Almasri e l’operazione Albania sono solo un grande diversivo
DI SOTTOSOPRA*
L’horror show trumpiano in onda 24 ore al giorno un risultato almeno lo ha prodotto: fingendo che il cattivo sia solo lui, è possibile chiamare le cose con il loro nome. Deportazioni, dunque, sono quelle a cui assistiamo, e pazienza se qualche anglista improvvisato cerca di spiegare che quel che accade negli Stati Uniti, ma anche nell’Italia del “progetto Albania”, sono banali rimpatri: la realtà è che le rimozioni forzate, con destinazione cella a porte chiuse per tempo indefinito, non sono prerogativa delle democrazie, come il fascismo ha dimostrato.
Il richiamo al passato è però una trappola pericolosa, giacché è oggi, tra campi di detenzione sull’altra sponda dell’Adriatico e torturatori lasciati liberi sfasciando il diritto internazionale, che la storia si riscrive, incartata nelle formule del leguleio Guardasigilli che si fregia d’essere Azzeccagarbugli. Fra pochi giorni la Corte di Giustizia europea sarà chiamata a occuparsi della legittimità della lista di “Paesi sicuri” per i rimpatri a cui l’esecutivo italiano ha dato lo status di legge, dunque fonte primaria del diritto, per superare la giurisprudenza dell’Unione europea, gerarchicamente sovraordinata. Nella consapevolezza che la forzatura potrebbe non passare, il governo sta contemporaneamente macchinando un altro cambio di piano – anch’esso debole giuridicamente – per trasformare i centri albanesi in galere per indesiderati, migranti e forse anche non. È evidente, ormai, che la presunta sicurezza non ha nulla a che vedere con le intenzioni di Meloni e soci: non sui rimpatri di persone comuni, e certamente non in quello di Almasri, responsabile di violenze e abusi inimmaginabili. Il cortocircuito di dichiarazioni e azioni è utile però a indicare la verità: non c’è alcuna realpolitik, o ragion di Stato, che prelude a un interesse superiore, dietro queste mosse.
In un Paese la cui reale emergenza sono l’emigrazione e lo spopolamento – l’anno scorso sono morte più persone di quante ne siano nate, e soltanto le migrazioni dall’estero hanno consentito alla popolazione di restare, dice l’Istat, “in sostanziale equilibrio” – non esiste motivazione pratica per infliggere sofferenze brutali a chi cerca di venire da noi. Dunque per restituire al suo mestiere di aguzzino, con tanto di volo di Stato e festa all’arrivo, un uomo che molti sono in grado di riconoscere come il loro carceriere. Rifiutarsi di consegnare Almasri alla Corte penale internazionale, e trascinare altri 49 disperati, prontamente scarcerati dalla magistratura, nei lager da 700 milioni in Albania, non ha nulla a che vedere con la sicurezza, nostra o altrui. È, invece, soltanto un pretesto per continuare la vera battaglia, quella contro i poteri indipendenti – la magistratura in primis, ma anche il Parlamento, dove infatti Giorgia Meloni non ha ritenuto di presentarsi – in un crescendo eversivo che allontana l’Italia dalla pienezza della vita democratica. Sulla pelle dei più deboli si consumano operazioni di propaganda che alzano la cortina fumogena sulle fratture di un Paese in cui l’economia non cresce, l’occupazione è ferma e mal pagata, la povertà dilaga, la scuola e l’università sono definanziate e sempre più votate al mercato, a dispetto dei principi costituzionali che ne dovrebbero guidare l’azione. Sono gli effetti, assolutamente prevedibili e infatti ampiamente previsti da chi voleva vedere, di decenni di neoliberismo, che ora si intrecciano con l’autoritarismo necessario a nasconderli e a governarli. La guerra ai magistrati, italiani e stranieri, ci allontana dalle priorità e dalla giustizia necessaria “ai deboli” di cui il governo dice sempre di volersi occupare. E riproduce le condizioni di quella torsione antidemocratica che non si può più minimizzare con il pragmatismo necessario ad affrontare inesistenti minacce.
*Per il Forum Disuguaglianze e Diversità
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