Ucraina, su cosa si fonda il negoziato Trump-Putin
DI ELENA BASILE
Sarebbe esilarante osservare nei ministeri degli Esteri dei Paesi europei il graduale cambio di marcia. Bisognerà adeguare il linguaggio, impartire nuove direttive. Immagino l’imbarazzo degli ambasciatori europei in Ucraina e in Russia. Immobili e muti. Sarebbe esilarante se questo spettacolo non fosse in realtà tragico. L’ex ambasciatore italiano a Kiev, dopo quattro anni di soggiorno nel Paese e ancora oggi, ormai in pensione, ha difeso e difende il nazionalismo ucraino in un modo più che zelante che gli ha facilitato la promozione ad ambasciatore di grado. E continua a ignorare le infiltrazioni dei nazisti che idolatrano Bandera, la divisione di un Paese tra Est e Ovest, la violazione dei principi europei quali autodeterminazione dei popoli, non ingerenza negli affari interni di un altro Stato, protezione delle minoranze linguistiche.
Mi accusano di essere intollerante e di permettermi di giudicare gli altri. Il problema è che non siamo di fronte a una discussione neutra. Si tratta invece di scelte politiche che hanno implicato la distruzione di un Paese e la scomparsa di una generazione di giovani ucraini. Un diplomatico che ha tutti gli strumenti culturali per comprendere cosa avviene sulla scena internazionale difende una guerra per procura degli Stati Uniti contro la Russia che utilizza il popolo ucraino come carne da macello. Che lo faccia per opportunismo carrieristico oppure per fede nel nazionalismo ucraino e nelle politiche neo-conservatrici Usa, in ogni caso si rende complice di crimini insopportabili. E con lui una classe dominante e di servizio europea che dovrà ora, come già indica Maurizio Molinari, modulare il linguaggio e la policy in accordo col nuovo presidente Usa. Se invece la classe europea si distanzierà da Trump e continuerà la retorica bellicistica, tentando di sabotare la mediazione, dovrà spiegare ai propri elettori a quali apparati obbedisce. Poteri opachi del Deep State americano, oligarchie delle armi e finanziarie?
Il segretario alla Difesa statunitense Pete Hegseth ha riassunto in modo chiaro la strategia Usa in Ucraina. Ha riconosciuto le legittime preoccupazioni di sicurezza della Russia di fronte all’espansionismo di un’alleanza militare offensiva, la Nato. Ha quindi considerato inevitabile andare incontro alle ripetute (dal 2007) richieste di Mosca per una Ucraina neutrale. Con realismo ha riconosciuto la situazione sul campo militare e la necessità di concessioni territoriali, ha affermato che il peacekeeping per salvaguardare un eventuale cessate il fuoco non avrà garanzie statunitensi, ma sarà compito europeo. L’articolo 5 della Nato infatti non si applicherà. Chissà se l’Alto rappresentante per la Politica estera europea, Kaja Kallas, una dirigente bellicista che ancora oggi sostiene una guerra che gli ucraini non vogliono combattere, vorrà schierare la sua Estonia al confine per fronteggiare la Russia.
Freniamo l’indignazione, occupiamoci dell’analisi di queste preliminari aperture statunitensi. Esse sono positive, ristabilendo il dialogo irresponsabilmente interrotto dall’amministrazione democratica. Il cammino è lungo. La Russia non rinuncerà alla sua vittoria e vorrà garanzie radicate in un’architettura di sicurezza europea che faccia venir meno gradualmente le sanzioni. La caduta del regime di Zelensky, fantoccio anglo-americano, è una condizione importante per realizzare gli obiettivi della cosiddetta operazione speciale. Il problema degli allargamenti Nato a Svezia e Finlandia, le armi nucleari in Romania e Polonia, il missile ipersonico Oreshnik e le armi nucleari in Bielorussia, il nuovo trattato Start dovrebbero far parte dei colloqui. Il presidente Usa è un imprenditore spregiudicato, incolto, un narciso a volte imprevedibile: uno sbocco necessario, un mostro partorito dal capitalismo finanziario e dall’illegalità dell’Impero supportato dai Dem e dai loro accoliti europei.
Esiste tuttavia un’anima negoziatrice che potrebbe considerare interesse degli oligarchi al potere negli Usa la liberazione del fronte in Europa, essenziale per concentrarsi sullo scacchiere indopacifico e sul contenimento della Cina. In Russia la giustificata mancanza di fiducia verso le élite occidentali è un dato di fatto. Putin potrebbe tuttavia essere indotto a concessioni territoriali (sull’oblast di Zaporizhzhia o sui territori a ovest del Dnepr), incentivato dalla cancellazione delle sanzioni, anzitutto quelle relative all’esportazione di petrolio via mare, e per timore dei metodi mafiosi di Donald Trump che già sta esercitando forti pressioni sui Brics, in particolare sul Sudafrica. Si tratterà di seguire gli sviluppi con la massima attenzione, senza facili illusioni, nella consapevolezza che l’etica nelle relazioni internazionali e il perseguimento degli ideali umanistici è lontana dalle due mafie internazionali al potere.
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