mercoledì 30 novembre 2022

Robecchi

 

“Opzione danno”. In pensione solo le donne con otto figli e una gamba
di Alessandro Robecchi
L’iter della legge finanziaria è sempre un toboga gibboso irto di curve, ostacoli, rallentamenti, testacoda e assurdità. Il tema, in definitiva, è quello di cavare sangue dalle rape, trovar soldi dove non ce ne sono, tirare di qua e di là una coperta sempre troppo corta e mettere in atto i ghirigori ideologici di chi tiene il timone. Sempre pronto, tra l’altro, a battersi il petto come un eroe, a dire “non mi importa di essere impopolare!”, che se ci fate caso è la prima cosa che dicono quelli che venderebbero la madre per essere il più popolari possibile. Così, infatti, Giorgia Meloni è andata a parlare agli industriali veneti, assicurando che il governo sta con le imprese, ci mancherebbe, i suoi regali vanno valutati in cinque anni, non nella prima legge di bilancio e che già in quella, comunque, c’è l’assicurazione sulle mani libere dell’impresa. Non verrete ostacolati: andate e sfruttateli tutti. Amen.
Resta, come sempre e più di sempre, la sensazione della spremitura delle olive, a volte fino al ridicolo, livello a cui è giunta la famosa “Opzione donna”, cioè la norma che doveva permettere alle donne che lo volessero di andare in pensione un po’ prima. Puoi farlo, ok, ma devi avere un figlio (le non mamme cazzi loro), anzi meglio due, ma non basta. Devi avere un parente infermo e fargli da badante. Oppure (meglio) essere inferma tu, invalida più del 74 per cento. Donne! È arrivato l’arrotino! Potete andare in pensione venti minuti prima ma solo con otto figli, una gamba sola e il vecchio padre infermo appeso al collo. I giornali, seriosissimi, titolano trattenendo le risate: “Opzione donna, si riduce la platea”.
Sono gli stessi giornali che fino a due mesi fa ci descrivevano i percettori di Reddito di cittadinanza come pascià sul divano, il narghilé in una mano, il telecomando nell’altra, sghignazzanti davanti ai poveri lavoratori madidi di sudore; e che ora scoprono che questi qui, i famosi fancazzisti da divano, non sanno quasi leggere né scrivere, che non sono occupabili, che non si sa cosa fargli fare, né dove, né come. Pazienza.
A proposito di essere più o meno popolari, bisogna in qualche modo ringraziare quel ventre molle del Paese (pardon, Nazione) che ha sostenuto la narrazione tossica dei cattivoni sul divano. Piccoli commercianti, piccoli artigiani, corporazioni pronte alla battaglia, potentati titolari di licenze, insomma tutti quelli che fare un po’ di nero non gli dispiace, ed ecco le norme sul Pos che si alzano e si abbassano come le paratie del Mose. Trenta euro, no, sessanta euro, ma in attesa di sentire cosa dice l’Europa. Insomma, signora mia, si prepara la festa nazionale del “caccia il contante”, con tanto di sghignazzamenti e sberleffi: “Mi volevi dare la carta? Marameo!”. Un Paese moderno (pardon, Nazione), non c’è che dire.
Dove vadano poi tutti ’sti soldi tagliati qui e là, ritagliati con le forbicine da rammendo o rapinati ai poveri, o sottratti al fisco, non è difficile da capire. Un’aliquota fissa al 15 per cento fino a 85.000 euro è un lusso da texani, finanziato coi soldi degli indigenti e dei poveracci. E in più – tradizione delle tradizioni – c’è il munifico regalo alla scuola privata: 70 milioni di euro in più nel 2023, elargiti con gesto elegante. “Ecco, qualche soldo per i chierici, su, su, prendete” dice il ministro, mentre alla cena di corte – che nemmeno si accorge della vergogna – discetta, con la parrucca incipriata, con l’ossequioso Bruno Vespa su come punire i discoli e gli indisciplinati. Ah, signora mia, che tempi!

Travaglio

 

La retromarcia su Roma
di Marco Travaglio
Pronti, via. Anzi, mica tanto. Meloni&C. erano così “Pronti” che, a parte andare a cercare ministri e sottosegretari per strada, come se fossero gli unici a non aver previsto la propria vittoria, non c’è materia affrontata nel primo mese su cui abbiano le idee chiare. Più che un governo, una mazurka di marce e retromarce. L’ultima è arrivata ieri, col ritiro dell’emendamento al decreto-insaccato “Missioni Nato e servizio sanitario in Calabria” (testuale) per continuare a spedire armi all’Ucraina in barba al Parlamento sino a fine 2023 (anche se nel frattempo finisse la guerra). Ma già prima i marciatori su Roma avevano ingranato la retromarcia, nell’ordine, su: nuova Opzione Donna (presentata, ritirata e ripresentata: olè), obbligo di mascherine in ospedali ed Rsa (doveva essere abolito, invece è rimasto), multe ai non vaccinati (dovevano essere abolite, invece sono rimaste), tetto al contante (10 mila euro, anzi 5 mila), obbligo di pagamenti col Pos (sopra i 30 mila euro, anzi sopra i 60 mila), calo del prezzo della benzina (il governo lo fa salire), trivelle in mare (FdI e Lega da No Triv a Sì Triv), abolizione del Reddito di cittadinanza (resta per gli “inoccupabili”, i due terzi dei percettori), cacciata dei navigator (li rivogliono pure le Regioni di destra), abolizione del Superbonus (prorogato sino a fine novembre, e ora forse sino a fine anno), Flat Tax (aliquote a platea cambiate una dozzina di volte), condono fiscale (idem come sopra), rapporti con la Cina (vietatissimi fino al vertice Meloni-Xi, ora manna dal cielo), navi delle Ong (non sbarca nessuno, anzi sbarcano i “fragili” e non il “carico residuale”, anzi sbarcano tutti), dl Rave party (6 anni di galera con intercettazioni, anzi 4 o 5 anni senza), bonus a chi si sposa in chiesa (era solo una cazzata delle tante), “priorità carceri” (tagli al personale penitenziario già sotto organico), “priorità scuola” (tagliano 6-700 scuole), “priorità sanità” (2 miliardi che non bastano neppure per pagare le bollette degli ospedali) e via retromarciando.
Intendiamoci: per chi pensa male e fa pure peggio, ogni retromarcia è una benedizione. Ma per dire quanto erano pronti e quanto durano. Meloni spera “a lungo”. Ma al suo posto, più che degli alleati rissosi, riottosi, malmostosi e cazzari, che fanno folklore, ci preoccuperemmo di Ollio & Ollio che s’offrono. Renzi, in tour a gettone a Bangkok, si dice “pronto a lavorare col centrodestra”: il che, oltre a essere un’ovvietà (lo fa da quand’è nato), è pure una minaccia. Calenda, dopo l’inutile incontro con lei, invita FI ad “aiutarla anziché sabotarla”. Cioè un leader di opposizione (si fa per dire) ne critica uno di maggioranza perché si oppone troppo. Noi, nei panni di Giorgia, una grattatina ce la daremmo.

martedì 29 novembre 2022

Giustizia parlamentare

 


Tutti dimessi!

 


Addio suffumigi!

 


Osho

 


Ragogna

 


Per riflettere

 

Guerra. Per salvare l’Ucraina servono strategie moderate e più diplomazia
di Alessandro Orsini
Se ragioniamo in una prospettiva di medio-lungo periodo, la dinamica in corso è chiara: l’esercito ucraino si indebolisce e quello russo si rafforza. Mentre l’Ucraina è senza corrente elettrica e senz’acqua, la Russia ne ha in grandi quantità; mentre il gas scarseggia in Ucraina, in Russia abbonda; mentre i soldati ucraini caduti al fronte non possono essere rimpiazzati, quelli russi diventano più numerosi; mentre il territorio ucraino è devastato, quello russo è illeso; mentre l’Ucraina è in bancarotta, l’economia russa, come rivela il Fondo monetario internazionale, regge piuttosto bene all’enormità delle sanzioni occidentali. Non sta andando bene, ma molto meglio del previsto. Il Fmi ha dovuto correggere al rialzo le previsioni circa la caduta del Pil russo.
Per quanto riguarda gli armamenti, la situazione per l’Ucraina è altrettanto preoccupante. Il New York Times ha appena rivelato che 20 Paesi della Nato su 30 hanno dato fondo alle riserve militari. Per non sguarnire i loro magazzini, i governi occidentali devono ridurre l’invio di armi a Kiev o produrle velocemente mentre le loro economie rallentano. Germania, Italia e Francia, spiega il New York Times, potrebbero donare più armi rispetto a quelle già inviate, ma sono parchi per non privarsi dei loro “pezzi” migliori o per paura di un’escalation incontrollata con la Russia. Si aggiunga che i massimi generali della Nato stanno cercando di spiegare ai governi occidentali che la Russia ha ancora molte risorse da investire, inclusa la trasformazione dell’economia nazionale in economia di guerra e l’arma nucleare tattica come extrema ratio.
Come se non bastasse, la stampa americana lancia la notizia che la Russia starebbe meditando di usare le armi chimiche.
Ricordiamo l’intervista del 31 agosto scorso rilasciata dal comandante dell’esercito tedesco, Eberhard Zorn, il quale invitava a non sottovalutare il potenziale bellico della Russia.
Ricordiamo anche le dichiarazioni di Mark Milley, capo di Stato maggiore Usa, che ha invitato il blocco occidentale alla diplomazia con la Russia subito dopo l’abbandono di Kherson. Zorn e Milley si rendono conto che il futuro non è roseo per l’Ucraina.
Se questa è la dinamica di medio-lungo periodo, le considerazioni possono essere molteplici. La nostra proposta è di investire tutte le risorse nella diplomazia per evitare che la Russia, dopo avere fiaccato le difese di Kiev ridotta alla miseria e la popolazione in fuga, marci sulla città per decapitare il suo governo. A tale riguardo, richiamiamo l’attenzione sulla costruzione di un muro al confine con la Bielorussia perché Zelensky teme che i russi corrano a Kiev. I generali russi stanno ammassando truppe e missili temibili in Bielorussia. Non è detto che i russi marceranno su Kiev, ma il fatto che questo scenario diventi ogni giorno più probabile dovrebbe indurre l’Unione europea a ripensare la strategia della “diplomazia zero” di Biden e Ursula von der Leyen. Purtroppo, il Segretario generale della Nato, Stoltenberg, ha appena dichiarato che la Nato intende assorbire l’Ucraina, costi quel che costi. L’estremismo di Stoltenberg è pericoloso giacché fornisce un incentivo ai russi ad abbattere Zelensky. Ben diversamente, l’Europa ha bisogno di una strategia moderata per mettere in sicurezza Kiev e Zelensky stesso.
Nel frattempo, i bambini morti in Ucraina sono 450 e quelli feriti più di 1.000. Tutto questo mentre i missili russi risospingono l’Ucraina verso l’era preindustriale.

Spiegazione

 

Chi condona i ballisti
di Marco Travaglio
Sabato In Onda, il samiszdat che nel weekend sostituisce Ottoemezzo, era dedicato a incolpare Conte per la frana di Ischia. E Paolo Mieli, noto esperto di urbanistica, profetizzava che il Fatto avrebbe scritto che quello varato dal Conte-1 non era un condono. Una volta tanto ci ha azzeccato: scriviamo che non era un condono non perché siamo amici di Conte, ma perché non era un condono. Spiace anche per gli altri urbanisti Cappellini, De Angelis, Zurlo, Sallusti e Renzi. Ma, per sapere se il dl Emergenze del 2018 fosse o meno un condono, basta leggerlo. I suddetti esperti hanno dedotto che lo fosse perché l’art. 25 s’intitola “Definizione delle procedure di condono”. E, siccome sono anche dei fini giuristi, erano così eccitati all’idea di poter sbugiardare l’azzeccagarbugli di Volturara Appula, dandogli pure una lezione di diritto, che si sono fermati al titolo senza leggere il testo. Sennò avrebbero scoperto che si riferisce alle “istanze relative agli immobili distrutti o danneggiati dal sisma del 21.8.2017 presentate ai sensi della legge 28.2.1985 n. 47, della legge 23.12.1994 n. 724 e del decreto legge del 30.9. 2003 n. 269… pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto”. E cosa sono quelle due leggi e quel decreto? I condoni edilizi di Craxi (1985) e di Berlusconi (1994 e 2003). Ecco perché il decreto Conte parlava di “pratiche di condono”: non perché ne stava facendo uno, ma perché citava quelli di Craxi e B. per poter “disciplinare gli interventi per la riparazione, la ricostruzione, l’assistenza alla popolazione e la ripresa economica nei comuni di Casamicciola Terme, Forio, Lacco Ameno dell’Isola di Ischia” terremotati nel 2017 (art. 17). Siccome il terremoto aveva distrutto o danneggiato un migliaio di case che attendevano (da 10, 20 o 30 anni) un sì o un no ai condoni craxian-berlusconiani e gli abitanti non potevano ristrutturarle, nel 2018 si chiese ai Comuni di “assicurare la conclusione dei procedimenti” di “esame delle istanze di condono entro sei mesi”. Il che poi avvenne col sì al condono (di Craxi e B.) per chi dice 6 e chi 60 case terremotate.
Il Fatto, pur comprendendo il dramma dei senza casa, criticò il Conte-1 perché dava un brutto segnale: quelle vecchie case avevano comunque dei vani abusivi, anche se non si potevano certo abbattere ignorando i tre condoni. Ma non sanava un solo abuso in più di quelli già coperti dalle sanatorie di Craxi e B. Anzi il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, il migliore degli ultimi 25 anni, aggiunse pure il divieto di qualunque opera in aree a rischio idrogeologico o di interesse ambientale, paesistico, archeologico e artistico. Come sempre, i pifferi di montagna partiti per suonare sono finiti suonati. Ma possono sempre incolpare Conte per il terremoto a Ischia del 1883.

lunedì 28 novembre 2022

Osho

 


Ragogna

 


Chissà...

 


Non mancherò!

 


Purtroppo sono a casa col Bastardo virale caro Signor (o meglio Professor?) Pier Giorgio Caria e pertanto non ho potuto partecipare alla meravigliosa conferenza da lei organizzata in quel di Modena per la modica cifra di 70 euro, che lei assicura andranno totalmente in beneficenza, e ci credo ci mancherebbe, sugli incontri alieni, ed è per questo che lei si definisce "contattista", e, come scritto nell'interessante articolo di oggi sulla Stampa, mi sono dannatamente perso affermazioni tipo quelle riportate:
«Negli anni 90 andai in una base nucleare russa, perché il comandante non riusciva a risolvere il problema dei dischi volanti che gironzolavano tutta notte sopra i silos di lancio delle testate». Oppure, «i Nazisti sono entrati nella terra cava passando da un punto dell'Antartide con un sottomarino», e ancora: «Rolando Pelizza piazzò una macchina di Majorana in Spagna e in 5 mesi chiuse il buco dell'ozono telecomandandola da casa, poi gliela sequestrarono».
Ed infine come riportato nell'articolo mi sono perso pure la testimonianza del suo amico e stigmatizzato Giorgio Bongiovanni, che ha le stigmate che gli sanguinano quando riceve messaggi dagli alieni che spiegano come decifrare i cerchi.
Mi sono perso tutto questo caro Signor-Professor Caria!
Ma stia ben certo che alla prossima Convention, fosse pure in capo al mondo sarò presente! Già fremo come una vergine il giorno delle nozze per dialogare con qualcuno sulla macchina di Majorana e sentire dal vivo le sue esperienze di "contattista"
Ci vediamo presto Caria! Porterò la mia personale esperienza in merito: sono certo infatti che tale Marco Van Basten sia arrivato quaggiù da altre galassie. Me lo conferma please?

Senti senti!

 

Parla un imprenditore edile pentito
“Ho costruito case dal giorno alla notte Qui così fanno tutti e nessuno controlla”
di MICHELE BOCCI
ISCHIA — Nella testa di un costruttore di Ischia il giorno dopo la tragedia della frana vengono frullati realismo e denuncia, ci sono ammissioni di colpa, chiamate a correo e pure un allarme sui cambiamenti climatici. Luigi ha 53 anni e ha iniziato ad andare in cantiere quando ne aveva 14. «Era il lavoro di famiglia. I miei volevano che facessi la scuola ma mi sono innamorato della cazzuola». Da sfollato, fuma una sigaretta dietro l’altra e racconta l’edilizia dell’isola.
La casa che si è costruito da solo ha retto. Come mai?
«La frana non è arrivata e per fortuna non abbiamo avuto danni. Siamo fuori perché è inaccessibile per il fango. Quella casa ce l’ho da trent’anni. Nel lavoro sono un tipo pignolo ma come tutti quanti qui, sono stato costretto a farla in tempi rapidi. È vero, voi lo chiamate abusivismo».
Ecco, l’abusivismo a Ischia: di chi è colpa?
«Nostra, ma qui è caduta la cima di una montagna, e una cosa del genere non c’entra niente con le case abusive».
Anche se fosse, cosa da provare, ciò non toglierebbe che il problema esiste.
«Non posso dire che siamo dei santi, per carità. Ma la casa non te la scegli, a volte erediti un terreno dai genitori e lì costruisci. Io lavoro per il pane e a volte penso, in coscienza, che certe case non le dovrei costruire».
E perché lo fa?
«La questione è complicata. Adesso mi trovo in tutte e due i ruoli, quello di costruttore e quello di abitante.
Avrebbero dovuto fermare tutto molti anni fa ma il sistema ci ha mangiato, andava bene a tutti.
Ovunque al mondo esiste un piano regolatore ma a Ischia non c’è. Come mai? Perché nessuno si è impuntato per farlo? Non lo sa, eh? Lo dico io, perché non si potrebbe costruire da nessuna parte».
E invece le case nascono e sono nate. Qual è stato il periodo di massima crescita edilizia?
«Gli anni Ottanta, c’è stato il boom. La gente aveva un campo di famiglia e costruiva, le pensioncine si allargavano e un pezzo alla volta aggiungevano camere e camere, così diventavano grandi alberghi. E magari la moglie del titolare dava una mano ai lavori come carpentiere».
E i controlli non venivano fatti?
«La colpa è anche nostra, però, chiedo io, potevano fermare questo casino subito, senza far buttare soldi alla gente. Se io ho un vigneto e stanotte ci costruisco le fondamenta di una casa, tu autorità domani lo vedi e dovresti fermarmi per dirmi: dopodomani voglio che torni tutto come prima, distruggi le fondamenta. E invece no. Mi fai andare avanti e spendere un casino di soldi e magari mi vieni a chiedereconto dopo 30 o 50 anni di quella casa. Mi dici che questa cosa lì non ci poteva stare. Tutti hanno tenuto la testa sotto la sabbia e fatto finta di non vedere».
Come è possibile che si sia arrivati a tutto questo?
«Ischia è un’isola molto popolosa, magari a Ponza e Ventotene non ci sono problemi. Qui siamo 60 mila, in estate 120 mila, e c’è bisogno di immobili. Poi ci si sta mettendo la natura».
I cambiamenti climatici?
«Sì, è tutto diverso. In mare trovo pesci che quando ero piccolo non c’erano. Una siccità esagerata come quest’anno non me la ricordo in vita mia, così come un acquazzone potente come quello dell’altro giorno. Adesso non è più pioggia come una volta, ora sono fiumi d’acqua. Fino all’altro ieri stavo sul cantiere in maglietta, nel giro di 48 ore devo stare con addosso il piumino».
Seguire le regole non sarebbe anche utile a evitare certe tragedie?
«Se a me dessero 10 metri in un posto sicuro io me ne andrei. Ci rimetto anche, ma dammi uno spazio tranquillo. Ma lo Stato perché dovrebbe mettermelo a disposizione? Per carità, non voglio niente da nessuno. Comunque, ho visto che tanti parlano di tragedia annunciata. Allora perché non sono venuti 24 ore prima a dircelo. Se sapevano dell’allerta meteo ci dovevano avvertire. Ma in Italia succede sempre così e facciamo finta di non vedere».
Anche il terremoto ha dimostrato la fragilità di certe case.
«Di quel terremoto non se n’è parlato, al contrario di questa nuova tragedia. Noi eravamo come nascosti, non esistevamo. Eravamo gli abusivi, il terremoto era colpa nostra. Per molti ce lo eravamo cercato».
Conosceva le famiglie travolte dal fango?
«Sì e so di essere fortunato. Posso pensare al dopo e ringrazio Dio. Poco tempo fa abbiamo avuto un’altra catastrofe e ci stavamo un po’ riprendendo. Ne stanno succedendo una dietro all’altra, compreso il Covid, una mazzata».

domenica 27 novembre 2022

Osho

 


Ragogna

 



Cerchio

 


Ischia travagliata

 

La pace edilizia
di Marco Travaglio
Non ci sono più lacrime né parole. Le lacrime le hanno consumate gli ischitani a furia di piangere i loro morti in alluvioni, frane, terremoti. Le parole le abbiamo consumate noi giornalisti, costretti a commentare ciclicamente sempre la stessa tragedia. Con le stesse cause: cambiamenti climatici, abusi edilizi, consumo di suolo, dissesto idrogeologico, incuria del territorio garantito dal trasversalissimo Partito del Cemento. E gli stessi colpevoli: quei politici e amministratori che promettono cose giuste e non le fanno, o promettono cose sbagliate e le fanno, ma anche quei cittadini che li votano e li rivotano per tenersi le case abusive. Poi c’è chi le parole non le finisce mai, neanche quando dovrebbe trettenerle in gola: il vicepremier e ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini. Ieri mattina era a Milano a inaugurare una linea della metro, eppure già annunciava che sotto la frana di Ischia c’erano almeno “otto morti accertati”, quando non s’era ancora trovato un cadavere. Passano gli anni e cambiano i governi, ma lui no: è sempre il Cazzaro Verde che, vicepremier e ministro dell’Interno del Conte1, annunciava arresti prima che fossero fatti, aiutando qualche criminale a scappare. Ora l’ansia di arrivare primo (a dire fesserie) l’ha portato a innescare una macabra gara nell’annuncio dei morti.
Eppure qualcosa di serio avrebbe potuto dirlo: che i negazionisti del clima travestiti da nemici dell’“ambientalismo ideologico”, molti dei quali votano Lega o FdI o FI, sono corresponsabili di queste catastrofi tutt’altro che “naturali”. Se Ischia ha 60mila abitanti e più di 27 mila pratiche di sanatoria, lo dobbiamo a chi non fa altro che promettere e perpetrare condoni in cambio di voti (altro che “voto di scambio” col Reddito di cittadinanza). Nell’ultima campagna elettorale finita due mesi fa, la Lega prometteva di bloccare gli abbattimenti le case abusive. Come ricorda Maurizio Acerbo (Up), il 9 settembre, due settimane prima delle elezioni, all’hotel Ramada di Napoli si tenne una riunione fra alcuni sindaci campani, i rappresentanti dei movimenti anti-demolizioni e i candidati leghisti Rixi, Cantalamessa, Castiello e Nappi. Tema: un decreto per bloccare gli abbattimenti. Quello che da anni Salvini va twittando col tragicomico eufemismo “Pace edilizia” e Rixi ha tradotto in un disegno di legge sul “ravvedimento operoso” per tenere in piedi gli edifici abusivi. Nappi, meno ipocrita, si faceva campagna elettorale con lo slogan “Condono edilizio subito”. Ora Rixi è viceministro alle Infrastrutture, cioè il braccio armato di Salvini, e la Castiello sottosegretario ai Rapporti col Parlamento. Da ieri sanno, insieme al loro principale, dove porta la loro “pace edilizia”: alla pace eterna.

L'Amaca

 

Povera Rai serva dei partiti
DI MICHELE SERRA
Nel Tg2 delle 13 di ieri, ovviamente, l’apertura era la tragedia di Ischia. Dopo il servizio (ottimo) dell’inviato è andata in onda una impressionante sfilza di dichiarazioni e tweet di quasi tutti i ministri del governo Meloni.
Quelli interessati all’accaduto (ovvero, quelli le cui parole avevano rilievo giornalistico) sono, se non erro, due: Interni e Ambiente. Oltre alla presidente del Consiglio. Tutti gli altri, che accidenti c’entravano? Con quale diritto, e quale titolo, dichiaravano?
Terminata l’assurda sfilza delle parolette governative, ministro per ministro, il Tg2, incredibile ma vero, ha pensato di dare un poco di spazio anche alle reazioni politiche: nuova sfilza di dichiarazioni dei capigruppo dei partiti, compresi, in coda, quelli di opposizione.
Lascio immaginare al lettore il palpitante interesse delle frasi di circostanza spese da ministri e onorevoli. Si andava dal commosso cordoglio all’urgenza dei soccorsi. Un portalettere, una cantante lirica, un geometra avrebbero potuto commentare l’accaduto con identica genericità.
Ci si domanda: posto che un tigì è un giornale, che rapporto, anche vago, hanno questi rosari di parole di circostanza con il giornalismo? Ve lo dico io: nessun rapporto. E a proposito di ministri, se avesse ragione Valditara quando elogia l’umiliazione come esperienza formativa, la Rai ne uscirebbe super formata, perché super umiliata da decenni di asservimento alla politica. Uno dei pochi veri segni di cambiamento di questo Paese sarà il giorno che alla Rai diranno ai tirapiedi dei ministeri e dei partiti: guardi, richiami domani che qui stiamo lavorando, e il nostro lavoro non è uguale al vostro.

sabato 26 novembre 2022

Un grande idiota

 


Ma che razza di uomo è uno che per anticipare l'annuncio delle vittime di un disastro se ne inventa otto? Che razza di uomo è uno che per apparire e per far credere di avere tutto sotto controllo, spara numeri a cazzo senza alcun rispetto per chi in quel momento non riusciva a trovare un parente, un amico.
Che razza di uomo è uno così e perché mai dobbiamo ancora vederlo in tv in tutta la sua inanità, la sua impareggiabile imbecillità. Questo codardo è un idiota pericoloso e va messo in grado di non nuocere. Prima che sia troppo tardi.

Inespresso

 

Certo che il vedere le due righette del tampone ti apre ad una serie di domande e quesiti sperticato, t'immette in quel mondo che da oltre due anni evitavi quasi con cipiglio, ti dona la sensazione di aver inglobato l'ospite, che prolifererà in te con miliardi e miliardi di micro inquilini la cui unica richiesta è vivere, convivere, perché la vita gode del vivere, perché non ci siamo solo noi a questo mondo ma anche infinitesimali virus che tentano di vivere in un organismo. Che ora è diventato il mio. M'accordo quasi istantaneamente di avere un ospite potente, molto potente, che però non riesce ad esprimersi a dovere a causa dei freni dei vaccini, a cui non riesce a liberarsi. Si, ho la netta sensazione che la tosse fastidiosa, la diarrea ogni mezz'ora, il raffreddore abnorme altro non siano che il tentativo di presentarsi con molto fastidio ma, grazie all'imbrigliamento vaccinale, la febbre non supera i 37,5, la fame non scompare, addirittura babbanemente avrei pure voglia di fumare! 

Sono quindi contento che la ricerca e lo studio abbia depotenziato il Bastardo! E' una di quelle occasioni in cui sei fiero di far parte del genere umano, la sua conoscenza, il suo operare per l'altro. Tutt'altra cosa da vederlo impegnato a costruire armi sempre più perfette, sempre più letali! 

Sono quindi costipato dalla visita, cercherò di far buon viso a cattivo gioco. Nell'attesa che tolga il disturbo. 

Ritorna Marco

 

Chi si firma è perduto
di Marco Travaglio
Commossi dal suo straziante grido di dolore, siamo vicini a Dario Nardella che confida al Messaggero gli otto anni di calvario da sindaco di Firenze: “Lavoriamo nel terrore”. Minacce di mafia? Attentati di al Qaeda? Unghie incarnite? Peggio: “terrore costante di una firma”. Una sindrome che colpirebbe tutti gli amministratori: “temerari” che “rischiano sia se firmano un atto, per abuso d’ufficio, sia se non lo firmano, per omissione”. Il loro problema è il Codice penale che trasformerebbe ogni amministratore in potenziale “indagato solo perché ha fatto ciò per cui è stato eletto”. Eccetto Nardella, che non risulta sia mai stato indagato. Ma vabbè. Per fortuna anche la Meloni, a dispetto delle accuse di fascismo, vuol cancellare l’abuso d’ufficio dal Codice del fascista Rocco: addio “terrore della firma”, addio “paura di sbagliare che paralizza” i Comuni. Beninteso: “Nessuno chiede uno scudo penale, non vogliamo privilegi”: i pubblici amministratori vogliono solo abolire un reato che possono commettere soltanto loro. È quello di chi abusa del suo potere truccando concorsi, gare, graduatorie per favorire amici, parenti, amanti, compagni di partito, raccomandati, mafiosi e danneggiare gli altri. Questa condotta odiosa, che viola i principi di eguaglianza e di imparzialità dell’Amministrazione (artt. 3 e 97 della Costituzione), resterà finalmente impunita senza che le vittime abbiano giustizia. E senza poter risalire a ciò che nasconde quel reato-spia: quasi sempre mazzette, quindi falsi in bilancio, appropriazioni indebite, frodi fiscali.
Uno normale potrebbe domandarsi: ma per evitare guai giudiziari non basta firmare ciò che si deve e non firmare ciò che non si deve? Eh no, risponde Nardella: “Il sindaco di Rivarolo Canavese è stato condannato a 12 mesi per la morte di un cittadino in un sottopasso allagato”. Vero, ma non per abuso: per omicidio colposo. Aboliamo pure quello, lasciando impunite le stragi sul lavoro e sulla strada? A Nardella non la si fa: “Il mio predecessore Domenici fu accusato e assolto per ‘getto pericoloso di cose’ sull’inquinamento atmosferico’”. Vero, ma il getto pericoloso di cose non è l’abuso. Si potrebbe abolire pure quello: così, se un demente a Capodanno lancia un frigorifero dal balcone e Nardella passa lì sotto, sa chi ringraziare. Gran finale: “Quasi tutte le inchieste sugli amministratori finiscono archiviate”. Quindi, se non si fanno neppure i processi, dove nasce il terrore? L’impressione è che Nardella non sappia letteralmente di cosa parla. Il che è un vantaggio. Se dovesse mai finire nei guai, non potendo invocare l’ignoranza della legge (che per un sindaco non è un’attenuante, semmai un’aggravante), gli resterebbe l’incapacità di intendere e volere.

Dialoghi

 



venerdì 25 novembre 2022

Visita


Caro diario buonasera, cari amici anche a voi un saluto. 
Scrivo per avvisarvi che ho ricevuto la visita del Bastardo Covidiano per cui, come immaginerete non sono in forma. Appena lo sarò state certi che incomincerò nuovamente a macinare post!
Ciao e a presto!

mercoledì 23 novembre 2022

Scanzi intervista il mitico Maestrone!

 

“I duelli poetici con Benigni, il gioco del treno con Gaber e le piume di struzzo nel c…”

FIRMA LE “CANZONI DA INTORTO” - “Ma non riascolto mai i miei dischi. Sono insicuro”. “Ho votato Pd, mi piace Elly Schlein, ma il mio preferito resta Bersani”


DI ANDREA SCANZI

“La voce è come le gambe per un atleta: se smetti di allenarla, poi devi ricominciare tutto da capo”. Francesco Guccini parla circondato dai gatti e da un paese intatto. Canzoni da intorto (Bmg) è uscito a dieci anni di distanza dal precedente. “Un disco di cover. Dentro ci ho messo i brani che cantavo da ragazzo”. Un gran bel disco, che suona come un regalo inatteso e riuscito.

Hai scelto anche Sei minuti all’alba, capolavoro del primo Jannacci.

Enzo era bravo, ma quando mi telefonava era un incubo: bofonchiava e non capivo nulla. Gli ripetevo “Cosa hai detto, Enzo?”, ma lui andava avanti e io a quel punto facevo finta di capire: “Va bene, Enzo”, “Certo, Enzo”.

De André, Gaber e Guccini, ovvero i più grandi cantautori italiani.

Credo di sì, anche se ci aggiungerei Claudio Lolli. Aveva una capacità di scrittura straordinaria.

È giusto che qualche tua canzone venga studiata nelle scuole?

Qualcuna sì. Mi fa piacere, ma la cosa di cui vado più orgoglioso è far parte di un’antologia dei Meridiani Mondadori dedicata ai più grandi scrittori italiani di racconti del Novecento. Essendo un fighetto snob, ha dato più gioia al mio ego questo riconoscimento di qualsiasi canzone.

Sei consapevole del tuo talento?

Per niente. Non riascolto mai i miei dischi e i miei genitori mi hanno cresciuto “masato”. Basso profilo e zero complimenti. Ciò mi ha reso insicuro e molto timido. Non ho assolutamente autostima. Anche durante i concerti ero terrorizzato, come quando davo gli esami all’università.

Il fiasco di vino sul palco aiutava?

Non era un fiasco, ma una semplice bottiglia. Bevevo rosé, e pure poco, perché sul palco devi essere lucido. Uno o due bicchieri di rosé. E a tavola quasi sempre Traminer.

Anche De André aveva paura del pubblico.

Lui beveva whisky, e all’inizio neanche poco. Prima dei concerti mangiava solo due “uova all’ostrica”: buttava giù il tuorlo con un po’ di limone e via. Io no. Avevo un genovese sciagurato che mi seguiva per il catering. Libagioni infinite di cibo e vino nei camerini. Mangiavamo tantissimo sia prima che dopo i concerti.

Con Fabrizio avevi un buon rapporto?

Tutto sommato sì, anche se non ho mai frequentato per amicizia i colleghi. A fine anni Settanta, dopo il tour con la Pfm, pensammo di fare una tournée insieme. Eravamo convinti, ma i nostri manager non vollero. Fabrizio era molto diverso da me, anche come origini: lui veniva da una famiglia aristocratica, io proletaria.

E Gaber?

Lo andavo a vedere a teatro quando veniva a Bologna, e poi facevamo tardi alla Trattoria Da Vito. Facevamo un gioco un po’ scemo che avevo imparato a Milano. Ognuno aveva il nome della stazione di una città. Uno di noi batteva gambe e mani e diceva: “Parte il treno per Milano!”. E chi era “Milano” doveva scattare in piedi e gridare subito un’altra città: “Parte il treno per Bologna!”. Così per ore. Un gioco idiota, ma se lo facevi alle tre di notte pieno di vino ti divertivi.

Gaber però era quasi astemio.

Vero, ma da Vito andava di moda la vodka, e una volta Giorgio fece fuori da solo mezza bottiglia. Quando voleva, anche lui ci dava dentro.

Qual è la canzone di cui vai più fiero?

Quelle che il pubblico non direbbe. Una volta Vasco è venuto in trattoria e mi ha detto che, secondo lui, L’avvelenata è straordinaria. Okay, fa piacere, ma secondo me L’avvelenata è sopravvalutata. Ne ho scritte a decine di superiori. A me piacciono molto di più brani meno fortunati come Amerigo e Odysseus. Evidentemente non ho gli stessi gusti del pubblico.

È vero che negli anni Settanta sfidavi Benigni?

Erano duelli di poesia improvvisata. Gli lasciavo rime impossibili: “taxi/Craxi”, “mirra/birra”. Lui mi mandava affanculo, poi però se ne usciva con trovate geniali: “La moglie di Pirro doveva chiamarsi Pirraaaa”. Bravissimo. Altri due dotati erano Carlo Monni e David Riondino. Anche Umberto Eco faceva parte di quelle sfide, ma non era un granché.

Benigni lo senti ancora?

No. Eravamo molto amici all’inizio della sua carriera. Adoravo il suo primo monologo, Cioni Mario di Gaspare fu Giulia. A fine anni Settanta andammo a trovarlo a Vergaio (Prato, ndr) con gli amici del Premio Tenco e ce lo rifece di getto: non sbagliò una virgola. Spesso c’era anche Paolo Conte. Poi li ho persi di vista. Uno che sento regolarmente è Ligabue. Ci vogliamo bene.

Anche Zucchero ti adora.

(Sorride) E io adoro lui, solo che a volte esagera. L’altro giorno è passato e, abbracciandomi, mi ha stretto così tanto che mi ha fatto venire i lividi. Zucchero è fumantino e, come tutti quelli che hanno venduto un milione di copie a botta, ha il terrore di perdere il successo. Io, che mi sono fermato a 300 mila copie, mi sono salvato. Però una cosa ce l’abbiamo in comune.

Quale?

Il fastidio per chi, come dice Zucchero, “lecca la tazza del cesso per avere successo”. Io, forse con più stile, preferisco dire: “Non mi sono mai infilato una piuma di struzzo nel culo per cantare”. Questi artisti finti, questi trapper, gente che si fa chiamare Ernia… ma che roba è?

Diranno che sei anacronistico.

Me lo dicono da sempre, e menomale. Non vado quasi mai in tivù, non so guidare, non ho la patente e non ho neanche il telefonino. Quando in conferenza stampa mi hanno fatto notare che il nuovo disco non era disponibile in streaming, ho risposto che neanche so cosa sia lo streaming.

Volevi fare il giornalista, e nel 1960 intervistasti Modugno.

(Abbassa lo sguardo) Me ne vergogno. Fui molto snob e saccente, volli fare il fenomeno. Avevo 20 anni ed ero stupido come sanno essere i ventenni. Modugno si incazzò moltissimo. Un’altra volta feci un’inchiesta sull’aumento di malattie veneree dopo la chiusura delle case di tolleranza e “rubai” i dati a un direttore di ospedale. Successe il finimondo e mi cacciarono. Presi le mie cose, mi avvicinai alla porta e il direttore si arrabbiò di nuovo: “Ma dove vai Guccini, torna qui!”. Praticamente mi licenziarono per cinque minuti.

Hai anche scritto i testi per le pubblicità dei Carosello.

Una volta scrissi uno spot per Ciccio Ingrassia e Franco Franchi. Tra loro si odiavano, letteralmente. Giocavano a carte, ognuno in coppia con un suo dipendente, e quando perdevano davano la colpa al “sottoposto”. Una dinamica brutale da padrone e schiavo.

Per te le carte sono sacre.

Sono un ottimo giocatore di scopa, briscola, tressette e scopone scientifico. Anche con De André ci sfidammo a Bologna, dopo un suo concerto con la Pfm. Quello che perdeva doveva dare mille lire all’altro. Finì uno a uno. Da qualche parte devo ancora avere le mille lire firmate da Fabrizio. Giocherei anche a Pavana, ma non arriviamo mai a quattro: i miei amici sono quasi tutti morti, e poi Pavana è diventata borghese. Prima si lanciavano delle Madonne incredibili durante le partite, ora son tutti casti. Prima si giocava per un fiasco di vino, adesso per un caffè o le caramelle. Roba da matti.

Anche Dalla giocava a carte?

No. Anche Lucio frequentava la Trattoria da Vito, ma lui di solito arrivava solo per accertarsi che il suo manager Renzo Cremonini, che noi chiamavamo “Jabba” per la somiglianza con Jabba The Hutt, non mangiasse di nascosto. L’apice di Lucio resta Com’è profondo il mare. Con lui ho anche scritto Emilia, ma c’erano alcuni aspetti di Lucio che non riuscivo a comprendere fino in fondo.

Chi hai votato alle ultime elezioni?

(Allarga le braccia) Io voto Pd.

Non dirlo così, non è poi così grave.

(Ride) Oggi il Pd è un po’ il cane che prendono tutti a calci. Anche 5 Stelle e Calenda sembrano colpire più lui che la Meloni. Di sicuro il Pd, da solo, non va da nessuna parte. Guardo più ai 5 Stelle che a Calenda, ma penso alla base e agli elettori dei 5 Stelle, che ritengo perlopiù di sinistra. I vertici mi convincono di meno.

Che segretario vorresti?

(Pausa) È difficile. Mi piace Elly Schlein, la sento più vicina ed è brava, ma per certi aspetti è troppo dura. Il mio preferito è Bersani: non l’ho mai visto dal vivo, ma ci ho parlato al telefono. Brava persona. E le sue metafore sono fantastiche.

La Meloni ti fa paura?

Paura no, ma tira un’aria molto reazionaria. Non c’è niente da fare: gli italiani sono conservatori. Mi inquieta quella fiamma nel simbolo di Fratelli d’Italia: è la fiamma del Msi e quindi la fiamma di Giorgio Almirante, ovvero il redattore de La difesa della razza. Ci rendiamo conto della stortura totale dell’abbraccio di Ignazio La Russa a Liliana Segre?

Peggio Berlusconi o Meloni?

(Sospiro) Alla fine è “meglio” la Meloni. Se non altro, non ha quei quintali di conflitti di interessi che ha Berlusconi. Ho temuto che lo facessero capo dello Stato: questo Paese è capace di tutto.

Passi per anarchico e comunista, ma Berselli diceva che sei un socialdemocratico.

Definirsi oggi anarchici non ha senso, è cambiato tutto e anche una canzone come Contessa era già antistorica negli anni Sessanta. Io sono “Giustizia e Libertà”, sono dalla parte dei fratelli Rosselli. Mai stato comunista e mai votato comunista.

Neanche con Berlinguer?

Neanche. Lo stimavo molto, ma negli anni Ottanta ho votato il Psi. Attenzione: non il Psi di Craxi, ma di Pertini. Un personaggio meraviglioso, che aveva solo un grande difetto: era un pessimo giocatore a carte. La famosa sfida sull’aereo della Nazionale ’82 la perse lui, con un erroraccio che Zoff, Causio e Bearzot non ebbero il coraggio di fargli notare. Me lo ha confermato sorridendo Zoff, che conosco e ama le mie canzoni.

Perché Pavana è così importante?

Perché ci sono cresciuto. Ricordo ogni cosa. Ricordo mio padre, che era perito elettro-meccanico ma che amava Einaudi, Montanelli e studiava la storia leggendo Van Loon. Ricordo l’arrivo degli americani. Ricordo ogni amico e parente. E ricordo quando i nazisti fecero saltare la centrale elettrica nel 1944. Le lastre del tetto erano di Eternit e finirono sul fiume. Noi, bambini, scoprimmo che se lo mettevi nel fuoco, l’Eternit si gonfiava e saltava per aria. E noi giù a dargli fuoco! Eravamo inconsapevolmente pazzi. Qui ho le mie radici. Ricordo proprio tutto.

Sconcerto e rabbia!



Poche settimane fa la sua mamma, Francesca Ferri, aveva lanciato un appello sui social chiedendo di inviare una lettera, un disegno o una foto di un animale per aiutare il figlio Lorenzo Bastelli - 14enne bolognese costretto a casa dalla recidiva di un sarcoma di Ewing - a distrarsi dal dolore che non lo abbandonava mai, a conoscere il mondo - quel mondo che da tempo gli era precluso - e non pensare alla sua malattia. Un appello che aveva fatto il giro d'Italia: fra commozione ed entusiasmo tantissime persone - genitori, bambini, scuole, scrittori, associazioni sportive, realtà di volontariato, supermercati, chiunque, davvero chiunque, avesse letto quelle parole di supplica - avevano spedito a Castel San Pietro Terme, all'indirizzo di residenza del ragazzino iscritto alla prima liceo scientifico, un pensiero, una fotografia o semplicemente un saluto. Nella notte Lorenzo è morto.

Aveva compiuto 14 anni lo scorso 10 novembre: lascia i genitori e un fratello.  "Lorenzo - scrive in un post la mamma - ci ha lasciato. Si è addormentato tra le mie braccia sereno, mi ha sussurrato in questi giorni sempre 'mamma ti amo'. Parlerò a nome suo, sono sicura - prosegue la mamma - che Lorenzo abbia vissuto l'ultimo mese delle sua vita dentro a un sogno, nonostante il dolore fisico, grazie a tutti quelli che gli hanno voluto bene, grazie a all'amore immenso che ha sentito da parte di un mondo intero e da parte nostra che lo abbiamo amato più di quanto umanamente possibile. Grazie - conclude - abbracciaci tutti amore mio, ma ancora di più abbiamo bisogno di sentire che sei libero di brillare più forte che puoi".

Su Repubblica Bologna l'articolo completo di Micol Lavinia Lundari Perini

Sempre la solita sensazione



Tutte le volte che guardo immagini come questa, tra l’altro fresca perché scattata da Orion lanciato pochi giorni fa dalla NASA, mi domando come sia possibile che in quel sassolino blu esistano stronzi capaci di nefandezze inimmaginabili, come guerreggiare uccidendo simili, continuare ad armarsi spendendo risorse crosettianamente, invece di utilizzarle per curare, migliorando la qualità di vita di milioni di persone affamate solo perché il destino di merda le ha fatte nascere in luoghi sbagliati; come sia possibile che chi ha già tantissimo si preoccupi di togliere anche le briciole alla moltitudine che per regole e codicilli creati ad hoc da orchi che laggiù definiscono economisti ed esperti di finanza, è destinata ad una vita di stenti e grigiori senza alcuna possibilità di intravedere speranze e miglioramenti, come fanno in quella cazzo di India che molti imbelli ammirano per la crescita tecnologica, di ‘sta fava! Quel sassolino blu sembra oramai soccombere alla inettitudine spasmodica dell’attuale civiltà evoluta, di ‘sta fava (2), intenta a produrre all’infinito, senza alcun ritorno filosofico serio e coerente, auto-obnubilandosi l’unico dato certo, concreto, inconfutabile, che cioè su quel meraviglioso pianeta, un contenitore di composti chimici pensante, definito uomo sapiens, esiste sensorialmente, respirando mediamente per una trentina di milioni di minuti, chi più chi meno, senza considerare i molti che si dissolvono molto prima a causa di condizioni ambientali rese assassine dalla cosiddetta crescita economica, di ‘sta fava (3), e da malattie ancora maledettamente attive per ragioni scandalosamente lucrose, perché ricerche e produzioni farmacologiche ed affini s’attivano solo in presenza di possibile “crano” per i loro già immani forzieri, di ‘sta fava (4)! 
Quel sassolino blu nel nero infinto sembra lanciare l’"esseoesse" intergalattico, che menti libere non possono che tradurre in un chiarissimo “help! Liberatemi da questi otto miliardi di cagacazzo, please!”

Pensieri notturni

 


Robecchi

 

Finanziaria. Meglio le bomboniere che i poveri: salviamo il matrimonio
di Alessandro Robecchi
Volendo esagerare, tirare un po’ la corda, fantasticare un po’ insieme all’onorevole Domenico Furgiuele (Lega), si può ipotizzare uno scambio di prigionieri: italiani poveri contro bomboniere. Il governo post-fascista che taglia sussidi a chi non ce la fa, e la proposta di finanziare i matrimoni in chiesa – era la prima idea di Furgiuele – locomotivamente fischiata (cit. Marinetti), tanto da allargare subito la profferta di benefit a tutti gli sposalizi italiani, che l’importante è soccorrere il comparto del wedding, signora mia.
Basterebbe questo, per dire delle componenti da operetta e delle priorità dei puffi del governo Meloni, dettagli, spigolature che emergono, chissà quanto involontariamente dalle cronache, a contrastare invece la narrazione ufficiale: una Meloni corrucciata e responsabile, che studia, che pare serissima, china e concentrata sulle carte. Ma sapete com’è, in quei contesti di orgoglio mascelluti, è un attimo che si cade nel Federale con Tognazzi, nella parodia, nel gorgo del ridicolo. Ed ecco infatti il ministro dell’Istruzione (e del merito! ahahah!) buttare subito lì nuove fantasiose repressioni, i lavori “socialmente utili”, da usarsi contro violenti e indisciplinati e anche – maddài! – in occasione delle occupazioni scolastiche. Una cosa che fa scopa con il pasticcio dei rave party: più di cinquanta e fa sei anni di galera, oppure tutti a imbiancare il liceo. Quanto a rifare i tetti dello stesso liceo, che cadono spesso e volentieri in testa agli alunni, il ministro non dice, non fiata, non argomenta, essendo un lavoro socialmente utile che spetterebbe a lui.
E sia, seguiamo le cronache dei nostri eroi. Mentre ministri e sottoministri si arrovellano per cercare nuove soluzioni ad antichi problemi (“i telefonini fuori dalla classe”, i “tutor per affiancare i docenti”, “buca”, “buca con acqua”, eccetera, eccetera), nel cuore del potere meloniano c’è qualche timore nuovo. “L’impatto di cancellare di botto il Reddito di cittadinanza è devastante”, dice la ministra del Lavoro, riportata con virgolette qui e là. Tradotto in italiano, significa quel che molti dicono da sempre: che il reddito è un argine, una diga che protegge chi non ce la fa, e toglierlo di botto in un anno di recessione sarebbe come accendere una miccia. Cioè il contrario della vulgata retorica delle destre più estreme e ottuse, Italia Viva, Lega e Fratelli d’Italia, sempre concentrate a dire cretinate sui divani, i fannulloni e varianti più o meno offensive. Cazzate: di quei 660 mila a cui verrà tolto ossigeno tra qualche mese, pochissimi potranno trovare un lavoro. Bassa scolarità, nessuna formazione, soggetti deboli: cancellare il reddito significa consegnarli alla disperazione o alla manovalanza della criminalità, oppure, nel migliore dei casi (speriamo) al conflitto sociale.
Dopo aver sbraitato per anni, ora se ne accorgono pure al Consiglio dei ministri, ma è tardi per tornare indietro, quindi niente, pochi mesi e poi smantellamento dell’unica legge che abbia aiutato, negli ultimi anni, le fasce più disagiate della società.
La legge finanziaria – la stessa che ci dice che un professionista da 85.000 euro l’anno pagherà le tasse di un dipendente che ne prende 30.000 – è dunque una netta e precisa (in qualche caso rivendicata) ricerca dello scontro. Davanti al timore di ampi disagi sociali si scelgono deliberatamente il conflitto e la contrapposizione, le mani sui fianchi e la mascella volitiva: la dichiarazione di guerra è stata consegnata nelle mani dei poveri.

Marco e il Bimbominkia


Il bugiardo sincero
di Marco Travaglio
Il 15 luglio, quando Draghi provò a svignarsela, dimettendosi dopo la fiducia di entrambe le Camere, ma senza il voto dei 5Stelle sul dl Aiuti+inceneritore, il Fatto titolò: “Il Papeete di Draghi: s’è sfiduciato da solo”. Poi Mattarella lo rispedì in Parlamento. Ma lui il 20 luglio fece di tutto per non farsi fiduciare da M5S, FI e Lega, e ci riuscì. Il Fatto titolò “Sono sempre i Migliori quelli che se ne vanno. Draghi si autoaffonda: prende a calci M5S e Lega, che non lo votano”. Per quei due titoli fummo linciati da un ampio stuolo di paraculi che negavano l’evidenza: Draghi non vedeva l’ora di fuggire prima che scoppiasse la bomba sociale aggravata dal suo dolce far nulla dopo la trombatura quirinalizia. Ora Renzi rivela che le cose andarono proprio così: furono il Pd e Draghi a opporsi al Draghi bis senza i 5Stelle, ormai superflui dopo la scissione Di Maio.

Narra l’Innominabile che il 20 luglio, in Senato, aveva convinto la Lega: “Salvini mi fa segno con la testa che lui sul Draghi bis c’è e Giorgetti scende a confermarlo… E se c’è la Lega, FI non può che starci”. Resta da convincere il Pd: “Fermo Franceschini, lo vedo scettico: ‘A noi conviene lasciare che sia la destra a intestarsi la fine di Draghi. E si va a votare. Noi faremo una campagna elettorale tutta impostata sul rivendicare Draghi e lasceremo che Di Maio svuoti i 5Stelle”. Come no. Renzi parla in segreto anche a Draghi: “Mario… ti dimetti senza attendere il voto… Si fanno le consultazioni e la maggioranza delle forze politiche indica il Draghi bis per 10 mesi, da qui a maggio 2023… con i grillini all’opposizione”. Ma “Draghi non mi sembra per nulla convinto”. Anche perché ha appena preso a pesci in faccia i 5Stelle e il centrodestra per esser certo che non gli votino la fiducia. E, ottenuto lo scopo, va tutto giulivo a dimettersi, senza che Mattarella possa più trattenerlo. Né Draghi né Salvini né Giorgetti né Franceschini hanno smentito la ricostruzione: quindi dev’essere vera. Resta da capire perché Renzi, avendo saputo (anzi fatto) quelle cose, la sera stessa disse: “Questa crisi grottesca e assurda l’han voluta i 5Stelle. Il primo colpevole è Conte che l’ha aperta, il secondo Salvini che l’ha portata a termine. E anche FI si è accodata ai grillini”. E l’indomani: “Ieri eravamo riusciti in un mezzo miracolo: avevamo convinto il premier a tornare sui suoi passi e a fare i suoi ultimi dieci mesi… Draghi si era convinto… Ma la sua serietà è stata messa in crisi dall’incompetenza e dal populismo del duo Conte-Salvini”. Non solo: “Il Pd e Speranza volevano convincere il M5S a votare la fiducia per fare il Conte-ter giallorosso con Draghi, buttando fuori la Lega”. Cinque o sei versioni dello stesso fatto: per restare bugiardo anche l’unica volta che (forse) dice la verità. 

L'Amaca

 

Un incidente di percorso
DI MICHELE SERRA
Se estrapoli quel disegno dal contesto non si capisce più niente», dice Milo Manara spiegando perché si è sentito urtato dall’uso che Elon Musk ha fatto, su Twitter, di un suo disegno erotico. Manara ha perfettamente ragione, anzi, ha tragicamente ragione, perché l’abolizione del contesto (in questo caso, il contesto è un libro illustrato di novelle licenziose) è la condizione stessa della comunicazione social.
Il contesto è ciò che inquadra la parola e l’immagine. Se io dico “culo” in un discorso di fine anno dal Quirinale, o lo dico in una cena con gli amici, pronuncio la stessa parola, ma il suo significato è enormemente differente: perché è il contesto, ovviamente, che lo determina.
Se creo un luogo dove tutto è istantaneo e decontestualizzato, dunque tutto uguale, nel quale non c’è lettura e non c’è scrittura che abbiano diritto ad avere una storia, una geografia, una cornice, insomma una spiegazione, allora tutto diventa un magma non solo illegittimo (povero diritto d’autore…) ma soprattutto incomprensibile.
Le volte — tante — che mi è capitato di trovare sui social una mia frase di satira riportata come “vera”, ho allargato le braccia. La sensazione è di impotenza totale. Un gigante cieco e sordo che travolge la tua scrivania, calpesta il tuo computer, i tuoi pennelli, il tuo lavoro, e nemmeno se ne accorge.
Che fare, Milo? Fare tenace affidamento sulla piccola cerchia (nemmeno tanto piccola) dei lettori, che il contesto lo conoscono e anzi lo difendono.
Il resto, fare finta che sia solo un enorme incidente di percorso — anche nel caso non lo fosse. Esiste un’altra via di salvezza?