Olly batte l’“alieno” Corsi e salva il Festival normalizzato da Conti
ARISTON, CALA IL SIPARIO - Al fotofinish. L’elemento disturbante, il cantautore insolito è stato battuto al televoto dall’erculeo e sbracciato rugbista
DI SELVAGGIA LUCARELLI
Ci abbiamo sperato. Abbiamo creduto – almeno per un attimo – che in questo Festival della normalità, in questo Festival della restaurazione tra bambini, mamme, figli, malattie, guantini e velette, Lucio Corsi sarebbe riuscito a far saltare i piani reazionari di Carlo Conti. Ed era quasi fatta. Lui, l’alieno, questa creatura fiabesca che, come nel Piccolo Principe, sembrava precipitata sul palco con un aereo, stava per scombinare tutto, e vincere.
Vincere su questa prodigiosa opera di normalizzazione in cui i rapper – addomesticati – sono sembrati cantanti dello Zecchino d’oro. In cui i bambini sul palco erano dei geni: o dei mostri di memoria o dei piccoli Mozart, perchè la natalità si incentiva così, facendoti credere che se metti al mondo un figlio ti nascerà un prodigio della musica, mica quello che si scaccola giocando alla Playstation. Ogni volta che partiva il jingle “Viva l’Italia viva l’Italia viva l’Italia uè”, ho pregato che Corsi – l’unico cantante a non essersi normalizzato mentre perfino Elodie era passata dal sembrare Due Lipa a Mina- riuscisse a vincere sulla medietà. Ne sono stata quasi certa quando Carlo Conti, sul palco dopo l’esibizione di Corsi con Topo Gigio, lo ha fatto arrabbiare. Il conduttore si era permesso di interrompere la magia, la performance romantica in cui il cantante e il topolino cantavano Modugno, trascinando il pubblico in una dimensione onirica.
Conti aveva trasformato quella performance in una gag. Proprio lui che non si era mai intrattenuto con un ospite per più di 30 secondi, con Topo Gigio non la finiva più di gigioneggiare. E quindi è finita che Corsi era uscito dal palco bestemmiando con Topo Gigio che squittiva costernato, e diciamolo, non era possibile immaginare nulla di più distopico, di più destabilizzante di tutto questo nel Festival di Carlo Conti. Un Festival in cui la fantasia, così mestamente piegata dalle regole della normalizzazione, si era ribellata nel modo più inatteso. Della serie: tu porti sul palco bambini che fanno gli adulti? E io trascino i pupazzi per bambini in risse coi cantanti. Nonostante questa imprevedibile meraviglia, Lucio Corsi è arrivato secondo. Lui, l’imprevisto, l’elemento disturbante, il cantautore insolito e mingherlino è stato battuto al televoto dall’erculeo e sbracciato rugbista Olly. La favola ha lasciato il posto a una realtà ben poco poetica, in cui il l’immaginazione è stata sostituita da complotti immaginati. In particolare, quelli sulla manager del vincitore Olly, ovvero Marta Donà. Quest’ultima ha vinto sabato sera, ha vinto l’anno scorso con Angelina Mango, due anni fa con Marco Mengoni e pure nel 2021 con i Maneskin. Questo ha portato molti commentatori (e non solo gente a caso su Twitter, ma pure Enrico Mentana per esempio) a elaborare, più o meno esplicitamente, la più classica delle teorie del complotto secondo cui Marta Donà riuscirebbe a decidere da sola il vincitore del festival. Molto contemporaneo: i poteri forti, ancora più occulti delle multinazionali- le etichette discografiche – e degli stati sovrani – la Rai -, che manovrano il risultato, una sorta di Soros della musica italiana. Trump con una teoria del genere è diventato presidente degli Stati Uniti, quindi è collaudatissima. Ora, a parte che non si capisce come Marta Donà abbia potuto convincere il 31% degli spettatori a votare per Olly, che ha vinto grazie al televoto (come anche Mengoni e i Maneskin ai loro tempi), a parte che, guarda caso, la prima volta che nasce una polemica del genere la manager in questione è una donna, a parte che tutte quelle canzoni sono poi andate molto bene anche all’Eurovision – dove i Maneskin hanno vinto, Mengoni è arrivato quarto e Angelina Mango settima. A parte tutto questo, in almeno due dei tre precedenti stiamo parlando di Marco Mengoni, ottanta dischi di platino e 5 milioni di copie vendute in carriera, e dei Maneskin, la band italiana più famosa a livello internazionale nella storia del nostro paese. Capirei la polemica se avesse fatto vincere i Jalisse, ecco. Ma soprattutto, i Maneskin, dopo che l’hanno sostituita con un altro manager, alla fine si sono sciolti. O quasi.
In fondo, nel Sanremo della restaurazione, quello in cui Conti ha riportato sul palco tutti i vecchi sovrani della tv (da Scotti a Clerici), anche la paura del complotto, delle trame che si sviluppano dentro e fuori “il palazzo” era prevedibile. Così come era prevedibile che l’ancien régime rappresentato da Conti avesse problemi con una collana preziosa che in questo caso era la catena Tiffany al collo di Tony Effe, nel caso di Maria Antonietta la collana di diamanti che contribuì a minare la reputazione della regina dissipatrice. Tony, però, non ha guidato la rivoluzione. Qualcuno, anzi, l’ha visto scappare con suo areo privato prima che il Festival finisse, come un Assad qualunque. Con il suo baule pieno di collane. E sul palco, tra muscoli e coriandoli, è rimasto il vincitore Olly con la sua “Balorda nostalgia”. Del resto, di nostalgia, in questo Festival, se ne è vista parecchia.
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