mercoledì 31 maggio 2017

Pudore?



Articolo


mercoledì 31/05/2017
Il detective-rapinatore

di Marco Travaglio

In uno dei suoi film minori più divertenti, La maledizione dello scorpione di Giada, Woody Allen è l’investigatore C.W. Briggs che, per conto di una compagnia di assicurazione, indaga su certe misteriose rapine: alla fine si scopre che il ladro è lui. La storia ricorda quella del cosiddetto ministro dei Beni culturali Dario Franceschini che due anni fa, in preda a un attacco di esterofilia, ha la bella pensata di prendere dall’estero sette direttori di alcuni tra i più prestigiosi musei italiani, come se in Italia non avessimo gente all’altezza. L’ideona, come tutto ciò che usciva dalla premiata ditta Renzi&C., viene subito spacciata per “grande riforma dei musei” e accolta da cori unanimi di giubilo: una schiera di boccucce a culo di gallina esplodono in standing ovation di stupefatta ammirazione. Nessuno, nell’empito leccatorio, fa caso a un paio di trascurabili dettagli. Primo: la nostra legge, come in tutti gli altri Paesi, prevede che i dirigenti della Pubblica amministrazione dello Stato Italiano (compresi i direttori dei musei), siano cittadini dello Stato Italiano. Strano, vero? Secondo: i concorsi per i direttori italiani e stranieri dei musei hanno bypassato le più elementari regole di trasparenza, cambiate in corso d’opera con colloqui a porte chiuse poco controllabili (addirittura in due casi via Skype, rispettivamente dall’Australia e dagli Usa: sistema che non esclude la presenza di suggeritori non inquadrati accanto all’esaminando) e con punteggi farraginosi e poco verificabili, per far vincere chi doveva vincere.
Così una pletora di esclusi senza uno straccio di spiegazione fanno ricorso. A chi? Al Tar del Lazio, il tribunale deputato a verificare la legittimità degli atti della Pubblica amministrazione. Questo li esamina e ne accoglie due, annullando la nomina dell’austriaco Peter Assmann al Palazzo Ducale di Mantova (sia perché non italiano sia perché nominato con procedure non trasparenti) e di quattro italiani (perché nominati con procedure non trasparenti). Anziché chiedere scusa e rifare il concorso secondo le leggi, Franceschini tuona contro il Tar, reo di esporre l’Italia a una “figuraccia mondiale”, peraltro tutta sua. Renzi si duole di non aver riformato i Tar per imporre loro di dare sempre ragione al governo e torto alle leggi. Tutt’intorno un coro di trombe, trombette e tromboni si straccia le vesti contro quei parrucconi dei giudici allergici al cambiamento e pure xenofobi. C’è chi cita l’aumento dei visitatori dei musei diretti da stranieri (com’è noto, i turisti accorrono agli Uffizi e a Brera per ammirare non le opere esposte, ma i direttori forestieri).
E chi sproloquia di libera circolazione della cultura (provate a proporre un italiano a direttore del Louvre, e vedrete cosa vi rispondono a Parigi). Par di vederlo, Franceschini, che si aggira per i corridoi del ministero domandando a destra e a manca chi è quello stronzo che nel 2001 mise nero su bianco nella legge 165 che ai concorsi del Mibact possono concorrere anche cittadini europei ed extracomunitari, ma non per le posizioni dirigenziali apicali come le direzioni dei musei. Domenica il Fatto gli risponde: è stato lui. Forse non si è riconosciuto, perché all’epoca era senza barba, ma il sottosegretario a Palazzo Chigi del governo Amato che a inizio 2001 varò quella legge era proprio Dario Franceschini. Un classico colpo di scena da commedia noir, come quella di Allen. Ma anche da opera buffa (il Ballo in maschera di Verdi) e persino da tragedia greca (l’Edipo Re di Sofocle): l’investigatore che, alla fine, si scopre assassino. Uno normale, al posto di Franceschini, si scaverebbe una buca, ci si infilerebbe dentro, ricoprirebbe con uno strato di terra e sparirebbe dalla circolazione. Lui no. Chiede la sospensiva della sentenza al Consiglio di Stato, che ieri gliela nega. Intanto decide di cambiare la (sua) legge che rende illegali quelle nomine (dunque ha ragione il Tar). Come? Infilando nella manovrina un emendamento “interpretativo” per salvare gli altri 6 direttori stranieri da probabili nuove pronunce del Tar. Ma sbaglia a scriverlo: per avere effetto retroattivo sul concorso incriminato, la norma dovrebbe spiegarne meglio una già esistente, invece questa è una deroga al decreto del 2014 che “riformava” i musei: infatti esclude i direttori museali dalle regole sulle assunzioni nella PA. Nemmeno una parola sulla nazionalità, né tantomeno sulle procedure opache che poi sono il motivo principale della bocciatura del Tar. E comunque si tratta di una norma nuova di zecca, non un’interpretazione di una vecchia: dunque, oltre a contraddirne altre tuttora vigenti, può valere al massimo per i concorsi futuri, non certo sanare ex post quelli passati. Peso el tacòn del buso.

A questo punto persino un superego debordante alzerebbe bandiera bianca e andrebbe a nascondersi in Papuasia (sempreché gli indigeni non avessero nulla in contrario), facendo perdere le proprie tracce in saecula saeculorum, magari dopo averci lasciato una riforma – questa sì benemerita – che consenta di importare dall’estero i ministri. Lui no: immarcescibile e impermeabile non solo alle leggi (le sue), ma anche al ridicolo, si fa intervistare da Repubblica sulla riforma elettorale, senza una sola domanda sulla catastrofe dei musei, ci mancherebbe. Intanto gli esplode in mano la rivolta dei teatri italiani, inferociti per i 4 milioni “fuori busta” all’Eliseo di Roma, ultimo strascico della dissennata distribuzione dei fichi secchi del Fus (il fondo unico dello spettacolo dal vivo, altro fiore all’occhiello del suo ministero). Forse il paragone con l’investigatore-rapinatore di Allen è troppo benevolo: diversamente da C.W. Briggs, che agiva sotto ipnosi, Franceschini pare sia lucido.

martedì 30 maggio 2017

Fantastica!!!

 
Applausi a chi l'ha inventata!!

 

Triste declino


Ne abbiamo perso un altro! La sua onnivora voglia di denari, mascherata secondo alcuni in esposizione mediatica pro ultimi ed affamati, l'ha portato a toppare clamorosamente, facendosi ritrarre con un rimbambito, che era già così allorquando dirigeva la maggior potenza terrestre, reo di avere ammazzato migliaia di innocenti con prove fasulle e menzogne epiche. Rimangono in pochi a saper suonare, continuando a cantare sui misfatti del potere. Anzi. Uno solo.

 

Urticanti


In questo periodo di convalescenza, il tempo dell'Inane, ho avuto varie possibilità di incontrare, nel pregno del metodico, persone con svariate caratteristiche. Ad esempio due signore sulla mezza età, che salgono assieme a me  sull'autobus che prendo per finalità fisioterapica. Non so dove vadano ma sono certo che appartengano all'associazione S.I.T. (Scassaminchia Imperiture & Tenaci): le incontro alla fermata e, allo scoccare della prevista ora di arrivo dell'autobus, iniziano, a voce alta, a confezionare un crescendo di critiche, partendo dall'ATC e via via, a seconda del ritardo, s'inerpicano in una scala comprendente la differenziata, il Comune, la scomparsa del tamarindo dagli scaffali, la foggia dei pantaloni di Kim Jong-Un, le guerre puniche, le zanzare, lo sfarzo alle prime comunioni, i migranti portatori di epidemie, la mancanza di un vaccino contro gli sbadigli e, se il ritardo supera i dieci minuti, la veridicità del libro del Levitico. Appena salite in autobus la critica si dirige verso le obliteratrici, le vibrazioni, la guida dell'autista e, tanto per non farci mancare nulla, il pessimo servizio riscontrato in un hotel di Malta. Cercano attenzione e soprattutto condivisione. Le evito come se ad una tavolata ci fosse la possibilità di sedermi vicino ad Orfini. E soprattutto applico la strategia dell'ebete, che non mi riesce malaccio: ogni tanto, protetto dagli occhiali da sole emetto risolini senza un perché che le allontana come un monolocale il card Bertone. Se continuiamo ancora un po' ad incontrarci, scommetto sulla carezza compassionevole!

Nel 2017


Questo guru, gran  visionario, potente persuasore è il dottor Massimiliano Mecozzi, gran luminare omeopatico che, tra gli altri, aveva in cura il piccolo Francesco morto di otite in Abruzzo. Medico, sospese la sua professione per fare il facchino tuttofare a Varese, e già questo avrebbe dovuto costituire prova per una conclamata instabilità, per poi, malauguratamente, tornare a fare il dottore. E purtroppo, al solito, c'è dell'altro: Mecozzi apparteneva ad una setta di psicolabili chiamata Roveto Ardente, fortunatamente sciolta in anni passati; questa convention di squilibrati aspettava la fine del mondo nel 2008. 
Mecozzi quindi si sospetta unisse l'omeopatia ad una forma virale di misticismo alienato da sinapsi degenerate. Mentre aspettiamo con ansia la sua cacciata dalla medicina per cui tornerà, non prima di aver fatto la giusta sosta in gattabuia, al facchinaggio, suo antico mestiere, leggo nelle cronache locali che questo facchino prestato alla medicina, vietasse ai genitori, mi astengo da ogni commento per rispettarne il dolore, di avvicinarsi alla Medicina tradizionale e, soprattutto, ai famigerati antibiotici, il cui solo nome pare provocasse sfoghi cutanei al facchino. Miseriaccia cane! Siamo nel 2017! 
Ciao Francesco...

P.S. Non ho nulla contro l'omeopatia se prescritta da normodotati.

 

Apprezzamenti


Serenità



Lettera aperta


Ascolta, i discorsi lasciamogli agli altri. Qui si tratta di amore per la maglia, non di quello che ti dice quel bue che ti sei scelto come procuratore. 
Se sei innamorato del rossonero, a brevissimo dovresti comunicarlo. Se invece ti vuoi far abbindolare da quell'enorme tonno che da decenni sta ingordamente arricchendosi alle spalle dei giocatore, dillo e tanti saluti. 

Credo che con i soldi che ti hanno offerto per una sola stagione, si possa vivere bene per tutta la vita. Averne tra dieci anni 40 o 80 di milioni, che senso ha?
Chiedilo alla balenottera che è convinto di essere eterno. Qui, Gigio, non si scherza. Sei maggiorenne e hai poco tempo per decidere di diventare una bandiera o no. Hai visto domenica cosa hanno tributato al campione Totti?
Piangevano tutti, anch'io mi sono commosso. Non si lacrimava solo per le imprese pallonare, ma per il tempo che passa, per l'età che avanza, per l'ineluttabilità.
Prima di decidere però fai due telefonate: a Paolo e a Franco il piscinin. Ti spiegheranno da par loro cosa voglia dire amare il rossonero. Checché ne dica quel tronfio con la faccia da bambino che dirige le tue scelte come un approfittatore e che oramai è chiaro nell'agire: vuole tanti soldi dalla società per poi il prossimo anno venderti a cifre clamorose e lucrarci alla grande sopra.
Scegli Gigio: la fedeltà o l'arsura fine a se stessa.
Ma fai in fretta e non tentennare. Non è da campioni.


domenica 28 maggio 2017

Dal G7


Al di là dei delusi commenti in merito al G7 di Taormina, ci sono delle chicche che, grazie ai potenti mezzi, siamo riusciti ad ottenere! 

Questa è la prima:




In effetti, povero Genty, tra non molto avrà bisogno di un lavoro. 

Passiamo alla seconda, uno scoop.


Ed ecco la terza, una confidenza:



Per ultimo un incredibile confessione:


E ti pareva!



E ti pareva che non strumentalizzasse! 
Che non facesse il gioco sporco, tipico degli scorretti, dei timorosi impauriti dalla possibilità di perdere potere, visto che fuori dai palazzi romani, perdendo visibilità, diverrebbero prede di esaurimenti e psicolabilità!
Hanno al solito colto la frase più aggradante per i loro infausti progetti. Temono un movimento fondato da un comico! Hanno il terrore di vedersi superati, di essere annientati. Sanno il Bomba, le Etruriane, le Madie, che la possibilità del loro ritorno a casa, è reale. 
E allora giocano sporco. Sono d'accordo su quanto detto da Francesco in merito al reddito per tutti. Conta infatti, basilarmente la concezione di dignità del lavoro. 
Perfetto. 
Mi stanno sulle palle però coloro che approfittano di ogni evento, di ogni pertugio, per stigmatizzare, sminuire l'avversario. 
Perché Francesco ha detto anche dell'altro. Eccome se l'ha detto.
Ha parlato della differenza tra imprenditori e speculatori. Ha detto no a chi licenzia.
Aggiungo io: grazie a leggi capestro come il jobs act, all'abolizione dell'articolo 18 concepite da questo Bomba insensibile ai veri problemi della gente e prono ai dettami di Confindustria.
Francesco inoltre dice no a chi delocalizza! Come non ricordare le incensazioni fatte dal Pifferaio toscano alla banda Agnelli, a Marchionne scappati all'estero per non pagare le tasse italiche? 

Come al solito la pagliuzza è ingigantita per non far vedere le travi, le architravi negli occhi di questi circensi incapaci, neppure buoni a far sorridere!  

Ecco perché


Lasciamo le dietrologie e le presunte partigianerie agli sciocchi! Non c'entra Sarzana, il discorso è generale e rende l'idea di quanto siamo malleabili, canne piegate da una tenue brezza. E siamo in mano a loro, quelli che conoscendoci s'approfittano delle nostre lacune.
Ieri sera sono andato appunto a Sarzana, allo Street Food nella centralissima Piazza Matteotti. 
Ebbene, sapevo certamente a cosa sarei andato incontro: lunghe file per prendere qualsiasi cartoccio, prezzi faraonici, postura alla cazzo per mangiare, altra coda per altro fritto, di altro deleterio per il fegato. 
Guardate questo menu:


Ho pagato un Hamburger di Chianina, neppure troppo buono, insipido con della lattuga insignificante 8 euro! Otto euro! Sedicimila delle vecchie lire! 
E la birra? Una Peroni rossa media: 5,50 euro! 
Cosa voglio dire?
Che fanno bene a trattarci così! Ripeto: da tutte le parti! Fanno benissimo a sfruttare la nostra flessibilità, il nostro mutismo, la nostra presenza ad eventi del genere, nonostante tutto.
Questo cibo da strada ha dei vantaggi per i venditori, enormi! Non hanno spese di tovaglie e tovaglioli, di servizio ai tavoli, pagano solo il comune per gli spazi ed il gioco è fatto. 
Una birra a 5,50 euro da nemmeno mezzo litro, da tutte le parti che te la vendono, è un furto. 
Un hamburger a 8 euro altrettanto. 
Le patatine fritte a 4 euro un immenso brigantaggio.
Eppure eravamo tutti in coda, silenti e pazienti, senza protestare, senza incazzature di sorta. Sopportavamo perché siamo fatti così. E tutti coloro che si arricchiscono alle nostre spalle, lo sanno.
Forse il nome dell'iniziativa sarzanese, contiene pure una verità: cibo da strada. Nel senso che se ci mangi tutti i giorni, finisci davvero in strada! 



sabato 27 maggio 2017

Standing ovation!


"Il sistema politico a volte sembra avvantaggiare chi specula e non chi investe. A volte si pensa che il lavoratore lavora bene solo perchè è pagato, ma questa è grave disistima dei lavoratori, il lavoratore inizia a lavorare bene per dignità, il vero imprenditore conosce i suoi lavoratori perchè lavora con loro, l'imprenditore prima di tutto deve essere un lavoratore, nessun bravo imprenditore ama licenziare la sua gente, chi pensa risolvere i problemi licenziando la sua gente non è un buon imprenditore, non deve confondersi con lo speculatore."

No, non è nessun solone simil di sinistra!
Queste sono le parole di Papa Francesco pronunciate oggi all'Ilva di Genova!

Cose per pazzi


Lo sono andato a cercare, perché dubitavo delle mie capacità cognitive. Eppure l'avevo ascoltato, come si ascolta Totò o Peppino. Era il 7 maggio 2017, facendo i calcoli 20 giorni fa, anche se Michele Anzaldi non sarà d'accordo in merito. 
Era un'occasione ufficiale, c'erano le televisioni, vi sono i filmati al proposito. Il cacciatore insano di potere era stato appena rieletto alla carica di segretario del PD, la claque era in forma strepitosa, Orfini appariva giulivo come un bimbo nel giorno della sua prima comunione.

Il Bomba salì sul palco e disse: 

"Da cinque mesi lo diciamo, nessuno del Pd metterà in discussione il sostegno al governo. E lo diremo fino alla fine della legislatura. La durata della legislatura non dipende da noi ma dal governo stesso e dal lavoro Parlamentare”

Sono trascorse solo 480 ore da quelle parole (nota per la Picierno: 20 giorni a 24 ore cadauno (anche se Anzaldi dice che le giornate del Bomba sono di 36) fanno 480) e in questo brevissimo lasso di tempo, sono divenute panzane, frescacce. 
Al solito, il Bugiardo nipote del Sommo Bugiardo Puttaniere, ha sfanculato virtù teologali, dignità politiche, verità indefesse, agendo spudoratamente per l'arsura di ritornare sulla tolda per la rovina finale (nostra). 
Cercando l'accordo con il signore delle tv per la legge elettorale da fare subito, leggasi patto del nazareno 2.0, garantendo la solita protezione ai media del molestatore seriale di gnocca, mediante la spoliazione, la dismissione della tv pubblica, il Bomba è partito all'attacco del governo gestito dal povero ed umile Genty, cercando il punto di rottura, il momento dell'esalazione del respiro governativo. E sembra che l'abbia trovato nel riproporre l'attestato di schiavitù, al secolo voucher.
Stupisce il silenzio di molti cosiddetti pensatori, l'accettazione di questa mussoliniana metodologia di chi si crede Unto ed Indomito Condottiero, quando in realtà altro non è che un circense. E neppure dei più quotati.

Disse



venerdì 26 maggio 2017

Gulp!


Sto gustando Bersaglio Mobile del mitico Chicco su La7 che spiega perfettamente le scorribande di Massimo Carminati, Er Cecato. Solo che mi sto accorgendo che in confronto alla realtà, la serie Romanzo Criminale è Pollicino!

Cuccata!


 

Ekkellalì! E te pareva che non si fosse imbucata anche a Taormina! E come la presenterà Genty? Questa è la perdente più presenzialista del globo! Ekkellalì l'Etruriana!

Articolo


venerdì 26/05/2017
COME ODIANO I RICCHI - RANCORE FREDDO
Melania, una vendicatrice sul palcoscenico mondiale

di Selvaggia Lucarelli

Melania Trump comincia a starmi simpatica, io ve lo dico. E mi sta simpatica perché nel suo linguaggio non verbale c’è un mondo che qualsiasi donna incazzosa e con almeno una relazione conflittuale alle spalle, sa decifrare con la precisione di Champollion di fronte alla stele di Rosetta. Melania Trump detesta Donald quanto un vestito Oviesse, quanto le rughe gravitazionali, quanto le sue foto scollacciate e ruspanti degli esordi, quanto unghie e piedi con lo smalto scoordinato, quanto la riga del suo passaporto con su scritto “nata a Novo Mesto”. Melania odia suo marito e non perde occasione per farlo sapere al mondo. È una di noi.
E noi leggiamo nei suoi gesti tutto quello che accade sull’Air Force One prima che atterri, in casa quando sono soli lei e il marito, al telefono quando scazzano. Lei è con evidenza commovente la regina di tutte le mogli passivo-aggressive del mondo. Quella che non è abbastanza forte da ribellarsi, ma neppure troppo scema da adeguarsi, e allora gli dice: “Ok, vengo da Gentiloni, dal Papa, dal re del Belgio e da tutta questa accozzaglia di gente che piuttosto che dare la mano a te la metterebbe sulla griglia per gli arrosticini, ma come me è costretta a mandar giù il rospo. Ti accompagno, farò le foto di ordinanza, farò la sciura elegante e vedrò di non mettere più gli abiti da strappona che mi piacevano tanto, ma sappi che sto incazzata nera e non ho intenzione di nasconderlo”.
Melania è una di quelle mogli trattenute a cui basta dare un bicchiere in più a cena e in cinque minuti cominciano a vomitare addosso ai commensali le verità più scomode del loro matrimonio. Datele un Barolo a una cena di gala e vi racconterà tutte le corna del marito in ordine cronologico, le battute sulla segretaria, gli sms alla stagista, le sue mutande imbottite e i segreti del suo riporto radiogeno.
Certo, non è la prima first lady infelice della storia e non è neppure la prima moglie di un presidente ad avere accanto un playboy attempato con un osceno senso dell’umorismo. Veronica Lario, per dire, ha avuto il suo stesso problema, solo che lei lo ha risolto a monte: è andata a un paio di incontri ufficiali, poi ha detto a Silvio “Io non ho intenzione di recitare la parte della moglie felice, per cui piuttosto che venire con te da quell’altro zotico di Putin preferisco andare a farmi un tè da Cova con la Latella” e tanti saluti. Melania no. Melania è più subdola. Più furba. Più vendicativa.
Lei, al contrario di Veronica, va agli incontri ufficiali perché VUOLE far sapere al mondo che il marito le sta sulle palle. Vuole far sapere che è solidale coi suoi detrattori, che li capisce, che è lì accanto a lui ma se potesse sarebbe la seconda moglie di Kim Jong un o l’amante di un mariachi messicano.
Certo, era sua moglie pure prima, starete pensando. Già. Il punto però è che prima era la moglie di un playboy attempato con un gatto in testa, ma forse lo vedeva mezz’ora l’anno, all’inaugurazione di un casinò con strip poker e lap dance acrobatico. Facevano entrambi la propria vita, non si disturbavano troppo a vicenda, avevano i loro ampi spazi in cui tutto sommato l’infelicità riusciva a stare comoda. Ora no. Ora, a Melania, la moglie tocca farla per davvero. Anche se solo a favore di telecamere, anche se solo il tempo di un jet lag, anche se solo a sei ore di fuso orario da casa sua, per Donald questo matrimonio “non s’ha da disfare”. E allora, la nostra first lady passivo-aggressiva, ha trovato il modo di lanciare dei segnali al mondo ben più minacciosi di quelli del marito. Di fargliela pagare.

Scendono le scalette dell’Air Force One a Fiumicino, lui fa per prenderle la mano e lei sente l’urgenza improvvisa di mettersi i capelli dietro l’orecchio, anche se sono già dietro l’orecchio. Donald rimane così, come uno scemo, con la mano penzolante e la moglie che fischietta intimamente perché gli ha appena comunicato che non saranno l’Italia, la pizza e il mandolino a metterla di buon umore. Arrivano a Tel Aviv, sono sulla pista dell’aeroporto, lui fa di nuovo per prenderle la mano e questa volta lei la scosta proprio come fosse la mano morta del maniaco sul tram. Per non parlare poi delle facce corrucciate, degli sguardi gelidi, delle espressioni ostili e ringhiose. Insomma, un capolavoro di comunicazione astiosamente non verbale. Ed è per questo che mi è definitivamente simpatica. Perché in fondo, Melania, è l’artefice di una meravigliosa legge del contrappasso: l’uomo che vuole muri dappertutto, si ritrova con quello più alto e invalicabile, a casa sua.

Il nuovo che arretra



Rubrica



Un santo (quasi) al giorno

Come tutti i martirologi che si rispettino, anche il nostro contiene l’eccellenza, il number one (anche se come diceva il mitico Troisi a volte scomodare i santi minori potrebbe essere meglio, visto che sono meno affaccendati dei più noti). 
Per il santo di oggi addirittura abbiamo pensato, per festeggiarlo, ad un triduo, tanto furono mirabili le sue imprese. 
Andriy infatti è riuscito a realizzare chimere, utopie, discorsi epici che si facevano sin da piccoli, vaneggiando, del tipo “pensa vincere ai rigori una finale di Coppa dei Campioni (si chiamava così a quei tempi) contro quelli là!”
E giù risate, sospiri, fantasticherie, a volte velate da tristezza per la risicata possibilità realizzativa. Grazie però all’ucraino, i sogni si sono trasformati, il 28 maggio 2003, in realtà e, successivamente, in epica.
Nativo di un paese che a pronunciarlo gli creò sin da giovane dei grattacapi, visto che inondava di sputacchi gli astanti, Dvirkivščyna, Andriy Mykolayovych Shevchenko venne alla luce, per rimanervi nei secoli, il 29 settembre 1976.
Sin da bambino aveva delle misteriose proprietà che portavano i compagni a considerarlo un mago. In questo primo giorno celebrativo vogliamo soffermarci sullo sguardo magnetico di Andriy, capace di dare il senso giusto al destino.
Guardando il particolare degli occhi sotto riportato, preludio della gioia infinita di quella vittoria, si denota la consapevolezza di Sheva nel libero arbitrio, nel solenne e personale potere di cambiare il corso della storia. Tutto infatti, dal quel 28 maggio, cambiò: molti suoi tifosi fedeli da allora sopportano più leggiadramente le angherie del fato: dita schiacciate, urti tibiali, abitazioni chiuse con chiavi dentro, scariche diarroiche dentro ascensore, da allora vengono accolte dagli sfortunati con semplici e tiepide esclamazioni alla “pofferbacco”. Per ipotesi assurda, se il biblico Giobbe fosse stato un supporter della squadra di Andriy, avrebbe superato con maggiore scioltezza le innumerevoli e celeberrime prove.
Ci sono casi estremi in cui, come per lo scrivente, quel rigore battuto costituì uno spartiacque storico, calendarizzato in una nuova data: oggi ad esempio è il 26 maggio 14 D.S. (Dopo Sheva)
Da quello sguardo, da quell’attimo immoto prima del trionfo, molti hanno attinto forza e consapevolezza per modificare la propria storia, i propri successi personali. Si narra altresì che quegli occhi abbiano potere analgesico, sicuramente callifugo.


(7. Continua)

giovedì 25 maggio 2017

Non ce l'ho fatta!


Ho cercato di non pensarci, distogliendone l'attenzione, ma non c'è stato verso. Ho provato a dimenticare, cercavo una ragione, un motivo. Niente. 
E allora ho analizzato. Non era un incontro ufficiale. Il papà rappresentante di armi infatti è stato accolto al Quirinale in modalità minore, Mattarella lo ha incontrato nei saloni e non nel cortile. 
Che c'entra? 

C'entra. Perché oltre al Papa, al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio, gli americani in visita, tramite la figlia Ivanka ha incontrato un'altra figura istituzionale, una smaniosa di visibilità nonché artefice della maggior debacle referendaria della nostra storia: la Bella Etruriana. Tanta era la voglia spasmodica ed incontrollata di emergere dalle sue scartoffie governative, che la nostra, anzi la loro, è andata a Villa Taverna, residenza dell'ambasciatore americano, per incontrare la figlia del presidente armigero, rompendo il protocollo che prevede invece l'opposto.
Ufficialmente hanno parlato di parità di genere, tratta degli esseri umani e violenza sulle donne. Discorsi nobili, ci mancherebbe! Resta però il dubbio circa l'utilità di tale incontro, a meno che non si consideri le carenze del nostro sottosegretario, sulla carta un'eccezione politica: nessuno infatti nelle democrazie serie del mondo, sarebbe ancora al suo posto dopo quanto di nefasto operato in pochi anni.
Chissà che Ivanka non l'abbia incontrata proprio per questo!


Mumble mumble



Articolo


giovedì 25/05/2017
Tutto è perdonato

di Marco Travaglio

Rinfacciare a Renzi le sue bugie è come accusare Fabri Fibra o J-Ax di fare rap. Ma noi eravamo rimasti ai suoi proclami: “Un condannato, in un Paese civile, va a casa da sé” (30.8.2013), “Una sentenza definitiva dice che è colpevole: in un qualsiasi Paese dove un leader politico viene condannato, la partita è finita. Game over” (11.11.2013), “Mai più inciuci né larghe intese con Berlusconi” (28.10.2013). Ora invece usa la legge elettorale per un Patto del Nazareno-2 che apra la strada a un governo con B. nella prossima legislatura. Tant’è che esclude alleanze solo con M5S e Mdp, e chiama “pregiudicato” Grillo, non B. Eppure B. è pregiudicato per frode fiscale e Grillo per un incidente stradale del 1981 che, politicamente e moralmente, fa una certa differenza. Si dirà: ma Renzi si era già rimangiato tutto nel gennaio 2014, quando siglò il Patto del Nazareno-1. Ma c’è una bella differenza tra allora e oggi. Tre anni fa Renzi s’apprestava ad andare al governo e voleva riformare la legge elettorale Porcellum (appena bocciata dalla Consulta) e la Costituzione. Non avendo i numeri per farlo da solo e volendo coinvolgere le opposizioni, si era rivolto ai 5Stelle, che l’avevano sfanculato. A quel punto aveva coinvolto l’altro terzo del Parlamento: il centrodestra. Operazione legittima, anche se poi produsse i due aborti dell’Italicum (poi cancellato dalla Consulta) e la controriforma costituzionale Boschi (poi rasa al suolo dal popolo italiano).

Ora i 5Stelle sono finalmente scesi dalla loro torre d’avorio e hanno offerto a Renzi i loro voti per una legge elettorale condivisa, partendo dalla legge ritagliata dalla Corte sulle spoglie dell’Italicum, ma disposti a modificarla. E rappresentano tanti elettori quanti il Pd. Dunque Renzi non ha alcun motivo di tagliarli fuori, mentre ne avrebbe parecchi per escludere FI, anche se tutti – non solo lui – fingono di dimenticarli. Domenica i maggiori quotidiani italiani, Corriere e Repubblica, si sono schierati in stereofonia per un bel governo Renzi-B. che salvi l’Italia da “populisti”, “sovranisti”, “antieuropeisti” in due editoriali che, se non fossero tragici, sarebbero comici. Sul Corriere, il politologo Michele Salvati, ex deputato dell’Ulivo, tra gl’inventori di quel capolavoro che è il Pd, ci spiega che Renzi e B. devono unire i loro “opposti moderatismi” per il nostro bene contro i 5Stelle incapaci e nemici della democrazia, e in nome dell’“Europa”. I due gli “sembrano affidabili, da soli o in collaborazione fra loro, come leader di un’Italia che partecipa a pieno titolo al processo di riforma dell’Ue”. Perbacco, roba forte.

Entrambi – ci illumina Salvati – “sembrano convinti che la prossima debba essere una legislatura costituente” per “riprendere i processi di riforma elettorale e costituzionale” in vista di una “democrazia governante”, come se non fossero già stati bocciati dalla Consulta e dagli elettori. Purtroppo – si incupisce Salvati – il noto “moderato” B. ha un handicap. Non, per carità, il fatto che sia un delinquente seriale condannato per frode fiscale e pluriprescritto per altri gravissimi delitti, e che il suo partito sia pieno di criminali, dall’ideatore Marcello Dell’Utri (in galera per mafia) in giù: queste sono quisquilie. Ma il fatto che B. voglia allearsi con i “sovranisti di Lega e Fratelli d’Italia”. Ecco, il problema non è lui, ma le cattive compagnie: frequenta incensurati. La stessa tesi, su Repubblica, sostiene Scalfari, che da mesi implora Renzi di allearsi con “il centrodestra moderato (sic, ndr) di Alfano e Berlusconi”. Il Caimano sarebbe proprio perfetto, se si scrollasse di dosso Salvini che – horribile dictu – è “a ridosso di Putin”. Invece B. e Putin non si conoscono proprio.

Tale è il terrore delle élite italiote di perdere le greppie di riferimento e di non riuscire a controllare un governo dopo 60 anni, che dimenticano, rimuovono e condonano tutto. Anche la storia dell’ultimo quarto di secolo: le sentenze definitive (un’antologia a pag. 2), le leggi ad personam e ad aziendas, i conflitti d’interessi, le devastazioni della Costituzione e della Giustizia, le tangenti, i fiumi di fondi neri, i rapporti con le mafie, i giudici comprati, i vilipendi ai magistrati, l’illegalità legalizzata e rivendicata, le epurazioni in Rai e nei giornali, le compravendite di parlamentari per tenere in piedi i suoi governi minoritari e rovesciare quello maggioritario di Prodi, le complicità con le guerre criminali in Afghanistan e Iraq che hanno poi creato l’Isis, le menzogne elevate a sistema, le corna e le figuracce in giro per il mondo, i sabotaggi di ogni vagito di politica comune europea, i baciamano a Gheddafi, le riverenze ai peggiori tiranni, i bagordi nelle dacie di Putin. Tutto perdonato, tutto prescritto: anche le parole di fuoco che per 20-30 anni Salvati e soprattutto Scalfari hanno scritto contro la più grave minaccia che si sia mai abbattuta nell’ultimo mezzo secolo sulla democrazia italiana.

Ora, che Renzi abbia cambiato idea su B., ci può anche stare: è un ometto senza memoria né scrupoli né pudore perché non ha un passato né un’idea né un’etica e, pur di tornare al potere, è disposto a tutto. Ma se due intellettuali del calibro di Scalfari e Salvati compiono un’inversione a U, anzi a B., così repentina, trasformando un ex pericolo pubblico in un europeista moderato, uno straccio di spiegazione sarebbe auspicabile. B. ha molti difetti, ma non quello di nascondersi o camuffarsi: è sempre lo stesso e si è sempre saputo chi è. Sono Scalfari e Salvati che sono cambiati. E ora dovrebbero precisare se sbagliavano o mentivano ieri, oppure sbagliano o mentono oggi. Non a noi apòti, che non ce la siamo mai bevuta. Ma ai loro affezionati lettori, che potrebbero sentirsi presi lievemente per il culo.

Adieu


Il quasi ultimo tra i prìncipi, il ridondante ecclesiale tutto soft, micro lanciatore di pensieri, a volte tanto velati, celati, imbottiti di parolone auree scorticanti da rimaner mistero per i comuni mortali, ha dunque lasciato l'incarico detenuto per un decennio e tramandatogli, affinché rimanesse di ugual valore, dal più grande politico italiano mascherato della storia repubblicana, Camillo Ruini, il quale per tre lustri levigò, smussò, intarsiò la carica di presidente della CEI, Conferenza Episcopale Italiana, per renderla megafono e soprattutto salvadanaio di potere per i nobilissimi principi, i regnanti e paonazzi di allora. 
Madamina, al secolo card. Angelo Bagnasco, ha proseguito sulle orme del più grande politico mascherato, nel mantenere nei vincoli velatamente ricattatori, l'ambito scranno. Ossia: dire e non dire per dire un'altra cosa, attaccare nascondendosi, con i princìpi non negoziabili, strizzare l'occhio al potente più accreditato nella futura elezione, ri-strizzare l'occhio al vincitore nel caso non fosse quello prescelto, assecondarne la linea politica sempre e per sempre attraverso l'emissione di comunicati, entrati di diritto nel regno delle "supercazzole", stigmatizzare episodi della minoranza dimenticandosi delle travi negli occhi di colui che mai fu attaccato in modo, diciamo, evangelico, ma solo con buffetti al borotalco, vedasi i tre anni incontrati da presidente CEI col regno del Puttanesimo (2008-2011). 
Seguendo i dettami del suo predecessore, Madamina cercò sempre con il Pregiudicato il bene comune, cioè il suo e quello dei suoi sodali, una pletora di affamati di lusinghe e potere mai riscontrata neppure ai tempi dei Borgia. 
Bagnasco saltellava leggiadramente senza mai infierire, senza disturbare, sollevando solo qualche fogliolina autunnale per non indispettire la compagine destrorsa in sella al potere, dedita a stravolgimenti di leggi, di verità, di ideali ad uso personale del re delle Tv, che ancora oggi il Bomba ha il coraggio d'interpellare per la nuova legge elettorale. 
Madamina ha evitato d'immischiarsi in diatribe scellerate, esortando a seguire virtù oramai ingiallite dal peso di quegli anni malsani, maldestri e indecorosi.
Ad un certo punto però sul suo cammino apparve l'Argentino, inaudito restauratore di concetti molto vicini a quel libro, chiamato Vangelo, troppe volte messo a riposo dai compari romani. Per Madamina fu uno shock! Correva nelle stanze incapace di comprendere. Negli ultimi anni di presidenza si dovette addirittura piegare ai nuovi "suggerimenti petrini", arrivando a parlare di disparità, di povertà (gliela dovettero spiegare bene questa parola, con grafici e filmati), di solitudine, di disoccupazione, del valore messianico degli ultimi. Per Madamina si aprì un mondo nuovo, inesplorato. E quando arrivarono delle consultazioni elettorali, lui si preparò a puntino per la solita comparsata, ma venne bloccato da Francesco il quale, molto serenamente, gli fece comprendere che quelli non erano più problemi loro, che la politica ecclesiale fosse divenuta una sola, la più importante: l'attenzione verso i più piccoli, alias Carità. 
Si, in questi ultimi anni il card Angelo Bagnasco ha dovuto sopportare e convivere con questo nuovo corso che poi, detto tra noi, sarebbe quello giusto! 

Non ci mancherà. Lo ricorderemo esclusivamente notando le differenze di gestione con il nuovo quinquennio di Gualtiero Bassetti, probabilmente un presidente CEI adeguato.



Spiegazione


Non c'entra niente il rappresentante di armi, né la moglie gnoccosa, né la figlia rampante. Ecco spiegato il perché di quello sguardo papale... che poi a vedere gli altri ospiti... va a finire che forse... 



mercoledì 24 maggio 2017

In effetti!



wow!



Finalmente Serra!



Punti di vista


Stringe semplicemente la mano alla figlia di uno che parrebbe aver sfanculato i risparmi di migliaia di persone per bene. Io non gliela avrei manco toccata! E il sedicente giornalista Lavia pensi piuttosto a bere tanta acqua che con l'uso smodato della lingua pro Bomba rischia il mutismo!

 

Pensieri



Articolo


mercoledì 24/05/2017
Stragi e autostragi

di Marco Travaglio

Cosa direste se, dopo la strage di Manchester, qualche pezzo grosso dello Stato, della politica, delle forze dell’ordine e dei servizi segreti britannici si mettesse al lavoro non per scoprire e punire tutti gli esecutori, i complici e i mandanti della mattanza, ma per coprirli facendo sparire le loro carte e quelle degli inquirenti, lasciandoli fuggire pur avendoli sottomano, depistando le indagini con falsi colpevoli, lasciando incustoditi i loro covi a beneficio dei compari, intimidendo o facendo ammazzare i testimoni e magari aprendo una trattativa Stato-Isis per addolcire il trattamento carcerario ai detenuti, smantellare le più importanti leggi antiterrorismo del Paese, screditare, isolare e punire i magistrati che indagano sull’immondo mercimonio? No, perché è esattamente quello che è accaduto in Italia durante e dopo le “auto-stragi” del 1992 a Palermo e del 1993 a Firenze, Milano e Roma. Eppure i rappresentanti di quello stesso Stato che 25 anni fa negoziò con Cosa Nostra sulla pelle di decine di vittime innocenti continuano a commemorarle con orge di retorica e lacrime di coccodrillo. Il massimo dell’autocritica è la solita, trita polemica sulla mancata nomina di Giovanni Falcone a capo dell’Ufficio istruzione o della Procura nazionale antimafia, o sulla diffidenza che accompagnò la sua opinabilissima scelta di collaborare col governo Andreotti. Sui mandanti o i complici istituzionali e dunque occulti delle stragi, sugli artefici della trattativa Stato-mafia che le moltiplicò e sui depistaggi per coprire le tracce, silenzio di tomba.
Ieri, in un’intervista al Fatto, il Pg di Palermo Roberto Scarpinato ha messo in fila una serie di fatti documentati e inoppugnabili, unendo poi i puntini di un disegno che dà i brividi a chiunque voglia dargli un’occhiata. Non furono uomini dell’Antistato, ma del cosiddetto Stato, ad avvertire i killer mafiosi dei programmi di Falcone nel terribile weekend dell’Addaura. A rovistare nei file del suo computer al ministero della Giustizia subito dopo la sua morte. A firmare i comunicati della “Falange armata” per rivendicare e depistare ogni attentato. A essere informati in tempo reale della strategia stragista pianificata da alcuni superboss in un casolare di Enna sullo scorcio del 1991, senza far nulla per contrastarla, anzi. A spedire i carabinieri del Ros dal mafioso Vito Ciancimino per avviare una trattativa con Riina e poi con Provenzano piegando lo Stato al ricatto mafioso; a mandare al macello Borsellino, nemico irriducibile di ogni patteggiamento, in via D’Amelio meno di due mesi dopo Capaci.
E furono sempre uomini dello Stato, non dell’Antistato, a inviare un emissario per sorvegliare il caricamento del tritolo sull’autobomba (forse gli “infiltrati” che la moglie del pentito Santino Di Matteo, intercettata, pregò il marito di non nominare mai dopo il rapimento del figlio Giuseppe, poi ucciso e sciolto nell’acido). A trafugare l’agenda rossa del giudice dal teatro ancora fumante dell’eccidio; a confezionare subito dopo un falso colpevole, Scarantino, da dare in pasto ai pm per nascondere i veri colpevoli e i loro complici o mandanti esterni. A non perquisire il covo di Riina subito dopo il suo arresto, lasciando che gli indisturbati picciotti di Provenzano lo ripulissero di ogni carta e traccia. A decidere la revoca del 41-bis per 334 mafiosi detenuti un anno dopo la tormentata approvazione del decreto sul carcere duro.
A lasciarsi sfuggire nel ’93 Bagarella, inscenando un gran casino attorno al suo nascondiglio nel Messinese per farlo scappare, e poi Provenzano a Mezzojuso nel ’96. Ad avvertire Cosa Nostra che il boss confidente che aveva localizzato Provenzano, Luigi Ilardo, custode di preziosi segreti sugli apparati deviati dello Stato, stava per collaborare con la giustizia e mettere a verbale le sue accuse, per farlo eliminare appena in tempo. E ancora – aggiungiamo noi – a svuotare il 41-bis, a chiudere le supercarceri di Pianosa e Asinara, a depotenziare la legge sui pentiti, ad abolire addirittura (per un anno) l’ergastolo per gli stragisti, proprio come Riina aveva chiesto nel “papello”, ad avviare campagne politico-mediatiche contro i pm antimafia (da Caselli e il suo pool protagonista dei processi su mafia e politica a Di Matteo e agli altri magistrati impegnati tuttoggi nel processo sulla trattativa) e contro tutti i più efficaci strumenti di lotta alla mafia: i pentiti, i testimoni di giustizia, il reato di concorso esterno in associazione mafiosa (ideato da Borsellino nell’ordinanza del maxiprocesso-ter), la custodia cautelare e le intercettazioni.

Naturalmente l’agghiacciante denuncia di Scarpinato è caduta nel vuoto, essendo il muro di gomma l’arma migliore usata dal potere contro le verità indicibili. Ora, immaginiamo che opinione si farebbe dell’Italia uno straniero che vi sbarcasse per la prima volta e leggesse i quotidiani e ascoltasse i tg e i dibattiti televisivi di questi giorni, tutti dedicati a quei mascalzoni dei pm e all’obbrobrio delle intercettazioni. Penserebbe: che strano, di solito sono i mafiosi, i killer, i rapinatori, gli scafisti, i trafficanti di droga, armi e carne umana che parlano solo di come sfuggire a quei cornuti dei magistrati e di quegli stronzi degli inquirenti, di come levarseli dai piedi e farla franca, prima di aprire bocca, si guardano intorno, evitano i telefonini e parlano sottovoce per scansare le cimici; invece in Italia tutte queste cose le dicono e le fanno i politici, che negli altri Paesi hanno preoccupazioni diverse, anzi opposte. Si domanderebbe il perché di questo bizzarro fenomeno e come potrà mai il nostro Stato combattere lo stragismo jihadista. E si risponderebbe: vuoi vedere che in Italia governa la criminalità organizzata? Risposta esatta.

martedì 23 maggio 2017

Articolo


Un articolo illuminante di Attilio Bolzoni che spiega quanto il giudice Falcone abbia dovuto patire durante il suo lavoro. Il gelo attorno a lui fu molto simile alla solitudine mafiosa, preludio di assassinii.

Il tradimento del Csm e quello sfogo con gli amici “Io, consegnato ai boss”

ATTILIO BOLZONI

FORSE è stata la prima volta che ha avuto davvero paura. Di morire, di fare la fine che poi ha fatto. La sera prima era ancora sicuro di farcela. Aveva contato e ricontato tutti i voti che gli erano stati assicurati, una croce sul foglio bianco accanto a ogni nome e a ogni promessa. La sera dopo, nonostante i suoi nervi di acciaio, non è riuscito a nascondere agli amici un’inquietudine che ora dopo ora è diventata angoscia: «Così mi hanno consegnato a Cosa Nostra».
Lo Stato italiano aveva appena delegittimato l’uomo migliore che aveva contro la mafia siciliana. Con un voto vergognoso il Consiglio Superiore della Magistratura aveva “bocciato” Giovanni Falcone come consigliere istruttore del Tribunale di Palermo, al suo posto aveva preferito un anziano giudice con sedici anni di carriera in più alle spalle che però niente sapeva dei misteri mafiosi e delle complicate indagini che da qualche anno stavano mettendo sottosopra la Sicilia. Il 19 gennaio 1988 il giudice che per primo aveva messo paura ai boss era ormai sicuro che, prima o poi, quei boss l’avrebbero ucciso. Il segnale arrivato dal Csm era preciso: sei solo, ti hanno scaricato pure i tuoi colleghi magistrati. Disse al consigliere Vito D’Ambrosio, che si era schierato con lui: «Lì dentro mi hanno crocifisso, inchiodato come un bersaglio ». Disse alla consigliera Fernanda Contri, una sua amica: «Ora possono eseguire senza problemi la sentenza di morte già decretata da tempo, perché hanno avuto la dimostrazione che non mi vogliono neanche i miei».
A Palazzo dei Marescialli quel giorno 10 votarono per Falcone, 5 si astennero, 14 votarono per Antonino Meli. Gli voltarono le spalle anche metà di quelli della sua corrente, Unità per la Costituzione. Altri lo tradirono all’ultimo momento. Uno in particolare, un magistrato della procura palermitana che, subito dopo la strage del 23 maggio 1992, Paolo Borsellino apostrofò pubblicamente “il giuda”.
Ma la storia di quella votazione infame era cominciata molto tempo prima. E i mandanti erano nascosti in Parlamento e al Palazzo di Giustizia di Palermo. Era appena finito il maxi processo, il primo successo dello Stato italiano contro la criminalità mafiosa da quando lo Stato italiano esisteva. Ma il giudice era “troppo avanti” con le sue investigazioni, si stava avventurando nella terra di nessuno delle contiguità. Un pool antimafia che aveva rivoluzionato i sistemi di indagine, che aveva “centralizzato” tutte le informazioni riservate, che si era trasformato in una cassaforte di segreti. Custodita da Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello, Leonardo Guarnotta. E dal loro capo Antonino Caponnetto.
Ma Caponnetto, dopo quattro anni e quattro mesi — era sceso a Palermo alla fine del 1983 per sostituire Rocco Chinnici saltato in aria a luglio — stava per andare in pensione. Chi, più di Falcone, per competenza, passione, merito, senso dello Stato, avrebbe potuto sedersi su quella poltrona di consigliere istruttore? I nemici di Falcone calarono l’asso di bastoni con astuzia, quasi alla scadenza dei termini delle domande per diventare consigliere istruttore a Palermo. Con un nome: Antonino Meli. Era un magistrato anziano, presidente della Corte di Assise di Caltanissetta, che aspirava alla presidenza del Tribunale di Palermo. Un incarico prestigioso. Alcuni giudici, però lo convinsero a ritirare la domanda per quella poltrona e ripiegare sulla carica — meno importante — di consigliere istruttore. Contro ogni ambizione e logica, Meli accettò il consiglio dei suoi colleghi. Fu la mossa finale per sbarrare la strada a Giovanni Falcone. Fra Palermo e Roma organizzarono la trappola, fra il palazzo di giustizia siciliano e il Consiglio superiore della Magistratura. Giocando tutto sul fattore “anzianità” si arrivò alla votazione del Plenum che ridusse Falcone a carne da macello. Il relatore Umberto Marconi spiegò così la scelta: «Accentrare tutto in figure emblematiche, pur nobilissime, è di certo fuorviante e pericoloso. Ciò è titolo per alimentare un distorto protagonismo giudiziario, incentivare una non genuina gara per incarichi di ribalta... Si trasmoda nel mito, si postula una infungibilità che non risponde al reale, mortifica l’ordine giudiziario nel suo complesso».

La battaglia del Csm non è stata una bega fra magistrati, una rissa corporativa. Antonino Meli in una settimana disintegrò otto anni di indagini di Falcone seppellendo il pool antimafia. Avocò a sé l’ultima inchiesta sul pentito Antonino Calderone e la sbriciolò in una quindicina di tronconi, spedì brandelli di ordinanze a una dozzina di procure sparse per la Sicilia, con una sola firma riportò la lotta giudiziaria alla mafia all’età della pietra. “Spezzatino antimafia”, lo chiamarono i palermitani. All’inizio di quell’estate Paolo Borsellino, che era procuratore capo a Marsala, non rimase in silenzio. E in una clamorosa intervista a Repubblica e all’Unità, accusò: «A Giovanni Falcone hanno tolto la titolarità di tutte le indagini di mafia, la lotta alla mafia è finita». Era il 19 luglio del 1988. Esattamente quattro anni prima dell’autobomba in via D’Amelio.

In memoria


Ci si vedeva quasi sempre di mattino, anzi, all'alba. Tutte e due infatti amavamo quei momenti in cui il silenzio cominciava a rompersi per il risveglio, sempre più generalizzato, della città. Oltre al consueto saluto, chiacchieravamo del più e del meno, secondo la liturgia mattutina. 
Franco era un amante ed un intenditore della natura. Amava andare a scorrazzare nei suoi campi, a Valdipino, adorava il contatto con la terra, mi trasmetteva le architetture progettate nella notte che al pomeriggio avrebbe trasformato, attraverso la sana fatica, in realtà. Lavorava in Comune, e ne andava fiero. Amico di tutti, faceva parte di quella schiera di poche persone che, se interpellate per qualsiasi necessità, si rendono sempre disponibili, aumentando semplicemente le ore del giorno.
Franco Figoli non c'è più, se ne è andato all'improvviso, come era nel suo stile, alla Batman. Lo voglio ricordare così in questa alba triste, nella quale prendo impegno solenne di portare avanti la nostra comune condivisione, apprezzando le prossime che verranno, godendo anche per lui della fragranza pregustante l'arrivo di Messer Infuocato.
Ti sia soave la terra, amico del mattino!


Anniversario



lunedì 22 maggio 2017

Pensieri


La comunità europea ci suggerisce di reintrodurre l'Imu per le prime case dei più abbienti.
Il Bomba sicuramente starà pensando:"Impossibile! I più danarosi sono i nostri elettori! Abbiamo preso più voti ai Parioli che in ogni altra parte d'Italia! Non se ne parla nemmeno! Al massimo pagheranno i soliti noti. Tanto ci sono abituati."

Rebus




Soluzione:

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IDENTICI

Rubrica


Un santo (quasi) al giorno.

Oggi finalmente ricordiamo un italiano, un grande e sfortunato, dipende dai punti di vista, italiano: Marco Pacione, nato a Chieti il 27 luglio 1963. Ha giocato tra l’altro nell’Atalanta, nel Torino, nel Genoa e in altre squadre. 

Fin da piccolo Marco si distinse per essere molto disattento: sbagliava classe alle elementari facendo infuriare le maestre che alla fine del primo trimestre gli consegnarono 15 pagelle, prendeva erroneamente autobus per andare alle superiori (tanto che i genitori una volta lo andarono a recuperare a Gorizia), pare abbia passato due mesi di sofferenza mettendosi le scarpe invertite, camminando come uno che si fosse sontuosamente cagato addosso, tanto che i suoi compagni lo avevano a forza costretto a passare le giornate di studio dentro lo sgabuzzino delle pulizie; molti a Chieti lo ricordano ancora quando sbagliò per parecchi giorni l’entrata in biblioteca, finendo invece nell’adiacente club massaggi cinese, cosa che gli procurò seri problemi alla vista, poi per fortuna superati.
Pacione, nonostante tutto, fu pronto per i grandi palcoscenici europei.
La sua perla più preziosa, indimenticabile, è la partita del 19 marzo 1986 a Torino contro il Barcellona per il ritorno dei quarti di finale di Coppa Campioni. Una prestazione indimenticabile, tanto che il portiere dei catalani, Urriticoechea, a fine partita esclamò: ”Pacione è stato un amico!”
In quel match le cronache ricordano le bestemmie di Platini nei suoi confronti e il record di pressione sistolica raggiunta da Giovanni Trapattoni, 340/140.
Marco sbagliò (o fece gioire molti) così tanto da trasformare lo sciagurato Egidio Calloni in Garrincha.
Il giorno dopo, in ogni dove, comparvero scritte a lui inneggianti da molti intenditori di pallone, contrari alla famosa equazione “Potere + auto = trionfi calcistici europei” , per fortuna mai fino ad ora confermatasi veritiera.
Marco Pacione viene ancora oggi venerato in molte zone d’Italia, ha molti club a lui dedicati, tra l’altro oggi più che mai in fibrillazione in vista di un match in terra gallese, il cui motto inconfondibile risuona sul globo “Pacione ti portiamo gratis a Papeete, se ci allontani il Triplete!”

(6. Continua)




Oh si scherza!


Si sa che il mondo del pallone è fucina di sfottò e prese per il culo. Al di là dello scherzo però occorre rendere onore ad una compagine tra le più forti in circolazione che ieri ha vinto il suo 33mo titolo. Una squadra compatta, fantasiosa, capace di vincere ovunque, mai sazia che si appresta a giocarsi la finale di Champions. Standing ovation quindi, senza pregiudizi per i bianco... anzi per i blancos e per CR7! Vamos!

domenica 21 maggio 2017

Gozer Muser



Si, Gozer è tornato e si sta impossessando di noi. La divinità sumera del 6000 a.c di Ghostbusters è entrata, di soppiatto, dentro la tecnologia e, divorando giovani d'ogni specie, porterà al sacco della decenza intellettuale. 
Sto esagerando? Non credo se avete al sfortuna di sapere cosa cazzo siano i Muser. 
Non lo sapete? 
Esistono sul globo un 200 milioni di idioti a cui neppure la tenera età può costituire valida discolpa.
Una piattaforma cinese, sempre loro, Musical.ly, senza ritegno e contando molto sulla debolezza delle cervici, su flaccide sinapsi, su mutismo da palmari, sulla digitazione subdola e spegnente fantasia, offuscante pensieri tendenti all'umano, ha sparso un virus temibile nel mondo, un virus intaccante valori quali bravura, talento, dedizione. Muser appunto. Diventi muser se fai un video di 15 secondi, senza parlare, scimmiottando una canzone famosa. 
La rivincita di Bernardo, il servo di Zorro. 
L'atrocità è che diventi famoso. Si, famoso! 
Come tale Luciano Spinelli, il must italico, anni 16 che ieri in un centro commerciale di Roma, oramai paragonabili alla fumeria d'oppio di C'era una volta in America, salendo sul palco ha fatto sperticare mani giovanissime di adoranti fans, ovvero iscritte al sempre più vitale organismo internazionale sul Nulla, per glorificare questo apostolo dell'insignificante, dell'oblio filosofico, dello spartiacque tra la nostra specie e quella delle anatre, con tutto rispetto per quest'ultime. 
Fans e divismo attorno ad un buco nero possessivo, goloso delle nostre personalità, accecante pensieri compiuti, deviante da sane abitudini, scorticante l'individuo, nettare per coglioni d'ogni specie. 
Si, Gozer è tornato. Questa volta per la vittoria finale. A meno che non si riesca a sfanculare muser e tutti gli adepti sconsolatamente diversamente umani. 

sabato 20 maggio 2017

Rubrica


Un santo (quasi) al giorno

Oggi si ricorda una persona particolare, Luis Alberto Suarez, nato a Salto il 24 gennaio 1987. Soprannominato El Pistolero, non sembrerebbe in apparenza un tipo da celebrare, per via di un episodio accaduto ai mondiali del 2014, quando Luis morsicò un giocatore, tale Chiellini, famoso per essere irreprensibile e corretto in campo. Stigmatizzando l’incresciosa vicenda , occorre però comprendere da dove derivi questa abitudine di Suarez: già alle elementari, vista la temibile dentatura, Luis aiutava i compagni nell’apertura delle merendine, delle bibite, degli astucci inceppati. In tutta la città di Salto se per caso si bloccava un montacarichi, un ascensore, una cerniera, Luis accorreva e in un attimo risolveva il tutto.
Suarez è stato per molti anni eletto come il più buono della classe ed una volta, come racconta tale Fernando Dos Corimba, ha aiutato una segheria che doveva consegnare un lavoro urgente, a tagliare con i denti le assi necessarie al completamento delle attività. Fu insignito della cittadinanza d’onore e del “Morso d’Oro”. Attualmente anche a Barcellona ha aperto una free ferramenta dove riesce a tagliare metalli nobili in brevissimo tempo con una precisione mandibolare da Guinness.
In carriera oltre al campionato uruguagio, varie coppe inglesi ed olandesi, ha vinto due campionati spagnoli, due coppe di Spagna, una Supercoppa Uefa, una Coppa del Mondo per club e, soprattutto, una Champions League.
Il 6 giugno 2015, nel meraviglioso stadio di Berlino, ricordandosi del famoso detto latino “Cum fava Italici rivincere hic” (Con la fava che gli italiani rivincono qui) Luis Alberto Suarez al 23’ della prima frazione contribuisce alla vittoria per 3 – 1 del Barcellona.
Viene osannato quale protettore contro le diarroiche pulsioni che la visione di esultanze di biondi dirigenti ex calciatori in tribuna, scatenano.

(5. Continua)


Enigma



Banane




venerdì 19 maggio 2017

Pensieri e opinioni



Venticinquesimo



Tra quattro giorni saranno 25 anni. Tutta l'Italia lo ricorderà, anche chi ancora continua a lavorare segretamente con Cosa Nostra perché il Natale lo festeggiano tutti, anche chi non crede. Alle 17:56 del 23 maggio 1992 con un esplosione di 500 kg capace di far oscillare i pennini del sismografo siciliano, muore Giovanni Falcone sua moglie Francesca Morvillo, e tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. 
Attilio Bolzoni su Repubblica di oggi, presenta una stupenda inchiesta in merito, da cui si evince come l'impegno di Giovanni Falcone, di Paolo Borsellino e del pool palermitano, sia stato basilare ma non estirpante. Perché Cosa Nostra è ancora viva e vegeta, in modalità "manza" (tranquilla). Perché ogni giorno qualcuno in Italia o nel mondo ne lava i proventi illeciti, frutto di commercio di droga, di pizzi, di angherie. Perché è impensabile che questi stratosferici guadagni non sfiorino politici, di ogni grado e colore. Perché ciò che avviene in silenzio, nel sottobosco riesce a far clamore, purtroppo, in menti e cuori che ancora credono nello stato di diritto. E sono sempre meno.
Occorre ricordare che Giovanni Falcone fu attorniato da corvi, nemici, pusillanimi venduti alla malavita organizzata. 

Occorre ricordare che Giovanni Falcone fu:
bocciato come consigliere istruttore
bocciato come Alto Commissario antimafia
bocciato come candidato al Consiglio Superiore della Magistratura
bocciato come procuratore nazionale.

Forse in quest'ottica l'anniversario della strage di Capaci tornerà utile a risvegliare coscienze, a renderci conto che un partito con cui il segretario pidino appena rieletto parrebbe voler continuare a tessere accordi, fu ideato da una persona attualmente in carcere a Parma per collusione mafiosa. 
Servirà a renderci conto che oggi magistrati come Antonino Di Matteo stanno lottando, murati vivi, per investigare sui rapporti mafia-stato. 

Perché la lotta non è assolutamente finita. Anche oggi infatti qualche faccia candida, benevola, timorata, avrà lavato milioni di euro, frutto delle attività della manza e placida organizzazione.