Quanto costano la pace e la guerra?
DI MICHELE SERRA
Trump soppesa pace e guerra come merci, cercando di guardare il prezzo del cartellino e di scegliere l’una o l’altra a seconda della valutazione economica.
Molti ammirano questo cinismo, come se l’etica, il diritto, la libertà, l’autodeterminazione dei popoli fossero solo velami ipocriti e finalmente si badasse alla dura sostanza delle cose. Dicono: “È sempre stato così, finalmente ecco qualcuno che lo dice con la necessaria brutalità”.
Ma se fosse sempre stato così, se cioè fosse solamente il calcolo economico a muovere il mondo, perché un sacco di gente, lungo i secoli, sarebbe morta, senza alcun tornaconto personale, per una causa di libertà o di giustizia? La stessa America, quando si trattò di sbarcare in Normandia perdendo decine di migliaia di soldati, e di combattere il nazifascismo, lo fece solo perché voleva fare più comodamente shopping in Europa? Se non esistono più il giusto e lo sbagliato, l’aggressore e l’aggredito, il dispotismo e la democrazia, il diritto e il sopruso, e sul tavolo sgombero di tutte queste svenevolezze c’è posto solo per i contratti (tra questi il rogito per comperare Gaza e farne una multiproprietà con vista mare), che cosa resta dei restanti materiali che compongono la vita umana, di tutto quello che c’è scritto nei libri, che genera la musica e l’architettura, l’arte e le passeggiate all’aperto, i rapporti tra le persone, l’amicizia, l’amore e perfino l’odio, che pure, nelle guerre, gioca un ruolo così determinante?
È una domanda ingenua? Pazienza.
Nell’ingenuità c’è posto per qualche residuo stupore, qualche emozione imprevista, è lo stato mentale dell’infanzia. Il cinismo è la condizione di chi non spera più in niente e aspetta solo di morire.
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