giovedì 31 marzo 2022

Prof Orsini

 

Per evitare le guerre è meglio lasciare le armi
DI ALESSANDRO ORSINI
La forma di violenza più diffusa nella storia dell’uomo è la violenza vigliacca, vale a dire un tipo di violenza esercitata contro persone deboli e senza vie di fuga. Lo scippatore prende di mira la signora anziana; lo stupratore assale la ragazza isolata nella notte; la Nato attacca la Libia di Gheddafi, ma non la Corea del Nord di Kim Jong-un, e la Russia attacca la debole Ucraina. Se l’Italia non vuole fare la fine dell’Ucraina, deve avere un esercito potente. Quanto potente? Non esiste una risposta assoluta a questa domanda. L’importante è che l’esercito dell’Italia, posto a confronto con gli eserciti dei Paesi più avanzati, sia sempre all’avanguardia. Questo rende necessario un Osservatorio sulla sicurezza internazionale per monitorare, in maniera accurata e su base quotidiana, l’andamento della spesa militare degli altri Paesi. Quali? In primo luogo, la spesa militare dei Paesi vicini all’Italia, vale a dire Egitto, Libia, Tunisia, Algeria e Marocco. Non deve mai verificarsi la circostanza che uno di questi Paesi abbia un esercito più potente di quello italiano o che possa costruirlo nel futuro. Nessuno di questi Paesi, infatti, fa parte di un’alleanza militare con l’Italia. Ovviamente l’Italia deve sempre avere rapporti fraterni con i Paesi citati, ma la politica internazionale è soggetta a cambiamenti improvvisi e un capo di Stato, nel nostro caso Sergio Mattarella, deve sempre essere preparato a un rovescio improvviso nelle relazioni bilaterali. Si prenda l’esempio dell’Iran. Nel luglio 2015 Obama siglava un accordo con l’Iran per lo sviluppo del programma nucleare e il ritiro delle sanzioni. Poco tempo dopo, Trump passava dalla prospettiva della pace con l’Iran a quella della guerra, arrivando addirittura a uccidere il generale Soleimani, il 7 gennaio 2020.
Per non parlare della Libia. Dopo decenni di relazioni pacifiche, il generale Haftar, l’1 agosto 2017, minacciava di sparare sulle navi italiane per impedire la missione del governo Gentiloni contro gli scafisti che trafficano esseri umani. Nonostante il diritto internazionale, l’arena internazionale resta una giungla, dove vige la legge del più forte, e l’Ucraina lo conferma. Simili premesse dovrebbero indurci a sostenere la decisione dei Paesi dell’Unione europea di armarsi pesantemente, ma non è così.
Sebbene l’aumento della spesa italiana per l’esercito sia un fatto benefico in circostanze normali, diventa un grave errore nel tempo presente. Se, infatti, tutti i Paesi europei si armano contemporaneamente, la Russia si sentirà gravemente minacciata, innescando il tragico dilemma della sicurezza descritto da John Herz nel suo articolo del 1950. Gli Stati, temendosi a vicenda, accrescono il proprio potere militare. Nel far ciò, rendono insicuri gli altri Stati, che reagiscono armandosi a loro volta. Accade così che uno Stato, nel tentativo di dissuadere i governi stranieri da eventuali attacchi, materializzi quegli stessi pericoli da cui vorrebbe preservarsi. Come ho spiegato nel mio ultimo libro, gli Stati, per utilizzare l’esempio di Thomas C. Schelling, sono spesso nella situazione del proprietario di casa che, nel cuore della notte, si trovi faccia a faccia con lo scassinatore. Se entrambi sono armati, c’è il rischio di una sparatoria che nessuno vorrebbe scatenare. È un effetto non desiderato. Nel regno della sicurezza internazionale, ciò che è realmente decisivo non è la volontà dei singoli attori, ma l’intenzione che ogni Stato attribuisce all’altro a causa della situazione di pericolo che scandisce il ritmo dell’interazione (Teoria sociologica classica e contemporanea, Utet 2021). Invece di armarsi in massa – una decisione che renderebbe più probabile una nuova guerra con Putin – l’Unione europea deve perseguire la via della pace e aumentare il livello di fiducia con i russi.
Ecco il problema: l’Europa ha paura di essere attaccata dalla Russia e viceversa. Per fermare questa spirale mortifera, occorre fare ciò che gli Stati Uniti e la Russia fecero dopo la crisi dei missili del 1962: darsi garanzie reciproche, cioè correre verso il disarmo o, comunque, verso una riduzione progressiva delle spese militari da ambo le parti e lo smantellamento degli armamenti bellici più potenti sul suolo europeo. In condizioni normali, gli Stati preferiscono arricchirsi e proteggere la popolazione senza fare guerre pericolose e dispendiose. La Russia non fa eccezione.

Musica per le loro orecchie!

 


Antò

 

La “premessite” contagiosa, o delle assurde domande a Conte
di Antonio Padellaro
L’altra sera, a DiMartedì, Giovanni Floris ha chiesto a Giuseppe Conte se fosse anche lui d’accordo che in questa guerra “ci sono un aggressore e un aggredito”. Più della risposta colpiva l’espressione al limite dello sgomento dell’ex premier, che ho interpretato con un oddio perché mi chiede questo? Infatti, era come se da Conte si pretendesse un supplementare esame patriottico del sangue. Ora, non userò lo stucchevole espediente retorico che consiste nel parlare bene di qualcuno per poi criticarlo, ma sulle qualità professionali di Floris parlano i dati di ascolto e il gradimento del pubblico. Il che semmai accresce il peso dell’interrogativo iniziale, considerato il profilo istituzionale dell’ospite, un ex presidente del Consiglio che sul concetto Putin aggressore e Zelensky aggredito si è più volte espresso senza equivoci.
Una prima ipotesi è che Floris volesse davvero puntare il dito sulle cosiddette ambiguità del Movimento, di cui Conte è stato riconfermato leader. Una roba del tipo: vediamo come reagisce a una domanda secca sul punto, se cioè la richiesta appena fatta a Mario Draghi di procrastinare quel 2% di Pil in spese militari, con il rischio di una crisi di governo, non nasconda anche da parte sua un pregiudizio anti Nato o pro Putin, o entrambe le cose. Oppure, al contrario, Floris ha posto una domanda volutamente provocatoria proprio perché convinto che la risposta sarebbe stata la più netta. Per dimostrare che la richiesta di Conte sui circa 14 miliardi annui in più di spese per la difesa (ritenuti eccessivi rispetto all’emergenza sociale in cui versa il Paese) non nascondesse alcun retropensiero sulle tremende responsabilità del “macellaio” Vlad.
In ogni caso va riconosciuto a Conte, come a ogni leader di partito e tanto più al capo del partito di maggioranza relativa, il sacrosanto diritto di rappresentare le ragioni dei propri elettori sul surplus di spese militari (così come il premier Draghi ha il dovere di manifestare a Sergio Mattarella i relativi rischi connessi alla stabilità del governo). Senza per questo essere ogni volta costretto a quella che Luca Ricolfi chiama “premessite”. Ovvero, le “autocertificazioni di anti-putinismo per tutelarsi dal rischio di essere crocifissi”, se non in linea, pancia a terra, con la Nato. Perché di questo passo sarà richiesto anche a Papa Francesco (che sulle spese per gli armamenti non l’ha mandata a dire) un pubblico mea culpa, oltre a quello del Venerdì Santo.

Venghino Signori!

 


mercoledì 30 marzo 2022

Se per caso…



Siete ansiosi perché non potete farvi una barca decente più grande del vostro vicino? Avete timore che non potrete rifarvi il guardaroba? Quest’estate smaniate per andare nel privé del Billionaire Flavio a stappare bocce da duemila euro? 
Rilassatevi, rilassatevi tanto ed osservate quel puntino rosso indicato dalla freccia! Quella è Earendel ed ha una particolarità, scoperta da Hubble grazie alla legge del mitico Albert che cent’anni fa intuì come la luce venga deviata dalle masse. Quello che sconcerta è il fatto che per arrivare a noi, la luce di Earendel ha impiegato 12,9 miliardi di anni! Quindi è nata solo circa 900 milioni di anni dopo il Big Bang! Earendel è la stella più vecchia mai osservata, con una massa cinquanta volte più grande di quella del Sole! Ora sedetevi, rilassatevi e considerate appieno la nostra piccolezza! Prosit!

Accade anche questo



Per fortuna Zelig ha agito al meglio, specificando che il saper far ridere è un’altra cosa.

Dategli il Nobel!

 


Ringraziamenti

 


Grande Robecchi!

 

Da Superenalotto Oplà, di colpo abbiamo 13 miliardi (per le armi)
DI ALESSANDRO ROBECCHI
Niente, mannaggia, niente da fare. Gli italiani in stragrande maggioranza restano contrari all’aumento delle spese militari fino al 2 per cento del Pil, cioè un po’ restii a spendere 13 miliardi in più (ogni anno!) in sistemi d’arma, gerarchie militari, missili e quant’altro. Resistono, insomma, all’offensiva dei corsivisti-generali più accreditati dai media, dai giornali e dai talk show, quasi tutti maschi, quasi tutti anziani, boomer burbanzosi e predicanti, autori di sermoni edificanti e patriottici, disposti a chiudere un occhio persino sui nazisti in campo. Fedeli insomma, al vecchio adagio americano applicato a dittatori, macellai e golpisti vari: “È un figlio di puttana, ma è il nostro figlio di puttana”.
Il sondaggio è canaglia, insomma, e un po’ canaglia anche chi lo disegna. Non ci eravamo ancora ripresi dal grafico diffuso da Agorà (Rai3), dove nella torta colorata i contrari all’invio di armi all’Ucraina sembravano meno della metà pur essendo il 55 per cento, che ecco un altro strabiliante sondaggio, questa volta Swg per il Tg de La7. Capolavoro, perché il titolo in maiuscolo dice “L’aumento delle spese militari” e sotto con tanto di colonne colorate dice “D’accordo” 54 per cento. Urca! Poi, uno pignolo va a leggere la domanda fatta al campione rilevato, e trasecola: “Lei è d’accordo con la seguente affermazione: Non è giusto che l’Italia aumenti le spese militari…”. È la prima volta che si vede un sondaggio con la negazione incorporata. È d’accordo che non sia giusto… davvero bizzarro. Forse chiedere direttamente “Secondo lei è giusto?” esponeva a qualche rischio in più. Trucchetti.
Qualcuno – temerario – spiega che questo benedetto aumento delle spese militari non c’entra nulla con l’invasione russa dell’Ucraina, che se ne parla da tempo, che gli americani ce lo chiedono da anni, e ora – vedi a volte le coincidenze – è venuto il momento. Per inciso, i dati Sipri (Stockholm International Peace Research Institute, uno degli osservatori più qualificati sul mercato degli armamenti) dicono che la Nato spende ogni anno circa 17 volte quello che spende la Russia, e anche togliendo le cifre spaventose degli Stati Uniti, calcolando soltanto le spese militari attuali di Italia, Francia, Germania e Regno Unito, si ha quasi il triplo della spesa militare russa. Pare che non basti.
Non è detto che gli italiani che rispondono ai sondaggi conoscano queste cifre (anche perché nessuno gliele dice), eppure si registra una resistenza ultra-maggioritaria nel voler spendere 13 miliardi in più all’anno in cannoni. C’è da capirli. Forse ricordano le solenni parole di Mario Draghi pronunciate quasi un anno fa: “Non è il momento di prendere soldi ai cittadini, ma di darli”. Bel programma. Peccato che in questi undici mesi (Draghi lo disse nel maggio del 2021 con grande plauso di tutti) non risulti agli italiani di aver migliorato sensibilmente le proprie condizioni di vita: tra inflazione al cinque per cento coi salari fermi, le bollette, la benzina e gli alimentari che aumentano. Ora si vedrà dove prendere tutti questi soldi, ma sotto sotto la notizia è buona: dopo anni passati a dire che “non ci sono i soldi” per scuole, sanità, servizi, oplà, ecco 13 miliardi che escono dal cilindro, magia e mesmerismo. Urge nuovo sondaggio: “Lei è d’accordo con la seguente affermazione: non è giusto dire che non è giusto rifare i tetti delle scuole o i Pronto soccorso invece di comprare missili? È giusto dire che è sbagliato?”. Vediamo come disegnano il grafico.

Feltri

 


L'Amaca

 

Trent’anni di cecità
di Michele Serra
Il Medioevo lo si immagina esattamente così, come in questo pazzesco inizio di 2022: avvelenamenti, epidemie, despoti bellicosi, congiure di palazzo evocate (dal capo mondiale della democrazia!) come sola salvezza, eserciti in marcia, preti esaltati che levano la croce e benedicono la guerra nel nome di Dio. La tecnologia muta, in molto peggio, l’entità delle distruzioni.
E i media esaltano fino al parossismo lo spettacolo della morte. Ma è la struttura del potere a ricacciarci indietro di qualche secolo se è vero che basta un solo uomo, con pochi accoliti, a scatenare l’inferno.
Ci eravamo illusi? Ora il problema è proprio questo sentimento di impotenza, come se la realtà fosse questa, e il lungo periodo di pace che l’ha preceduta fosse stato solo un’illusione.
Come se non fosse un incubo, quello che stiamo vivendo, ma il risveglio da un lungo sogno, e da un lungo sonno. “Accecamento”, lo chiama Bernard Guetta su Repubblica di ieri.
Un accecamento durato trent’anni, dalla caduta del Muro a oggi.
Magari bastava guardare appena più in là del nostro naso per capire che, sotto la crosta esile della civilizzazione, il mondo era feroce e primitivo come è sempre stato.
Dall’impiccagione di Saddam all’esecuzione sommaria di Gheddafi, dall’assedio di Sarajevo alla distruzione di Aleppo e Grozny, e le persecuzioni delle minoranze etniche e religiose in Asia, il lungo martirio dell’Algeria, la segregazione delle donne afghane… Elenco approssimato per difetto di quanto poco pacifico, e poco conciliante, sia stato il mondo negli ultimi trent’anni. Se davvero ci fosse stata la globalizzazione, non avremmo potuto illuderci che il mondo fosse il nostro tranquillo cortile.

martedì 29 marzo 2022

Orsini dal Fatto Quotidiano

 

Ucraina. L’unica speranza è appesa alle sanzioni contro i bambini uccisi

DI ALESSANDRO ORSINI

La mia proposta di vincolare le sanzioni contro la Russia al numero dei bambini uccisi in Ucraina ha ricevuto alcune critiche, nessuna decisiva. La prima critica è che, nell’anno 2021, il numero di bambini uccisi nei bombardamenti in Yemen è aumentato rispetto al 2020. Questa obiezione è facilmente superabile. La mia analisi prende in considerazione il periodo 2016-2020. Non è metodologicamente corretto utilizzare i dati del 2021 per confutare un ragionamento relativo al 2016-2020. Nel mio articolo del 18 marzo su queste colonne, spiegavo che l’Onu ha inserito l’Arabia Saudita nella lista nera nel 2016, depennandola nel 2020. Questo è confermato. La seconda critica è che il numero dei bambini uccisi era verificato dall’Arabia Saudita stessa, ma, nel periodo 2016-2020, l’Onu ha elaborato un proprio report. La terza critica è che avrei trascurato di dire che l’inserimento nella lista nera dell’Onu non equivale a una sanzione. Questa obiezione è corretta in apparenza, ma non nella sostanza. Essere inseriti in quella tragica lista ha causato danni seri all’Arabia Saudita. Il governo inglese, ad esempio, ha sospeso la vendita di armi ai sauditi per effetto di una sentenza della Corte d’Appello del Regno Unito del 20 giugno 2019. Secondo i giudici, il governo di Theresa May non aveva condotto un’indagine adeguata per accertarsi che i sauditi non avrebbero utilizzato le armi inglesi in violazione del diritto umanitario internazionale (International Humanitarian Law). Dall’inizio dell’intervento saudita in Yemen nel 2015, fino al giorno della sentenza del 20 giugno 2019, il Regno Unito aveva esportato armamenti ai sauditi per 5,9 miliardi di dollari, inclusi aerei da guerra e bombe di precisione. Ricevuta la sentenza, il governo inglese ha deciso, in autotutela, di sospendere il rilascio di nuove licenze per l’esportazione di armi. La sentenza del 20 giugno 2019 ribaltava la precedente sentenza del 10 luglio 2017, con cui l’Alta Corte di Giustizia di Londra aveva dichiarato legale la vendita di armi ai sauditi da parte del governo inglese. Commentando la sentenza della Corte d’Appello del 20 giugno 2019 davanti al Parlamento, l’allora segretario di Stato per il Commercio internazionale, Liam Fox, disse che, sebbene il governo May fosse deluso dalla sentenza della Corte d’Appello, era costretto a rispettarla.

I miei critici non riescono a inquadrare bene la mia proposta perché trascurano alcuni fatti fondamentali. Il primo è che molti bambini e molti civili yemeniti vengono uccisi non dalle bombe saudite, bensì dagli Houthi. Il secondo fatto è che l’aumento dei bimbi yemeniti morti è dovuto alla recrudescenza del conflitto: recrudescenza scaturita, in larga parte, dal miglioramento delle capacità offensive degli Houthi, i quali hanno iniziato a colpire il territorio saudita ed emiratino più frequentemente, causando una veemente contro-reazione militare. Il fatto che il numero dei bimbi morti sia tornato a salire nel 2021 non implica che l’inserimento dell’Arabia Saudita nella lista nera abbia fallito nelle sue finalità. Significa, più precisamente, che un nuovo fattore – la crescita delle capacità offensive degli Houthi – è intervenuto all’improvviso alterando un equilibrio benefico per i civili. È ovvio che l’impennata dei bombardamenti da ambo le parti causi una crescita delle vittime civili. In conclusione, la mia proposta di vincolare le sanzioni contro la Russia al numero dei bambini uccisi in Ucraina è ancora l’unica speranza a nostra disposizione per salvare la vita di qualche bimbo, che poi è il senso profondo – io credo – della vita di ogni uomo. Nell’attesa che qualcuno proponga una soluzione migliore della mia, ringrazio chi ha dedicato il proprio tempo a verificare le mie tesi.

Booom!

 

Gramellini fa l’apologia del nazista di Azov: ‘giusto’ come Schindler

Continua la rivergination dei nazi, purché ucraini: il generale che offre la sua vita

DI DANIELA RANIERI

Prosegue la romantizzazione dei nazisti ucraini del battaglione Azov da parte dei nostri media bellicisti, e anzi sfiora vette liriche (speriamo) intoccate in altri Paesi. Vi abbiamo detto dell’intervista su Repubblica a un capitano dell’Azov che legge e cita Kant: “Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”, omettendo le fosse comuni sotto di lui, come da rapporto Osce del 2016 che li indica come responsabili di uccisioni di massa, occultamento di cadaveri e torture. Ieri su Corsera c’era un bel ritratto del comandante del Reggimento Azov maggiore Projipenko, ultrà nero della Dinamo Kiev, che Zelensky ha appena proclamato eroe dell’Ucraina.

Sabato sera è andato in onda su Rai3 un elogio struggente di un altro soldato di Azov, il generale Vyacheslav Abroskin. Massimo Gramellini, campione dello storytelling glicemico, lo presenta così: “Soldato sanguinario che chiama ‘orchi’ i russi e ne ha già uccisi a grappoli senza pietà, sta difendendo Odessa, ma sua figlia adolescente è rimasta a Mariupol”, da dove racconta al papà “dei bambini che stanno al freddo al buio, che bevono l’acqua dei termosifoni e mangiano grano saraceno inzuppato con l’acqua sporca delle pozzanghere”. È l’antica tecnica del chiaroscuro: la ferocia del primo fa risaltare l’innocenza dei secondi. Ma c’è un “ma”. Il “terribile generale Abroskin”, dice Gramellini, sottolineando la parola terribile per preparare il colpo di scena, “ha ascoltato sua figlia in silenzio”, in silenzio: come fanno i virili eroi classici (Gramellini era presente?), “poi ha aperto la sua pagina Facebook e ha scritto una lettera ai russi”, che il conduttore solennemente legge. Per farvela breve, Abroskin offre la sua vita in cambio di quella dei bambini di Mariupol. Gramellini: “Questo generale è un guerriero fanatico, un violento, un simpatizzante nazista”, ma? “Ma è disposto a sacrificare la sua vita, e chissà quali torture gli farebbero prima di ucciderlo, per mettere in salvo quella dei piccoli sopravvissuti di Mariupol”. (Il programma si chiama Le parole, perché le parole sono importanti).

L’eroizzazione del “simpatizzante nazista” sarebbe completa, ma la musica cresce col pathos: “Non è un uomo buono. Gli ebrei lo definirebbero un ‘giusto’”. Sì. “Com’era Oskar Schindler”. Anche questa blasfemia tocca sentire dal servizio pubblico, dove il prof. Orsini non può parlare dietro compenso perché le sue analisi geopolitiche sono troppo “complesse” e quindi “filo-Putin”. Possibile, direte voi, che il ragionamento sia così pedestre da far passare per “giusto” un nazista, pur di tenere il punto contro i presunti “filo-Putin”? Sì: “I giusti possono anche avere delle idee sbagliate, ma i gesti non li sbagliano mai, perché non sono sordi al richiamo dell’umanità”.

Gramellini ha completato la scuola dell’obbligo. Dovrebbe sapere che Schindler non uccideva le persone, non le buttava nelle fosse comuni: le salvava. Che il senso dell’onore e il vitalismo misto allo sprezzo della vita e all’esaltazione del sacrificio sono marchi dell’ideologia nazi-fascista. Che essere nazisti non è “un’idea sbagliata”, ma un crimine condannato dalla Storia. E che la glorificazione del “gesto” sacrificale che annulla l’ideologia mortifera è precisamente la vile tecnica manipolatoria dei fascisti esaltati. Peraltro il nazista di Azov – questo consesso di giovani kantiani che lottano perché l’Ucraina “guidi le razze bianche del mondo in una crociata finale contro i popoli inferiori guidati dai semiti” (così proclama Biletsky, capo di Azov) – ha solo scritto un post, non si è consegnato ai russi in cambio della vita dei bambini (chissà se lo farebbe per i bambini di “popoli inferiori”). Tutta questa musica emozionale, questo groppo in gola del conduttore, questa maschia retorica di morte per un post su Facebook?

Tutto, pure un’orrenda guerra fratricida, viene piegato allo storytelling; l’apologia dei nazisti diventa storiella edificante, gradita al ceto medio che ingoia di tutto, sentendosi intriso di alto senso morale. La chiosa di Gramellini è incredibile: “Sarebbe più tranquillizzante pensare che ci sono solo i buoni e i cattivi, ma è proprio quando la vita ci mette sotto pressione che ci spogliamo dei pregiudizi delle ideologie. E scopriamo chi siamo davvero”. Simpatizzanti dei nazisti?

L'Amaca

 

Francamente me ne infischio
di Michele Serra
La sberla di Will Smith a Chris Rock (del secondo ignoravo l’esistenza fino a poche ore fa) ha avuto, per un giorno, più o meno lo stesso impatto mediatico della guerra in Ucraina. Qualcuno, giustamente, ha fatto notare che, con una carneficina in corso, non era il caso di mettere in scena una lite violenta davanti a una così vasta platea. Ma forse dovremmo anche riflettere sul fatto che la vastità di una platea viene decisa e alimentata da network e giornali che non sono gli esecutori neutrali della volontà popolare, ma ne sono, in buona parte, i suggeritori, se non gli artefici. I media non stanno a valle del nostro immaginario. Lo formano: stanno dunque a monte.
Gli Oscar sono un prestigioso, importante premio cinematografico americano, largamente monopolizzato, come è ovvio, dal cinema americano - che tanta parte ha avuto nell’immaginario mondiale dell’ultimo secolo - e dai suoi protagonisti.
Come tutti, mi interessa parecchio sapere chi ha vinto gli Oscar, anche per decidere quali film vale la pena vedere. Di tutto il contorno, francamente me ne infischio (battuta celebre di un celeberrimo film americano), e considero che il parossistico interesse dedicato dal resto del mondo alla serata degli Oscar, al di fuori e al di là dell’elenco dei vincitori e della consegna delle statuette, sia una manifestazione di imbarazzante provincialismo.
Il fatto che “tutti ne parlino” non corrisponde a un imperativo categorico; piuttosto, è l’alibi del conformismo. Si può scegliere perfino di parlare d’altro, ogni tanto. Non è vietato. Quanto a Chris Rock, se non avessi scritto il suo nome nella prima riga, l’avrei già dimenticato.

Provi più tardi!

 


lunedì 28 marzo 2022

Lo pensavamo ma...

 

Le false coincidenze per fare le guerre

IERI SERBIA, OGGI UCRAINA - Le fosse comuni allestite dalla Nato nel 1999 in Kosovo e le “notizie” tutte da verificare sulle stragi di civili nell’ospedale e nel teatro di Mariupol a ogni vagito di tregua: tutto cinicamente scontato

DI FABIO MINI

Tre “coraggiosi” leader europei arrivano nottetempo a Kiev, e fuori c’è il coprifuoco totale, per due giorni. Mentre parlano con il presidente Zelensky si susseguono boati come mai prima.

Le sirene fischiano e nessuno bombarda. Gli impercettibili progressi dei colloqui fra russi e ucraini svaniscono. Il segretario di Stato Usa Tony Blinken è in giro per l’Europa e il 9 marzo uno degli ospedali di maternità di Mariupol viene bombardato. È una strage di donne incinte e di bambini, dice Zelensky; è una montatura, dice il ministro degli Esteri russo Lavrov, forse anche perché in realtà ci sarebbero solo tre feriti e la città è in mano alle milizie che Mosca definisce naziste. I bambini trucidati si riducono poi a una bambina di 6 anni, morta di disidratazione. Lavrov si deve incontrare il 17 marzo in Turchia con l’omologo ucraino per il primo salto di qualità e di livello dei negoziati e il giorno prima, ancora a Mariupol viene bombardato il teatro nel quale si trovavano “migliaia di persone”, secondo i nostri giornali, in centinaia, secondo il sindaco; uccisi dai bombardamenti russi che sapevano che il teatro era un rifugio per i civili, secondo gli ucraini, o dagli ultras neo-nazisti ucraini della brigata Azov che ce li avevano messi apposta, secondo i russi. Alcune crepe nella narrazione di entrambi i campi compaiono subito, ma si presta poca attenzione quando dai “rifugi sotterranei del teatro distrutto” emergono un centinaio di persone incolumi e, quando, fortunatamente, le immagini del giorno dopo riprese da uno dei “rifugiati” che stanno organizzando l’evacuazione dell’edificio queste persone scendono dai piani alti del teatro verso l’uscita. E i bunker sotterranei? Poi arrivano altre notizie contrastanti. La verità si saprà alla fine della guerra e dipenderà da chi la vince. Intanto il mondo scandalizzato da una parte e rassicurato dall’altra continuerà a fornire armi ancora più efficaci agli ucraini: parola di Biden. Zelensky e le milizie possono stare tranquilli: la guerra continua.

Perché è tutto così cinicamente scontato? È semplice: per via delle coincidenze. Kosovo 1999, la situazione sul terreno sta volgendo a favore della Serbia. La polizia effettua rastrellamenti ed elimina i “patrioti”. Le accuse di eccidi s’intrecciano. La Serbia acconsente all’invio di una missione di verifica dell’Ocse. I Paesi membri dovrebbero darne 300, l’Italia ne ha pronti 130. Ne partiranno una decina. Il capo della missione, l’ambasciatore americano William Walker, si fida di più dei 90 forniti dalla Vinnell corporation. Tutta gente esperta di guerra: ex militari, operativi della Cia e polizie varie. Lo stesso Walker è un diplomatico esperto, ma sfigato, ovunque vada compaiono squadroni della morte, eccidi di civili e guerre. Prima dei colloqui “di pace” fra Nato e Serbia la polizia serba organizza un tour di giornalisti per assistere ad alcune operazioni antiterroristiche per il controllo del territorio. L’appuntamento è a Racak. Quando arrivano i giornalisti, vengono casualmente trovati in un fosso una cinquantina di corpi di civili. Walker si affretta a dire che è un massacro intenzionale dei serbi, “sono centinaia di vittime innocenti tra cui donne e bambini trucidati in una esecuzione di massa”, tuona la democratica segretaria di Stato Madelaine Albright. I colloqui parigini saltano: è guerra.

Pian piano si accerta che tra le vittime non c’erano né donne né bambini, che i corpi appartenevano a combattenti albanesi uccisi nel corso di mesi in varie parti del Kosovo e accatastati nottetempo nel fosso. Alcuni di essi sono stati opportunamente svestiti e rivestiti. Le ferite mortali di tutti sono incompatibili con una esecuzione di massa. Il freddo invernale ha conservato i corpi e comunque la storia dell’eccidio del giorno prima viene smontata. Ma gli ex-terroristi dell’Uck possono essere soddisfatti. La guerra della Nato li consacrerà vincitori. E le coincidenze continueranno. L’Ocse organizza e sorveglia le elezioni locali e ventotto esponenti del partito moderato vengono uccisi. Le chiese ortodosse saltano in aria ad ogni cambio di Rappresentante dell’Onu e comandante di Kfor; si annuncia la visita di Kofi Annan ed esplode un’autobomba nel centro di Pristina, un telecomando viene casualmente trovato in un appartamento già occupato dalle forze speciali inglesi. Arriva l’intero Consiglio di sicurezza e salta una ferrovia, arriva il segretario generale della Nato e sei bambini vengono presi a fucilate. Per due volte Onu e Nato bloccano le iniziative unilaterali di dichiarazione dell’indipendenza e si verificano altri eccidi e incidenti. Bisogna dire agli altolocati turisti di guerra, e qualcuno ci ha provato, di starsene tranquilli a casa. Perché ogni loro brindisi alla pace formulato dove si combatte coincide con i massacri. E dovrebbero essere più cauti quelli che evocano armi biologiche, attacchi chimici e porcherie del genere e le altre che la fantasia dei criminali riesce ad escogitare: perché in tutti i teatri di guerra appena se ne parla si avvera. Preveggenza? No, pura coincidenza.

E ci sono altre coincidenze: in Kosovo arriva la principessa Anna d’Inghilterra e non succede niente, arriva Wolfowitz mentre sta organizzando la guerra in Iraq e la Brigata inglese lascia le operazioni, subito dopo se ne va anche il reggimento russo; arriva una commissione del Senato americano per smantellare Camp Bondsteel, ma ci ripensa e non succede niente, arriva l’ex presidente Clinton per fare una conferenza a Pristina e non succede niente: il popolo albanese gli è grato per averlo liberato dalla dittatura e gli intesta un viale. Il Tribunale dell’Aja spicca un mandato di cattura per i kosovari responsabili di crimini contro albanesi e serbi, e non succede niente. Spariscono carteggi immani di prove documentali e della novantina di testimoni a carico non si presenta nessuno. Una ventina sono stati ammazzati e gli altri convinti a ritrattare. Per coincidenza, gli arrestati e accusati diventeranno ministri. La gente? La popolazione albanese è tutta compatta nell’odio verso la Serbia, i Roma, gli Ashkalia e le altre minoranze di “maiali”. È quasi compatta nella celebrazione della resistenza e dei patrioti. Erano non più di 2mila i combattenti adottati dalla Nato, ma dopo i bombardamenti se ne “imbucheranno” altri 23mila e qualcuno dell’Uck se ne lamenta. La prevista smilitarizzazione delle formazioni partigiane, non avverrà mai. Inizieranno invece le ritorsioni e le vendette personali. I 600mila profughi albanesi (sul milione di abitanti) che vengono evacuati per consentire i bombardamenti non si allontaneranno oltre la ventina di chilometri dai confini con Macedonia e Albania. Rientreranno quasi tutti. Gli altri, sparsi un po’ in tutto il mondo, rimarranno nei paesi ospitanti o saranno aiutati a rientrare. Come la Germania che ne incluse 160mila (ai quali alcuni dei Lander avevano rifiutato lo status di “rifugiato”) nelle liste di rientro obbligatorio. I serbi? Non ci sono quasi più, sono scappati dalla guerra e dalle vendette in 200mila. Le loro case sono occupate, le fabbriche distrutte, le cooperative abbandonate, in alcune parti del Paese i sopravvissuti sono protetti dalle forze militari. Il Battaglione greco deve proteggere una (di numero) nonna con nipotina a Mitrovica sud e scortarle per andare a comprare il pane e a scuola dall’altra parte del ponte. I reggimenti italiani da 23 anni devono proteggere quattro frati custodi del monastero di Decane e il Patriarcato di Pec. Vent’anni fa due suore ortodosse si ostinavano a coltivare cavoli nella campagna della Drenica. Nessuno le proteggeva. O forse sì.

Lezione

 

Questa guerra piace tanto a chi non l’ha mai vissuta
LA LEZIONE DEL CRISTO DI DONATELLO - La nostra generazione di potenti ci sta trascinando verso l’abisso perché l’abisso non sa che cosa sia. E perché ha scelto di essere terribilmente ignorante
DI TOMASO MONTANARI
Questa Europa in guerra è governata da una generazione che non sa cosa sia la guerra. Quella che si era trovata costretta a fare la Resistenza, aveva fondato su quell’esperienza lacerante un’idea di Europa radicalmente diversa. Alle Fosse Ardeatine si legge: “Qui fummo trucidati, vittime di un sacrificio orrendo. Dal nostro sacrificio sorga una patria migliore, e duratura pace tra i popoli”. Nessuna estetica del morire per la patria: il sacrificio era orrendo, la patria da cambiare. Il fine non negoziabile: mai più tornare indietro, mai più un’altra guerra. Come il Cristo risorto dell’ultimo Donatello, sui pulpiti di San Lorenzo: vincitore, ma disfatto. Un soldato anche lui sconfitto: un vincitore che con la morte non vuole, non può, avere più niente a che fare.
Il ripudio costituzionale della guerra, ben più di un rifiuto, nasce qua. In Costituente si dirà che è la scuola, non più l’esercito, il presidio della nazione. Nel Manifesto di Ventotene è senza appello la condanna degli stati-nazione: “La sovranità assoluta degli stati nazionali ha portato alla volontà di dominio sugli altri e considera suo ‘spazio vitale’ territori sempre più vasti. Questa volontà di dominio non potrebbe acquietarsi che nell’egemonia dello stato più forte su tutti gli altri asserviti”. E oggi vediamo coi nostri occhi che “basta che una nazione faccia un passo più avanti verso un più accentuato totalitarismo, perché sia seguita dalle altre nazioni, trascinate nello stesso solco dalla volontà di sopravvivere”.
La nostra generazione di potenti ci trascina verso l’abisso perché non ha vissuto la guerra. E perché ha scelto di essere terribilmente ignorante: convinta che bastassero finanza e tecnologia, ha rinunciato con disprezzo alla cultura umanistica. “Fare soldi per fare soldi per fare soldi”. Già: a che mai poteva servire conoscere Omero, leggere Erasmo, guardare Donatello? Eppure è lì che si trova la medicina contro il veleno della guerra. Lungo millenni di stragi inenarrabili, lì si è addensata la forza di pensieri e parole capaci di conservarci umani, resistendo nonostante tutto all’amore per la guerra. Proprio ciò che servirebbe al manipolo di tecnocrati e affaristi che ora gioca con i missili senza nemmeno il pathos della consapevolezza, senza provare un grammo di orrore per ciò che prepara.
Accostate il discorso di Draghi davanti a Zelensky (secco freddo cinico pedestre, senza un sussulto di responsabilità) all’inno omerico ad Ares (il Marte dei romani), anonimo capolavoro del pensiero antico, in cui si invoca il dio della guerra perché freni la guerra: “Ascoltami soccorritore dell’umanità … irradia di lassù la tua amica luce sopra le nostre vite, e la tua forza guerriera: così che io possa scacciare dalla mia testa l’odiosa viltà, e frenare quello slancio fallace del mio animo, e trattenere quella stridula voce nel mio cuore che mi provoca a gettarmi nella guerra agghiacciante. Tu, o beato, donami il coraggio: lasciami indugiare al sicuro nelle leggi della pace, e sfuggire così allo scontro con i nemici, al destino di una morte violenta”. Il coraggio della pace, la forza della pace: e la viltà della guerra, la debolezza di cedere ad essa. Quanto avremmo bisogno di queste parole, oggi: di questo modo di guardarci dentro. “L’inno – commenta James Hillman – risponde a questa antica domanda: come iniziano le guerre? Nella stridula voce nel cuore del popolo, nella propaganda della stampa, nei capi che vedono nemici ovunque e cercano pretesti per combattere. Slancio fallace e ondata di falsità si promuovono a vicenda, sicché siamo ingannati da un senso di urgenza e ci giustifichiamo con l’ipocrisia di nobili proclami”.
Non è forse quello che sta succedendo? Mandiamo armi convenzionali, ci prepariamo a quelle chimiche, rompiamo il tabù nucleare. Corriamo, a rotta di collo, ad aumentare la spesa militare. La retorica dell’eroismo sale, come una febbre maligna. Come la propaganda: Putin è Hitler, “vuole arrivare a Berlino”, anzi “a Lisbona”. L’Ucraina deve entrare nella Ue, anzi nella Nato: a un passo dall’apocalisse atomica. E via, in un folle crescendo che brucia, in pochi giorni, decenni di saggezza.
Così l’intera Europa sta al gioco paranoico del despota Putin, parla la sua stessa lingua, invoca lo stesso fuoco della guerra invece che la freddezza della pace – fatta di attesa, indugio, dialogo, ponderazione, mediazione, compromesso. E i peggiori sono i potenti che si dicono cristiani: “Essi reprimono e nascondono tutto ciò che potrebbe conservare la pace, esagerano ed esasperano tutto ciò che possa dare inizio a una guerra” – notava Erasmo, sgomento.
Intanto, gli ucraini combattono: lo fanno per i valori dell’Occidente, diciamo. Per noi. Noi: gli ipocriti. Noi che alimentiamo la guerra, invece di costruire la pace. Noi che ci diamo da fare perché la guerra si prolunghi. “Dulce bellum inexpertis”, diceva ancora Erasmo: solo chi non l’ha provata sul proprio corpo può desiderare che la guerra duri ancora.

domenica 27 marzo 2022

Ottimo Marco!

 

Fermiamoli
di Marco Travaglio
Se pensiamo che Putin, autocrate criminale e guerrafondaio (da 20 anni, però), abbia invaso l’Ucraina per prendersela tutta, ingoiarsi l’intera ex-Urss e poi, novello Hitler, “arrivare a Lisbona” (l’autorevole Severgnini), dobbiamo essere conseguenti: freghiamocene dei trattati, che ci vietano persino di inviare armi all’Ucraina, e scateniamo la terza guerra mondiale: No-fly zone, missili anche atomici e truppe. Non le invierebbero gli Usa, che adorano appiccare fuochi ai nostri usci e lasciarci raccogliere cocci, morti e profughi; ma quell’esaltato di BoJo, gli invasati polacchi e i servi sciocchi italioti non vedono l’ora. Se invece, come scrive il Fatto dal primo giorno e ora pure i giornaloni (ma per dire che i russi sconfitti battono in ritirata), Putin punta ai territori russofoni di Crimea, Donbass e corridoio sul mar Nero che già controlla, alla neutralità e al disarmo dell’Ucraina, dobbiamo porci qualche domanda. Che senso ha imbottire di armi l’Ucraina, cioè perlopiù milizie mercenarie che dopo una tregua sarà difficilissimo disarmare? Che senso hanno gl’insulti di Biden che, novello Bush jr., riparla di “esportare la democrazia” e illude gli ucraini sulla riconquista di tutti i territori e pure sulla caduta di Putin, contro ogni evidenza e a prezzo di altre stragi e distruzioni? Cosa vogliono gli opinionisti embedded (quasi tutti) che, a chi evoca un compromesso che garantisca la sovranità dell’Ucraina rimasta e la sicurezza degli altri attori dell’area, rispondono come al primo giorno di guerra, e cioè che ogni concessione negherebbe che gli aggressori sono i russi (cosa che tutti sanno e dicono)? E che senso ha insistere su un vecchio impegno del governo Renzi con la Nato per passare da 25 a 38 miliardi l’anno in armi, anziché ridiscuterlo alla luce del progetto di esercito Ue che costerebbe molto meno a ogni Stato membro?
Leggete il generale Mini a pagg. 4-5: tallonato dal Congresso e dai media della lobby delle armi, Biden ignora i report del Pentagono sulle vere intenzioni di Putin, per allungare e allargare la guerra. E chi in Europa gli va dietro, da BoJo a Draghi, è – come dice il Papa – “un pazzo”. La maggioranza degli italiani non segue i media da sbarco: vedi i sondaggi. L’unico leader che contrasta la deriva bellicista è Conte, che oggi e domani si spera otterrà molti voti online per rafforzarsi dentro e fuori il M5S e resistere alle pressioni indicibili che subisce perché si arruoli. Poi ci sono SI di Fratoianni, Alternativa, le voci isolate nel Pd (Delrio, Bindi, Boldrini) e nella Lega, e l’associazionismo (Pax Christi, Anpi, Emergency, Cgil, Uil, pacifisti e ambientalisti…): vanno sostenuti tutti, per rompere il fronte Sturmtruppen che, ridendo e scherzando, lavora alla terza guerra mondiale.

sabato 26 marzo 2022

Ottimo vendicativo


Dopo aver gettato via la tesserina della spazzatura ed aver tenuto il sacchetto in mano con sguardo inebetito, convinto che oramai la canizie stia prendendo il sopravvento, mi sono recato a Spezia Risorse per il duplicato, assaporando la celerità con cui mi hanno consegnato la nuova tessera della spazzatura. Uscito soddisfatto però c’era qualcosa che non tornava, un ronzio che s’incuneava in cervice, derivante dal fatto che non mi avessero chiesto un documento d’identità, fidandosi della mia parola sulle generalità… ottimo a sapersi per il futuro, nel caso qualcuno mi rompa i maroni oltremodo: mi spaccerei per lui ed ogni sera aprirei in suo nome il cassonetto a pagamento dell’indifferenziata! Tiè!

A grande richiesta il Pagliaccio Cazzaro!

 


Vai Daniela!

 

La cretinata asimmetrica per linciare il prof. Orsini
DI DANIELA RANIERI
Nel giorno in cui il professor Alessandro Orsini, direttore dell’Osservatorio sulla sicurezza internazionale della Luiss, si è visto rescindere il contratto con Cartabianca perché non gradito ad alcuni politici e all’intellighenzia liberale italiana, lo stesso Orsini è stato invitato a Piazzapulita, dove, poiché viviamo in una democrazia e non in Russia, ha potuto democraticamente esprimere il suo pensiero insieme a giornalisti e analisti.
Introduce Formigli: “Per aver detto ‘siamo sicuri che dare più armi all’Ucraina non porti più massacri?’ Orsini è diventato un criminale, che non ha diritto di parola”. Mario Calabresi è sarcastico: “Orsini è tanto demonizzato e ostracizzato che le trasmissioni fanno a pugni per averlo ospite”, e lo indica come a dire che infatti sta lì, ancora respira, per di più. Quindi: uno a cui si vuole impedire di parlare in Rai e che è costretto a rinunciare al compenso non è ostracizzato, anzi; altra cosa sarebbe se fosse attaccato a un palo con una patata in bocca come i presunti ladri in Ucraina, allora si potrebbe forse dire che qualcuno lo demonizza.
Qui da noi è fin troppo coccolato: per il deputato del Pd Andrea Romano, storico e all’occorrenza picchiatore web (lo diciamo con cognizione di causa), Orsini è un “pifferaio di Putin”. Per Anzaldi (Iv) è “un’opinionista filo-Putin che recita una parte”. Per Repubblica è “filo-Putin” tout court; per il Corriere, via Gramellini, “ha una faccia sofferta” e una voce “tra l’assertivo e il piagnucoloso”; per molti è “una quinta colonna di Putin”. Perciò secondo Calabresi Orsini deve solo rallegrarsi: “Nella Russia di Putin sarebbe stato prelevato e sarebbe scomparso”, invece qui può ancora parlare (forse perché non comandano Romano, Anzaldi, etc.). Sarà per la libertà di cui gode che è l’unico, tra tutti gli ospiti di talk show, a dover dichiarare il suo orientamento politico. Dice di avere una formazione “francescana e socialista-liberale”: praticamente una confessione di nazionalismo panrusso. A scanso di equivoci, dice pure di non avere mai messo piede in Russia e di non avere amici russi.
La politologa Tocci, membro del Cda di Eni, dice che poiché Orsini non ha mai messo piede in Russia non dovrebbe parlare della guerra in Ucraina. L’accusa diuturna rivolta a Orsini di avere rapporti con la Russia e di esserne una specie di spia ora è diventata: non è mai stato in Russia, quindi non può parlare di Russia (pregansi adeguarsi tutte le redazioni). Difatti noi sappiamo che gli astrofisici prima di parlare di Marte hanno calpestato il suolo marziano. Orsini obietta che allora nessuno potrebbe parlare di Seconda guerra mondiale. Tocci: “Io non andrei mai in televisione a parlare di Seconda guerra mondiale!”. Orsini prova a spiegare che non è una cosa personale, nessuno nato dopo il 1945 potrebbe parlarne. Tocci insiste: in Russia “un ricercatore ci va, parla con le persone”. Raccoglie vox populi, insomma, e questa – spiega – è “la competenza”.
Formigli cita quella che per molti è la pistola fumante del suo filoputinismo: aver pubblicato sul sito di geopolitica che dirige un articolo sul lancio del vaccino russo Sputnik. Un analista di sicurezza non avrebbe dovuto occuparsi di sicurezza in epoca pandemica per non essere sospettato di intelligenza col nemico; fermo restando che se si non si fosse occupato di sicurezza non sarebbe stato titolato a parlare di sicurezza, sub specie Toccis et cetera, che invece possono parlarne senza limiti. Puro Comma 22.
Fubini (Corriere) dice che “possono esserci opinioni diverse”, bontà sua, ma “i fatti devono essere quelli per tutti”. Decide il Corriere quali sono i fatti: secondo il Corriere Orsini non ha mai condannato Putin; però Orsini l’ha condannato, quindi non si capisce cosa avrebbe dovuto fare, forse farsi paracadutare sul Cremlino con una cintura esplosiva. Calabresi è in grado di rivelare il “sottinteso” dei discorsi di Orsini, cioè “che Putin non bisogna provocarlo”. Orsini dice che non è vero. Calabresi lo deride: “Allora non abbiamo capito niente io, il Corriere, Repubblica…”, che sarebbe pure una possibilità. Tocci ridacchia. Al che Orsini dice la cosa peggiore che potesse dire: “Il mio pensiero è complesso”. Dio ci scampi! La complessità è il nemico uno per gli editorialisti italiani! Gramellini l’ha sbeffeggiata su Corriere, accostando Orsini a Povia (come per Repubblica Barbara Spinelli è simile a Savoini). Dire “è complesso” equivale a dire “speriamo vinca Putin uccidendo tutti i bambini ucraini”. Orsini riesce a dire: “Putin vuole prendersi l’Ucraina”. Calabresi: “Quindi va bene che prenda l’Ucraina??”. Orsini si ribella all’illazione. Calabresi banalizza: “Mentre lei mette sul tavolo la popolazione, l’esercito, la demografia (cioè quello che dovrebbe fare un ricercatore universitario, ndr), quello coi carrarmati entrava in Ucraina!”. Manca solo lo strale “contro i professoroni”, che siccome Calabresi è di sinistra arriva in termini più eleganti: “Non esiste solo l’accademia, c’è la realtà!”. La stampa italiana tutta, schierata a favore della guerra, a destra di Luttwak, crivella di colpi (non fisici, ma neanche dialettici: non si sente una sola contro-argomentazione valida) un professore che dice quel che dice il Papa; quindi o Orsini è papale, o il papa è filo-Putin.
Inutile ribattere, in base alla legge di Brandolini (nota anche come “bullshit asymmetry principle”, principio della stronzata asimmetrica): “l’energia necessaria a confutare una sciocchezza è superiore a quella necessaria a produrla”. La stronzata è la più efficace arma nucleare: meglio arrendersi.

Da non credere!

 


Travaglio!

 

Tank show
di Marco Travaglio
Gustavo Zagrebelsky cita spesso un aforisma contro la guerra attribuito a Karl Kraus: “Quando squillano le trombe, si fanno avanti le trombette”. Il che spiega il titolo del Corriere sul no di Conte al quasi raddoppio delle spese militari: “Escalation anti armi del capo M5S” (a saperlo, Orwell l’avrebbe aggiunto agli slogan della neolingua del Ministero della Verità: “La guerra è pace”, “La libertà è schiavitù”, “L’ignoranza è forza”). Ma spiega anche la presenza nei talk di Nathalie Tocci, che l’altra sera a Piazzapulita linciava Alessandro Orsini mentre Fu(r)bini e Calabresi lo tenevano fermo. Testuale: “Orsini non ha mai messo piede in Russia, non ha amici né colleghi russi, quindi non so perché parli di Russia”. Direttrice dello Iai (fondato dall’incolpevole Altiero Spinelli, che non ebbe la prontezza di portarselo nella tomba) e Cda dell’Eni, esperta di Russia e Ucraina perché c’è stata o ha amici in loco (probabilmente benzinai), la signora parlava “in veste di ricercatrice” (dell’Eni, il che fa di lei la meno titolata per parlare e sgasare di Russia). Infatti ha spalancato alla ricerca scientifica nuove frontiere inesplorate, abolendo la storia, la storia della letteratura e dell’arte, ma anche l’astrofisica. Come si permette un Canfora di scrivere biografie di Giulio Cesare senz’averlo mai conosciuto? E di che cazzo parlano tutti questi dantisti fuori tempo massimo se con l’Alighieri non hanno preso neppure un caffè (anche perché nei bar di Firenze non era ancora arrivato)? Per non dire del Papa, che parla di Dio senz’averlo mai visto neppure in cartolina, anche se molti vorrebbero anticipargli l’incontro.
All’ovvia obiezione di Orsini che, allora, nessuno può parlare di Napoleone o di guerre mondiali (e, a maggior ragione, puniche), la ricercatrice per insufficienza di prove ha risposto che infatti lei non parla di Napoleone né di guerre mondiali, dimostrando di non aver afferrato il concetto (ma lo sta ricercando). Dunque si confronterà sulla Russia solo con tour operator, oligarchi, fotomodelle, piloti, steward e hostess della rotta Roma-Mosca. Senza dimenticare B., Salvini e Savoini. Non vediamo l’ora di un bel talk (anzi tank) show per soli competenti: cioè la Tocci con Al Bano e Romina, Toto Cutugno, Pupo e la Muti, che in Russia erano di casa, la qual cosa fa di loro automaticamente degli esperti di geopolitica. Orsini invece no, anche se fu tra i primi (insieme a Giulietto Chiesa) a prevedere l’invasione russa in Ucraina già nel 2018 e, da putiniano doc, raccomandò all’Occidente di mantenere le sanzioni a Putin. Un altro grande umorista, non avendo fatto in tempo a conoscere la Tocci, disse che nessuno dovrebbe parlare di ippica se non è un cavallo. Ma per gli asini avrebbe fatto senz’altro un’eccezione.

L'Amaca

 

Non siamo mica in Russia
di Michele Serra
Vorrei abbracciare la giovane presidente dell’Anpi di Caltanissetta, Claudia Cammarata, per le chiarissime parole riportate da Concetto Vecchio ( Repubblica di ieri): «Chi cerca gli amici di Putin deve bussare alle porte della destra. Non qui. Non siamo stati noi a stendere i tappeti rossi sotto i piedi di Putin. Non è amico dei comunisti, è amico dei fascisti. Salvini andava in giro con la maglietta “Più Putin meno Mattarella”.
Perché allora ve la prendete con noi?
Che fosse un despota lo si sapeva. Invece ci hanno fatto gli affari».
Le accuse di «equidistanza» all’Anpi sono dolorose. Investono un vasto campo etico, politico, storico e sentimentale: l’antifascismo, la democrazia, le guerre di liberazione, il pacifismo e la sua mission impossible di fronte a un’aggressione armata, l’autodeterminazione dei popoli, il rapporto indocile della sinistra con l’egemonia degli Stai Uniti. Se all’autorità morale del Papa nessuno si permette di imputare come «equidistante» il secco rifiuto dell’aumento delle spese militari («io mi vergogno»), non gode di uguale comprensione il travaglio di chi sta con l’Ucraina aggredita (da un amico dei fascisti, brava Claudia) ma manifesta dubbi sul riarmo, sulle risposte da dare, sulla strategia da adottare per fermare il massacro delle città ucraine e spegnere l’incendio in Europa.
Capita che si discuta animatamente sul da farsi anche tra gli strateghi militari, nel segreto degli Stati Maggiori: e non si dubita che lavorino tutti per cercare di vincere. Non si vede perché non debba essere concesso, avere dubbi e discuterne, anche alla società civile, ai partiti, alle associazioni, al mondo intellettuale. Come si diceva una volta: non siamo mica in Russia.

Pensiero di don Luciano Locatelli

 

di Don Luciano Locatelli

Sono bastati due post in cui ho espresso il mio disagio profondo per questa guerra, la mia difficoltà estrema nel cercare un senso a tutto questo, la mia ricerca personale di come vivere il messaggio di Gesù dentro questa situazione che subito si è "scatenato l'inferno". Domande più o meno sarcastiche, botte e risposte tra chi è intervenuto a suon di: "Ma lei non capisce... ma pensa solo al calcio... ma fatti visitare" e via discorrendo.
Ecco: è tutto qui. Questo è l'humus fecondo che spiega come Russia, Ucraina, e tanti altri che sono passati in secondo piano (le imagini attuali fanno "più" notizia, gli "strateghi" primeggiano in Tv, sono gli stessi tuttovirologi di ieri cui han cambiato trucco e parrucco) dicevo, Russia, Ucraina e tanti altri non sono "là" fuori, sono dentro di noi.
Lo dico a me stesso, e per favore, almeno per questa volta, evitate di commentare perché vi siete già ampiamente spiegati.
Faccio parte di un'umanità stupida in cui ognuno si ritiene talmente intelligente e superiore da non riuscire a rendersi conto dell'altro e dell'Altro. Nel nostro piccolo continuiamo imperterriti ad "allagarci", a occupare tutti gli spazi, a "mangiare tutto" , a parlarci addosso, ad attaccare l'altro persino con la fragilità della parola, trasformata spesso in clava, perché ci riteniamo non custodi ma padroni.
Faccio parte di un'umanità in cui ciascuno fatica ancora a farsi "pastore della propria animalità".
Faccio parte di un'umanità che troppo impunemente pronuncia parole come Gesù e Vangelo e non si rende conto di utilizzare queste parole come dei soprammobili verbali che abbelliscono il linguaggio ma non impegnano come dovrebbero quando vengono pronunciate.
Ecco, tutto qui.
Se usiamo ancora, nel 2022, la guerra per difendere le nostre ragioni, se ricorriamo ancora alle armi per imporre idee e valori, beh, allora abbiamo percorso pochi millimetri nel percorso di umanizzazione che è iniziato milioni di anni fa. Siamo ancora più animali, che pastori.
Il mio Maestro una via l'ha tracciata. Al di là di tutte le domande che mi avete posto, al di là della riflessioni più o meno sane che avete scritto, io solo a Lui faccio riferimento. Lo so: non è finito bene nemmeno lui. Quanti, sotto lo croce, lo sfottevano: dai, facci vedere le tue teorie. Fai il Messia... fai il pacifista con questi Romani che ti hanno appeso... fa' vedere la tua potenza... D'accordo: stando a certi criteri che ho letto Gesù oggi sarebbe definito un illuso, un povero pirla che vive fuori dal mondo, che non capisce che se non si difende quelli se lo mangiano.
Ma, allo stato, non mi pare stiamo finendo bene anche noi che, al contrario di lui, pare abbiamo risposte precise sul da farsi.
Abbraccio e buona vita.

venerdì 25 marzo 2022

Appunti

 


Quando uno è bravo giornalista...

 

Ecco oggi la domandina al grande giornalista Francesco Merlo di Repubblica, e la sua risposta, al solito non di parte, altera, priva di ovvietà, frutto di quel lavoro di scindere la fregnaccia dalla verità, tipica di ogni buon giornalista. Merlo non si cura minimamente di infangare una persona preparata, assennata, non essendo nel suo dna. Questo pezzo diverrà un prezioso cimelio un giorno, per far capire a quelli che verranno cosa significasse nela nostra epoca alterare le notizie per scopi benefici. Verso gli editori come quello di Merlo, mix di svariate attività con immensi profitti, tra cui la stretta convergenza d'intenti e di lucri, pare, con Cnh con la propria Iveco Defence Vehicle produttrice di di blindati per l'esercito italiano assieme a Consorzio Iveco Oto Melara, e poi una posizione in Rolls Royce, produttrice di motori per veicoli militari attorno al 25% del totale, facente parte del programma Tempest assieme a Leonardo per la produzione di caccia di nuova generazione.
La guerra quindi per Merlo non si deve fermare. Assolutamente. Ne va della pagnotta!

COMMENTI
Posta e risposta di Francesco Merlo

La Rai e il Paladino di Putin Il bel tempo ora è la pioggia
Caro Merlo, qual è il capzioso talento del prof Orsini?
Fabrizio Bonfigli — Trieste

Solo in Italia, che non è il Paese di Dostoevskij ma di Totò, la tv, di Stato e privata, mima la guerra con l’Opera dei Pupi. Sicuramente Alessandro Orsini, ora che la Rai gli ha annullato il contratto, di più si accanirà a fare il Paladino di Putin come Orlando, tra i Pupi, fa il Paladino di Carlo Magno. E poco importa se il tipo tele-letterario del Cattedratico Putiniano sarà macchietta gratis o pagato, e magari più pagato a La7 o a Mediaset, e con la corona di spine del censurato, come il grande Biagi, come nell’editto bulgaro: figuriamoci! Per gli italiani, che nulla sanno delle sue qualità di professore, Orsini è solo un animatore tv, vale a dire un acchiappa-audience, che è un mestiere stagionale, ben più difficile dell’esperto autentico, proprio come nei centri vacanza è più difficile fare l’intrattenitore che il barman o il bagnino. Come tutto in tv, anche l’acchiappa-audience fu inventato da Maurizio Costanzo che arrivava a mostrificare lo strambo, il travestito, la donna con tre sessi, il polemista manesco, il sociologo e la sua signora, l’artista maledetto, il critico d’arte furioso, l’allegro moribondo e il triste resuscitato… quasi sempre, va detto, usandoli con sapienza. Anche Santoro ne abusò trasformando in divi del trash gli antagonisti ruvidi, i ribelli scomposti, i disobbedienti politici sino ai vaffa-boys ingaggiati nel tendone da circo per sfide tra malinconici compari. Di quel modello oggi sono la spelacchiata degenerazione, quasi sempre contrattualizzata, il montanaro rasposo, il professore arrabbiato, il No Vax ignorante, il giornalista antisistema, sino appunto al cattedratico filorusso, al Paladino di Putin che più di tutti gli altri bimbumbam della tv, ne ha svelato la degradazione. Ha infatti svilito, nel terribile tempo di guerra, la figura nobile dell’ospite, ha mortificato il dibattito tra competenti e ha caricaturizzato i saperi. E con questi animatori tv non bisogna mai ingaggiare polemiche perché se ne nutrono. Posano sempre a martiri della libertà e, basta che li nomini (quando ti ricordi il nome) e ti accusano di compilare liste di proscrizione, di imbavagliarli. Povera Rai come ti sei ridotta: gli Orsini “ te li vai a cercà cor lanternino ” si dice a Roma. Il “problema Orsini” non è infatti il compenso da intrattenitore, ma il quarto d’ora di celebrità che gli sta facendo vivere una tv senza idee che, con il Paese coinvolto nella guerra, ancora e a tutti i costi va a caccia dell’audience confondendola con la qualità e con la libertà. Purtroppo, Putin ha ben altri crimini da scontare prima che gli si possa mettere sulla coscienza anche Orsini.


L'Amaca

 

Rileggere il Paese dei Balocchi

di Michele Serra

Il bel botta e risposta su Pinocchio tra Aurelio Picca (che non lo ama) e Stefano Massini (che lo difende) mi ha fatto ripensare al mio sconcerto di lettore-bambino: non sapevo se essere contento di quel finale, la metamorfosi di Pinocchio in bambino vero.
Mi consolava saperlo finalmente al sicuro. Ma forse avrei preferito che rimanesse burattino.
Chi è la farfalla, chi il bruco, il burattino disobbediente che si scapicolla per il mondo o il bravo bimbo che infine, prendendone il posto, lo uccide?
Crescere e diventare “come gli altri”, socialmente accettati, è una evoluzione o una resa? Non l’ho capito ancora adesso, che sono inesorabilmente cresciuto, un po’ perché così capita, un po’ perché crescere ha i suoi vantaggi.
Vent’anni dopo Pinocchio, Peter Pan (altro capolavoro sul tema) diventava l’eroe riconosciuto del rifiuto di crescere, ribellandosi al tempo che incombe e ci strappa a quella illusione di eternità che è l’infanzia.
Rimanere aggrappati ai sogni o diventare grandi? Volare sopra il cielo di Kensington, scappare ridendo per le vie, o ammettere che non esiste possibilità di fuga, e in quel preciso momento cominciare a invecchiare?
Negli anni la questione, già ambigua in sé (perché sono belle e importanti entrambe le condizioni: essere bambini e essere adulti), si è ulteriormente complicata. Rimanere bambini, quale che sia l’età anagrafica, è per esempio un ottimo presupposto per essere consumatori perfetti (e almeno in questo senso sarebbe urgente crescere). Le pagine sul Paese dei Balocchi, che hanno un’aura di preveggenza, basterebbero, da sole, a suggerire una rilettura di Pinocchio.