola
possibile.
Così, insomma, questo modo di comportarsi da grande e da piccino lo ha portato a superare ogni avversità e pericoli - anche quelli che sembravano impossibili - della sua esistenza. 
Dalla polvere di Villa Fiorito, nella provincia di Buenos Aires, dove è cominciata la sua avventura di più grande calciatore mai nato alla militanza politica nei partiti progressisti latinoamericani per i quali
ha dato molte volte la propria faccia. 

Nessun calciatore è mai arrivato a tanto.

Diego, per una ironia del destino, se n’è andato da questo mondo lo stesso giorno di un altro gigante, Fidel Castro. 

Alla fine li rimpiangeremo, come succede a chi ha lasciato una traccia indelebile nel gioco del calcio e della vita. 

E ora silenzio. 

Il suo prezzo al mondo del pallone lo ha pagato da tempo”.

Gianni Minà

Continuano

 


L'Amaca

 Se fossi napoletano

di Michele Serra
Incredibile quanta gente piange, in televisione, sul web, al telefono, in giro per il mondo intero. Piangono i conduttori e i giornalisti, piange chi per lavoro spesso specula sul pianto degli altri, e ora alla telecamera offre, finalmente, il suo. Perfino il vizio retorico tipico dell’informazione annega e scompare, nel mare di lacrime che accompagna Maradona nell’oltretomba. Le lacrime non hanno la grevità o la banalità delle parole, le lacrime sono il corpo umano che parla per conto suo, senza bisogno di articolare parole. Per un giocatore di pallone? Beh certo, per un giocatore di pallone, lo sport è stato inventato apposta per dare vita materiale ai nostri sogni, al bisogno di eroi, di dei (nel senso greco), di gesti perfetti, di imprese ammirevoli, di vittoria che ci redime dalla mediocrità, dall’affanno, dalle miserie, e costruisce la nostra epica di massa. Diego come Ettore, Achille, Enea? Beh certo, Diego come Ettore, Achille, Enea. Tanto più perché era nato disgraziato, “in un posto dove non c’è nulla, ci sono stato e non c’è nulla”, dice un giornalista (bravo) con gli occhi rossi. Un povero che diventa un dio, non è abbastanza per farne un’icona planetaria, non è abbastanza per dire, come dice un bravo telecronista, piangendo, “lui ci sarà per sempre”?
Non fatevi troppe domande, voi che non amate il calcio o non lo capite, ed è vostro diritto. Perdonate a cinque o sei miliardi di persone questo dolore così semplice, così unanime, così grande. Se fossi argentino avrei pianto tutta la notte, se fossi napoletano piangerei ancora adesso.

mercoledì 25 novembre 2020

Addio Genio!





Se ne è andato il più grande!
Ogni sport ha avuto il suo numero uno indiscusso. Chi non concepiva la boxe, nel vedere Muhammad Alì esternava stupore, meraviglia per la farfalla danzante sul ring con arte strabiliante, unica irripetibile. E così Coppi nel ciclismo, Schumacher in F1, Lewis e via andare. Nel calcio furoreggiò Pelé, anch’egli inimitabile, irripetibile. Ma da quando scese in campo “Isso”, come lo chiamavano i partenopei, tutti i paragoni s’affievolirono, i dubbi pure, perché ciò che quel Sinistro tramutato in lampada del Genio compì nei campi verdi del globo, nessuno mai fece e probabilmente farà in futuro. E forse la Bellezza nel vederlo oramai tramutarsi in macchietta ha deciso di portarlo con sé, nei prati smeraldati dove la storia lascia il passo alla Leggenda. Ciao Diego!

Paolo l'anticipatore

 


Se ne è andato prematuramente, sconfitto da un brutto male, a 54 anni Paolo Gabriele, ex maggiordomo di Papa Benedetto XVI, l'Anticipatore, il Confermatore di quanto uomini e donne di buona volontà sospettavano da tempo immemore, che cioè "là dentro" vi fosse tutto, ma propio tutto, meno quello che sepolcri imbiancati ma pur sempre paonazzi, professavano a copione.
Paolo fu quindi colui che materializzò il pensiero comune, di pochi, quel "ma allora era tutto vero!" per cui un domani, probabilmente e in un'ottica squisitamente di fede, comprenderemo appieno, soprattutto il perché del mancato arrivo di un potente meteorite spazzante ricchi epuloni, lavatrici di soldi mafiosi, tresche adescanti inermi, affaracci della malora e demoniaci, frullati di paraventi ad uso e consumo del popolino, che siamo anche noi.
Se è pur vero che Paoletto, lo chiamavano così, tradì la fiducia del Papa, lo fece solo ed esclusivamente perché, a suo modo, disse tra l'altro un giorno di essere "un infiltrato dello Spirito Santo", credeva fortemente in quello che professava e il veder attorno a sé quella cianfrusaglia di omuncoli interessati al bisso e alla carriera, lo indusse a lasciar tutti i privilegi che il suo incarico gli elargiva, per piombare nel nulla assoluto, pur avendo moglie e tre figli.
Papa Benedetto in seguito lo perdonò e Francesco gli fece riavere un lavoro, svolto sempre in silenzio e lontano dalla ribalta (se per esempio avesse deciso di scrivere un libro, quanto avrebbe incassato?)
Lo trattarono da Corvo, spostando l'attenzione sul solito dito, per sviare ai molti quella luna puttanaio di infinite malefatte per cui, spero, sarà per molti pianto e stridore di denti.
Col senno di poi se Paoletto non avesse fatto quel che fece, probabilmente saremmo tutt'ora nel regno di papa Scola, col Formiga e i fabbricanti ciellini ad imporre moralità ed affarismi a tutto il globo terraqueo, con paraventi sempre più giganti dietro cui le eminenze goderecce su terrazze infinite, perseguirebbero ancora le loro laide tresche corroborate da pateregloria ed incenso a piene mani, stordente stolti dormienti.
Per fortuna dall'agire di Paoletto è arrivato l'Argentino saldo e caparbio, in grado di scacciare i tanti, troppi, mercanti dal tempio.
Riposa in pace Paoletto e soprattutto, chissenefrega di quello che diranno molti, il sì sia sì e il no, no, come raccomanda il Principale: grazie!

Splendido Marco!

 

Il nipote di Al Sisi
di Marco Travaglio
Siccome domenica aveva annunciato “ci difenderemo nel processo e non dal processo perché noi facciamo come quelli seri, cresciuti alla scuola democristiana”, ieri l’Innominabile non si è presentato all’interrogatorio fissato dalla Procura di Firenze che lo accusa di finanziamenti illeciti alla fondazione Open, accampando un improrogabile “legittimo impedimento”. Doveva presidiare il Senato (dove ha appena il 41,69% di presenze) per difendere l’amico Al Sisi su Regeni: “La non collaborazione egiziana è un falso. Al Sisi ha permesso una collaborazione giudiziaria che non è quella che sognavamo, ma è decisamente superiore a quella standard”. L’intervento, decisivo per le sorti del caso Regeni e soprattutto per i consensi di Italia Viva, richiama quelli di Previti che, appena iniziarono i suoi processi, si trasformò da assenteista a stakanovista dell’aula, dissertando su tutti i temi dello scibile umano: dall’“adeguamento ambientale della centrale termoelettrica di Polesine Camerini” all’“impiego delle giacenze del bioetanolo nelle distillerie” all’“esecuzione dell’inno nazionale prima delle partite del campionato di calcio”.Il processo di emulazione-identificazione con la banda B., sempre per difendersi nei e non dai processi, prosegue con un altro cavallo di battaglia del Caimano e dei suoi cari: le eccezioni di incompetenza territoriale a raffica. B.&C. per vent’anni tentarono di trasferire i loro processi da Milano a Brescia, o a Perugia, o a Roma.
Il nostro, siccome Open aveva sede a Firenze, ritiene che la Procura di Firenze sia incompetente a giudicarlo e pretende che l’indagine plani morbidamente a Roma (dove ha sede il Pd, che non c’entra nulla), o a Pistoia (dove nacque la fondazione prima di spostarsi a Firenze), o a Velletri (tribunale competente a giudicare i reati di Pomezia, dove ha sede uno dei primi finanziatori di Open, la Promidis, che però non è indagata diversamente da lui e dagli altri amministratori di Open). Inoltre, non disponendo più della Rai e dei giornaloni come ai bei tempi per sparare sui pm, ha aperto il sito guerraarenzi.it per seguire “processi, indagini e accuse” ai politici perseguitati come lui. Scopriremo presto che i magistrati che osano dargli noia indossano calzini turchesi. Che Carrai è uno stimato igienista dentale. Che Lotti, con Palamara e Ferri, faceva solo cene eleganti. Che l’avvocato Bianchi merita la Consulta o, almeno, il ministero della Giustizia. Che urge un lodo Bianchi per congelare i processi agli ex premier e depenalizzare il finanziamento illecito. Che lui non può farsi interrogare perché ha l’uveite. Che la Boschi è la nipote di Al Sisi e, processandola, si rischia un incidente diplomatico con l’Egitto.

L'Amaca in montagna

 


La montagna che si salva
di Michele Serra
Dire «la montagna» e dire «lo sci» non è la stessa cosa, avverte Reinhold Messner.
Non per caso, dice il contrario esatto di Alberto Tomba. Si può salire nelle valli per fare anche tante altre cose, camminare, riposare, respirare, fare attività fisica con la neve sotto i piedi e il vento in faccia. Andare a piedi, a cavallo, in bicicletta. Godersi lo spazio e il silenzio. In nessun luogo come in montagna è possibile scoprire che il distanziamento non è solo una misura sanitaria, può anche essere la riscoperta di una libertà dimenticata.
Messner ha ragione, e chi ama la montagna lo sa. Dunque il messaggio che arriva in queste ore sulla "distruzione dell’economia alpina" se le piste da sci rimangono chiuse è un messaggio autolesionista. Cattiva pubblicità. Riduce la montagna a una monocoltura invadente e fragile, quella degli impianti di risalita, ignora tutto il resto, che è tantissimo.
L’indimenticabile prete di religione dei miei anni di liceo, don Giovanni Barbareschi, era un valtellinese scolpito nella roccia.
All’Alpe di Motta, nello spartano dormitorio dove organizzava settimane bianche decisamente non vanziniane, tuonava contro «i signorini di città con la giacca a vento firmata» che andavano in montagna senza capirla: ed eravamo ancora negli anni Settanta del secolo scorso. Oggi i signorini di città sono migliorati, se chiudono le piste sanno cosa cercare oltre i milleduecento metri. La montagna ne approfitti, si rivolga a loro come se fossero amici e non clienti, come se fossero Messner e non Tomba, e la stagione invernale sarà quasi salva.

martedì 24 novembre 2020

Domandina




Tra-Tra-Travaglio!


Esprime in modo più consono e meno scurrile ciò che covo da tempo!

Sci-muniti

di Marco Travaglio

Il Covid-19 ci ha regalato due ondate e, se tutto va male, a gennaio arriva la terza. Invece la cosiddetta informazione sforna un’ondata alla settimana. Ma non di virus: di cazzate. C’è la settimana del governo Draghi (la prima di ogni mese), quella del Mes (la seconda), quella del rimpasto, quella delle troppe scarcerazioni (colpa di Bonafede), quella delle troppe carcerazioni (colpa di Bonafede), quella del governo senza “anima”, quella di Conte che decide sempre tutto da solo, quella di Conte che non decide mai niente neanche in compagnia, quella che le scuole che non riapriranno mai (colpa della Azzolina), quella che riaprire le scuole è stato un errore (colpa della Azzolina), quella che devono decidere le Regioni, quella che deve decidere il governo, quella che ci vuole il lockdown, quella che meno male che non s’è fatto il lockdown, quella che i vaccini arrivano troppo tardi (colpa di Arcuri), quella che i vaccini che arrivano troppo presto (colpa di Arcuri), quella di Salvini europeista liberale, quella di B. che è diventato buono. La settimana scorsa era quella del “salviamo il Natale”. Ieri, altro giro di giostra: “Salviamo le vacanze sulla neve”.

Un’allegra combriccola di buontemponi che si fan chiamare “governatori” e “assessori” di alcune fra le Regioni peggio messe (le zone rosse Lombardia, Piemonte, Alto Adige, Val d’Aosta, l’arancione Friuli-Venezia Giulia e le gialle Veneto e Trentino), chiede di riaprire la stagione sciistica. Con 600-700 morti al giorno e molti ospedali in overbooking, gli sci-muniti pensano alle “linee guida per l’utilizzo degli impianti di risalita nelle stazioni e nei comprensori sciistici da parte degli sciatori amatoriali”. Gli assessori lombardi Caparini e Sertori, in rappresentanza di una giunta che non riesce nemmeno a comprare i vaccini antinfluenzali per medici, anziani e malati, spiegano spensierati che chiudere gli impianti di sci è stata addirittura “una scelta scriteriata e incomprensibile da parte di un governo disorientato” (loro invece sono lucidi). Intanto i giornaloni raccolgono gli appelli di Alberto Tomba e di altri cervelli in fuga. Tutti a strillare che lo sci “è uno sport all’aperto e individuale” (come se gli assembramenti si verificassero sulle piste e non prima e dopo le discese, cioè negli hotel, negli impianti di risalita, nei rifugi e nei locali serali di “après ski”) e bisogna “dare un segnale positivo” (al Covid-19). È la stessa demenza collettiva che prima voleva “salvare la Pasqua”, poi “il ferragosto”, “la movida”, “le discoteche”. La stessa follia che ancora a metà settembre, mentre i contagi risalivano, portò la Conferenza delle Regioni a chiedere di riaprire gli stadi fino al 25% della capienza. Quando arriva il vaccino contro i cretini?

Letture forti

 


Dopo aver ascoltato il Grande Maestro e le sue La Locomotiva e Lettera (soprattutto il passo
"Son tornate a sbocciare le strade
Ideali ricami del mondo
Ci girano tronfie la figlia e la madre
Nel viso uguali e nel culo tondo
In testa identiche, senza storia
Sfidando tutto senza confini
Frantumano un attimo quella boria
Grida di rondini e ragazzini")
mi sono fatto forza e ho letto oggi sul giornale diretto da quel Molinari che sta allo spirito della vecchia Repubblica, come il Cazzaro ad una reunion di filosofi, la lettera del grande saltimbanco ed attuale tuttofacente di Italia (semi) Viva. La solita pomposa e oramai sgasata veleggiata verso non si sa cosa, o meglio, la scelta dell'Egoriferito per antonomasia, di convergere verso quel centro in realtà periferia stracotta pregna dei soliti distingui, cavilli, visioni supportate dalle eccelse verticali di Krug che tanto fecero "simil sinistra" nei suoi anni di governo, e che la storia sta già fin d'ora bollando come periodo di gravi arretratezze culturali e, sopratutto, sociali.
Egli nel diluvio di concetti, concettini, riferimenti, nomi tanto a lui familiari, con Biden credo che giochi a canasta quasi tutte le sere via web vista l'amichevole confidenza con cui lo cita, sfolgora un nome su tutti, a suo dire il futuro faro europeo: Macron.
E con questo ho detto tutto, anzi no: capirà il reggente della oramai storica Era del Ballismo che né centro, né sinistra, né quell'altra cosa là, potranno mai rimontare sulla vaga idea di socialismo legata agli uomini, alla fermezza delle loro idee, dei loro valori, delle loro ricerche di giustizia, di abbattimento delle enormi, anche a causa sua, divaricazioni sociali, della scomparsa di dignità, di rigore, di ideali abbraccianti i disagi avvertibili pure dai più stolti? In pratica: occorre trovare cervici in grado di squassare il comune senso dell'ingiustizia, vulgo "mi faccio i cazzi miei e se riesco travalico quell'imbecille che mi sta accanto."
Il ras degli gnorri finge, come tanti suoi simili, di non sapere che da pochi giorni ad Assisi, una persona giusta, ha definitivamente messo in soffitta questo inverecondo sistema rapto-tecno-capitalista, per abbracciarne uno fondato sull'Inclusione di ognuno di noi dentro ad una compartecipazione sociale senza precedenti.
Quell'uomo è argentino e si chiama Bergoglio. Ma il bulletto e il Molinari, come tanti altri, han fatto finta di nulla, forse perché, domando, se s'incardinasse quell'idea sarebbero destinati a dar da mangiare alle oche in un verdeggiante parco?

Grande Michele!


L’amaca

Il paparazzo di se stesso

di Michele Serra

Si suppone esistano anche foto normali di questo signor Genovese. Nelle quali non balla, non strilla, non ride, non ghigna, non dà il ritmo alla serata, non sventola il reddito, non trascina la folla, non agita bottiglie di champagne.
Però sui giornali non se ne vede una, di foto normale del signor Genovese.
Si sa che i giornali, specie per illustrare storie di “nera” come quella di cui stiamo parlando, quando si tratta di scegliere una fotografia calcano volentieri la mano.
Ma nel caso di Genovese non hanno dovuto fare troppa fatica: è lui stesso, nei social e in società, ad avere calcato la mano, animando la galleria di autoritratti sovreccitati che ci accompagna ormai da parecchi giorni.
Ci si domanda perché mai essere ricchi, ed essere contenti di esserlo, debba far perdere la trebisonda fino a questo punto (e fino al punto di considerare le ragazze un bene di consumo come un altro) generando quell’antropologia pacchiana, sedicente edonista, nei fatti tristissima, che dai fatidici anni Ottanta non sembra voler mutare di segno, se non per gli aggiornamenti in fatto di droghe e per le ridicole e cafonissime autocelebrazioni social della ricchezza che hanno trasformato ciascuno di costoro nel paparazzo di se stesso, e in molti casi nel proprio parodista involontario.
Certo consola sapere che, qualora cadessimo in disgrazia, il massimo rischio che corriamo, noi della non movida, della non bisboccia, della non alba in discoteca, è che i giornali pubblichino una delle tante foto nelle quali abbiamo la faccia da scemo. E come prova di depravazione, nella peggiore delle ipotesi un bicchiere di rosso.

lunedì 23 novembre 2020

Riunione vitale



Nella foto la sede della riunione della cabina di regia di Italia (semi) Viva prevista per domani. foto la sede della riunione della cabina di regia di Italia (semi) Viva prevista per domani.

Ritornano le canaglie

 


No, non se ne erano andate mai via, le canaglie anacronistiche di questi tempi folli e spietati! Latrano nuovamente, non contenti dei morti causati dall'agghiacciante menefreghismo estivo. E allora prorompo in un fantasmagorico Vaffanculo, verso chi ancora non ha compreso la gravità, l'inaudita gravità di questo periodo di merda che continuiamo e continueremo a vivere per chissà quanto. 

Settecento, seicento, cinquecento morti al giorno non scalfiscono le canaglie ingolosite solo ed esclusivamente di rimpinzarsi le già stracolme tasche, non frenano i fragnaccioni di lindo vestiti che smaniano di ostentare, di divaricare le festività nelle amene località esclusive. 

Non frega un cazzo a nessuno in questa terra martoriata, destabilizzata, rimbambita, dell'enorme strage pandemica. Come se non sapessero queste canaglie che non conta un cazzo che sulle piste da sci ci sia il distanziamento. Loro sanno che il virus non aspetta altro di incontrare umani nei rifugi, bastardi lo sapete cosa vuol dire ritrovarsi in un rifugio che se uno si è sparato due grappini ti tanfa e alcolizza anche te, visto la vicinanza nei cessi, ad aspettare il pranzo, e poi nelle vie della serata defaticante, vuoi non aprire i bar per l'aperitivo mortacci loro? Vuoi non andare a cena, stramortacci loro? 

Hanno rotto i coglioni questi nauseanti pagliacci del nulla! La stagione è persa, stop! Riceveranno gli aiuti come quelli dati ai bar e ai ristoranti, in base... in base... alla dichiarazione dell'anno precedente.... e qui mi fermo!!!

E basta anche col diritto a trascorrere il Natale andando per acquisti. Se si potrà fare bene! Altrimenti rinunceremo pure a quello! E i cenoni e le feste! E basta! Chiudete gli occhi ed immaginate una fila di bare di un chilometro, un chilometro! Quelli più o meno sono 500 morti. Ogni giorno! E le terapie intensive stracolme! 

Avete rotto le palle! L'insana voglia di ritorno a quella anormalità spacciata per normalità, come se Covid fosse un ricordo, ci costringerebbe a richiuderci nuovamente in casa a gennaio. Con le palle di natale attorcigliate al collo, la sciolina spalmata nel fondoschiena e il puntale... già il puntale! Buone feste pandemiche! E Jingle Bells!

Dialoghi

 


Ragogna

 


Per la serie...

 


... aspetta sempre a dire che sia la solita arcinota sfiga! 

Segugiando

 

Seguendola sul giornale umoristico, mi incute pietismo quel suo modo di scrivere solo ed esclusivamente rivolto "al farsi notare"L'obsoleto che avanza per andar non si capisce dove. E il passo "Il voto dei giurati infatti risulta più che altro fondarsi soprattutto sul sentimento personale di antipatia o simpatia che un determinato personaggio suscita nel giudice stesso, che non è certo Carla Fracci, bensì Selvaggia Lucarelli, la quale sta al ballo come Luigi Di Maio sta al congiuntivo." sono certo che mi manleverà presto dal prestarle attenzione particolare; ancora un poco infatti e arriverà , come l'aurora, la risposta, al solito Selvaggia. 


Questo l'articolo di oggi:

Ballando con le stelle piace, un vero mistero
Ballerini sexy, vip imbranati, mediocre gogna popolare. Nulla di appassionante ma tanto basta per fare ascolti: evidentemente la gente è stufa di Covid e drammi
AZZURRA BARBUTO
Quasi 5 milioni di italiani (23.7% di share) sabato sera sono rimasti attaccati alla tv per seguire la finale della quindicesima edizione del programma Ballando con le Stelle, in onda su Raiuno e condotto dalla sempreverde Milly Carlucci. Il vincitore di quest’anno, accoppiato alla ballerina Lucrezia Lando, è il modello Gilles Rocca, divenuto famoso grazie al furioso battibecco tra i cantanti Morgan e Bugo avvenuto sul palco e pure dietro le quinte del Festival di Sanremo lo scorso febbraio.
Lo straordinario successo di questo format appare un autentico enigma a quanti, sottoscritta inclusa, non ravvisano nulla di appassionante nell’osservare qualche vip imbranato (e spesso pure decaduto) cimentarsi in ogni tipologia di danza per poi presentarsi davanti ad una improbabile giuria in attesa di ricevere un giudizio che il più delle volte poco attiene alla performance in sé.
Il voto dei giurati infatti risulta più che altro fondarsi soprattutto sul sentimento personale di antipatia o simpatia che un determinato personaggio suscita nel giudice stesso, che non è certo Carla Fracci, bensì Selvaggia Lucarelli, la quale sta al ballo come Luigi Di Maio sta al congiuntivo.
MA QUALI ESPERTI
Gli altri membri della giuria sono: il giornalista sportivo Ivan Zazzaroni, lo stilista Guillermo Mariotto, che si è seriamente convinto di essere un illustre esperto del settore, l’attore Fabio Canino e una coreografa di importazione Carolyn Smith (più nota in Italia per la sua partecipazione a Ballando con le Stelle che in patria).
Piccola parentesi, per togliermi qualche sassolino dalla scarpa: la signora Smith, presa dal suo ruolo di giurata, si è permessa di giudicare persino me, che non sono una dei concorrenti di Ballando con le Stelle, apostrofandomi quale maleducata quando su La7 ho difeso la posizione dell’ex consigliere di Stato, Francesco Bellomo, il quale – specificai in tv – non avrebbe dovuto essere considerato colpevole prima della sentenza definitiva, così come stabilisce la Costituzione. Cara Smith, continua ad assegnare punteggi sugli sculettamenti e non ti occupare dei giornalisti che fanno informazione sfidando con coraggio i luoghi comuni. Sarò anche maleducata, ma alla fine in quello studio l’unica ad avere ragione ero io, dato che Bellomo, a distanza di 2-3 settimane, è stato dichiarato innocente dal tribunale di Piacenza, dopo l’archiviazione intervenuta a Milano.
Ad ogni modo, gli ingredienti, sebbene non freschissimi, per uno show capace di distogliere per qualche ora il pubblico dall’ansia da coronavirus o dalle individuali preoccupazioni quotidiane ci sono tutti: avvenenza dei ballerini, persone note del mondo dello spettacolo e non, mediocre gogna popolare. E il piatto è servito.
La concorrenza, per di più, non esiste. Il sabato sera è di una noia bestiale, televisivamente parlando. In questo periodo ancora di più, in quanto gli abitanti della penisola sono costretti in casa tra chiusura dei locali, quarantena e coprifuoco.
SEMPRE MEGLIO DI CONTE
Invece di dimenarsi in balli sfrenati in discoteca (che è sigillata), si permane sul divano per vedere se una tosta politica quale Alessandra Mussolini riesca a sciogliere le articolazioni che sembrano ingessate e acquisire leggiadria. Se ce la fa lei, in fondo, può farcela chiunque.
È questo il pensiero che passa nella testa di alcuni milioni di italiani, stufi di sentire blaterare sempre e soltanto di epidemia, di ascoltare bollettini di contagiati e morti, di assistere impotenti alle conferenze notturne di Giuseppe Conte che ci toglie sorsi di libertà Dpcm dopo Dpcm. Volteggi e capriole rappresentano un’ottima alternativa all’immobilismo frustante di queste ultime settimane di un 2020 che non dimenticheremo mai più. E non già perché sia stato dei migliori.

domenica 22 novembre 2020

Perdono!



Amici che avete già raggiunto “la stanza delle mille chitarre” (cit.) perdonateci! Non siamo tutti così per fortuna! Aiutateci, inviateci riff consolatori!

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Non commento perché non sono in grado di farlo. Allego questo articolo di Maria Rita Gismondo, direttore microbiologia clinica e virologia del “Sacco” di Milano. Ognuno si faccia la propria opinione in merito.

ANTIVIRUS
Molti vaccini, ma troppi dubbi

di Maria Rita Gismondo direttore microbiologia clinica e virologia del “Sacco” di Milano

I vaccini che dovrebbero salvarci (?) dal Covid-19 sono solamente negli annunci e i loro effetti nelle Borse. Non è stato un buon segno che proprio alti dirigenti di Pfizer, dopo l’annuncio dei risultati entusiasmanti del farmaco prodotto dalla loro azienda, ne abbiano venduto le azioni. Hanno fatto bene, visto che Moderna ha dichiarato di aver pronto il suo, più efficace e senza la necessità della catena del freddo.

A parte questi eventi finanziari, null’altro di concreto. Le decine di vaccini che si stanno studiando si fondano su due tecniche. Quelli proteici, che inducono la risposta anticorpale, metodica già in uso da tempo con successo. Nuovi sono i vaccini composti da frammenti di Rna o di Dna che inducono le cellule a sintetizzare una proteina simile a quella verso che si vuole combattere.

Su questa nuova tecnica, in molti ci siamo pronunciati, inducendo alla cautela. Già nel 2010 la Food and Drug Administration, in tempi non sospetti, invitava a condurre approfonditi studi per dimostrare l’assenza di effetti collaterali. Il 6 novembre 2020 ancora la Fda ha pubblicato un secondo importante lavoro in cui si conferma un notevole interesse alla terapia genica, ma nello stesso tempo, non si nascondono gli effetti collaterali dell’impiego di materiale genico ancora non del tutto conosciuto. La terapia genica potrebbe modificare il Dna del paziente e i virus inattivati, utilizzati come vettori, potrebbero diventare attivi nei decenni successivi. Pertanto la Fda raccomanda di allungare i tempi di osservazione e di sottoporre i pazienti a rischio di neoplasie a un test di replicazione virale e di sviluppo oncologico per 20 anni per prevenire l’insorgenza anche di malattie auto-immuni. Questi tempi possono essere accelerati, ampliando il numero di volontari trattati? No. La Natura ha i suoi tempi. La replicazione del materiale genetico è un fenomeno non accelerabile. Le mutazioni possono avvenire molto lentamente, alcune eliminate nel tempo, altre conservate e aggiunte ad altre.

Una volta innescato (terapia genica) non è possibile fermarlo, né evidenziarlo in tempi stretti. La tollerabilità che si sta indagando nei vaccini in studio è quella acuta, immediata, non può garantire su effetti a lungo termine. Meglio attendere conferme a lungo termine e, a breve, vaccini meno innovativi ma più conosciuti.

Travaglio!

 L’angolo del buonumore

di Marco Travaglio
Sono tempi bui e il buonumore è merce rara. Ringraziamo dunque il noto fornitore a sua insaputa Alessandro Sallusti che, a pochi giorni dall’arresto di due dei pochi berlusconiani rimasti a piede libero – Verdini (bancarotta fraudolenta) e Tallini (voto di scambio con la ‘ndrangheta) – apre il Giornale col titolone “GLI INDECENTI”, affiancato da quest’altro: “Orgoglio Berlusconi”.
Ma B., essendo solo un pregiudicato per frode fiscale, 9 volte prescritto e tuttora imputato per varie corruzioni sfuse, fa parte dei decenti. Gli indecenti sono Nicola Morra, Ciro Grillo e Chiara Appendino.
Il primo per aver detto un’ovvietà: e cioè che i calabresi sapevano che Jole Santelli era gravemente malata di tumore, ma l’han votata lo stesso e ora si ritrovano il noto cabarettista Spirlì. L’ovvietà ha destato grande scandalo in tutti i partiti, M5S incluso (in America, al primo raffreddore, i candidati a qualunque carica devono esibire la cartella clinica). E il direttore di Rai3 Franco Di Mare – detto Mister Pampers perché ogni tanto gli scappa un goccio di censura (vedi la guerra termonucleare a Mauro Corona) – ha cacciato Morra da un programma.
Perché sia chiaro che alla Rai entrano cani e porci, ma il presidente dell’Antimafia è off limits.
Il secondo “indecente” è un giovane privato cittadino indagato per presunti reati sessuali, che ha la sfortuna di non essere iscritto a Forza Italia (altrimenti sarebbe un martire del moralismo togato), di non risiedere a villa San Martino (sennò la presunta vittima sarebbe la nipote di Mubarak) e per giunta di essere figlio di Beppe Grillo.
La terza “indecente” è Chiara Appendino, una delle persone più oneste mai viste in politica, imputata a Torino per una disgrazia: il fuggifuggi di piazza San Carlo, causato da malviventi armati di spray urticante (1500 feriti e tre morti). Dunque “indecente” anche lei, secondo l’house organ dei pregiudicati.Altro giornale, altre risate: sul Messaggero Antonio Tajani, vicepresidente di FI, invoca “il vincolo di mandato” contro chi “cambia casacca”. Come la Ravetto e gli altri due forzisti appena trasvolati nella Lega.
Purtroppo Tajani non precisa a quando risalga la sua conversione al nobile proposito che, quando lo propugnava il M5S, era peggio di un golpe. Ma dev’essere una cosa recente, visto che il primo e il terzo governo B. si ressero su parlamentari eletti all’opposizione e acquisiti in saldo, mentre il Prodi-2 cadde perchè B. s’era comprato il dipietrista De Gregorio per 3 milioni e Mastella era ripassato al centrodestra. Quindi la nuova Costituzione della Repubblica Tajana dirà così: “Per chi vuole uscire da FI, vige il vincolo di mandato. Per chi vuole entrare resta il vincolo di comprato”.

L'Amaca


 L'Amaca

Io sto con i linciati
di Michele Serra
Dunque, vediamo, chi sono i linciati del giorno? Letizia Battaglia, 86 anni, grande fotografa siciliana. E Nicola Morra, presidente dell’Antimafia. Battaglia è lapidata sui social perché non piacciono le sue foto pubblicitarie della Lamborghini. L’uso di un suo soggetto “storico” – bambine di Palermo – le attira un’accusa ulteriore, e di speciale idiozia: pedopornografia. Morra è sotto schiaffo (non solo social: anche la Rai gli mostra il cartellino rosso) per una dichiarazione ruvida ma tutt’altro che illegittima a proposito delle responsabilità degli elettori in Calabria, e per esteso ovunque.
Sono, i due linciati, al di fuori di ogni critica? Non del tutto: Battaglia si è illusa di poter conciliare la sua gloriosa storia in bianco e nero con quella di una fuoriserie, per giunta gialla. Morra ha maneggiato con malagrazia il lutto in morte di Jole Santelli, spenta dal cancro poco dopo la sua elezione.
Detto questo, io sto con i linciati (frase che ha il solo difetto di sembrare un hashtag ). Sto con i linciati perché i linciatori sono disgustosi intanto per la viltà (mille contro uno), poi perché li muove lo spirito della punizione, della colpa (sempre altrui), di un feroce moralismo di gruppo. C’è una sola “colpa” insopportabile, nel dibattito pubblico, ed è la menzogna. Le opinioni, il lavoro, l’arte, la parola politica, se non sono direttamente mosse dalla volontà di menzogna, che è il crimine dei crimini, sono comunque legittimi. Un abbraccio a Letizia Battaglia, e un consiglio del quale Morra, che è tosto, non ha bisogno: non ti curar di loro. Si chiamano shitstorm , tempeste di merda, e la merda vale tanto solo come concime dei campi. Si decompone in fretta. Rimane la vita.

sabato 21 novembre 2020

Postpandemico anno 2044

 

Mi è arrivato, dopo un post-Morellino, uno scritto datato 19 febbraio 2044 che riporto fedelmente:
La pandemia in Italia, con le varie ondate che si sono succedute a partire da marzo 2020, oltre al grande numero di vittime, ha evidenziato alcune carenze comportamentali che cercheremo di riassumere:
1) Negli anni pandemici, si notò la disaffezione ai valori sociali in molte sacche della popolazione, sia per le note divaricazioni economiche, sia per l'instabile psiche di molti che categorizzeremo come "benaltristi", dediti al "complottismo sepolcro imbiancato", un paravento a difesa di privilegi generati dal sistema rapto-tecno-mediatico-finanziario.
2) La politica nazionale evidenziò le tipiche carenze post decenni di arroganza, di consociativismo con il mondo economico, con egoismi familiari di apparentemente nobili conglomerati di riccastri, che stampa amica e di proprietà enfatizzarono oltremodo, trasformandoli in filantropi saggi ed illuminati. La decadenza agghiacciante del pensiero politico, soprattutto evidenziato nell'opposizione parlamentare di quei tempi, fu il frutto delle due precedenti temibili e catastrofiche ere, destabilizzanti il pensiero comune: l'Era del Puttanesimo e quella del Ballismo.
La degenerazione toccò baratri impensabili: uno psicolabile barbuto, ad esempio, ebbe il coraggio di protestare, insufflare smargiassate in crani deboli ed instabili, infischiandosene della strage in corso, al solo scopo di delegittimare la maggioranza dei tempi, supportato da una pletora di peripatetici simil opinionisti, che per gettone-presenza o per arsura di visibilità, tentarono in ogni modo di incrinare, sminuzzare nella popolazione il concetto chiaro, solare che Covid-19 fu un virus del cazzo, bastardo e temibilissimo.
Gli attuali modi di dire, entrati nel linguaggio comune, si rifanno a quei tempi crepuscolari:
"Ma sei Porro?" - "E smettila di dir cazzate che sembri una Maglie!" - " E non fare la Chirico!" - "Ma che Facci dici?" - "Smettila che se no finisce tutto a Cazzaro e Sora Cicoria!"
3) In quegli anni venne pure rilevato con sorpresa il nascere del "pensiero piagnone" compreso in tutte le sue variegate forme, in tempi successivi da eminenti psicologi di fama: in pratica, durante la lunga lotta per supportare le gravi carenze economiche, generate dalla pandemia, s'assistette ad un corale e generalizzato pianto sociale, includente pure molti che, in anni precedenti, evasero alla grande, infischiandosene della collettività; tali canaglie si unirono al grido di dolore di molti, effettivamente in difficoltà, al fine di ottenere rimborsi e aiuti economici non dovuti.
L'industria, rappresentata a quei tempi da un malvagio chiamato Bonomi, nella prima ondata pandemica derubò lo stato di 2,7 miliardi di euro per ore di cassa integrazione non dovute. Memorabili furono le dichiarazioni di Bonomi in merito al fatto che i fondi europei, arrivati in Italia nel tardo 2021 per colpa dell'opposizione di stati canaglia amici dell'imbelle barbuto già citato, dovessero essere elargiti in gran parte al mondo industriale, dimenticandosi che nello stesso paese, annualmente, "qualcuno" sottraeva circa 120 miliardi di euro alla collettività, evadendo spudoratamente alla grande, ed il concetto che, tolti coloro che il prelievo fiscale lo avevano alla fonte, esclusi i bimbi, i pensionati, gli studenti, restassero solo poche categorie, tra cui quella diretta da Bonomi quali indiziati del rapto ammanco, non fu mai del tutto chiarito, per la dabbenaggine ed il rimbambimento generale, frutto di media compiacenti ed al servizio del Malvagio Erotomane Grad'Evasore Seriale, una figura oramai epica, mai del tutto scomparsa nelle lande, qualcuno infatti è ancora convinto che scorrazzi tra i corridoi delle sue aziende o nei più rinomati bordelli europei, sempre lisciato e compiaciuto dai suoi finti avversati politici, da cui il detto "questo gatto è più mansueto di un Veltroni" o quello più recente "t'abbindolo come uno Zinga!"
(1.continua)

Tanto per capire

 Radio Maria: il regno di don Livio, dove Satana spaccia il virus

di Daniela Ranieri
Il Male fino a un anno fa era insidioso ma intelligibile, prevedibile e ripetitivo, incarnato in un’ossessiva lista di disgrazie: Islam, aborto, ragazzine incinte (e nonni disperati per il demonio incarnato nei giovani ventri), matrimoni gay, transessualismo, perdita di radici cristiane, aperture bergogliste, teologia della liberazione (cioè della truffa democratica, socialista, relativista, sudamericana, vagamente tropicale).Dai microfoni di Radio Maria, fin dal mattino presto, addestrati soldati del Bene, dall’esorcista padre Amorth, poi defunto, a Mario Adinolfi, storico tenutario di una rubrica contro l’aborto (“anche per le donne stuprate”), mettevano in guardia contro le manovre del demonio, che oggi ha escogitato varianti apocalittiche epidemiologiche per impadronirsi del mondo. 

Lo riferisce il direttore Padre Livio Fanzaga nella rubrica intitolata Lettura cristiana della cronaca e della storia: la Covid è “un progetto di Satana. Un colpo di Stato sanitario, mass mediatico e cibernetico mondiale, volto a distruggere il mondo di Dio”.Radio Maria è la radio privata con il maggior numero di ripetitori sul territorio nazionale, oltre 850, più della Rai, con oltre un milione e mezzo di radioascoltatori ogni giorno. Fondata come piccola radio parrocchiale ad Arcellasco d’Erba da un certo Padre Mario – poi esiliato nella meno carismatica Radio Mater – è oggi un network (World Family of Radio Maria) che trasmette in 77 Paesi dei 5 continenti. In quanto “radio comunitaria”, cioè non generalista, status previsto dalla legge Mammì, ha diritto a sostenersi con donazioni spontanee (che arrivano anche a 18 milioni di euro l’anno) e, dal 2006, attraverso il 5 per mille.Padre Livio è il mattatore e il capo spiriturale di questa impresa: laureato in filosofia, autore di best-seller come 

L’Apocalisse è incominciata, Il falsario. La lotta quotidiana contro Satana, Profezie sull’Anticristo, si definisce “un pastore di anime”, dotato di qualità che vanno “dalla sapienza alla prudenza, dalla fortezza alla dolcezza”; nel 2014 ha vinto il concorso Cuffie d’oro, primo con distacco su Giuseppe Cruciani della Zanzara.La pandemia è una cornucopia di simboli e antitesi millenaristiche: per Padre Livio è “un progetto non casuale, che non viene dai pipistrelli o dal mercato di Wuhan. Un progetto criminale delle élite mondiali con la complicità forse anche di alcuni Stati per instaurare una dittatura sanitaria e ridurci come zombie”.Il lessico e il mondo sono quelli di QAnon, la teoria cospirazionista nata negli Stati Uniti secondo i cui adepti esiste un complotto planetario ordito dai potenti del Deep State (Obama, Bill Gates, i Clinton etc.) per diffondere il virus e controllare gli esseri umani mediante l’inoculazione di chip sottocutanei mediante vaccino, questo nel tempo libero lasciato loro dalla principale occupazione, che consiste nel suggere sangue di bambini durante riti satanici, al fine di avere una bella pelle e una lunga vita (Trump aveva provato a fermare questa setta di pedofili vampiri, ma è stato messo fuori gioco dal Demonio e dai brogli elettorali).Dopo le polemiche, Padre Livio ha precisato: “Probabilmente non sapremo mai qual è l’origine della pandemia ma… resta sul tavolo l’ipotesi che possa essere stata provocata volutamente”. C’è un progetto, dietro, “provocato da chi vuole costruire un ‘uomo nuovo’ e ‘un mondo nuovo’… la mente ispiratrice non può essere che il maligno”.A Radio Maria il maligno è il deuteragonista di una narrativa escatologica che va avanti dal 1987: il giorno inizia prima dell’alba, all’ora dei betabloccanti e delle cardioaspirine, col diario di Faustina Kowalska, la veggente canonizzata da Wojtyla e nominata da Gesù in persona, non è chiaro con quale procedura, “Segretaria della Divina Misericordia”. Seguono: rosario, meditazioni, liturgia delle ore, salmi, catechesi, messa, vespri… fino a notte tarda, quando vanno in onda de profundis gli esorcismi di Padre Amorth.

Qui vige una tensione dialettica molto forte tra il Papa, capo della Chiesa degenere, e il guru di questa chiesa parallela e capillare: così mentre Bergoglio faceva ironia sulle apparizioni mariane nei cieli della Bosnia-Erzegovina (“Ma dove sono i veggenti che ci dicono oggi la lettera che la Madonna ci manderà alle 4 del pomeriggio?”), Padre Livio metteva forsennatamente sul sito i messaggi che la Vergine recapita regolarmente ai sei veggenti di Medjugorje in carica dal 1981 (alcuni dei quali proprietari di alberghi, sale bingo e casinò nei pressi dei luoghi dell’apparizione, ricchissimi), e ogni 25 del mese manda in onda una veglia di preghiera in attesa del messaggio mensile (l’ultimo diceva: “Cari figli! Satana è forte e lotta per attirare a sé quanti più cuori possibile… Grazie per aver risposto alla mia chiamata”).Dopo due ore di ascolto di Radio Maria si avverte un disagio profondo: superstizione, ricatto emotivo, pattume moralistico, un mondo in cui lo spirito evangelico è eroso a favore di una logica punitiva e antiumana. Il virus non ha fatto un salto di specie, ma è planato in qualche laboratorio per mano di Satana; è eliminato dalla Madonna, una specie di Supereroina-addetta a un call center preghieristico; le élite tramano contro i popoli insieme al diavolo, ciò che poi è il sottotesto – sigillato dal bacio al rosario – dei comizi di Salvini.Benché Radio Maria affermi di essere “apolitica e apartitica”, tutti i suoi messaggi, scopertamente antiscientifici, pastorizzati non solo da ogni traccia di Illuminismo ma anche dal principio di realtà, sono politici: perché suggeriscono un’etica, implicano un posizionamento, delegittimano la democrazia e la comunità scientifica.Lo Spirito – Dio lo vuole – va alimentato: Livio Fanzaga passa dall’antiteodicea della Covid alla questua: “Ricordatevi di fare offerte”. 

E le catechiste dettano incessantemente i modi per sostenere Radio Maria, tonnara per menti deboli e persone sole: conti correnti, Iban, Sepa, 5 per mille, vaglia postale, bancoposta, lasciti testamentari. Onde radio nelle lande sterminate della solitudine.