giovedì 30 giugno 2022

Sotto scacco


 Rincoglioniti come il Rincoglionito, festeggiamo questo aumento di presenze Nato in Europa, dimenticandoci che più Nato equivalga a dire meno difesa europea, meno decisioni autoctone, meno indipendenza. Non frega una ceppa a nessuno che la voglia e le mire espansionistiche d'oltre oceano, impoveriscano, rendano inappetenti le nostre innate capacità europee, da sempre faro e guida del pianeta. 

Ci smutandiamo per assecondare i voleri dell'uomo più potente, a parole, il quale gode per il prolungamento del conflitto, che sposta l'interesse lontano dal suo mondo, ancora impietrito per la decisione della corte in tema d'interruzione della gravidanza. 

Diverremo servi mansueti dei folli voleri a stelle e strisce, dove l'annessione di Svezia e Finlandia costituirà un ottimo spunto per il killer rosso per intraprendere altre aggressioni, altre armi nucleari, ingigantendo a dismisura il rischio di un conflitto nucleare. 

Siamo dei coglioni. Splendidi coglioni impelagati in inezie e noncuranti della strada che la ricerca imporrebbe: nazioni cuscinetto, riduzioni delle armi, ricerca di punti comuni per fermare il conflitto, impegnandosi per una ricerca comune del benessere mondiale. 

Ma a chi ha in seno le prime quattro mostruose multinazionali belliche fatturanti tanto denaro con cui si debellerebbero fame, malattie e quant'altro di vergognoso, non importa nulla di tutto ciò, visto che si bloccherebbe quel giro vizioso e contro natura che alcuni ancora chiamano capitalismo.   

Richiesta

 


Speranza

 


Belpaese Travagliato

Il nemico pubblico n.1

di Marco Travaglio
Le telefonate e i messaggini del premier Draghi a Grillo per istigarlo a far fuori Conte da leader dei 5Stelle in barba ai due plebisciti fra gli iscritti, rivelati da Grillo a De Masi, a Conte e ad alcuni deputati, svelano la natura intrinsecamente e doppiamente golpista dell’operazione che nel febbraio 2021 ci regalò questo governo. Intrinsecamente perché quel golpe bianco postmoderno, senza violenza fisica né carri armati, servì a sovvertire l’esito delle elezioni, a neutralizzarne i vincitori e a riportarne al potere gli sconfitti. Doppiamente perché, fin dalla scelta dei ministri, Draghi e chi gli sta dietro e accanto avviarono un’opera di ingegneria politica nei quattro grandi partiti della maggioranza, per snaturarli e riplasmarli a immagine e somiglianza del premier. I capicorrente del Pd, dopo una feroce guerra per i ministeri, indussero alle dimissioni il segretario Zingaretti, che fino all’ultimo aveva difeso il Conte-2, e lo sostituirono col superallineato Enrico Letta. Nella Lega, il segretario Salvini non toccò palla e dovette digerire tre ministri fedeli al superallineato Giorgetti. Lo stesso accadde in FI, col padrone B. scavalcato dal superallineato Gianni Letta, che piazzò i suoi pupilli Brunetta, Gelmini e Carfagna. L’apoteosi si registrò con i 5Stelle, prime vittime dell’operazione: Draghi se li mise in tasca chiamando direttamente Grillo, plagiandolo con blandizie e supercazzole (il “Superministero della Transizione Ecologica”, per giunta in mano ad Attila Cingolani) e bypassando non solo il capo pro tempore Crimi, ma anche i big, Di Maio in cima, determinati ad affossare l’ex banchiere e far rinviare il Conte-2 alle Camere (dopo la minaccia di Mattarella di scioglierle, qualche ex Pd ed ex 5S congelato in attesa del Messia di Città della Pieve sarebbe tornato all’ovile).
Di Maio assunse subito la forma della poltrona e divenne con Giorgetti, Brunetta&C. il guardaspalle del premier. Ma Conte, dopo un paio di giravolte di Grillo, fu eletto capo del M5S e Giggino ’a Poltrona non bastò più a tenere a cuccia la forza di maggioranza relativa. Draghi, ogni volta che stracciava una riforma-bandiera grillina, chiamava Grillo per aggirare Conte e convincere ministri e parlamentari a obbedir tacendo. Il giochino funzionò finché si mise in testa il Quirinale: Conte, Salvini e Meloni gli sbarrarono la strada, malgrado i traffici di Di Maio, Guerini, Giorgetti&C.,che alla fine dovettero accontentarsi di impallinare la Belloni per non darla tutta vinta ai leader M5S, Lega e FdI. Quando poi Conte sventò anche il Conticidio delle carte bollate al Tribunale di Napoli e fu confermato leader dal 95% degli iscritti votanti, era scoppiata la guerra in Ucraina.
E il famigerato Giuseppi si mise di traverso sul bellicismo filo-Nato, l’aumento della spesa militare al 2% e l’aggiramento del Parlamento sulle armi in Ucraina. Così suscitò speranze sia negli italiani pacifisti (la maggioranza) sia in quelli impoveriti dalle auto-sanzioni occidentali. E trovò sintonia col pacifismo di Grillo. Senza più mani libere per il suo oltranzismo filo-Nato, Draghi doveva rendere superflui i 5Stelle. Così partì la scissione di Di Maio&C., che solo un marziano o un idiota può immaginare improvvisata in due giorni all’insaputa di Draghi: il sorrisetto con cui Giggino ’a Poltrona sottolineava che il M5S non è più la prima forza parlamentare era rivolto al premier: l’utilizzatore finale del suo partitucolo. Restava un problema: con l’esito disastroso – sul piano militare per l’Ucraina e sul piano economico per l’Ue – della cobelligeranza occidentale, aumentano gli italiani che vogliono il negoziato anziché il riarmo infinito (le liste di proscrizione dei “putiniani”, malgrado l’impegno di 007, Copasir, Pd e giornaloni, sono boomerang). E sia Conte sia Salvini rischiano di giovarsene, soprattutto se escono dalla maggioranza, o almeno dal governo. L’uscita dell’uno potrebbe innescare quella dell’altro. Di Maio&C. non bastano più. Bisogna rovesciare anzitutto Conte, facendo leva sulle ruggini di Grillo perché cacci il leader che Draghi ritiene “inadeguato” e Di Maio “non allineato” per lo stesso motivo per cui iscritti ed elettori rimasti lo stimano: non obbedisce alle lobby. Poi toccherà a Salvini, che sta a Giorgetti come Conte sta a Di Maio.
Se la manovra andrà in porto, tutti i partiti della maggioranza saranno allineati e adeguati: tutti uguali, cioè draghiani. E anche lo spauracchio Meloni sarà sventato. Alle elezioni vedremo la sceneggiata del Centrodestra contro il Campo Largo e il Grande (si fa per dire) Centro, col nuovo record di astenuti. Poi il giorno dopo, comunque abbiano votato gl’italiani, tornerà Draghi o un altro commissario paracadutato dall’alto e da fuori (il solito Cottarelli, o magari un bel generale). E la Meloni sceglierà fra la resa e altri cinque anni di opposizione di Sua Maestà. Un altro golpe bianco. Perciò ieri, dopo le rivelazioni di De Masi al Fatto sulle gravissime interferenze di Draghi nella seconda forza del suo governo, non avrebbero dovuto insorgere solo Conte e il M5S, ma i leader di tutti i partiti (in primis le prossime vittime designate), il capo dello Stato, i presidenti delle Camere, gli intellettuali, i giornalisti e i giuristi che si dicono democratici: cioè quelli che avrebbero protestato se le stesse cose le avesse fatte un altro premier. Invece, silenzio di tomba. Il clima ideale per abolire, dopo il Parlamento, anche le elezioni.

martedì 28 giugno 2022

Se avete tempo, consiglio!

 

Varoufakis a TPI: “La sinistra è finita. Ma il capitalismo anche”


"La differenza tra Giorgia Meloni e Salvini è che lei è una fascista più pericolosa. In Grecia stavamo meglio quando stavamo peggio, hanno svenduto tutto ma nessuno ne parla perché la finanza ci ha addomesticati. La guerra in Ucraina serve agli Usa per controllare l'Europa": il direttore di TPI Giulio Gambino intervista l’ex ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis


di Giulio Gambino


Yanis Varoufakis, partiamo da qui: come sta la Grecia?

Esiste una risposta ufficiale e una ufficiosa. Secondo la versione ufficiale, la Grecia è fuori pericolo. È in ripresa, è stata normalizzata e non si trova più tra le grinfie della Troika. O almeno questo è quello che vi direbbe il premier greco Mitsotakis. Ma se lo chiedete a me, la situazione non è mai stata peggiore di oggi, molto peggio che nel 2010 e nel 2015.

In che modo?

Tanto per cominciare, quando eravamo in bancarotta nel 2010, il Pil greco era pari a 225 miliardi di euro l’anno, nel 2021 è stato pari a 181 miliardi. Il nostro debito pubblico era pari a 300 miliardi di euro, oggi è pari a circa 400 miliardi. Inoltre, abbiamo avuto 10-12 anni in cui abbiamo svenduto tutto – ad esempio i nostri aeroporti non ci appartengono più. Ogni centesimo di ricavato va diretto alle isole Cayman, non resta in Grecia. Il modo in cui abbiamo smantellato la nostra rete elettrica sotto la Troika è il motivo per cui oggi con la crisi energetica abbiamo i prezzi dell’elettricità più alti.

E allora perché nessuno parla di quanto sta accadendo in Grecia?

Ecco, questo è un punto tremendamente importante. A decretare quale nazione è in bancarotta e quale no nell’Unione europea lo decide la politica, non la finanza. Se domani, per una ragione qualsiasi, Bruxelles e Francoforte decidessero che l’Italia è in bancarotta, l’Italia è in bancarotta. Tutto ciò che devono fare è dire una singola, piccola parolina e lo spread sale del 20%. Il vostro debito è sostenibile solo perché lo decide la BCE.

Quindi ora la Grecia è addomesticata e per questo va bene così com’è?

La finanza oggi ama la Grecia perché è una fonte di grossi guadagni. Una vera miniera d’oro. Esistono due motivi. Anzitutto perché lo spread è al 2,5% sui bond tedeschi, che è un po’ come ottenere un premio assicurativo sapendo che non ci saranno incidenti perché la BCE continuerà a comprare bond. Quindi continuano allegramente ad acquistarli, almeno finché Mario Draghi e OIaf Scholz andranno d’accordo con Mitsotakis.

E il secondo motivo?

Sta nel fatto che con la Grecia così conciata la finanza può permettersi di fare cose terribili. I prestiti spazzatura, i prestiti privati, sono stati impacchettati in derivati con la garanzia di Stato offrendo un margine di profitto minimo a chi li acquista. E attraverso questo meccanismo di compravendita fanno cose stupefacenti. Vi faccio un esempio: prendete una banca, che non è più legata ai greci in alcun modo, questa ha in pancia i prestiti di cui parlo, li vende a un fondo, il fondo appartiene allo stesso banchiere. Il quale fondo però ha la garanzia statale – dell’ECB, in realtà, perché lo Stato è in bancarotta – e lo presta nuovamente alla banca, che a sua volta li mette sul mercato per vendere i prestiti ai consumatori.

Un circolo vizioso diabolico con il solo fine di speculare sui greci…

Adorano questo circolo vizioso e ci fanno un sacco di soldi, perfino le commissioni su queste operazioni sono milionarie. Perciò finché esiste un accordo politico che stabilisce che la Grecia sta bene, tutto ciò andrà avanti. Intanto, però, l’economia greca sta collassando. Prendete il vecchio aeroporto di Atene, un aeroporto bellissimo. È stupendo, enorme. Lo hanno dato a un oligarca greco, Latsis, che ha la residenza in Svizzera. Lo ha acquistato dallo Stato a un prezzo ridicolo con l’obiettivo di creare un parco, un casinò, un centro commerciale. Un grande investimento. Non ha fatto nulla di tutto ciò. Ha ottenuto i terreni quasi gratis e adesso li sta lottizzando e rivendendo. È come vedere la mafia in azione.

Varoufakis, lei sta descrivendo il sistema politico finanziario che ha retto l’Europa (e l’Occidente) negli ultimi 25 anni. È possibile cambiarlo?

Ci sono diversi modi in cui il sistema può cambiare. Al momento, abbiamo una banca centrale europea che finge di occuparsi dell’inflazione – dico finge perché non c’è molto che possa fare contro l’inflazione. Perché? Perché nel 2020, quando avremmo dovuto creare un tesoretto europeo per affrontare il debito pubblico e privato, non abbiamo fatto nulla. Quando nel 2012 l’intero meccanismo stava per crollare, Mario Draghi con il suo “whatever it takes” ha infilato tutti i prestiti spazzatura – pubblici e privati – nel portfolio-asset della BCE. E adesso non sanno cosa farci, perché se li vendono per contrastare l’inflazione – per contenere il quantitative easing come viene chiamato – finiremmo con società fallite e Stati in bancarotta.

E quindi ora che succede?

Quindi ora si trovano all’angolo e non sanno cosa fare. Se alzano i tassi d’interesse distruggeranno l’Italia e le multinazionali, e se non lo fanno sarà la politica tedesca a distruggerli, che è molto infastidita a causa dell’inflazione. E vi garantisco che l’opinione pubblica tedesca non vede di buon occhio l’inflazione. Perciò qualcosa – non so cosa – si spezzerà. Olaf Scholz è un candidato naturale per questa rottura perché è molto debole.

Addirittura?

Bè, sì… si capisce già che ha perso il controllo della situazione, ha meno autorità dei Verdi dentro il governo tedesco in questo momento, per rendere l’idea. E molto presto i democristiani torneranno alla ribalta. Già mi vedo il presidente della CDU che condurrà una campagna in stile “Make Germany Great Again”.

Cosa significherà questo?

Due cose: austerità. E poi che l’ECB venderà i suoi asset, e questo avrà forti ripercussioni sul resto d’Europa.

Facciamo un esercizio di fantapolitica. Se la sogna mai un’Uecon lei al governo in Grecia, Melanchon in Francia e qualcun altro dei vostri al comando in Europa?

Il trucco per fare la cosa giusta è di essere in grado di lottare per ciò che dev’essere fatto, anche quando prevedi di non farcela. Se pensassi che ciò che faccio mi porterà al potere, non lo farei, perché non posso prevederlo.

Ma tornerebbe volentieri al governo?

È un lavoro sporco, ma qualcuno deve pur farlo! (ride). Il punto è che stiamo perdendo un’occasione dopo l’altra. Il 2008 è stato una grande occasione per compiere progressi in tutto il mondo perché era chiaro che dopo trent’anni in cui ha prevalso il mito secondo cui il mercato sa sempre cosa fare anche il neoliberismo era ormai giunto al capolinea. Anche i più celebri sostenitori di quella narrativa hanno ammesso che era crollato. Alan Greenspan ad esempio ha dichiarato che il suo modello economico del mondo era sbagliato. E noi non eravamo pronti, la sinistra non era pronta.

E oggi la sinistra lo è?

No. Oggi meno che mai. La sinistra è finita. Ha toccato il fondo. Melanchon ha fatto un ottimo lavoro creando una coalizione temporanea, ma ora non siedono neanche in parlamento come un unico blocco. Guardi, come le dicevo, in passato abbiamo avuto momenti bellissimi nelle piazze, c’erano incontri frequenti con la sinistra italiana, abbiamo parlato molto, ma non abbiamo concluso nulla. E nel frattempo persone come Mario Draghi, Timothy Geithner e Larry Summers hanno rimesso in piedi il settore finanziario utilizzando denaro pubblico – delle banche centrali – e hanno spinto il capitalismo verso una grande deflazione, una grande stagnazione. Perciò oggi ci ritroviamo con il più basso livello di investimenti nella storia del capitalismo rispetto ai denari che sono in circolazione, con ciò diminuendo le capacità produttive dell’Occidente.

Segno che anche il neo-liberismo ha perso il passo della storia?

Basti pensare che produciamo meno cose oggi rispetto a 15 anni fa. La Cina si è espansa, ma Stati Uniti e Europa sono in contrazione. Le multinazionali sono più ricche che mai. Il benessere dei pochi è aumentato, la sofferenza della maggioranza delle persone è cresciuta incredibilmente per l’austerità. Abbiamo avuto 13 anni di stagnazione, lavori di bassa qualità, precarietà, e questa era la situazione prima della pandemia. Poi è arrivato il Covid, e i governi hanno continuato a fare esattamente la stessa cosa: stampare denaro, darlo ai banchieri e farlo girare in borsa, in modo che la ricchezza finanziaria continuasse a salire, senza tuttavia fare investimenti.

Con quali conseguenze?

Siamo stati tagliati fuori dalla Cina a causa della catena di approvvigionamento, perciò d’improvviso abbiamo assistito a una riduzione delle forniture. L’aumento della domanda è lieve perché le persone non hanno molti soldi, i prezzi salgono e tutto d’un tratto il sistema collassa perché devono fare qualcosa per l’inflazione ma hanno zombificato il capitalismo e non possono de-zombificarlo senza che avvenga qualche grossa catastrofe. Per quanto riguarda la sinistra, noi in Grecia siamo responsabili della nostra sconfitta, abbiamo avuto una grande opportunità nel 2015. Avremmo potuto dire, sapete cosa? Se volete chiudere le nostre banche, va bene, usciamo dall’Europa. Soffriremo, ma almeno rimetteremo a posto i conti e ri-inizieremo da capo. Ero pronto a farlo ma all’epoca Tsipras si è arreso e io ho rassegnato le mie dimissioni. Quella è stata la fine della sinistra in Europa.

Perciò come si può costruire qualcosa per il futuro se la sinistra è al capolinea?

Con grande difficoltà. (ride)

Come definirebbe, allora, il movimento che si sta creando intorno a lei in Europa?

La buona notizia è che non è solo in Europa. Dal 2018 Democracy in Europe Movement 2025 (DiEM25) si è ampliata unendo le forze con Bernie Sanders negli Stati Uniti e abbiamo creato un movimento internazionale progressista. Ad esempio il nostro grande amico Gustavo Petro è appena stato eletto presidente della Colombia. I presidenti di Honduras, Cile e Colombia adesso fanno parte del nostro gruppo. Nel mondo siamo attivi in India, Nigeria, Sudafrica stiamo cercando di trovare persone in Cina – cosa certo non facile – e abbiamo un gruppo in Turchia [l’HDP ndr].

E in Italia su chi punta Varoufakis?

C’è DiEM Italia!

Va bene, certo, ma chi vede di buon occhio? Faccia qualche nome…

Penso che dovrete aspettare fino a settembre per un annuncio importante, adesso non posso fare nomi, ma non attingeremo di certo persone dal PD. Quello che vogliamo fare è creare uno spirito internazionalista radicale, basato su un’economia razionale e politiche radicali. Questo è il nostro progetto globale.

Senta, che sensazione ha provato quando ha visto la foto di Macron, Scholz e Draghi in treno verso l’Ucraina?

L’Ucraina è una grande sfida per tutti noi. Anzitutto voglio essere chiaro sul fatto che ritengo Putin un criminale di guerra dal 2001 – quell’anno fui l’unico professore del mio dipartimento a opporsi per il suo dottorato ad honorem. La difficoltà che tutti noi abbiamo, in quanto persone non presenti sul terreno di battaglia, è questa: come sostenere l’Ucraina senza essere responsabili al contempo della sua distruzione per essersi fatta trascinare da Joe Biden, che sta provocando danni immensi al futuro del Paese. Per esempio quando ha detto che Putin dev’essere processato dalla Corte penale internazionale, anzitutto il Congresso non lo approverebbe, gli Stati Uniti non ne fanno parte. In secondo luogo gli servirebbe l’approvazione del Consiglio di sicurezza – ovvero della Russia. Cose da pazzi. Bisogna fare attenzione quando si dicono certe cose.


Pensa che Biden sia ingenuo?

No, penso che gli Stati Uniti abbiano un interesse personale verso il prolungamento del conflitto in Ucraina contro gli interessi dell’Europa. Nel 2011, quando vivevo negli Stati Uniti, un ex dirigente dell’NSA mi spiegò quale fosse la politica degli USA all’interno della Nato, e vale ancora oggi. Disse: “Il nostro unico scopo in Europa è tenere i tedeschi sotto controllo e i russi fuori”, ed è quello che hanno fatto. In un certo senso Putin è una creazione degli USA. Nei primi anni ’90 i governi sotto Boris Eltsin erano molto pro-americani, volevano essere parte dell’Occidente. Ma l’economia russa è stata schiacciata, l’aspettativa di vita degli uomini scese da 74 a 58 anni, e Putin è quello che succede quando si umilia un Paese: sale al potere l’uomo forte fascista. E si capisce che agli americani va bene perché ora vendono il loro gas e petrolio dal Texas e il New Mexico agli europei sostituendo Gazprom, Olaf Scholz comprerà 100 miliardi di euro in armamenti dagli Usa. Henry Kissinger, un uomo molto intelligente, nel 1970 chiede al Consiglio di sicurezza dell’Onu, “come faremo a mantenere la nostra egemonia quando non saremo più la principale potenza economica?” L’hanno fatto, e adesso stanno mettendo a rischio la sostenibilità dell’Ucraina.

Come se ne esce da questa guerra?

Secondo me dalla prima settimana di guerra si sarebbe dovuto organizzare un summit tra Biden, Putin, Zelensky e l’UE molto semplicemente. Trovare un accordo che riportasse le truppe russe dov’erano prima del 24 febbraio, demilitarizzare la zona tra l’Ucraina e la Russia, far accedere l’Ucraina all’Europa ma non nella Nato. In questo modo Putin avrebbe potuto vendersi l’accordo come un successo, facendo del Donbass una specie di Irlanda del Nord. L’alternativa a questo sono dieci anni di guerra e un nuovo Afghanistan o una nuova Cipro.

E gli Usa vogliono davvero solamente usare l’Europa e controllarla?

Certo, non solo controllarla, ma farci anche un sacco di soldi. Più inviamo armi pesanti, artiglieria a lunga gittata, più penetreranno nel Paese per mantenere una distanza di sicurezza. Certo è possibile e doveroso armarli, ma al tempo stesso bisogna aprire un canale diplomatico con Mosca e Biden dovrebbe dire: “Li armeremo, ecco la vostra via d’uscita”. Ma come avrebbe detto Mao Zedong: “Grande la confusione sotto il cielo, situazione eccellente!” La guerra rafforza gli Usa economicamente e politicamente. Putin è il responsabile, ma gli americani stanno peggiorando le cose.

Per quale motivo oggi il reddito di cittadinanza è così divisivo in Italia?

Nel 2015, quand’ero al ministero, la Troika veniva da me esercitando pressioni per farmi accettare il un reddito minimo garantito. All’inizio pensai, perché no? Ma poi ho capito cosa volevano: tagliare tutti gli altri sussidi. Invece di sostenere le famiglie con bambini o disabili, preferiscono sostituire gli aiuti con un piccolo reddito minimo garantito per risparmiare in un colpo solo. Per questo i sindacati sono contrari, non si tratta di migliorare le condizioni di vita delle persone, è nuova austerity travestita da reddito garantito. Il diavolo è nei dettagli. Va anche compiuta una distinzione tra salario minimo e reddito universale. Quest’ultimo non è discriminatorio e ha un enorme potenziale progressista, potere d’emancipazione.

Pensa che Mario Draghi si ritirerà dalla scena una volta terminata l’esperienza di governo?

Conosco Mario personalmente. È un uomo molto intelligente, abbiamo avuto degli scontri durissimi, come quando nel 2015 per salvare le banche italiane sacrificò quelle greche. Quello che trovo interessante in lui come Primo ministro secondo me rivela molto sull’attuale situazione dell’Europa: è forse uno dei premier più popolare d’Italia da decenni, ma se si fosse candidato alla carica non sarebbe stato eletto. Capendo questo si comprende in che genere di situazione si trova la politica.

Ha visto il discorso di Giorgia Meloni in Andalusia. Che sensazioni ha provato?

È una neofascista molto intelligente. La differenza tra lei e Salvini è che lei è una fascista più pericolosa, e si è allineata agli Usa. Salvini è stato attratto dai democratici illiberali come Orban, Le Pen e Putin. Meloni non ha questo tipo di impegni, ha capito che la sua scelta migliore era quella di essere un’atlantista. Non dimentichiamoci che è lo stesso modo in cui i fascisti spagnoli e portoghesi sono sopravvissuti per decenni all’interno dell’Alleanza guidata dagli Usa, perché a Washington non importa se sei fascista, basta che obbedisci agli ordini nella sfera internazionale.

Cos’è il “tecnofeudalesimo”?

È il titolo del mio prossimo libro, lo finirò ad agosto e dovrebbe uscire a dicembre. Nel 2010-11, ebbi questa sensazione: quello che fu il 1991 per il comunismo, il 2008 lo è stato per il capitalismo, penso che quell’anno abbia segnato la sua fine. Ma il capitalismo poggia su due colonne: la prima sono i profitti privati, fanno girare il sistema, è come il combustibile in un motore. Il secondo pilastro sono i mercati: il mercato del lavoro, finanziario, immobiliare, tutto avviene attraverso mercati. Sia i profitti che il mercato adesso non vanno più. I profitti privati sono stati sostituiti dai soldi delle banche centrali, mentre i mercati stanno venendo sempre più rimpiazzati dalle piattaforme digitali come Amazon, che non è un mercato. È nato un nuovo tipo di capitale che io chiamo ‘capitale cloud’. Stiamo venendo addestrati a fare le cose su piattaforme che non sono mercati ma appartengono a una persona. Abbiamo un nuovo sistema socio-economico adesso che non è più capitalista, sebbene il capitale continui a regnare. Questo è quello che chiamo tecnofeudalesimo.

È giunto il momento che le Big Tech paghino per i nostri dati?

Sì certamente, nel libro che ho presentato ieri “Another Now”, getto le basi per un mercato socialdemocratico. In un capitolo propongo una legge sui diritti dei dati e come potrebbe funzionare quel mercato. Ma la cosa importante non sono solamente i nostri dati digitali ma anche e soprattutto la nostra identità digitale. Dobbiamo ri-privatizzarla e toglierla alle multinazionali. Non bastano le regolamentazioni – è impossibile regolamentare le big tech – bisogna fare qualcosa di più: ci serve un cambiamento a livello di diritto societario. Ma questa è un’altra lunga discussione che spero potremo avere presto insieme.

Ma parla ancora?


Ma guarda questa, a detta di molti, incapace che addirittura a Natale addobbò Roma con Splelacchio! Come fa ancora a parlare ora che nella Capitale non c’è più nessun problema, che tutto fila liscio come l’olio, che la monnezza finalmente è scomparsa…

di Virginia Raggi

Ieri, come tanti di voi, ho visto su Rai3 l'inchiesta di Report “Il sacco di Roma”: un'indagine giornalistica, realizzata da Daniele Autieri, che ha portato alla luce cosa c’è dietro la gestione dei rifiuti nel Lazio e a Roma. Mi è venuto un nodo allo stomaco perché finalmente, seppur in ritardo, inizia ad emergere la verità. 
Sono stata massacrata pubblicamente per cinque lunghi anni e ho ricevuto ogni tipo di accusa solo perché mi opponevo ad un “modello” di gestione dei rifiuti della Regione Lazio. Per anni abbiamo combattuto una guerra contro il malaffare e la criminalità organizzata che tiene sotto scacco la gestione dei rifiuti della Capitale degli italiani.
Mi preme, però, una precisazione nella ricostruzione degli avvenimenti. Come Giunta, abbiamo sempre puntato sulla differenziata. Non tutti sanno, ad esempio, che nel2018 eravamo riusciti a portare in due anni la differenziata al 70% in due Municipi coinvolgendo 500 mila abitanti (equivalenti e due medie città italiane). Con questi numeri avremmo realizzato il nostro programma, e Roma sarebbe stata libera dai rifiuti in strada. Ma, probabilmente, a qualcuno non andava bene...

I roghi criminali dell'impianto di trattamento dei rifiuti al Salario di fine 2018 (e da allora chiuso) e quello dell'impianto superstite di Rocca Cencia ad inizio 2019, ci hanno costretto a tornare indietro. Il personale che gestiva il “porta a porta” nei due municipi è stato dirottato per la gestione dell'emergenza nel resto della città ed abbiamo dovuto “annullare” il programma per la differenziata. 
I due roghi e quello di migliaia di cassonetti hanno inciso non solo sullo smaltimento dei rifiuti ma sulla vita democratica di Roma e dei suoi cittadini.
La gestione dei rifiuti romana ha tanti protagonisti, ognuno con i propri interessi e le proprie simpatie politiche. E i cittadini che purtroppo si ritrovano ad essere vittime inconsapevoli di una narrazione strumentale e incompleta. Ricordo ancora che quando gli impianti andavano in fiamme, sui giornali a me veniva imputata la responsabilità per i mancati controlli, salvo dimenticare che “casualmente” le telecamere degli impianti di vigilanza erano state manomesse. 

Dopo la chiusura della discarica di Malagrotta nel 2013 non sono mai state fornite valide alternative dalla Regione Lazio. A questo si aggiunge la chiusura di diverse discariche e impianti della Regione. Intanto c'è stata un'indagine della Procura che ha portato agli arresti della responsabile della direzione Rifiuti della Regione Lazio, per ipotesi di corruzione. 
Negli anni abbiamo anche chiesto il commissariamento della Regione Lazio sui rifiuti (d'altronde lo è già per la provincia di Latina) per poterci liberare da vincoli a questo punto evidentemente non solo giuridici. 
Questi sono i fatti.
L’inchiesta di Report ha reso pubbliche le innumerevoli richieste di aiuto che, come Giunta, avevamo rivolto alla Regione Lazio e al commissario degli impianti di trattamento dei rifiuti a Malagrotta. Poche risposte, tardive e precarie.
Sono stata attaccata per anni ma la verità sta finalmente venendo fuori. Volevo soltanto difendere la mia città dalla mala gestione che per decenni ha privato Roma e i suoi cittadini di un normale sistema di gestione del ciclo dei rifiuti. Eppure non si è alzata alcuna voce a difesa di Roma e della sua amministrazione. Intanto, noi abbiamo rimesso in regola i conti dell’Ama, la società che raccoglie i rifiuti in città: abbiamo trovato un buco per 250 milioni di euro nelle precedenti gestioni a partire dal 2003. Anche in questo caso silenzio. 

Ora cosa si può fare? E' questa la domanda che si fanno tutti i cittadini. Grazie all'ordine che avevo riportato nei conti di Ama e del Comune, avevamo messo da parte un tesoretto di centinaia di milioni di euro e messo nero su bianco un piano da 340 milioni di euro con i quali Ama può ancora divenire proprietaria di impianti moderni di gestione dei rifiuti. Avevamo iniziato a comprare camion nuovi (quelli che finalmente si vedono in strada), assunto nuovi lavoratori e progettato la realizzazione di nuovi impianti. 
Vedere la città ridotta così mi fa male. 
I programmi ci sono. Si tratta soltanto di realizzarli e non tornare indietro.

Ecco il link all’inchiesta di Report: https://www.rai.it/programmi/report/inchieste/Il-sacco-di-Roma-8aa89612-34ad-49b2-b436-da6088be6fd2.html

Contro la logica

 


Contro ogni logica la decisione del Grillo Appannato di continuare a sostenere l'Inviato delle Banche, contro ogni logica perché l'occasione sarebbe stata ottima, visto l'abbandono dello Scellerato Luigino folgorato sulla via del Damascato. Continuare a sostenere l'attuale governo invece costituisce una subdola forma auto distruttiva, soprattutto perché nel prossimo anno vi saranno le elezioni. E il popolo dei 5 Stelle, me compreso, non si è mai vaccinato contro quella infima forma di governo chiamata Accozzaglia, contenente tra l'altro personaggi oltremodo scomodi, vedasi il Guappo, il Cazzaro (con cui sciaguratamente abbiamo governato per il volere di O' Ministro) e l'Ebetino. 

Se il Movimento volesse tentare un recupero di gradimento, la possibilità starebbe unicamente nel lasciare l'attuale compagine governativa, mettendosi all'opposizione, per rispolverare gli antichi pregi, oramai oscurati dai troppi difetti, per i quali ottennero alle ultime politiche il 33%, tra cui spicca quella forma di onestà che in molti han cercato di annacquare, senza riuscirci. 

La cartina tornasole, la prova del nove è sotto gli occhi di tutti: un godimento generalizzato di giornaloni, media, ruminatori di politichese difronte alla debacle pentastellata alle ultime amministrative, una delizia per lo scampato pericolo, ovverossia quel freno intravisto ai tempi d'oro dell'entrata nell'emiciclo, vero nemico della politica come mestiere che molti, moltissimi, hanno abbracciato tra agii e bissi, non ultima la conversione dello Scellerato Luigino. 

Bene ha fatto il Grillo Appannato a confermare lo stop dopo due mandati, una regola urticante solo a nominarla per moltissimi, vedasi i Casini, i Cazzari, le Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare; il top sarebbe stato l'annuncio dell'uscita dalla maggioranza sulle note del versetto "lascia che i morti seppelliscano i morti", che tra l'altro avrebbe agevolato il rientro del grande Dibba, un innesco gigantesco per la risalita nei sondaggi. 

Ma il Grillo Appannato non ha appoggiato questa possibilità. Fossi nella Persona per bene ed ex premier, trarrei le giuste considerazioni, salutando affettuosamente tutti per tornare alla coltivazione dei codicilli, ed assistendo al prossimo gran finale, tipo Titanic, dell'arrivo in tolda della sbraitante Caciottara con i suoi piccoli e rumorosi nostalgici, intenti a giocare col nero perdi sempre (cit.)          

Per vostra opinione

 

Aiuto “Draghessori”. Quei professori universitari al servizio di Draghi e Nato
di Alessandro Orsini
Scoppiata la guerra, l’Italia è caduta sotto la propaganda della Nato e un esercito di professori universitari ha messo il proprio sapere al servizio di Mario Draghi per creare un largo consenso intorno alle sue politiche di guerra in Ucraina. L’università rappresenta la vetta del sapere ed è comprensibile che il governo Draghi investa soprattutto nei suoi docenti per manipolare l’opinione pubblica o “draghessori” come proponiamo di chiamarli per comodità espositiva. Per comprendere la funzione dei draghessori, occorre sapere quale sia l’obiettivo che Draghi intende perseguire.
L’obiettivo è alimentare la guerra in Ucraina attraverso l’invio illimitato di armi facendo credere agli italiani di volere la pace. Il compito dei draghessori non è facile giacché devono capovolgere la realtà. Devono convincere gli italiani che il governo Draghi, che è un governo di guerra, sia un governo di pace. Tra tutti, spicca Sergio Fabbrini, draghessore di Scienza politica alla Luiss, il quale assicura che l’Italia deve aderire a tutte le decisioni prese dalla Nato in Ucraina. Chiunque proponga una politica di pace – dice il draghessor Fabbrini – è soltanto un “bambino”, un “anti-americano” e “un anti-europeo”. In base a questa tesi assurda, se la Nato ci spingesse verso la guerra nucleare contro la Russia, l’Italia dovrebbe eseguire gli ordini senza fiatare. Il draghessor Fabbrini arriva addirittura ad affermare che ormai nessun Paese dell’Unione europea ragiona secondo i propri interessi nazionali giacché, nelle sue parole testuali, “il nostro ombelico è collocato nella Nato e nell’Unione europea”. Questa affermazione è talmente ideologica da non richiedere confutazioni. Ci limitiamo a notare che l’Olanda ha appena respinto la richiesta di Draghi di porre un tetto al prezzo del gas per tutelare i propri interessi nazionali in barba a quelli dell’Italia. L’Olanda è un produttore di gas, il cui prezzo non ha interesse (nazionale) a limitare. Il draghessor Fabbrini, un amico di Paolo Gentiloni, a cui ha chiesto di scrivere la prefazione al suo ultimo libro per fare sfoggio dei suoi potenti amici, non sa che cosa sia accaduto in Libia. Il 4 aprile 2019, la Francia ha appoggiato l’assedio del generale Haftar contro la città di Tripoli difesa dall’Italia. L’Italia e la Francia fanno parte dell’Unione europea e della Nato, eppure si sono contrapposte in Libia per difendere i propri interessi nazionali e contemplarsi l’ombelico nazionale. Il problema di certe università private è proprio questo: si dichiarano “libere”, ma poi scopri che non hanno un solo professore che critichi il governo Draghi per le sue politiche di morte in Ucraina. Se poi queste università “libere” cercano di reprimere i professori che criticano il governo Draghi, censurandoli o etichettandoli come “anti-europei” e “anti-americani” dalle colonne del Sole 24 Ore, diventa chiaro che abusano della parola “libertà”.
Queste università dovrebbero chiamarsi “università libere di difendere il pensiero unico e di essere sempre d’accordo con il governo in carica”. Non è certamente questo asservimento intellettuale che i professori universitari dovrebbero insegnare agli studenti nella società libera teorizzata da Popper.
In conclusione, la tesi del draghessor Fabbrini è che chiunque si opponga alle politiche della Nato in Ucraina è automaticamente anti-americano e anti-europeo. Ma questa è pura ideologia giacché un italiano può volere bene agli Stati Uniti e criticare le politiche di Biden in Ucraina, così come può volere bene agli americani e opporsi alle politiche di Trump verso i palestinesi, inclusa l’uccisione del generale Soleimani. Un’Italia di draghessori è un’Italia povera di idee e ricca di disinformazione.

Ogni tanto fa bene

 


Dalla pagina Video di Fisica di Facebook

Tu, che sei fatto di atomi, vivi in una casa fatta di atomi, conosci persone fatte di atomi e possiedi oggetti fatti di atomi, potresti magari ingenuamente pensare che di questo sia fatta la materia: di atomi. Il sole che si riflette sul mare? Atomi che illuminano altri atomi. Una nevicata in montagna? Atomi che cadono su altri atomi. Ascolti il tuo disco preferito? Atomi che fanno vibrare altri atomi.
Gli atomi sono ovunque volgi il tuo sguardo, ma il tuo sguardo, perdonami, è estremamente limitato. I tuoi occhi sono fantastici, possono adattarsi a condizioni di luminosità estremamente differenti, riconoscono 10 milioni di colori diversi e hanno una risoluzione pazzesca. Sono sì super-adattati, ma solo per vedere la manciata di atomi che il Sole illumina qui sulla Terra: cibo, prede, predatori, altri esseri umani. L’universo è molto più di questo.
Gli astronomi chiamano “barionica” la materia ordinaria, perché è fatta sostanzialmente di barioni (protoni e neutroni). Nell’universo ce n’è tantissima, circa 150 MILIONI DI MILIARDI DI MILIARDI DI MILIARDI DI MILIARDI di kg. Eppure non è ancora niente.
Questa simulazione mostra una rappresentazione realistica di una porzione del nostro universo larga 500 milioni di anni luce. La materia barionica sta in quelle macchioline arancioni. Galassie, stelle, pianeti, Scarlett Johansson: quella che pensi come protagonista assoluta dell’universo non è che qualche piccolo grumo intrappolato in una gigantesca ragnatela fatta di altro. La vedi, quella intricata rete di filamenti neri? Quella è materia oscura. L’85% della materia nel cosmo è materia oscura, e di questa non sappiamo niente, non l’abbiamo nemmeno mai osservata direttamente. Sappiamo solo che esiste, e che è lei a comandare.
Se questo ti delude, sappi che senza materia oscura non esisteresti. All’epoca dell’universo primordiale fu la sua gravità a creare i pozzi gravitazionali in cui la materia barionica si sarebbe condensata negli ammassi di galassie. Gli aloni di materia oscura sono stati insomma gli “uteri” in cui le galassie poterono crescere e formarsi. Questo è importante perché non potremmo vivere in un cosmo senza galassie. Se la materia ordinaria non fosse stata confinata in galassie da quella oscura, gli elementi pesanti prodotti dalle prime stelle (carbonio, ossigeno ecc.) non avrebbero potuto essere riciclati nelle generazioni stellari successive. E senza elementi pesanti non avrebbero potuto esserci pianeti, né esseri viventi, né tu. Quella rete nera di filamenti può sembrare una trappola inquietante, ma è grazie a quella se tu esisti.
La materia oscura è anche intorno a te. Poca, ma c’è. Nell’arco della tua vita sei attraversato da circa un milligrammo di questa misteriosa sostanza. Non te ne accorgi perché non interagisce con nessuna delle particelle che compongono il tuo corpo, ma è lì. Nel caso volessi ringraziarla.

lunedì 27 giugno 2022

Eccolo!


Terzultimi

 


Solo la Romania e la Bulgaria ci separano dall'abisso, ovvero divenire il fanalino di coda in Europa per il numero di transizioni digitali pro-capite.

Ekkome mai qui in Alloccalia siamo così restii ad estrarre la carta di credito? 

In Danimarca nel 2020 ogni cittadino la estrasse 379 volte, da noi solo 62. 

Orbene chiariamoci! Ad iniziare dal sistema rapto bancario per arrivare ai rapto e protetti detentori di macchinette POS collegate al nostro conto corrente, per la "strisciata" con carta, è oramai una gara triste e sfanculante i buoni propositi per vedere chi riesca ad arrivare primo, vincendo l'oramai classico trofeo "ti sfanculo arricchendomi"; perché è chiaro oramai anche ai più assonnati che le banche governano, e chi dovrebbe agevolare i pagamenti con Pos portano voti, tanti voti. Ne consegue che in questa democrazia adulterata chi la riesce sempre a sfangare sono sempre le categorie compatte, forti, agiate, potenti, quelle che riescono sempre a fare il bello e cattivo tempo. Come ad ogni fiera per allocchi che si rispetti, tra non molto usciranno le solite ed arcinote statistiche in cui si evincerà che gli orafi guadagnerebbero meno dei loro dipendenti, molti tra i commercianti, i proprietari di bar, di gelaterie, di ristoranti in un'esigua misura tale per cui molti si domanderanno, come ad ogni uscita di dati, ma chi glielo fa fare di spaccarsi la schiena per così pochi sghei, e tutti poi a recitare la classica presa per il culo pregna d'indignazione, di lotta dura all'evasione, come da oltre trent'anni va in onda ad uso e consumo dei coglioni il cui prelievo viene fatto alla fonte, senza alcuna ombra d'inganno. 

E da luglio siate tutti pronti ad assistere alla messinscena piagnucolante di chi comincerà a miagolare con il canonico canovaccio "il Pos ci strangola, non riusciamo ad andare avanti!" 

Per la gioia degli asini raglianti, che siamo noi, oramai sedati da tempo immemore dalle cianfrusaglie mediatiche incuneatesi in cervice, capaci di farci intravedere un futuro migliore. Tra cent'anni...      

Promossi e bocciati

 

Le bufale di Briatore sulla sua “pizza pazza” che costa come il Beluga

di Silvia Truzzi 

BOCCIATI

Una pizza in compagnia. Come forse saprete, per giustificare l’esorbitante prezzo delle sue “pazze pizze” (Margherita a 15 euro, Pata Negra a 65), Flavio Briatore ha sostenuto che la sua Crazy pizza è cara perché di qualità. Con il consueto italiano rivedibile, l’imprenditore ha risposto all’inevitabile polemica social: “Come fanno a vendere una pizza a 4 e 5 euro? Cosa mettono dentro queste pizze? Se devi pagare stipendi, tasse, bollette e affitti i casi sono due: o vendi 50mila pizze al giorno o è impossibile. C’è qualcosa che mi sfugge. Questi prezzi si giustificano con i costi delle materie prime di qualità, oltre che per le tasse e il costo dei dipendenti. Siamo partiti da un ragionamento molto semplice: dobbiamo usare i migliori ingredienti possibili e immaginabili disponibili sul mercato. Crazy Pizza non ha lievito, per cui non fermenta a differenza di questi miei amici pizzaioli che dicono che è troppo sottile. E ti danno una mattonata di pizza con all’interno un laghetto di pomodoro ed è finita qui”. La città della pizza ha risposto alle bufale con una affollatissima manifestazione davanti alla storica pizzeria Sorbillo ai Tribunali. A Napoli si dice: ”A lira fa ‘o ricco, a crianza fa o signore”. Flavio evidentemente non lo nacque.

Forza Iva. In occasione dell’uscita della sua ultima fatica letteraria, Iva Zanicchi, artista ed ex europarlamentare berlusconiana, ha concesso una lunga intervista a Fanpage.it. Nel corso della quale si lamenta di non essere mai stata invitata al Concertone (“Ho vissuto la guerra, sono stata messa al muro dai tedeschi. Ho il diritto di cantare al Primo maggio e parlare di libertà. Purtroppo non è stato possibile e ci ho sofferto”). Eh già, chissà come mai, un vero mistero. Poi l’82enne aquila di Ligonchio è tornata a parlare di sesso, per la milionesima volta: “Trovo scandaloso che la gente pensi che a una certa età non si possa più fare sesso”. Va bene “Zingara”, ma c’è proprio bisogno di urlarlo a microfoni unificati ogni cinque minuti?

NON CLASSIFICATI

Poco da stare allegri. Massimiliano Allegri ha denunciato la ex compagna, accusandola di aver destinato parte della somma mensile destinata al mantenimento del figlio ad altro scopo. Un anno fa aveva chiesto al Tribunale di Torino la riduzione della somma da versare per il figlio (da 10 e 5 mila euro mensili), facendo presente di essere “disoccupato” da due anni, dopo l’esonero della Juventus, sostenendo che la sua situazione economica fosse cambiata: il ricorso era stato respinto. Anche Piero Chiambretti ha avviato un contenzioso (sempre davanti al tribunale di Torino) con l’ex compagna per chiedere al giudice di modificare le condizioni di mantenimento della figlia. Anche i ricchi piangono?

Amagni. Dopo l’addio definitivo di Fiorello, Ama si consola con Chiara Ferragni: sarà lei la co-conduttrice della prima e dell’ultima serata del Festival di Sanremo. Il post di ringraziamento di Chiara Ferragni su Instagram (27 milioni di follower!) è stato inondato di like, tra cui un cuoricino messo da Amadeus e dalla moglie Giovanna Civitillo, che gestiscono un account in comune. L’account in comune, e sono subito gli anni Cinquanta.

PROMOSSI

L’insulto non si addice ad Elettra. Durante un dj set a Riccione Elettra Lamborghini è stata insultata da un avventore, che ha ben pensato di darle della troia. Dopo un momento di tentennamento, lei ha risposto: “C’è uno di questi sfigati qua davanti che ha detto una parolina che non doveva dire. Se avete le palle, prendete e andate via”. Poi su Instagram ha scritto: “Non siete autorizzati a fare quello che vi pare. Indipendentemente da come sono vestita. E’ una questione di rispetto”. Brava Elettra: ogni volta che si vuole insultare un donna, si va a parare lì.

domenica 26 giugno 2022

Fantastico Dibba!

 


di Alessandro Di Battista 

E così lo “stupor mundi” da Città della Pieve, il Presidente del Consiglio che tutto il sistema solare ci invidia, il politico che quando parla gli altri leader prendono appunti, il “Cristiano Ronaldo” delle Istituzioni, neppure è riuscito ad ottenere il vertice straordinario sul gas a luglio. Se ne riparlerà a ottobre insomma (del vertice, il tetto al prezzo del gas non è affatto detto che riusciremmo ad ottenerlo).
Nel frattempo le sanzioni alla Russia (ma non dovevano servire a far finire la guerra in fretta?) dissanguano molte imprese italiane. Nel frattempo il costo della vita è per i comuni mortali diventato insostenibile. Nel frattempo le armi inviate in Ucraina inaspriscono il conflitto (a proposito, sarebbe doveroso che qualche giornalista mainstream desse notizia dei bombardamenti ucraini degli ultimi giorni su Doneck esattamente come - giustamente - è stata data notizia dei bombardamenti russi sulle città ucraine…Di Battista filo Putin in 3, 2, 1...) e allontanano una soluzione diplomatica che l'Europa aveva il dovere di perseguire fin dall'inizio.
L'immortalità di Draghi e le sue doti taumaturgiche erano solo fake news insomma. C'è qualcuno che tutto questo ha provato a dirlo fin dall'inizio, mentre qualche neo-mastelliano preferiva inumidire le regali natiche del premier per poter dire “ricordati degli amici”. D'altro canto al “culo che non ha mai visto camicia er canavaccio je pare seta”...

Stupenda da Social slam

 


Degna risposta

 


Daje!

 


Simpaticone

 



Amaca

 

La differenza che pesa di più
DI MICHELE SERRA
Le donne ricche potranno sempre abortire in sicurezza, ovunque vivano. Il censo le mette in salvo più di ogni legge. Saranno le donne povere (che negli Usa sono una moltitudine, e con scarsi appigli nel Welfare) a rimanere triturate, nel corpo e nello spirito, dalla sentenza della Corte Suprema, lasciata a bella posta da Trump come una bomba a tempo, che esplodesse anche dopo la sua sconfitta. Due volte golpista, con l’assalto a Capitol Hill e con la manomissione della Corte Suprema.
Quando si dice “destra reazionaria”, ben al di là del velame religioso, ideologico, culturale, perfino oltre la eterofobia maschile che riduce le femmine a fattrici, si dice esattamente di questa spudorata indifferenza alla sperequazione sociale. Tirare una riga sopra l’aborto assistito equivale a tirarla sul Welfare, sull’assistenza pubblica, sulla speranza di autodeterminazione di chi nasce nel bisogno. Chi si batte con passione, in America e altrove, sulla lesione dei diritti delle donne, farà bene a sottolineare che per le donne povere l’offesa è doppia: perché donne, e perché prive dei mezzi per diventare madri, oppure non diventarlo, decidendolo e non subendolo.
Nessuna differenza rende più differenti della povertà, nessuna condizione è più indifesa e discriminata. La P di povertà non figura nel sempre più lungo elenco delle categorie che si sentono escluse, e questa mancanza, finalmente, comincia a sembrare madornale perfino alla sinistra americana meno attenta alle questioni sociali: come se nel vasto campo dei diritti negati non ci fosse anche quello di condurre una vita dignitosa. Tra le americane povere e le americane ricche la differenza, da domani, aumenta. Chissà che anche questa sentenza brutale non aiuti a recuperare la P tra le lettere degne di tutela.

Comprensione




Finalmente ho capito cosa significa parlare in corsivo, come Elisa Esposito, in foto, per così dire, insegna: una cantilena quasi irritante, una nenia evocante il mai dimenticato Bernardo, il servo di Zorro. Non mi tocca, né m’induce a qualsivoglia giudizio, perché di censori qui non ve ne sono. Volete parlare in corsivo? Liberissimi di farlo! Non però per le mie coclee! (Ps: signorina Esposito, una domanda forse un po’ personale: alla sua “veneranda” età quanto tempo passa al trucco? Glielo dico in corsivo: aee quaendoa avreai quaraentaenni chae faeraei? Doadici orae di truccoae al dì? Scusi l’impertinenza!

Cosmo relativo



Stamani ho mancato l’appuntamento, essendo uscito di casa alle 5:15. Domani anticiperò di mezz’ora per gustare lo spettacolo del cielo di questi giorni, ovvero i cinque pianeti allineati in ordine di vicinanza al Sole, Saturno a dire il vero si sta defilando, ma fa lo stesso. Un evento che riporta all’infinita nostra piccolezza, relativo e pure insignificante perché dipendente dal nostro punto di vista, che non conta nulla, come invece vorremmo far credere a noi stessi, tanto smargiassi da considerarci padroni del tutto. Ma non è così. Viaggiando a velocità incredibile su questo sassolino sperduto, ci attanagliamo su irrilevanze svianti da quell’evanescenza che se inglobata potrebbe farci gustare ogni momento della nostra esistenza, tra l’altro pure quantificabile: uno zero virgola con otto zeri e poi 5172 e altri numeri in rapporto ai tredici miliardi e passa dell’universo del quale, tra l’altro, ne riusciamo vedere solo un infinitesima parte, circa 93 miliardi di anni luce. 
Insomma lo spettacolo della pre alba di questi giorni anche se effimero e riferito al nostro punto di vista, meriterebbe attenzione solo per farci partecipi di quest’incredibile ingranaggio, composto dagli stessi elementi base, dove tutto è progettato per finire, il Sole tra cinque miliardi di anni, per far posto e spazio a nuovi ammassi stellari. La Vita appunto.

sabato 25 giugno 2022

Travaglio!

 

Scusate, avevo ragione
di Marco Travaglio
Una vecchia barzelletta sul razzismo racconta di Michael Jackson che, a furia di schiarirsi la pelle, diventa bianco, corre allo specchio e commenta compiaciuto: “Sono bianco da un minuto e già ’sti sporchi negri mi stanno sul cazzo”. Mutatis mutandis, è l’urlo liberatorio di Di Maio & dimaietti che, un minuto dopo la scissione, già sputavano sul loro passato e si scusavano per i loro meriti. Di Maio aveva già iniziato, rinnegando le sacrosante critiche a Mattarella e Draghi, la visita ai Gilet gialli (molto opportuna se non fosse stato ministro), persino la normale richiesta di dimissioni al sindaco arrestato Uggetti (ora lo incoraggerebbe a riunire la giunta nell’ora d’aria). Intanto digeriva senza un ruttino le controriforme draghiane che ammainavano non solo le bandiere del M5S (Spazzacorrotti, Superbonus, pace, ambiente), ma persino le sue (dl Dignità). E faceva pappa e ciccia con Giorgetti, Brunetta e altri nemici del suo Rdc e del salario minimo. Ora completa l’opera oltraggiando la memoria di Casaleggio con la battutaccia “Uno non vale l’altro”, segno che in 13 anni non ha mai capito il suo “Uno vale uno”: che non si riferiva a candidati, ministri e sindaci, ma agli iscritti che, nella “democrazia partecipativa”, si esprimono sulle scelte fondamentali.
Alla compagnia s’è aggiunta Lucia Azzolina, ex buona ministra, ora in stato confusionale: per 17 mesi ha denunciato i disastri del successore Bianchi, dai tagli alla scuola alla sanatoria dei precari (lei, per averla rifiutata, è sotto scorta); ora va con chi dipinge Conte come un islamista radicalizzato perché non è abbastanza filogovernativo e presto sarà alleata di chi la insultava per il rossetto rosso e i banchi a rotelle. Troverà pure Anna Macina, la sottosegretaria dimaiana alla Giustizia che un anno fa avallò come ottimo compromesso la schiforma Cartabia modello base: quella che demoliva la blocca-prescrizione di Bonafede ammazzando con l’improcedibilità i processi d’appello oltre i 2 anni. I ministri si fidarono e la votarono. Poi Gratteri, Scarpinato, Anm e Csm spiegarono la catastrofe. E Conte dovette imbastire una trattativa in salita con Draghi per sventare la minaccia almeno per i reati più gravi. Ora la giureconsulta dice “mai più gogne” come una renzian-forzista qualsiasi, esalta il bavaglio detto “presunzione d’innocenza” e accusa i 5Stelle di violare il “fine rieducativo della pena” perché vogliono in carcere i condannati al carcere (la pena, per rieducare, dev’essere finta). È l’antipasto del prossimo Salvaladri Cartabia per liberare i condannati sino a 4 anni. Finora il M5S poteva bloccare queste porcate. Oggi, grazie ai dimaiani, può solo restare a guardare. Oppure uscire e tornare fra la gente. E sarà sempre troppo tardi.

venerdì 24 giugno 2022

Ricorrenza




Ombre e canicola

 

Restando nell'ombra onde evitare sbandamenti dovuti al caldo, il refrigerio, minimo, che ne deriva mi permette di evidenziare alcune storture sociali oramai calcificatesi dentro i meandri immondi di questa società. Ed inizio dal più eclatante ma, ahimè, il più ibernato: i giovani ed il lavoro, ovvero imbarazzo e tristezza mescolati dalla gentaglia che si approfitta di loro. Affiorano infatti delle proposte di assunzione che meriterebbero un Tso obbligatorio per i proponenti: dodici ore al giorno per 6 giorni alla settimana per un totale di 700 euro di stipendio. Ci rendiamo conto di come sia vergognosa questa realtà? 

E non mi si venga a dire che i giovani non hanno voglia di soffrire, che un tempo i riccastri di oggi fecero gavetta, perché il vaffanculo sarebbe immenso! 

Siamo difronte all'abisso e facciamo finta di nulla! 

I giovani vengono schiavizzati, chi dovrebbe andare in pensione trova modo e maniera per rimanere a rompere i coglioni, il mondo del cosiddetto turismo, fatte naturalmente delle eccezioni che per fortuna ancora emergono, si è trasformato in uno strizza carte di credito, con prezzi di una vergogna tale da mettere a repentaglio il buon nome, ammesso che vi sia ancora, di questa strampalata nazione.

Stabilimenti balneari, ristoranti sul mare, commercio turistico rappresentano una corsa all'oro 2.0, un continuo tentativo ad avvicinarsi, senza superarlo, al limite ove, prima o poi succederà, s'inneschi una reazione a catena di sdegno e di ribellione, che personalmente spero si realizzi. 

Se sei uno qualunque fatichi a realizzare i tuoi sogni, piccoli che siano. 

Questa è la realtà di questo paese assolato e desolatamente attraversato da enormi differenze sociali.   

Stralcio

 


Spiegazione

 


Appello Travagliato

 

Alziamo le voci
di Marco Travaglio
Lo vediamo tutti, ogni giorno: con la scusa della guerra dopo quella del Covid, molti diritti costituzionali sono calpestati o minacciati. Oltre alla democrazia parlamentare e alla pace, è sotto attacco l’unica ragione sociale del Fatto: la libertà di espressione e di informazione. La calpesta la Russia, uccidendo giornalisti e chiudendo testate dissidenti. La calpesta la nostra alleata Turchia, spegnendo ogni voce di opposizione. La calpestano Usa e Gran Bretagna, perseguitando Julian Assange per un terribile delitto: il giornalismo. In Italia la censura impiega armi più subdole e all’apparenza innocue, ma altrettanto efficaci contro il dissenso: la gogna pubblica e le liste di proscrizione fabbricate dai Servizi e poi rivedute e corrette da grandi quotidiani. Sempre più spesso, interpellando intellettuali dissenzienti, ci capita di sentirci rispondere che preferiscono tacere per non finire linciati sui media con tanto di foto segnaletica, o per non avere noie da università ed editori. Anche il Fatto, per aver osato ricostruire la storia della guerra civile ucraina culminata il 24 febbraio nell’aggressione criminale di Putin e ricordare l’Articolo 11, è finito nel tritacarne dei “putiniani”. E qualche lettore è rimasto disorientato. Come se un quotidiano che non ha mai preso un euro dallo Stato italiano potesse vendersi al regime russo, su cui in 13 anni non ha mai scritto una parola se non di condanna. Ora purtroppo i fatti confermano ciò che nelle prime settimane scrivevamo quasi da soli, sempre offrendo un ventaglio polifonico di opinioni diverse. E molti nostri calunniatori pubblicano analisi simili alle nostre sull’esigenza di salvare il salvabile dell’Ucraina con un ragionevole compromesso che porti a una pace duratura.
Intanto le conseguenze economiche della guerra si fanno sentire. Per tutti. Molti lettori ci scrivono allarmati dai costi dell’energia e della vita: perciò abbiamo studiato un’offerta di abbonamento particolarmente scontata. Ma anche noi, non avendo santi in paradiso, subiamo i rincari della carta e la crisi delle edicole. Perciò ci appelliamo alla nostra comunità di lettori perché ci sostenga con l’abbonamento o con l’acquisto quotidiano. Un appello unito all’unico servizio che sappiamo offrire: un po’ di informazione in più, con la serata speciale “La guerra alle idee” che anticiperà la festa di settembre (anche quest’anno a Roma, ma di nuovo in presenza). Lunedì, dalle ore 21, in diretta streaming sul sito e sui canali Facebook e Youtube del Fatto, le nostre firme che da quattro mesi commentano la guerra si alterneranno in un confronto a più voci, che sarà poi disponibile in forma scritta in una sezione dedicata su FQ Extra per gli abbonati e i sostenitori dell’evento. Vi aspettiamo in tanti. Grazie a tutti.

Chapeau Serra!

 

L’amaca
Questa non è una pizza
DI MICHELE SERRA
A proposito della pizza di Briatore, darei non so che cosa per leggere Gianni Mura, un giorno di questi. Come i veri grandi gastronomi amava le bettole di qualità (che erano i suoi posti del cuore) e rispettava i ristoranti stellati. Si trovava a suo agio ovunque la cuoca o il cuoco fossero capaci di mettere nel piatto, a parte il talento, l’anima. Il prezzo non gli metteva soggezione, era una variante “tecnica” da valutare, certo non un ingrediente di quello che si mangiava.
Chez Briatore, invece, il prezzo è proprio un ingrediente della pizza. Una specie di aura sociale, un biglietto di ingresso tra “quelli che possono”. E dunque non è, il dibattito sulla sua pizza, un dibattito sulla pizza. È un dibattito su come sarebbe preferibile passare il proprio tempo.

Mangiare (e vestirsi, viaggiare, insomma vivere) a scopo dimostrativo non è la sola maniera di farlo, e secondo me nemmeno la migliore. Pochissimi dei clienti dei posti che frequento, e che frequentava Gianni Mura, posterebbero la loro cena sui social, moltissimi di quelli che vanno nei locali di Briatore lo fanno, e la differenza è quasi tutta qui. L’intero apparato dimostrativo che innerva il lavoro di quelli come Briatore è anche ciò che lo qualifica, e pazienza se la pizza è buona, non è quella la sua funzione. La pizza di Briatore ha una funzione di inclusione sociale per tutti quelli che credono che mangiare la pizza di Briatore sia un punto di arrivo.
Se Gianluca Vacchi aprisse un negozio di scope di saggina, non è per la qualità della saggina che in molti farebbero la coda per entrare. Questo per dire che le prove d’assaggio, e l’accanita disputa sul prezzo degli ingredienti, mi sembrano fuori tema. Briatore non vende pizze, vende tentativi di emulazione.

giovedì 23 giugno 2022

Brutto epilogo

 


Gran bella domanda!

 

Finlandia nella Nato vuol dire missili Usa di fronte alla Russia
DI ALESSANDRO ORSINI
L’ingresso della Finlandia nella Nato, per quanto sia un progetto in costruzione, preoccupa molti pacifisti, i quali si domandano quali siano i pericoli per le generazioni future. La domanda non è peregrina. Occorre infatti sapere che, a differenza di ciò che generalmente accade in politica interna, le decisioni in politica internazionale si fanno spesso sentire dopo decenni. Così, ad esempio, l’ingresso nella Nato dei Paesi dell’Europa dell’Est è avvenuto tra il 1999 e il 2004, ma Putin ha invaso l’Ucraina soltanto nel 2022 per allontanare un esercito nemico dai confini nazionali. Allo stesso modo, l’abbattimento di Gheddafi è avvenuto nel 2011, ma la penetrazione della Turchia in Libia, conseguenza di quell’abbattimento, è avvenuta nel gennaio 2020 per respingere l’assedio del generale Haftar contro Tripoli. Ne consegue che la decisione di far entrare la Finlandia nella Nato potrebbe dare i suoi frutti avvelenati tra diciassette anni, quando i nostri bambini di un anno avranno l’età giusta per andare in guerra. Orbene, cerchiamo di capire perché la Nato apra le porte alla Finlandia proprio ora. La risposta possiamo trovarla soltanto ricorrendo al metodo storico comparato, ovvero ponendo a confronto il modo in cui la Nato ha assorbito i Paesi dell’Est Europa nel 1999 e nel 2004: Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca (1999) e poi Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Bulgaria, Slovacchia e Slovenia (2004).
In entrambi i casi, la Nato ha proceduto all’assorbimento di questi Stati in un momento di tragica debolezza della Russia, vale a dire quando la Russia, pur essendo contraria a quell’integrazione, non aveva le forze per opporsi. Non entro in dettagli, che ho disseminato nel primo capitolo del mio libro Ucraina. Critica della politica internazionale (Paper First) in cui ho ricostruito le relazioni conflittuali tra la Russia e la Nato dal 1999 al 2022. Mi limito a ricordare che, nell’agosto 1998, la Russia era andata in bancarotta ed era da poco uscita sconfitta dalla prima guerra in Cecenia (1994-1996). Nel 1999, sotto Eltsin, la Russia era a pezzi economicamente, politicamente e militarmente, oltre che tragicamente dipendente dai dollari americani. Nel 2004, sotto Putin, aveva iniziato la sua ripresa, ma era ancora esangue. La Nato ha così approfittato di questa debolezza per espandersi ai danni della Russia. Oggi tocca alla Finlandia giacché Putin, impantanato in Ucraina, non ha le forze per aprire un nuovo fronte. Non possiamo prevedere il futuro, ma possiamo certamente azzardare una previsione probabilistica basata sull’esperienza storica: quando e se la Russia si riprenderà economicamente e militarmente dalla guerra in Ucraina, quasi certamente attaccherà la Finlandia se questa ipotizzasse di installare i missili della Nato, che poi sono i missili americani, sul proprio territorio. Questo è uno dei grandi temi quasi mai toccato nel dibattito italiano: l’avanzamento della Nato è sempre l’avanzamento degli Stati Uniti per due ragioni. La prima è che le decisioni strategiche della Nato vengono prese dalla Casa Bianca e la seconda è che le armi della Nato sono armi americane: sono gli Stati Uniti che decidono che cosa fare delle bombe atomiche sul territorio italiano. Tutto questo ci consente di giungere alla seguente conclusione: il problema della Russia non è l’avanzamento della Nato verso i propri confini nazionali, bensì l’avanzamento dell’esercito americano. Una volta chiariti i termini della questione, e ribadendo la nostra fedeltà alla “scuola del sospetto” di Nietzsche, Marx, Freud e Pareto, la domanda con cui vogliamo contribuire al dibattito culturale sulla geopolitica in Italia è la seguente: è strategicamente giusto o sbagliato che Putin voglia impedire all’esercito americano di spingersi ai confini della Russia?

mercoledì 22 giugno 2022

Perché?



Mi domando il perché di questa scellerata presa di posizione! Rimanere nell’accozzaglia significa andare incontro ad una fine certa.

Articolo perfetto

 Ecco l'articolo della rivista "Rolling Stone" che condivido pienamente! 


Rolling Stones, i ragazzi irresistibili a San Siro

Ieri sera Jagger, Richards e Wood hanno mostrato come si tiene vivo il rock quando hai superato da un pezzo l'età pensionabile, «alla faccia di chi ci vuole male». Non sono ventenni che suonano rock, loro sono il rock

di CLAUDIO TODESCO 

Arriva sempre il momento in cui un concerto dei Rolling Stones diventa un grande concerto dei Rolling Stones. Non accade alla prima, alla seconda o alla terza canzone. Bisogna saper aspettare. Steve Jordan, che sostituisce Charlie Watts alla batteria, dice che prima devono capire come suona quel palco, come suona il pubblico. Sono un vecchio meccanismo a orologeria che ci mette un po’ per partire. Prima che succeda, possono sembrare disuniti. Quando accade, il livello d’eccitazione s’impenna.

Ieri sera a San Siro quel momento è arrivato dopo una dozzina di canzoni, quando hanno fatto Midnight Rambler, il pezzo ispirato allo strangolatore di Boston. Lì s’è capito tutto. Che vale la pena aspettare prima che succeda qualcosa di fenomenale. Che l’energia non è più quella d’una volta, ma ci si può passare sopra. Che c’è un modo per portare avanti un’eredità come la loro anche se sei azzoppato e hai inevitabilmente perso la sfrontatezza giovanile. Che non puoi avere sempre tutto, come dice la canzone, ma qualcosa di grande ogni tanto sì, se quel qualcosa, quel frammento di musica vale il repertorio di mille altri artisti.

Negli ultimi trenta e passa anni i Rolling Stones hanno contribuito alla definizione di che cos’è un concerto in uno stadio anche dal punto di vista dell’allestimento scenico. Non è questo l’aspetto cruciale di Sixty. È vero che Mick Jagger va avanti e indietro su un coloratissimo palco di 55 per 16 metri sagomato lungo le curve della lingua-logo del gruppo, con una passerella che s’estende in platea e tre grandi schermi che trasmettono grafiche (poche e poco significative per gli standard odierni) e immagini live (tante, a beneficio di chi è lontano), ma spettacolo lo fa soprattutto la musica, lo fanno loro. Gli schermi sono fondamentali in apertura, quando trasmettono vecchie immagini di Watts, omaggio asciutto e senza retorica al batterista morto dieci mesi fa. Sarà per via della sua scomparsa, dell’età che avanza, del Covid di Jagger che stava mandando tutto all’aria, del fatto che si celebrano i 60 anni d’attività, sarà per la sensazione che si stia vivendo tutti quanti la fine di un’epoca, fatto sta che lo show a San Siro è sembrato speciale anche solo per il fatto che ha avuto luogo.

C’è un’immagine che non dimenticherò facilmente: Mick Jagger inginocchiato nel tondo della passerella durante Midnight Rambler e Keith Richards che s’avvicina alle sue spalle suonando un blues che sa di morte e pericolo. È stata una versione talmente blues, quella di Midnight Rambler, da contenere la citazione di Come On in My Kitchen di uno dei musicisti da cui tutto è cominciato, Robert Johnson. Non che prima non sia successo niente, tutt’altro. Partiti maluccio, anche a causa del suono impastato, gli Stones hanno recuperato mettendo nella musica certe fantastiche venature soul e con una serie di ballate con dentro qualcosa di struggente, come quando Richards fa il controcanto sfasato a Jagger in Dead Flowers e ogni cosa sembra tornare al proprio posto.

Lui e Jagger hanno messo assieme la band giusta, sul palco sono in tredici, compresi Bernard Fowler e tre coriste di cui una, Chanel Haynes, ha duettato con Jagger in una Gimme Shelter carichissima, con alle spalle le immagini e la bandiera dell’Ucraina a ricordarci che anche nel 2022 la guerra “is just a shot away”. Sono stati i musicisti a prendersi ad esempio Miss You, specialmente il bassista Darryl Jones e i sassofonisti Karl Denson e Tim Ries. Né ovviamente è mancato il repertorio: il nucleo dei pezzi che gli Stones suonano è sempre lo stesso, ma quanti altri musicisti rock al mondo possono mettere in fila sei canzoni come quelle che hanno chiuso il concerto, da Start Me Up a Satisfaction? E poi questo è il tour dei 60 anni, un po’ di greatest hits ci sta. Quando vai a vedere un gruppo come questo, non ascolti solo la band in quel momento, sei suggestionato inevitabilmente dalla storia che si porta appresso e dal tuo rapporto con quelle canzoni. Voglio dire che gli Stones non sono ventenni che suonano rock, loro sono il rock, nel senso che questa roba l’hanno inventata – partendo dal blues, è chiaro, ma questo è un altro discorso.

Quel che è mancato semmai è lo strano groove che li ha resi grandi, un po’ anche per colpa di un suono chitarristico enorme e gracchiante, a tratti quasi heavy, con la decisione dissennata di tenere la chitarra di Keith Richards sparata talmente alta da tagliare le altre frequenze, o almeno è quello che s’è sentito nella tribuna davanti al palco, secondo anello. O forse è uno stratagemma per supplire con un eccesso di volume alla mancanza di quel ritmo scattoso a cui si muoveva un tempo la loro musica, quel ballo imprevedibile fatto d’anticipi e ritardi, l’intreccio fra le chitarre e la batteria, la sinfonietta rock fatta di spasmi elettrici che ieri sera s’è sentita solo a tratti. È stato comunque un concerto memorabile, con canzoni-happening come You Can’t Always Get What You Want e un Jagger in forma, che sa ancora parlare di sesso e vita con la voce e con il corpo – ora è il Covid che ha il Long Jagger.

Il cantante ha parlato praticamente solo in italiano: «Che bello tornare qui a Milano», «questo è il nostro primo tour europeo senza Charlie e ci manca tantissimo», «che bello essere di nuovo su palco anche se è più caldo del quinto girone dell’inferno», «cinquantacinque anni fa abbiamo fatto il primo concerto in Italia, grazie di essere ancora qui con noi». Richards s’è limitato a poche parole tra cui il suo classico «alla faccia di chi ci vuole male», un’espressione imparata dall’amico Guido Toffoletti. Guardandolo ieri sera m’è venuta in mente un’altra cosa e mai avrei pensato di scriverla a proposito di uno degli Stones, gente che ha fatto e visto di tutto, che se n’è fottuta di tutto e di tutti: l’ho trovato quasi tenero. Messo da parte il mito, le leggendarie trasgressioni, il fascino del male con cui un tempo giocavano trasformandolo in età matura in suggestione fumettosa, oggi gli Stones sono adorabili furfanti ultrasettantenni, ragazzi irresistibili (nel senso di Neil Simon), spavaldi come sempre, ma più fragili.

Da alcuni anni ormai i Rolling Stones sono l’avanguardia senile del rock’n’roll. Quando hanno cominciato a far dischi e andare in giro nessuno, nemmeno loro, pensava che sarebbero durati a lungo. Si credeva che quella follia sarebbe finita nel giro di pochi anni e poi tutti di nuovo a rigare dritti e fare una vita normale. E invece eccoli qua. Loro, Bob Dylan, Paul McCartney e pochi altri che ancora portano in giro spettacoli che non sono triste revival stanno mostrando come si tiene viva questa musica quando hai abbondantemente superato l’età della pensione e sai che non ti restano molti anni di vita. È un esperimento culturale che avviene sotto i nostri occhi.

Ognuno lo fa a modo suo. Bob Dylan suonando a ripetizione fino ad annullare il mito nel mestiere. Paul McCartney abbracciando il pubblico con la storia pop più larga e condivisa di sempre. Gli Stones portano avanti la loro eredità con le forze che hanno, coi riflessi che hanno, con le dita che hanno – mi riferisco all’artrite di Richards. Uscendo dallo stadio mi sono detto: forse ho assistito a una prova di resistenza, a una sfida a chi molla più tardi, fra loro e la vita. A giudicare da quel che ho visto, la morte li coglierà vivi. Che invidia.

Set list:

Street Fighting Man

19th Nervous Breakdown

Tumbling Dice

Out of Time

Dead Flowers

Wild Horses

You Can’t Always Get What You Want

Living in a Ghost Town

Honky Tonk Women

You Got the Silver (cantata da Keith Richards)

Connection (cantata da Keith Richards)

Miss You

Midnight Rambler

Start Me Up

Paint It Black

Sympathy for the Devil

Jumpin’ Jack Flash

Gimme Shelter

(I Can’t Get No) Satisfaction