domenica 16 febbraio 2025

Dal manicomio

 

(N)eurodeliri
di Marco Travaglio
Il problema non è se l’Ue sarà invitata ai negoziati per l’Ucraina: alla fine uno sgabello, magari dietro la porta delle cucine come quello di Peter Sellers in Hollywood Party, salterà fuori. La vera domanda è cosa ci andrà a fare, visto che da tre anni bandisce e sabota ogni negoziato. Eppure, fino all’invasione russa, Francia e Germania avevano fatto di tutto per scongiurarla. Nel 2008, a Monaco, Merkel e Sarkozy si opposero all’ingresso di Kiev nella Nato: l’invitato Putin li ringraziò, mentre Condoleezza Rice scoppiò in lacrime in piena crisi isterica. Due anni dopo, la rielezione del presidente neutralista Yanukovich – cacciato nel 2004 dal golpe bianco di piazza Maidan pilotato da Usa e Uk – confermò la bontà della loro scelta. Ma nel 2014 Yanukovich fu di nuovo rovesciato dal secondo golpetto yankee di piazza Maidan al grido “Fuck Eu!” e iniziò la guerra civile fra Kiev e le regioni russofone di Donbass e Crimea. E subito Merkel e Hollande patrocinarono gli accordi di Minsk 1 e 2: cessate il fuoco e ritorno del Donbass all’Ucraina in cambio dell’autonomia speciale. Impegni traditi da Poroshenko e Zelensky, che puntarono dritto alla Nato facendo precipitare la situazione. Eppure fino al 24 febbraio 2022, mentre Biden annunciava ogni giorno l’invasione russa perché non vedeva l’ora, Macron e Scholz le provarono tutte per placare l’ira di Putin: sminando il terreno dalla Nato e insistendo su Minsk. Ma Zelensky, ostaggio di nazionalisti e nazisti, rifiutò. E i russi entrarono.
Da allora l’Ue ha avuto mille occasioni per riscoprire il suo ruolo naturale di mediatore anziché regalarlo a Erdogan, Bennett, Francesco, Xi, Orbán e Trump. Poteva sostenere l’intesa russo-ucraina a Istanbul nell’aprile ’22: invece si accodò ai sabotatori Johnson&C. Poteva spingere Zelensky a trattare nell’ottobre ’22, dopo la prima controffensiva ucraina: invece lo spinse a “combattere fino alla vittoria” e a vietarsi per decreto di negoziare con Mosca. Poteva far suo l’appello del generale Usa Mark Milley nel novembre ’22 a usare lo stallo per trattare: invece lo ignorò e si svenò per la controffensiva ucraina del ’23, che non ottenne nulla, a parte altre 100 mila vittime. Poteva appoggiare Orbán e Scholz, che riaprirono i canali con Putin prima dell’arrivo di Trump: invece li scomunicò. E affidò la sua politica estera a Kaja Kallas, fanatica russofoba che viene dall’Estonia (1,3 milioni di abitanti) e ora vaneggia di inviare truppe a Kiev, seguitare ad armare Zelensky anche senza guerra e aumentare le spese militari mentre Trump vuol dimezzare le sue. Mettiamo che, per carità cristiana, qualcuno le tenga libero uno strapuntino: sarebbe la prima volta nella storia che, a un tavolo di pace, uno si alza e dice che preferisce la guerra.

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