venerdì 31 agosto 2018

Elogio



Gli dei dell'Olimpo, attoniti, han contemplato la meravigliosa azione ispirata dal Sommo Pipita che, illuminando la Lombardia, ha confezionato un mirabile, scioccante, annichilente, impensabile  passaggio, liberando il figlio delle nostre maglie Patrick il quale, nato e forgiato per gonfiar le reti, ha spedito un siluro dorato nella porta degli "aho annamo!"
La dea Eupalla, commossa, pare aver già deciso ove dovrà venir riposta la gloria a maggio! Grazie Ragazzi! E un bacione in nuca al duo delle meraviglie Pipita-Cutrone!

Strano, molto strano...




Surf nell'orrore



Parma bene, tutto bene, ragazzo regolare, uomo di successo nella Parma bene, un negozio aperto alla grande, di conseguenza pure grande imprenditore-bene, ma Parma non c'entra nulla perché se sei una testa di cazzo puoi far pur parte della Milano bene, della Torino bene, del bene di quello che minchia vuoi! 

Foto del sito del negozio di abbigliamento bene: 



Osp! In manutenzione, prego sono comprensivo ci mancherebbe, si lo so è un inconveniente, ma gli incidenti di percorso ci sono nell'imprenditoria come nella vita. Solo che a volte la meschinità, la bassezza, la merda fuoriuscente da un cervello, simile a quello di questa persona corretta, bene, F.P., rasenta la voglia di spedire nello spazio cotanti orchi pregni di assenza di futuro e di socialità.
Si, perché questo ragazzo bene, uno che contava, uno di successo, ha avuto la brillante idea di rimorchiare una ventunenne a Parma, assieme ad un altro animale, pure spacciatore, di trascinarla nella sua splendida casa bene, magione degna per uno di successo come lui, e violentarla tutta la notte, corroborato da droga, droga-bene sia chiaro, che via via altri spacciatori gli consegnavano dietro richiesta, nella notte. E questo personaggio-bene ha utilizzato pure strumenti di tortura sadomaso, un'arte per uomini bene, tipo fruste, bavagli alla bocca, arnesi bloccanti braccia e gambe, per una splendida serata, di quelle da narrare poi ad altri compari-bene. 

Ed su Facebook come sarà il profilo del suo negozio bene? 



Per fortuna è già stato oggetto di commenti questa volta assennati! 

Sar...à cosi?


Uno dei dilemmi più occulti, per ovvie ragioni economiche, riguarda i cellulari: sono dannosi o no? 
Chi si schiera a favore della nocività a volte viene svergognato, equiparato a coloro che credono alle scie chimiche. 
Però l'Organizzazione mondiale della Sanità ha inserito le radiazioni dei cellulari tra i "cancerogeni possibili." 
A tal proposito esiste pure un'unità di misura: il Sar che misura la quantità di radiofrequenze assorbite dall'essere umano non solo quando lo usa, ma anche quando lo tiene in tasca o a ricaricare, magari vicino a dove dorme.  

Questa è la classifica degli smartphone con il più alto valore di Sar



giovedì 30 agosto 2018

Una caritatevole pensione



Ma ammiratelo questo vescovo Patrick McGrath della diocesi di San Jose in California! Giunto al termine della sua missione, irta, caritatevole, pregna di stenti, e lo potete notare dal viso lontano anni luce dal paffutello che si era speso per combattere l'angustiante mancanza di alloggi nella sua terra, con gente poveretta costretta a dormire in auto! 
La sua povera diocesi inizialmente, pensando alla sua pensione, gli ha comprato una bicocca, evangelicamente in sintonia con la sua canuta persona, 306 metri quadri, che volete che siano, con tanto di camera da letto hollywoodiana e bagno in marmo degno di una spa, alla modica cifra di 2,3 milioni di dollari! 
Che volete che siano per cotanto simbolo della carità evangelica, dello spendersi per le anime, con tanta fatica profusa negli anni, e si vede dal visto, a cercar pecorelle smarrite! 
Per fortuna McGrath ha annusato piamente l'aria merdona che si stava elevando, a mo' d'incenso, attorno a lui e ha fatto marcia indietro, preferendo andare a vivere in una casa per preti anziani. 
Quando si dice la forza spirituale di una comunità! 
Mangi qualcosa eccellenza, che la vediamo molto deperita! 
Prosit!

Occasione persa




Luigi Di Maio, incontrando l'illiberale Presidente d'Egitto Al-Sisi, ha perso un'occasione storica, lui che è figlio della terra dell'insuperabile maestro Totò. 
Nel momento in cui Al-Sisi ha pronunciato la frase "Regeni è uno di noi!", si sarebbe dovuto alzare e fare una mastodontica, epica, indimenticabile Pernacchiona nei confronti di chi, pare, si sospetta essere stato il mandante dell'assassinio del nostro connazionale.
Peccato Luigi! Saresti passato alla Storia! 

Un filo invisibile e becero


C'è qualcosa che unisce momenti drammatici da Amatrice, distrutta dal terremoto di due anni fa, all'alluvionata Livorno: le intercettazioni telefoniche riportanti il giubilo di chi, chiamato impunemente imprenditore, esultava per il disastro ambientale con frasi raggelanti del tipo "brinderemo all'alluvione!", simile all'esultanza da stadio di altri mononeuronici i quali, il giorno dopo il terribile terremoto nell'Italia centrale, ridacchiavano già sognando grandi guadagni sulle spalle di vittime e superstiti a cui il cataclisma portò via tutto, compresa la dignità.

A Livorno, a seguito di un'inchiesta accesa dal sindaco pentastellato, al vertice della piramide c'era Riccardo Stefanini, ex coordinatore della Protezione Civile locale, già arrestato lo scorso maggio per peculato (utilizzo improprio dell'auto di servizio e dei buoni benzina) e c'è pure la ditta Tecnospurghi con il suo titolare Emanuele Fiaschi ai domiciliari. Stefanini è accusato di aver pilotato le gare, facendo rimanere la Tecnospurghi unica impresa in gare poi vinte, durante l'emergenza livornese, gonfiandone i costi, approvando attività mai svolte e, comprando sacchi di sale da disgelo da 20 Kg a 15 euro, Iva esclusa, quando nella vicinissima Pisa confezioni da 25 Kg costavano 3,5 euro. 

Un filo macabro lega queste due tragedie, pullulanti di gentaglia senza cuore, frutto di questa società avariata, insensibile, viscida, senza sentimenti, ammaliata esclusivamente dal male odierno più temibile, il lucro. 
Nessuna pietà per questi avvoltoi senza scrupoli, con la speranza, oramai fievole, che la nostra nazione di possa impegnare in una seria manutenzione di menti e cuori, attraverso un lungo percorso culturale purtroppo mai iniziato, al fine di rimodulare scale di valori da troppo tempo sfasate, privilegianti denaro alla comunità, al sociale, nel rispetto di vittime e innumerevoli disagiati.    


Commento ai commenti


Ieri mi sono imposto, quasi scocciato, di leggere l'articolo su Repubblica di "Uolter" Veltroni imperniato sulla crisi, meglio dire scomparsa, della sinistra in Italia. Tutto sommato un bel articolo anche se il metodo, la medicina proposta da Uolter non la condivido pienamente. Scalfari stamani su Repubblica incensa l'articolo sperticandosi come solo lui sa fare e proponendo nomi su cui ripartire: Gentiloni, Minniti, Zanda, lo stesso Veltroni e naturalmente il Presidente Mattarella. Scalfari quindi propone il vecchio per cercare di portare novità all'interno dell'esangue sinistra. A mio parere un coacervo d'inutilità, una ripartenza senza movimento, un'iniezione palliativa senza futuro.
Interviene pure l'Eterno Scocciato Cacciari che, pungolando Uolter nel ricordargli gli errori che anche lui fece al tempo del segretariato del partito, propone un partito federale, transnazionale con il leader dal basso. Cacciari analizza pure i macroscopici errori fatti al tempo della nascita del PD: 

«La sinistra italiana ed europea li ha compiuti già dagli anni Settanta e Ottanta. Da un lato, ci furono grandi trasformazioni sociali, cambiamenti nel lavoro che fecero smottare la base della sinistra, senza che i suoi leader ne prevedessero le conseguenze.
Dall’altro, la questione istituzionale: in quegli anni la sinistra non affrontò le riforme, chiudendosi nel conservatorismo e rifiutando chi, come i sindaci del Nord, chiedeva una svolta in senso federale. Un atteggiamento che accomuna Veltroni a D’Alema e Prodi».

E questi sono i rimedi proposti sempre da Cacciari:

«Ricostruendo dalle fondamenta un partito con un radicamento territoriale, con gruppi dirigenti che emergano dal basso, dalle località. Che valorizzi chi nel suo ufficio, ospedale, giornale, scuola, sindacato rappresenta quel luogo. Il contrario di quanto ha fatto il Pd, che scelse le cooptazioni. Ci vuole discontinuità netta: un partito non liquido ma di massa».

E dirò pure la mia: per far rinascere la sinistra in Italia occorre che avvenga solo un fatto: anteporre i diritti degli esseri umani ai profitti, abbattendo senza remore l'alterazione democratica trentennale che chiamo tecno-rapto-finanziocrazia.
E propongo pure un nome su cui ripartire: Tomaso Montanari.

Ottimo Bergonzoni


giovedì 30/08/2018
Siamo Annegati nel mare delle giustificazioni

di Alessandro Bergonzoni

Sequestro un uomo. Il libro non l’ha scritto Primo Levi. Ma un governo. E ce ne sono quasi 100 copie, viventi. Proviamo a leggere. Parla di una nave venuta da lontano col suo carico di anime a migliaia di chilometri dalla propria terra affamata, guerreggiata, violentata e a pochissimi metri dalla nostra terra in pace (?). Mancava un ponte che non si voleva far scendere, una semplice passerella, ci sono voluti dieci giorni per fare due metri. Siamo ai limiti della lentezza, ai limiti, già oltrepassati, di una nuova follia a quanto pare non gratuita, ai limiti della legge, che alterna l’obbligo della giustizia a una sua libera interpretazione, a seconda dei fini di partito.

E siamo al punto: al crollo, dei ponti che uniscono innocenti e colpevoli, prede e predatori, venduti e compratori, peccanti e impeccabili, poveri meno poveri e ricchi o più ricchi, sani e ammalati, italiani e resto del mondo; ponti che sono caduti questa volta non a causa degli archi di tempo, tiranti e campate, più struzzo che calce, ma per idee, quelle sì campate in aria, idee di forza maggiore, minore e di potere che conferma che non c’è grazia, non c’è bene, non c’è intelligenza, non c’è visione, non c’è unione né pietà.

Ai funerali della pietà, non c’è n’è. Essa stessa è terminata in quei pochi metri. L’amore è stato bandito, anche lo Stato sembra diventato bandito; come in un rapimento ha accettato di trattare sul rilascio dei sequestrati: “E va bene facciamo una concessione per le donne e i bambini”.

Si può infrangere la legge delle vite in tanti modi, anche divertendosi a fare le navi in bottiglia e a chiuderle imbottigliando chi c’è dentro. E questo è il primo, il secondo e forse non ultimo atto di forza, della vecchia commedia che vede la continua mancanza di “pontefici” in noi (pontis facere dal latino), che possano non far cadere nel vuoto, anche di potere, persone innocenti sì portatori di violenza, ma subita!

E chi ha da ridire sull’innocenza o colpevolezza degli uomini lo faccia sempre dichiarando che colpevole lo si è in primis, di abuso di dolore, di indifferenza molesta, di ignoranza, di pena inflitta senza alcun motivo, di assenza di responsabilità. Sembrava che non ci fosse nessun “pontefice” in noi o fra di noi che collegasse quella scaletta, dei valori politici e sociali, a questo benedetto maledetto molo, per far scendere chi poi dovrebbe risalire, per fare andare a terra chi a terra era e sarà comunque ancora, purtroppo.

Una pazzia che racconta il cambio di dimensione che stiamo vivendo, anzi morendo. Che travalica le posizioni politiche e non c’entra solo con le diverse strategie sulla transumanza globale, col mercato, le infrastrutture, gli investimenti: c’entra con il ministero della Sanità, ma delle coscienze.

La mancanza di vergogna accompagna gesti moribondi, la mancanza di una benché minima consapevolezza del male che prende vita, e poi la sfregia. L’assenza di colpa che accompagna il dolore procurato è la prova della distanza che dobbiamo scoprire e non coprire.

Poi è arrivata anche e quasi sola una parte della chiesa, che ha deciso di cambiare la dimensione politica e partitica in accoglienza, presa in carico. Ha deciso di fare ponte. Ma insisto: chi è pontefice? Chi non lega, non getta la passerella, chi vuole far crollare?

Il tempo, questo tempo, è finito, l’uomo, questo uomo, non ha più senso, al massimo solo sensi. Non basta più, non serve più se non cambiamo il “pontificare”, il sobbarcarci.

Quali altri segni ancora dobbiamo aspettare dalla natura o dagli uomini, per renderci conto che il cambio o lo subiamo o lo diventiamo? A quante e quali esequie dobbiamo presenziare, quanti articoli ancora dobbiamo leggere in cronaca, quanti insulti e vendette dobbiamo ascoltare sui media che altro non fanno che informarci sulla nostra empietà? Dobbiamo annegare nella nostra saliva a forza di trovare un mare di assurde giustificazioni? L’apocalittico è pessimismo?

E se fosse invece quella forza profetica e di rinascita che ci manca proprio per non di-sperare più soltanto, ma per rivelarci altre verità?

Travagliato finale?


giovedì 30/08/2018
Tempo scaduto?

di Marco Travaglio

Quando partì il “governo del cambiamento”, scrivemmo che era legittimo, visto che univa i due vincitori (parziali) dalle elezioni e rappresentava – diversamente dai quattro precedenti – la maggioranza degli italiani. Oltretutto era l’unico governo possibile, dopo il (sacrosanto) rifiuto dei 5Stelle di allearsi con B. e il (demenziale) diniego del Pd, cioè di Renzi, di rinnovarsi profondamente e di dialogare con loro su pochi punti per un’intesa a tempo (la soluzione più auspicabile dopo il 4 marzo). L’unica alternativa erano elezioni subito, dall’esito scontato e terrificante: vittoria del centrodestra a trazione leghista e governo Salvini con B. riabilitato e dunque ministro, magari della Giustizia. Poi però aggiungemmo che quel “governo Frankenstein” avrebbe avuto un senso soltanto se avesse cambiato profondamente le cose, almeno su alcuni annosi problemi italiani: mancanza di lavoro, precariato, povertà, corruzione, evasione fiscale, conflitti d’interessi ecc. Sulla carta, che a governare fossero le uniche due grandi forze politiche che negli ultimi 7 anni erano rimaste fuori poteva essere un vantaggio, anche se la Lega è il partito più antico (più ancora di Forza Italia), ben incistato nel sistema di potere che ha retto l’Italia nella Seconda Repubblica. E che proprio di lì – nonostante il maquillage di Salvini – sarebbero sorti i maggiori ostacoli al cambiamento. La riuscita e la durata del Salvimaio, che unisce due forze popolari, ma con idee e basi sociali diverse se non opposte, dipendevano dalla fedeltà al contratto. Ma soprattutto dalla capacità di Salvini di uscire dalla sua campagna elettorale permanente. E di mettersi a fare le cose, profittando delle mani libere dell’alleato non (o non ancora) lobbyzzato.

In questi tre mesi, quella condizione non si è verificata. Salvini non ha alcuna intenzione di risolvere i problemi, ma solo di usarli. È sempre in giro a farsi propaganda. In questo somiglia spaventosamente a B. e Renzi: l’amministrazione, primo dovere di un ministro-vicepremier, forse lo annoia, forse non gl’interessa proprio. Vinta un’elezione, già pensa a come stravincere quella successiva. Fermarsi a lavorare sui dossier è un’inutile perdita di tempo che lo distoglie dal perenne giro d’Italia per conquistare altri voti a suon di sparate. E anche di errori grossolani. Come l’assurdo braccio di ferro sulla Diciotti, che alla fine l’ha visto cedere dopo aver inflitto a quei 167 disperati un inutile surplus di sofferenze; ma, quando finalmente avrebbe dovuto spiegare la retromarcia ai suoi fan, è arrivata provvidenziale l’arma di distrazione di massa.

Cioè l’incriminazione giudiziaria, ottimo pretesto per parlar d’altro. O come la tragicomica alleanza col  fascista ungherese Viktor Orbán, un Salvini senza porti e senza mare: lui i migranti non li vuole a casa sua, li preferisce a casa nostra. Se la nuova Europa passa da quell’asse, peggio per noi, ma anche per Salvini. Altro che “prima gli italiani”: semmai, prima gli ungheresi e i loro compari di Visegrad. I 15mila milanesi in piazza a Milano a fine agosto, al seguito di una sinistra che pareva morta, dovrebbero suggerirgli qualche pensiero. Anche molti elettori di centrodestra non vogliono aver nulla a che fare con quel truce e trucido figuro e mai hanno sognato – se non come incubo – un’alleanza con certa gentaglia. Intanto Conte e Moavero tessono pazientemente, fra mille difficoltà, la tela diplomatica e ottengono ogni tanto qualche piccolo risultato per risalire la china degli accordi-capestro firmati dagli scriteriati predecessori, sui migranti e non solo. E la linea dura sull’immigrazione, pur fra mille contraddizioni e forzature, ha portato a un nuovo crollo delle partenze dei barconi e dunque delle morti in mare, anche se le condizioni dei campi-lager in Libia restano agghiaccianti.
Ma le cose buone fatte da un governo che è anche il suo e dalla maggioranza che è anche la sua (taglio dei vitalizi alla Camera, dl Dignità, un Dg indipendente alla Rai, revisione delle concessioni di beni pubblici a partire da quella regalata ad Autostrade&Benetton) sembrano non interessare Salvini. Che anzi le vive come un fastidio e un inciampo alla sua scorribanda demagogica e solitaria di Cazzaro Verde solo contro tutti. A questo punto è evidente che la maionese è impazzita. I 5Stelle non possono passare il loro tempo a fermare la mano dell’alleato e a prenderne le distanze. Né lasciarsi logorare da un partner che non ha alcuna intenzione di governare e ogni giorno, cinicamente, li sputtana. La catastrofe di Genova, poi, ha dimostrato che le lobby – orfane dei vecchi sponsor e complici – puntano tutto sulla Lega per salvare i loro privilegi: infatti i governatori nordisti Fontana, Zaia, Fedriga e Toti han subito fatto cambiare idea a Salvini sulla ri-nazionalizzazione di Autostrade: preferiscono tenersi buono il mondo confindustriale, che li usa come ultimo baluardo per le sue greppie. Prima o poi, anzi più prima che poi, se nulla cambia, Di Maio & C. dovranno porsi seriamente il problema del che fare: cioè se e quando staccare la spina. Anche perché presto o tardi, più presto che tardi, prima delle Europee 2019 o subito dopo, lo farà Salvini.
Ps. Di questo e di tanti altri temi parleremo alla festa del Fatto, che inizia stasera alla Versiliana: è un appuntamento (ormai il decimo) che ci dà la carica per iniziare bene ogni nuova stagione del nostro giornale e per captare le voci e gli umori della comunità dei nostri lettori. In attesa di cominciare, ringrazio tutti gli ospiti che hanno accolto l’invito. Iniziando da Carlo Verdone, che sarà con noi stasera, e da Max Gazzè, che ha aggiunto la tappa di domani del suo Alchemaya Tour a Marina di Pietrasanta apposta per noi. Buona festa a tutti.

mercoledì 29 agosto 2018

Cuccato!



Ahiahiahi!



Il pallismo autostradale


Leggendo l'intervista all'AD di Atlantia, Giovanni Castellucci, che riporto qui sotto e che è tratta da Repubblica in edicola oggi, avverto un malessere, un'ondata di un movimento culturale molto in voga nella tecno-rapto-finaziocrazia a cui per dovere verso le vittime, sono chiamato a porvi rimedio! (in rosso le mie osservazioni)

Castellucci
"Noi e Cdp ipotesi da discutere ma no alla statalizzazione"

Intervista di
ROBERTO MANIA

Giovanni Castellucci, amministratore delegato di Atlantia e di Autostrade, non chiude all’ipotesi di ingresso della Cassa depositi e prestiti nel capitale del gruppo controllato dalla famiglia Benetton. In questa intervista, la prima dopo il crollo del ponte Morandi di Genova, il numero uno di Autostrade ripete le scuse per aver dato «la percezione di mancanza di vicinanza alle vittime», subito dopo la tragedia. Respinge l’idea che le condizioni previste dalla concessione siano troppo squilibrate a favore di Autostrade. Ricorda che l’eventuale processo di nazionalizzazione è «tutelato dai contratti e dalla Costituzione».

Castellucci, il giorno del crollo il suo gruppo ha dato la sensazione di non aver compreso l’entità del dramma.
E di un’assenza di partecipazione rispetto alla tragedia delle vittime. Perché?

«Sono state ore particolari in un periodo particolare dell’anno.
Sicuramente — e l’ho già detto — non siamo riusciti a far sentire a Genova e all’intero Paese la nostra vicinanza. Ho già espresso, per questo, le mie scuse. Forse perché la nostra voce si è persa di fronte alla quantità di reazioni che questa gravissima tragedia ha suscitato. Forse anche perché appena arrivati sul posto, ed io sono stato il primo ad arrivare tra coloro che non erano in turno quel giorno, la prima preoccupazione è stata di cooperare con il presidente della Regione e con il sindaco in una sorta di comitato di crisi per risolvere le prime urgenze: i soccorsi e la viabilità alternative».

Atlantia ha emesso il giorno dopo un asettico documento ufficiale in cui non ha minimamente accennato a condoglianze e dolore.

E perché il lungo silenzio anche della famiglia Benetton che con il 30% controlla il gruppo?

«Gilberto Benetton mi ha personalmente trasmesso il cordoglio e la sofferenza della famiglia. Ma nella tragedia di Genova spetta ad Autostrade far sentire la voce e la vicinanza alla comunità».

Autostrade è di Atlantia, che è a maggioranza dei Benetton. Nello stesso pomeriggio la figlia di uno dei Benetton ha festeggiato alla grande a Cortina il compleanno del marito. Il giorno dopo, Ferragosto, tutti i Benetton hanno pranzato alla grande assieme ad un centinaio di amici, sgrollandosi la ceppa in merito al dolore per le vittime 

La magistratura accerterà le responsabilità, ma lei ha pensato in questi giorni di dimettersi?

«La mia principale preoccupazione è far uscire Genova e la società Autostrade dall’emergenza a fianco delle istituzioni locali, con cui c’è un dialogo costruttivo».

La principale preoccupazione di Castellucci e di Atlantia, come da documento emesso il giorno dopo, è di chiarire che, in caso di termine della concessione, lo Stato dovrà pagare l'utile annuale moltiplicato per gli anni dell'accordo, inizialmente a fine 2038 poi, per mano del ministro Del Rio, prolungato al 2042. 

Quella che si prospetta è una battaglia legale dopo l’avvio delle procedure da parte del Governo per la revoca della concessione, ma anche una battaglia di comunicazione.
Perché l’altro ieri avete anticipato l’audizione del ministro Toninelli rendendo note le parti della convezione fino ad allora secretate? E perché avete omesso la proroga collegata ai lavori della Gronda?

«Intanto il corpus complessivo del contratto, degli atti aggiuntivi e degli allegati tecnici e finanziari era già stato consegnato alla commissione competente del Senato oltre un anno fa, affinché fosse consultabile da parte dei parlamentari della commissione.
Dunque non era da tempo un "segreto di Stato". In ogni caso non c’è alcuna correlazione tra l’audizione del ministro e la nostra decisione di rendere pubblici i testi completi della convenzione, la gran parte dei quali era già stata pubblicata on line dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
Lo abbiamo fatto per rispondere a dubbi e sospetti. Sulla cosiddetta proroga della concessione era arrivato il via libera dalla Commissione di Bruxelles, ma ora è il ministero che può decidere di completare l’iter. Per questo non c’è ancora nulla da pubblicare».

Atlantia si è "dimenticata" di pubblicare la proroga sulla Gronda e la postilla, fatta da Del Rio, in cui chi vorrà prendersi la concessione a fine 2042, dovrà cacciare 6 miliardi ad Atlantia (leggasi Benetton.) Quisquilie.

Dopo l’avvio della procedura di contestazione da parte del governo che potrebbe portare alla revoca della concessione, avete immaginato il gruppo Atlantia senza Autostrade?

«Autostrade fa parte del patrimonio storico di Atlantia di cui è l’asset più importante. Non ci sono allo stato altri scenari. E siamo fiduciosi di poter dimostrare la correttezza del nostro operato».

Vergognosa affermazione, alla luce della riduzione dei fondi per la manutenzione e di conseguenza l'aumento dei profitti. La magistratura farà il suo corso, stabilendo anche chi sapeva delle difficoltà del ponte Morandi ed ha taciuto.

Si è parlato molto dell’ingresso di Cdp in Autostrade, è questo uno scenario possibile?

«Non c’è alcun progetto né alcun contatto. Posso dire, tuttavia, che la cooperazione con fondi di investimento istituzionali anche di matrice pubblica e con obiettivi di lungo termine fa parte del nostro dna. È il caso di Edf, nostro partner in Francia, di Cpp (primo fondo pensione canadese) in Sud America e di Bank of China attraverso Silk Road Fund in Autostrade per l’Italia».

Alle condizioni che i vari governi che si sono succeduti hanno proposto ad Atlantia, chiunque su questa terra farebbe fuochi d'artificio per averne a centinaia. Rapto-concessione per prelevare denari ai poveri utenti. 

È uno scenario possibile anche quello della nazionalizzazione?

«Molti ne hanno parlato evidenziando l’incoerenza di un ritorno al passato, che sarebbe in totale controtendenza nel mondo occidentale. Mi limito ad osservare che sono i contratti e la Costituzione a chiarire quali sono le condizioni per una eventuale nazionalizzazione».

E grazie al c...! Abbiamo già pagato le strutture. Adesso ingigantiamo con i pedaggi il già sterminato portafoglio dei Benetton. 

L’accusa che vi viene fatta è di aver gestito un bene pubblico guardando solo gli interessi privati, i profitti e i dividendi degli azionisti.

«Questo è un tema centrale su cui è bene fare chiarezza. Ci sono troppe informazioni, dati, numeri che circolano a volte in maniera incompleta o tralasciando le cose importanti. Autostrade privatizzata è una società radicalmente migliore rispetto a quella pubblica, da qualunque parte la si guardi: investimenti, qualità dei servizi, sicurezza, efficienza, viabilità. Fino ad arrivare alle risorse devolute allo Stato. Prima della privatizzazione Autostrade investiva in media 120 milioni l’anno. Dopo la privatizzazione abbiamo tenuto un ritmo sei volte superiore, circa 750 milioni annui di investimenti l’anno. La mortalità si è ridotta del 75 % grazie a tutti gli interventi, dall’asfalto drenante su tutta la rete ai sistemi di controllo della velocità. Autostrade pubblica versava allo Stato 900 milioni circa l’anno, inclusi i dividendi. Ora da privati ne versiamo circa 1,4 miliardi».

La madre di tutte le palle! La spesa in manutenzione è calata negli anni, l'asfalto drenante ci mancherebbe che non fosse stato steso, sarebbe un ritornare all'età della pietra. Lo scorso anno sulla A1, lo posso testimoniare, all'altezza di Bologna si sono create delle voragini dopo una gelata. Autostrade per l'Italia disse che il freddo aveva creato questi crateri, dimenticandosi che in Finlandia, in Svezia, in Norvegia non hanno mai avuto simili problematiche. Isoradio servilmente trasmetteva code per incidenti, dimenticandosi di chiarire la realtà dei fatti, ossia un asfalto fatto alla cazzo&campana, provocante rotture di pneumatici a camion ed auto. Ripeto, fui testimone in prima persona di questo fattaccio. Inoltre la mortalità per fortuna si è ridotta anche per l'istallazione dei Tutor. 


Eppure secondo il governo, e non solo, è una concessione squilibrata a favore del privato.

«Non si può dimenticare che la società fu privatizzata nel 1999 a un valore complessivo di otto miliardi di euro, oltre quattro volte il valore di libro, in base a una gara internazionale. Commisurato a quell’investimento, il rendimento è stato in linea con il mercato.
Un rendimento, non dimentichiamolo, che termina nel 2038. E rispetto al presunto squilibrio della concessione ritengo che il via libera della Commissione europea alla proroga, dopo un’istruttoria di oltre un anno focalizzata su eventuali condizioni di privilegio per il concessionario, dimostri esattamente il contrario».

Terminerà nel 2042, altra palla! La Commissione Europea si lamentò della quota del 10% lordo elargito dal governo di allora per la remunerazione. 

Ma la concessione stabilisce un tasso di remunerazione del capitale investito di oltre il 6,85% netto, superiore al 10 % lordo. Le sembra un trattamento di mercato?

«C’è un grande fraintendimento, che a volte sembra creato ad arte. Il numero a cui lei fa riferimento è il rendimento fissato nel 2012 quando i Btp garantivano un rendimento netto del 5%, al culmine della crisi. E si riferisce solo a investimenti richiesti dopo il 2008, ad oggi ancora in fase autorizzativa. Quindi è un rendimento applicato solo marginalmente e già rivisto per il prossimo quinquennio fortemente al ribasso, in base alle direttive Cipe e grazie alla riduzione degli spread. Ma ripeto, sono le modalità standard di calcolo del rendimento del capitale per tutte le utility».

Verificherò quanto sopra. Ma già ora annuso l'ennesima palla. 

E le pare ragionevole che i pedaggi crescano più dell’inflazione?

«Non è così. Il meccanismo prevede una crescita pari al 70 % dell’inflazione, salvo le remunerazioni previste per gli investimenti addizionali richiesti dallo Stato a valle della privatizzazione».

Eccome che è così! Difronte ad un quasi 12% di inflazione, Atlantia (Benetton) hanno preso negli ultimi anni aumenti vicini ad un buon 23%.

Dunque è colpa dello Stato se aumentano i pedaggi?

«Non è una colpa: è lo Stato che ci ha chiesto interventi ulteriori, che noi abbiamo realizzato per adeguare la nostra rete ad un traffico che negli anni è cresciuto.
Investimenti fortemente richiesti dai territori per migliorare la competitività. E comunque, nonostante i forti investimenti, le tariffe italiane restano ampiamente inferiori alla media europea».

Un pallario incommensurabile! Ad ottobre di ogni anno Atlantia (Benetton) batte cassa per l'anno nuovo. Dire che le tariffe italiane restano ampiamente inferiori alla media europea è come dare una mazza ad uno psicopatico in un negozio a Murano. Incita alla violenza. Io stesso leggendolo mi sono quasi amputato una falange dal pugno che ho appioppato al tavolo! In Germania gratis. In Svizzera 50 euro tutto l'anno. Qui da noi se da Pisa vai a Bari paghi oltre 60 euro! (ahi che dolore mi fa la mano!)

Ma voi ricostruirete il ponte o lo farà un altro soggetto pubblico? Metterete solo i soldi? Lei sta parlando con il governo italiano o con il ministro dei Trasporti?

«La ricostruzione è stata delegata al Commissario straordinario con cui abbiamo rapporti quotidiani e costruttivi. Quanto al ministro dei Trasporti, il rapporto principale è la procedura di contestazione a cui risponderemo nei prossimi giorni. Noi rimaniamo a disposizione di tutte le istituzioni e auspichiamo che si crei un clima costruttivo con tutti».

Dovete sganciare la grana cari signori! Parrebbe che sapevate. E non avete fatto nulla! (lo accerterà la magistratura)

Rifarete il ponte con la collaborazione di Fincantieri?

«Stiamo andando avanti con il nostro progetto coinvolgendo i migliori progettisti ed esecutori, interni ed esterni. Confermiamo che in otto mesi dalla disponibilità delle aree si può ricostruire. Ma ogni altro contributo qualificato è ben accetto e lo valuteremo, con grande attenzione».

Non ci fidiamo più di Atlantia (Benetton)! Sganciate i soldi ed al progetto ci penserà la regione, lo Stato. Che siamo noi, assieme alle quarantatré vittime. 

Ricordi e presente



Se i miei avi si fossero imbattuti in questi due energumeni, alcuni problemi sarebbero già stati risolti. Diffidavano infatti dei canotti con qualche neurone attorno, già presenti a quei tempi. 
Ricordo anche persone, oramai a spasso nel grande fiume, tutte d'un pezzo, a cui la parola vacanza collimava con servizio alla Festa dell'Unità. Li vedevo d'estate uscire con in mano l'abbigliamento tipico della cucina: fieri, leggiadri, orgogliosi, mai sopra le righe, coscienziosi. Passavano decine di giorni davanti ad una friggitrice con una leggerezza accostabile alla Fracci, indomiti sapevano di essere un giunto di una spettacolare macchina in grado di promulgare l'ideale granitico di sinistra, autentico, non adulterato da baggianate rignanesi.
Se questi due tristi figuri avessero incontrato questi miei eroi dell'infanzia, ci sarebbero stati sicuramente meno molari o canini sulle arcate, nel contempo però tanta sana e rigogliosa voglia di sovvertire ed abbattere un'eclatante meschinità come questa foto lascia ampiamente trasparire.

Verità



Condivido in pieno!


mercoledì 29/08/2018
L’estate sta finendo Salvini si riveste. Resta il sapore di mare

di Alessandro Robecchi

C’è un certo sollievo nella fine dell’estate: l’afa sparisce, le zanzare se ne vanno, Salvini si riveste. Ma resta sempre qualcosa nell’aria, un sapore, un ricordo, un hashtag. Per esempio la gente torna in città, fa il pieno e paga la benzina come e più di prima, perché il tizio seminudo che aveva promesso come prima cosa di togliere le accise sulla benzina se n’è dimenticato. Così molti fanno il pieno bestemmiando, ma non contro lo smemorato dei selfie, il bevitore di mojito, il divoratore di mozzarelle, il guidatore di moto d’acqua, ma contro “i negri” che ci rubano il lavoro.

Mah, sarà perché siamo distratti: stiamo osservando incantati, anche un po’ ipnotizzati, un ministro dell’Interno che compare in ogni istante seminudo con le sue domandine: siete d’accordo? Siete come me? Vi piaccio? È un circolo vizioso di depressione. Dicono gli esperti di media che Salvini fa così per diffondere il messaggio: “Visto, italiani? Io sono come voi”.

È così che subentra lo scoramento: cazzo, siamo veramente così scemi? Crisi di identità. E anche miopia, perché le statistiche dicono che l’italiano medio non si fa un mese di vacanza ora al mare, ora ai monti, ora in barca, ora a cena, ora con la torta (la torta nella notte della strage di Genova, tra l’altro, tra canti e brindisi felici). Visto? è come noi! Anzi, pure peggio, il che dovrebbe rassicurare sugli ampi margini di peggioramento dell’italiano medio.

Ora che viene l’autunno e che dovrà rivestirsi, cosa s’inventerà? Mi aspetto da un momento all’altro Salvini che riga la macchina del vicino che gli sta antipatico, che piscia in ascensore, che pesa due pere in meno al supermercato e le aggiunge al sacchetto dopo aver attaccato lo scontrino. Perché? Perché “è come noi”, cioè ci dice indirettamente che siamo delle merde.

Forte coi deboli (177 povericristi sequestrati su una nave) e debole con i forti (i Benetton gli vanno bene, basta che tirino fuori un po’ di soldi), Salvini apre un notevole problema ai suoi alleati di governo, quelli che hanno il 32 per cento e si comportano con lui come se avessero il 17, mentre lui ha il 17 e si comporta come se avesse il 32. I quali alleati di governo, i 5stelle, si affannano nella spasmodica ricerca di qualcosa che riesca a rubargli per un po’ la scena e i riflettori.

È qui che impazza il dibattito: possibile che dodici milioni di elettori 5stelle siano tutti sdraiati sulla linea Salvini? Possibile che il ministro dell’Interno faccia anche il ministro degli Esteri, dell’Economia, della Sanità, dei Trasporti e di tutto quanto? Ci vuole ancora molto perché i ministri 5stelle si accorgano che non sono “i negri” che gli rubano il lavoro, ma un ragazzotto a torso nudo che usa le frasi del Duce e lancia una provocazione via l’altra? Come se ne esce?

Ovvio che non può fare tutto questo da solo. Ha una nutrita pattuglia di balilla e piccole italiane che sostengono il suo pensiero debole. Esempio tipico, il vecchio, caro “prendili a casa tua” (sempre i famosi “negri”), con l’aggiunta che in Italia ci sono dieci milioni di poveri (che naturalmente i ritwittatori del tizio desnudo non si sognano nemmeno di “prendere a casa loro”).

Così, finalmente si scopre a cosa servono gli italiani sotto la soglia di povertà: a giustificare il sequestro di profughi torturati e violentati richiedenti asilo. In compenso, sempre per aiutare i poveri italiani, si propone la flat tax per tagliare le tasse ai milionari. Non fa una piega e chiude il cerchio: si sventolano i poveri per aiutare i ricchi. Quando i 5stelle si accorgeranno che il ragazzotto seminudo gli sta scavando la terra sotto i piedi e se li mangia sarà sempre troppo tardi: una vita passata a dire che uno vale uno e poi ecco che si scopre che il peggiore di tutti vale due, tre, quattro e tutto il cocuzzaro. Amen.

martedì 28 agosto 2018

Lager

Corriere della Sera - Orrore nei lager libici

Cliccando qui sopra entrerete nell'orrore, l'ennesimo, che nostri fratelli sfortunati subiscono nei cosiddetti centri di raccolta libici. 
Una prova ulteriore di come questo mondo stia andando inesorabilmente a rotoli, travolgendo la dignità di tutti noi. 

Dai fumi del mito


Per anni, come encomiabili rimbambiti, siamo andati dietro alla mitologia, al dire e non dire, al mascherato quasi sussurrato "si dice che..." e mai, mi metto in prima fila, a nessuno di noi è passato per la testa di approfondire il fatal intrigo, il capestro padre di tutti gli incaprettamenti di questa era moderna solo nella parola, riportante invece la nostra nazione all'era del baratto. 
Chi di noi infatti scorrazzando con la propria utilitaria per la penisola, si è mai soffermato su come funzionasse, su chi gestisse le migliaia di chilometri a pagamento, dal prezzo ritoccato amorevolmente ad ogni capodanno? 
Chi si è mai posto l'arcano dubbio nel constatare che sia le autostrade che gli autogrill, con il Camogli oramai più caro del caviale, appartenevano alla stessa famiglia? 
Come sempre accade in una nazione disorientata, sciallata, incartapecorita ci sono voluti i morti, quarantatré per la precisione, per alzare il velo d'ignavia sociale, di menefreghismo schizofrenico, attanagliante le nostre improvvide menti, scarnificate da media consenzienti ed obnubilanti, al fine di comprendere il diabolico ratto di cui siamo stati vittime e, per via della nostra indolenza democratica, complici. 
Siamo riusciti a comprendere l'abnorme inganno scientemente progettato da boiardi di stato, da ingannatori seriali, da complici indefessi, uniti nella sistematica ruberia con la famiglia Benetton di cui i cosiddetti giornaloni hanno taciuto per rispetto, e per la pioggia di una sessantina di milioni annui in pubblicità, il nome. 
Siamo stati tanto correi della madre di tutte le inchiappettate che neppure ci siamo scandalizzati sul fatto che la concessione, lo scritto tra gli infedeli servi di stato e i magnaccioni veneti, fosse da sempre secretato, occulto, levato dalla vista dei veri proprietari delle infrastrutture, che dovremmo essere noi. 
Coglioni, ci hanno trattato, al solito, da coglioni, ridendo probabilmente pure sul nostro vivere pacioso, ringalluzzito solo per l'arrivo di qualche nababbo pallonaro o di una nuova serie di qualche show rimbambente, offrendo loro l'idea, a ragione, di avere a che fare con dei molluschi senza nerbo né parte, figuriamoci arte. 
Con sfrontatezza inaudita lor signori hanno tramato alle nostre spalle per lucro, per elargizioni a fondazioni, ovviamente segrete in nome delle privacy, per affarismo, fregandosene dei pericoli, ahimè rivelatisi il 14 agosto verità drammatica.
Hanno scarnificato la dignità nazionale trafficando ignobilmente sulla nostra pelle, hanno scordato ogni beltà appassionandosi ad un sempre più lauto guadagno, sperticandosi per i profitti, festeggiando per i nuovi aumenti annuali ben più alti dell'inflazione e c'immaginiamo ad esempio i veglioni epocali dei Benetton allorché con l'arrivo del nuovo anno, arrivavano pure nuovi e giganteschi introiti frutto delle angherie truffaldine alle nostre miserrime tasche. 
Ed in nome di quei quarantatré morti, risvegliandoci dal torpore per il grave lutto nazionale, ci dobbiamo, senza remore, metterci democraticamente in attenzione al fine di comprendere, senza tentennamenti, fino a dove si siano allungate le tenebrose gesta di questi spregevoli ed epocali ingannatori.
E allora passiamo ai dati, senza dimenticar che, come ulteriore sfregio, ieri la società Autostrade ha deciso di pubblicare la concessione statale, dimenticandosi però alcuni allegati, i più deleteri per loro che ci informano di alcune cose:

La remunerazione del capitale
A fronte del capitale investito, con denaro acquisito tramite prestito bancario, la remunerazione del capitale investito ripaga dai costi degli interessi passivi dovuti al debito, oltre che per le imposte. La differenza, sottratti gli interessi e le imposte, è il profitto del gestore. La convenzione, aggiornata nel 2017 quando al ministero delle Infrastrutture sedeva "Gattasorda" Del Rio, concede un faraonico 10,21% come remunerazione del capitale. Da sottolineare che persino "Burocraziolandia" Europa obbiettò tale cifra che suonava come merdoso accordo persino alle loro vetuste orecchie. 
Ma insensibili a tutto, i nostri rappresentanti di allora decisero di sottoscrivere tale percentuale che al netto delle imposte risulta essere del 6,85%.

Tra il 2013 ed il 2017 Aspi (Autostrade per l'Italia) ha incassato 4,65 miliardi di utili (4.650.000.000 miliardi di euro che fan più effetto)

Gli aumenti delle tariffe autostradali vengono succhiate per il 70% da Atlantia (Benetton) più la remunerazione. 

Anspi elargisce allo stato, che siamo noi, il 2,40% sui ricavi dei pedaggi. Nel 2017 i ricavi sono stati 2.855.000.000 (due miliardi e ottocentocinquantacinque milioni di euro) 
Nei documenti si evince che gli aumenti delle tariffe autostradali da qui al 2028 saranno del 24,6%.

La concessione fu migliorata, per i Benetton, nel 2007 dal governo Delinquente Naturale - Lega (con il Cazzaro Verde già nella direzione)

La costruzione della oramai famosa Gronda (che badate bene sarebbe dovuta arrivare al ponte maledetto crollato) che divenne la scusa per la proroga della concessione al 2042, pensata dal governo del Silente Gentiloni con Gattasorda Del Rio ministro impelagato. 

Nel 2007 i costi per la Gronda genovese furono preventivati in 1,8 miliardi. Nel 2018 si sono trasformati in 4,3 miliardi. Un miracolo, parrebbe! 

Ciliegina sulla torta: Aspi si è impegnata ad aumentare i costi della manutenzione portandoli dai 284 milioni del 2013 a 292 nel 2038. I maggiori lavori autostradali vengono però assegnati a Pavimental una società di proprietà, indovina indovinello, di Autostrade! 
(fonte dei dati sopra esposti: Repubblica del 28 agosto 2018 e Fatto Quotidiano)

PD, Forza Italia, Lega e compari dovranno spiegarci tutto, e dettagliatamente. Soprattutto il PD ci dovrà illuminare sul codicillo presente nell'aggiornamento della concessione in cui si prevede che nel 2042 chiunque volesse subentrare ai Benetton, compreso noi ovvero lo Stato, dovrà sganciare alla Famiglia veneta una cifretta di 6 miliardi di euro!!!

Riuscite a capire ora l'inghippo, la stortura, il ratto? 

Grazie a politici della malora che si sono succeduti dal lontano 1999, abbiamo messo nelle mani di pochi, stucchevoli, imprenditori una enorme gallina dalle uova d'oro e, pur avendo già ampiamente pagato il costo della costruzione, attraverso questi stolti accordi, elargiamo gigantesche somme di denaro senza alcun tornaconto. Il ministro Del Rio (non è l'unico responsabile di queste scorribande finanziarie alle nostre spalle, ma solo l'ultimo della serie) ha inoltre prorogato la fine della concessione, che sarebbe dovuta scadere nel 2038, portandola al 2042. 
Per la gioia dei Benetton e per la sconfitta disonorevole di tutti noi. 
Questa è solo una delle innumerevoli vicende convalidanti l'esistenza di una forma alterata di potere che spesso chiamo tecno-rapto-finanzicrazia che, per il rispetto ai quarantatré morti, abbiamo il dovere civile di affossare definitivamente. 



  
   

Travaglio


martedì 28/08/2018
I Senza Vergogna

di Marco Travaglio

Ma chi scrive i testi ai Benetton&Autostrade per l’Italia? Non contenti del tragicomico comunicato sul crollo del ponte Morandi, dei due festini a Cortina a poche ore dalla tragedia, della conferenza stampa-farsa dopo i funerali e della richiesta di danni al governo per le critiche alla loro malagestione, questi professionisti della catastrofe se ne sono inventata un’altra: per dimostrare di non aver nulla da nascondere, hanno pubblicato online una serie di documenti che tenevano segreti da anni sulle concessioni gentilmente ottenute dal 1999 al 4 marzo 2018. E hanno spacciato il tutto per una desecretazione totale. Purtroppo – come spiega Daniele Martini a pag. 8 – si sono scordati un paio di dettagliucci: le carte sullo scandaloso aggiornamento della concessione nel 2007 (governo B.&Lega) e sulla Gronda di Genova usata come scusa da Gentiloni&Delrio per prorogare il contratto senza gara e riaumentare i pedaggi. È il progetto che, in barba ai suoi documenti ufficiali, Autostrade gabella per sostitutivo del ponte Morandi (mentre avrebbe consentito ai Benetton di lucrare sia sulla Gronda da 5 miliardi sia sul ponte pericolante). Poche ore dopo il ministero dei Trasporti ha pubblicato tutto, ma proprio tutto online, sbugiardando la finta trasparenza di Autostrade. Così Benetton e i loro compari politici si son dati non una, ma due zappe sui piedi. 1) Hanno ammesso che i segreti di Stato sulla concessione non avevano ragion d’essere, se non per coprire le vergogne di concessionario e mandanti. 2) Hanno confessato di essere perfettamente consapevoli dei privilegi indebiti ricevuti e di aver tentato di occultarne i dettagli più imbarazzanti fino all’ultimo, pur sapendo che il governo stava per smascherarli.

Ora Pd, FI, Lega & C. dovranno spiegarci perché garantirono quei privilegi indebiti, tenendo i cittadini (e persino l’Autorità che dovrebbe vigilare sui trasporti) all’oscuro non dei continui aumenti dei pedaggi (quelli sono pubblici), ma delle loro motivazioni. E d’ora in poi nessun bene pubblico – tv, acqua, spiagge – dovrà più restare o finire a privati con patti segreti. I cittadini hanno il sacrosanto diritto di sapere tutto della gestione dei beni pubblici, specie quando sono monopoli naturali. Non sappiamo quanto durerà la strana coppia M5S-Lega, ma bastano pochi mesi per restituire fiducia nella democrazia con una mossa semplice e a costo zero: applicare il principio di trasparenza inaugurato da Conte e Toninelli su Autostrade a tutti i settori che nascondono rendite di lobby. E restituirci almeno l’idea platonica di un Ufo ormai disperso nell’iperuranio: lo Stato.

Dixit



lunedì 27 agosto 2018

Nei meandri


Sto leggendo un ottimo libro di Sandra Bonsanti "Il grande gioco del Potere" e mi sono raggelato nell'apprendere che, durante il sequestro Moro, fu smantellato, ad opera dell'allora ministro degli Interni Cossiga, non mi manca assolutamente il Picconatore, l'efficientissimo nucleo antiterrorismo guidato da Emilio Santillo. 
Cossiga anzi, per chi se lo ricorda, Kossiga istituì il comitato anticrisi composto, tra gli altri, dai seguenti signori:

Generale Giudice, capo della Guardia di Finanza
Ammiraglio Giovanni Torrisi, capo di Stato Maggiore della Difesa
Generale Giuseppe Santovito, capo del Sismi
Prefetto Giulio Grassini, direttore del Sisde
Generale Donato Lo Prete, pure lui al vertice della Finanza
Colonnello Giuseppe Siracusano Responsabile dei posti di blocco
Criminologo Franco Ferracuti 
Prefetto Ferdinando Guccione
Funzionario di polizia Elio Cioppa

Bene, cosa avevano in comune questa brodaglia di potenti, qual era il minimo comun denominatore che legava questi ribaldi in un momento tanto grave per la nostra Repubblica, durante la ricerca del covo delle brigate rosse, scritto rigorosamente minuscolo, dove detenevano il Presidente Aldo Moro in attesa di giustiziarlo? 
Erano tutti, ma proprio tutti appartenenti alla mefitica, squallida, vigliacca associazione massonica P2, retta da quel bastardo, per fortuna già da parecchio sotto terra, Licio Gelli. 
Tanto per capire il perché non fu trovato il covo, né lo statista, per il godimento degli sciacalli golpisti di allora, che s'aggiravano attorno al nostro stato, con il beneplacito di mamma America. 
Da voltastomaco!   

Non fate i Viganò!


Io modificherei pure i dizionari, immettendo la voce Viganò come "rancoroso, biliare, astioso. Tipico atteggiamento di chi vistosi messo in un cassetto, sfocia la propria rabbia sproloquiando contro qualcuno, infangandolo con accuse alla "cazzo&campana." Esempio: "dai smettila, non fare il Viganò!"

Leggete questo commento apparso oggi su Repubblica:

Le manovre contro Francesco

CHI ATTACCA IL PAPA

Alberto Melloni

Che un vecchio prelato, furibondo per non avere fatto carriera, covi risentimento verso il Papa è l’abc del cattolicesimo romano. Che usi i giornali per vendicarsi è un déjà vu, dai tempi in cui il cardinale Ottaviani affidò a Indro Montanelli carte per denigrare papa Giovanni. Che dunque un nunzio — monsignor Carlo Maria Viganò — decida di far sapere poco diplomaticamente che papa Francesco avrebbe ignorato le sue denunce, e gli chieda di dimettersi, non dovrebbe stupire.
È infatti la conferma di un dato preoccupante. Nella selezione dei candidati all’episcopato sono stati scelti uomini privi delle doti spirituali e della stabilità psicologica richieste. Così fra quelli che hanno governato le diocesi coi preti pedofili, troppi si sono resi complici in guanti bianchi dei delitti. Fra quelli che hanno servito la Santa Sede alcuni si sono rivelati omuncoli disponibili a giochetti come questo di Viganò, che per la sua puntualità sordida e mafiosa è impossibile credere non sia stato pianificato, orchestrato e temporizzato. Non da lui, ma da qualcuno che ha scelto di fare di lui un Corvo in talare.
Scelta non casuale. Quando il 1° ottobre 2011 Benedetto XVI nominò il cardinale Giuseppe Bertello Governatore della città del Vaticano non gli fece un favore: diplomatico di immensa esperienza, dotato di un tatto politico unico nella infinita crisi italiana, Bertello aveva la statura per fare ben altro. Ma il Papa — che preferiva a un segretario di Stato "un confidente" amico — si tenne la lealtà del cardinale Bertone e "usò" Bertello per risanare quell’ultimo e chiacchierato residuo di potere temporale. Scelta intelligente: che però tagliava la strada a Viganò che, dopo un periodo in Nigeria e dieci anni in Segreteria di Stato a Roma, era passato proprio alla segreteria generale del Governatorato, convinto di poterne scalare il vertice e diventare cardinale. Già a primavera 2011 Viganò aveva fiutato aria di fronda attorno a sé e aveva scritto ai superiori spiegando che erano i colpevoli di una mala gestio che volevano bloccare la carriera a cui si sentiva vocato e rimandarlo a fare il nunzio, in una sede prestigiosa ma lontana dal suo attico. E in effetti il 19 ottobre 2011 Benedetto XVI nominò Viganò nunzio negli Usa. Cento giorni dopo, con la pubblicazione di quelle sue lettere di accuse, iniziava la compravendita di carte dell’appartamento papale che va sotto il nome di Vatileaks.
A Washington Viganò doveva però essersi consolato pensando che Francesco lo avrebbe premiato per quei suoi passi. E rincarò portando nuove denunce. Invece niente: Francesco ha atteso che avesse l’età per la pensione, lo ha congedato dal servizio e anziché lasciargli l’appartamento che il monsignore s’era tenuto in Vaticano, gli ha fatto dire che poteva tornare in diocesi. Ce ne sarebbe abbastanza per spiegare un gesto vendicativo, ma autolesionista ( se Viganò sapeva più di tutti, più di tutti ha taciuto).

Ma quel che è chiaro è che qualcuno ha fatto di un pollo il Corvo. Attaccare papa Francesco alla fine del suo viaggio irlandese, a sei giorni dalla lettera al popolo di Dio, a un mese dal ritiro della berretta cardinalizia a Mc-Carrick, prima dell’arrivo del nuovo Sostituto e del rientro del Segretario di Stato, nasconde un disegno: che non ha nulla a che fare con la pedofilia, ma col tentativo di saldare l’integrismo anti- bergogliano con il fondamentalismo politico cattolico. Cioè il mondo dei tradizionalisti legati al cardinale Burke, che ha deciso di passare dai dubia alle calumniae scommettendo sulla possibilità di agire come blocco in un futuro conclave. E il mondo della "destra religiosa" americana ed europea che da quella grande chiazza nera stesa fra Monaco e Budapest, fra Danzica e Roma, sogna di smantellare l’Europa della pace per farla ritornare la terra degli Dei della Guerra. Chi ha insignito il pollo del ruolo di Corvo voleva misurare l’effetto di una bufera mediatica non su Francesco, ma sul collegio cardinalizio, sull’episcopato, sui teologi; poi si vedrà.

Commento Giannini

SALVINI ALL’INCASSO DEL POPULISMO

di Massimo Giannini per Repubblica

La macabra danza sovranista intorno alle povere vite di 150 disperati sembra concludersi in gloria per Salvini. Può ergersi a martire di fronte alle masse impaurite e adoranti, e lucrare un altro tesoretto di consensi persino su un avviso di garanzia inseguito e provocato a ogni costo.
Il "ministro della mala vita" non meritava questo "favore", dicono quelli che la sanno lunga. E non hanno tutti i torti, vista la cinica astuzia con la quale il Conducator leghista ha trasformato subito un possibile inciampo giudiziario in un sicuro dividendo politico.
Ma cosa deve fare una democrazia occidentale, di fronte a un uomo di governo che per incassare un altro pugno di voti viola scientemente le leggi dello Stato e le norme del diritto internazionale? Deve auto-limitarsi nel funzionamento delle garanzie costituzionali e del bilanciamento dei poteri, per non fare il gioco di un ministro che, indagato, grida in piazza "gli italiani sono con me"?
La squallida bravata salviniana sulla nave Diciotti, e quelle che verranno nelle prossime settimane, hanno nientemeno che questa posta in palio: se non la tenuta, la qualità democratica del Paese. E non è un’esagerazione, con buona pace delle anime belle che consideravano eccessivi gli allarmi sulla natura tecnicamente "eversiva" dell’alleanza legastellata. Qui non c’è solo una rottura già insanabile con l’Europa (per quanto l’Unione sia scandalosamente inadempiente su molti fronti). A distribuirsi quel manipolo di eritrei rappresentati come "emergenza" abbiamo chiamato l’Irlanda e l’Albania. A elemosinare il riacquisto dei nostri Btp, che da gennaio la Bce smetterà di comprare, siamo andati in America, in Cina, in Russia.
"Italexit" è già quasi compiuta. Il "governo del cambiamento" ha davvero già cambiato gli orizzonti e i riferimenti geopolitici dell’Italia, collocandola di fatto fuori dall’Europa dei Padri Fondatori. Non ancora la Polonia di Kaczynski o l’Ungheria di Orban (al quale domani il responsabile del Viminale bacerà la pantofola). Ma non più la Germania di Merkel o la Francia di Macron. Questo è il claustrofobico Club delle Piccole Patrie nel quale ci sta relegando la coalizione gialloverde a trazione salviniana.
Ma stavolta c’è di più. Salvini può imporre il suo Nuovo Ordine Sovranista per due ragioni. La prima è che ha ormai il comando della coalizione, avendo ridotto Conte e Di Maio al ruolo di "utili idioti". La seconda è che può farlo — fregandosene della Ue, della magistratura, dell’opposizione — perché si considera protetto dall’unica fonte di legittimazione che riconosce, cioè il popolo. Se il popolo è con lui (e in buona misura lo è) non esistono codici né procure.
È un dispositivo di potere aberrante, che abbiamo già conosciuto. Salvini porta a compimento il piano avventurista e plebiscitario del suo ex alleato Berlusconi che oggi, in questa Italia senza memoria, sembra diventato De Gaulle. L’Unto del Signore fu il primo a considerarsi al di sopra della legge, in virtù del consenso elettorale che cancellava i suoi reati e i suoi peccati. Il vicepremier in cravatta verde segue le stesse orme. Sostituite le "toghe rosse" con i "pm politicizzati", i "comunisti" con i "radical chic", e il gioco è fatto. C’è un’inquietante coerenza tra la vecchia destra berlusconiana e la nuova destra salviniana. Qualunque forzatura diventa lecita, se è quello che la massa indistinta condivide o pretende.
Nel Ventennio berlusconiano il sistema seppe reagire. Il Quirinale rinviò alle Camere la legge Gasparri sulle tv e la legge Castelli sulla giustizia. La Consulta e i giudici ordinari ressero l’urto, e la stessa cosa fece talvolta il Parlamento, che almeno non votò con i due terzi la mostruosa riforma costituzionale del 2005. Tra difficoltà e cedimenti, le istituzioni furono più forti di chi avrebbe voluto snaturarle, piegandole ai suoi bisogni e ai suoi disegni. Oggi la sfida si ripete. Persino più insidiosa, complice l’eclissi di una sinistra che, come dice Marco Minniti, «ha lasciato orfana la sua gente». Ma anche stavolta la democrazia italiana deve essere capace di difendersi, e di difendere il popolo da sé stesso.

domenica 26 agosto 2018

Improvvisamente una frase...



A volte una frase apre un mondo nuovo, fa prendere decisioni sempre rinviate, fa scoprire trucchi e vagiti di un possibile pericolo democratico. 
Tacito, non è che l'abbia mai letto, l'ho solo trovato in un bellissimo libro di Sandra Bonsanti, scrisse "La memoria stessa avremmo perso con la voce, se fosse in nostro potere dimenticare come tacere." Non posso non tacere questo mia inadeguatezza riguardo al Movimento che ho votato, votato perché appariva come qualcosa di nuovo, di fuori dalle righe, lontano anni luce dalla politica blasfema contro la democrazia degli ultimi anni. 
Ed invece rieccoci ai soliti, malefici schemi, quelli che in nome della politica ti autorizzano a condividere delle scelte inumane, al di fuori di schemi e senno. Di Maio ha provato a governare con uno psicopatico, sperando in un miracolo e per paura di ritornare a vendere lattine allo stadio, lo sta assecondando in tutto. A me non sta bene, abiuro questo stile andreottiano di far politica. Il Movimento sta perdendo i suoi connotati, assomigliando sempre più alla Balena Bianca dei tempi di Forlani, di De Mita. Hai un razzista tra i coglioni? Lo devi cacciare, ti devi allontanare, lo devi ghettizzare, a costo di riandare a votare. Questo è il mio pensiero, questo è il pensiero di molti a cominciare dal Presidente della Camera Fico. Occorre immediatamente lasciare sepolcri imbiancati che teorizzano supremazia di razze e fascio pensieri allegati. La vicenda della nave Diciotti è solo una punta di un iceberg su cui prima o poi andrà a cozzare la libertà, tramandataci dai nostri padri a prezzo della vita. Occorre discernere chi crede in questo da chi blatera per tornare in tolda. Ma occorre un dinamismo, un efficientismo che Di Maio sembra non avere. Non posso accondiscendere su questi tematiche basilari del mio modestissimo bagaglio culturale che nasce, si sviluppa e vive su una basilare norma insita in ogni cervice normodotata: siamo tutti, ma proprio tutti, uguali. E a culo tutto il resto! (cit.)

La pistola fumante


Funziona in ogni democrazia: la forza politica che perde e va all'opposizione, inizia una sana e leale battaglia con la maggioranza che dovrebbe portare ad un miglioramento della legislazione. 

Fin qui dunque ci siamo. 
A volte però succede, e a casa nostra direi molto spesso, che i canoni, le regole, con cui interagiscono le forze di maggioranza ed opposizione, vengano alterate da comportamenti scorretti ed invalidanti la beltà democratica. 

Guardate ad esempio questa foto: 


L'ho postata oggi. A sinistra la dichiarazione apparsa su Repubblica di Minniti, a destra uno stralcio del filmato con cui il Bomba nel 2017, ripeteva esattamente le parole di Di Maio contro l'Europa. 
Ora invece gli sguatteri piddini hanno pesantemente attaccato Di Maio su quest'intento. Lo hanno accusato d'incompetenza, può essere sia chiaro, di far incazzare i burocrati di Bruxelles con proposte senza senso, impossibili da realizzarsi. 
Se non ci fosse questo video ci sarebbe stato da dargli ragione. 
Ma la pistola fumante della dichiarazione del Bomba il 7 luglio del 2017, riporta la discussione in un ambito di scorrettezza. Prima sproloquiano alla solita cazzo&campana, poi se uno dice i loro stessi concetti lo accusano di minare la stabilità nazionale. 
Avete ancora dubbi in merito? 

Guardatevi il video: 



Però questi De!


De Laurentis si compra una pagina intera del Corriere della Sera per attaccare senza fronzoli o peli sulla lingua, il sindaco partenopeo De Magistris. Quando si dice che la classe non è acqua...


sabato 25 agosto 2018

L'esteriorità idiota



50.000.000.000 Kg
Cinquanta miliardi di chilogrammi, ogni anno, tutti gli anni, gettati via per soddisfare ciò che gli imperatori della burocrazia europea hanno stabilito, attraverso una norma, una becera norma che genericamente chiamano "standard cosmetici."

Questa notizia apparsa oggi sul Corriere, rivolta stomaco ed interiora, fa accapponare la pelle pensando, e sarei un imbecille se non lo facessi, a tutti gli esseri umani che soffrono, e a volte muoiono, per la fame. 
Ma Bruxelles, seguendo la madre di tutte le idiozie, guarda l'esteriorità anche dei prodotti agricoli, imponendo, Dio ci perdoni, di scartare quelli che non soddisfano gli occhi. 
Ed appunto fanno 50 milioni di tonnellate di scarto! 
Ma si può essere così idioti? 
La carota bitorzoluta, la patata deforme vanno mandate al macero perché non possono entrare negli scaffali dei supermercati, non essendo graziose agli occhi! 
Mumble... mumble cerco un'altra esternazione ... mi sforzo di non essere ripetitivo... no, non ci riesco... Ma vaffanculo! 
Si, d'accordo che oramai siamo completamente infatuati da una versione di bello degenerato dalle apparenze, che la beltà dell'invecchiare è oramai tabù, che corriamo, cercando riparo, trafelati verso la chirurgia estetica che finge di tamponare il progredire del tempo in noi immettendo nella società poveracci trasformati in alieni, con capelli color ruggine, labbra grondaie, siliconi con capezzoli a mo' di ciliegina, espressioni facciali carnevalesche, tiraggi di pelle inauditi, creme utili solo a chi le vende, antirughe, sopracciglia scorticate, glabro pregnante ovunque! Ma arrivare a scartare cinquanta milioni di tonnellate di buona e sana frutta e verdura, credo che sia il colmo, la tracimante sentenza di quanto questa società sia squallida ed ipocrita. 
La mela alla Biancaneve, lucida, rossa fiammante, invogliante, contiene più merda di quella bitorzoluta, deformata, spenta. Stesso discorso per carote ed affini. 
Possibile che non si comprenda che l'esteriorità nel cibo non conta un'emerita minchia? 
Ricordo sempre un esperimento fatto anni fa in un supermercato: due scaffali, uno con bottiglie di menta senza coloranti, perciò bianche, ed uno con il classico colore verde frutto di mefitici coloranti. Un cartello avvertiva l'assenza di prodotti chimici nelle bottiglie con la menta trasparente, senza l'inconfondibile colore. Ebbene, quasi la totalità dei clienti scelse il verde derivato da prodotti quasi sicuramente dannosi per fegato ed altro. 
Oltre ad evitare una simile vergogna umanitaria, un'informazione seria e coscienziosa dovrebbe iniziare un'azione culturale in grado di convincere molti di noi, mi ci metto anch'io, che i prodotti della natura sono già perfetti e belli solo per il fatto che esistano. 
Il resto è sterco di questo incredibilmente babbano mondo! 
    

Un anno fa



Travaglio con scherno


sabato 25/08/2018
Calenda Granturismo

di Marco Travaglio

Inabissato da tre mesi nei fondali della politica dopo la felice mossa di entrare nel Pd mentre tutti fuggivano e dalla successiva minaccia di uscirne pure lui, Carlo Calenda rimette fuori il capino, annusa l’aria che tira, capisce che è il suo momento e si dice fra sè e sè: “Ora o mai più”. I congiunti tentano di dissuaderlo: “Carlo, lascia perdere la politica, per noi ricchi non è proprio aria, ricordati Montezemolo, Monti, Passera, Pisapia.… Hai presente la bella pompa di benzina che vendono a duecento metri da casa? Ecco, comprala, è un’attività ben avviata, a 45 anni è ora che ti faccia una posizione”. Ma lui niente: i ponti crollano, le autostrade fanno più morti dell’Isis, i Benetton incassano al casello e festeggiano a Cortina, l’Europa per combattere i populisti alla Salvini lavora per loro, presto -se tutto va bene - avremo una tempesta finanziaria, ma il governo guadagna consensi e l’opposizione fischi e pernacchie pure ai funerali (altrui). E tutto questo perché? Perché agli italiani manca tanto Calenda. Il quale, per colmare il vuoto politico-sentimentale, medita due iniziative clamorose: un “libro-manifesto” dal titolo avventuroso “Orizzonti selvaggi” (come se Bruno Vespa scrivesse “I diari della motocicletta”) e un “tour nell’Italia populista” (come se Vespa organizzasse un Camel Trophy). La prima la rivela lui a Repubblica, la seconda la tiene segreta, infatti la fa uscire sul Foglio. Dove si apprende pure che “il Cav. lo incoraggia”: e sono soddisfazioni.

Chi sta già prenotando il libro su Amazon o cercando i biglietti della tournée su Ticketone si dia una calmata: “Per ora -dice il Foglio- è un’ipotesi”, però “già esposta ai compagni di partito, o meglio compagni di fronte”. Poi Calenda passerà a esporla ai compagni di profilo e di nuca. E “anche – chissà – a quelli futuri, che oggi stanno in Forza Italia, ma alle Europee potrebbero ritrovarsi dallo stesso lato – quello antisovranista – della barricata”. Quindi, se tutto va bene, ci saranno anche i compagni forzisti, per un’“alleanza antisfascista” che deve “aprirsi subito alla società civile”. Roba forte. “L’idea è quella di lanciarsi definitivamente alla guida del ‘fronte repubblicano’ inaugurando una campagna itinerante a metà settembre”. Un tempo c’erano Castrocaro, il Festivalbar, il Cantagiro, il Giromike: ora c’è il Calenda Tour. L’ultimo peripatetico che ci provò con la politica itinerante, Renzi sul treno, collezionò tanti fischi e vaffa da non riaversene più. Ma Calenda punta tutto sul mimetismo: da quando hanno smesso di invitarlo nei talk show perché non saprebbero cosa chiedergli, nessuno sa più chi sia.

L’assenza di didascalia sulla pancia lo avvantaggia: diversamente da Renzi, ha buone probabilità di non essere riconosciuto. Se sbarcasse a Gioia Tauro, atterrasse a Orio al Serio, irrompesse nella piazza di Nepi e concionasse come Brian di Nazareth su un panchetto, a nessuno verrebbe il prurito alle mani che ci coglie quando vediamo Renzi in tv o sul set, la Boschi e Orfini in lista, Martina e Pinotti a un funerale. Lo guarderebbero tutti con curiosità, col sospetto di averlo già visto da qualche parte senza ricordare dove. Se poi sentissero del Fronte Repubblicano, si batterebbero una mano sulla fronte: “Ah ecco, questo dev’essere il pronipote di La Malfa. O il figlio di Spadolini: con quella panza…”. Ma non riuscirebbero a spiegarsi la ragione sociale del nuovo partito: “Vuoi vedere che ce l’ha con Emanuele Filiberto?”. E poi, diciamolo, questo manager prestato alla politica nella speranza che non lo restituisse, ha le idee chiare: il Pd - rivela ficcante a Repubblica - “deve ripartire da un progetto ideale solido e organico per i progressisti e dalle persone”. Solido e organico come i rifiuti della differenziata: niente umido. E coinvolgendo “le persone”: per animali, vegetali e minerali non c’è speranza. Certo, ci sono stati “errori”, ma “abbiamo governato bene”, anche se purtroppo la gente non se n’è accorta. Il guaio è che “abbiamo dato la sensazione di stare dalla parte dei vincenti, alienandoci un pezzo di Paese” (quello dei perdenti, che purtroppo sono la maggioranza).

Lui, per dire, stava alla Ferrari, poi a Confindustria, poi a Italia Futura con Montezemolo, poi con Monti, poi con Renzi, poi con Gentiloni, ha fatto una gara per l’Ilva che l’Avvocatura dello Stato giudica “illegittima ma valida” (ossimoro migliore dell’“obbligo flessibile” sui vaccini): chissà come sarà venuta, agli italiani, la strana “sensazione” di un Pd dalla parte dei vincenti. Boh, saranno le solite fake news di Putin. Lui, per dissipare la sensazione, parla con Paolo Romani (che “l’ha incontrato col beneplacito di Berlusconi”) e si appella agli “elettori moderati”, per “andare oltre il Pd”: cioè in FI. Nell’attesa, ha pronta la “nuova classe dirigente”: “Giovannini che tira le fila del mondo della sostenibilità” (qualunque cosa voglia dire), “Ermete Realacci” (così nuovo che sta in Parlamento da 17 anni), “il sindacalista Bentivogli, il sociologo Allievi”e soprattutto “Mauro Magatti a proposito di economia sociale”. Novità per novità, lancia anche un “governo-ombra”, da un’idea di Achille Occhetto del 1989 (c’era ancora il Pci e c’era già Realacci). La “società civile” ne sarà entusiasta. Basta tendere l’orecchio per strada o nei bar e sentire i vocii della gente: “Ehi Gino, sai mica che fine ha fatto Realacci?”. “Non parlarmene, Pippo, non ci dormo la notte. Ma ora il Calenda fa il governo-ombra con lui, Magatti, Allievi, Bentivogli e quello là, come si chiama, quello che tira le fila del mondo della sostenibilità…”. “Ma chi, Giovannini?”. “Proprio lui, ce l’avevo sulla punta della lingua”. “Ah meno male, mi hai levato un peso, ora mi sento già meglio… Gino, levami un’ultima curiosità: ma ‘sto Calenda chi cazzo è?”.