sabato 30 aprile 2022

Intervista a Travaglio

 

Travaglio a TPI: “Il giornalismo non è libero perché nelle redazioni sanno già cosa si aspetta il padrone”

di Giulio Gambino 

Il giornalismo in Italia è libero?

«No».

Perché?

«Vale la famosa battuta: “In Italia si vendono più giornalisti che giornali”. Non è mia purtroppo, non ricordo chi l’abbia detta».

Ma sono i giornalisti che si vendono o gli editori che impongono la linea (e quindi i giornalisti li emulano)?

«È come la domanda che si faceva ai tempi di Tangentopoli, sei un corruttore o sei un concusso? Di Pietro con la sua praticità risolse la questione con la dazione ambientale. Qui c’è una censura ambientale che si respira nell’aria».

A te è mai capitato che qualcuno ti abbia censurato?

«Con me nessuno si è mai permesso, e quando ne avvertivo le avvisaglie me ne andavo, oppure venivo cacciato perché non obbedivo. Non ho esperienza di censure negli ultimi 13 anni, da quando cioè lavoro in proprio al “Fatto”, però ormai credo che nella stampa mainstream non ci sia più nemmeno bisogno di dare ordini o di imporre veti dai piani alti. Nei piani medio-bassi si sa già quello che si aspetta il padrone e si anticipano gli ordini, che non arrivano nemmeno perché ormai sono inutili».

Perché oggi il giornalismo ha sempre minore credibilità?

«Per una serie di concause. Per esempio il fatto che non esista un solo grande editore che abbia come unico interesse di fare un buon prodotto e di venderlo. O il fatto che la politica sia così mischiata all’economia e che i grandi gruppi economici siano così disastrati e assistiti dallo Stato: tutti famosi liberali-liberisti sempre col cappello in mano davanti a Palazzo Chigi a chiedere provvidenze pubbliche in cambio di soffietti a quasi tutti i governi, o almeno a quelli che fanno i loro interessi e quelli delle loro lobby».

Siamo anche il Paese dove politici e giornalisti fanno l’una e l’altra cosa in scioltezza…

«Non è un caso che gli unici governi che hanno avuto contro la gran parte dell’informazione sono stati il primo governo Prodi e i due governi Conte. per il resto l’establishment e i suoi giornali sono sempre stati governativi, chiunque ci fosse a palazzo Chigi. Dopodiché non è affatto escluso che all’interno di questo mondo ci siano poi singoli giornalisti che cercano di fare il loro mestiere, di resistere, ma nella somma finale finiscono nei resti».

Quali sono oggi i giornali che reputi liberi?

«Non sono nessuno per dare dei giudizi. Ma è un fatto che gli unici giornali che non appartengono a editori “impuri” sono Il Fatto Quotidiano, La Verità, TPI e Il Manifesto, che però ha un problema: i soldi pubblici dai quali in parte dipende».

Quale ritieni che sia la differenza tra il Fatto e gli altri giornali tradizionali?

«È semplice: nessuno ci dice cosa dobbiamo scrivere e cosa no. Ogni volta che decidiamo di prendere una posizione non abbiamo nulla da guadagnarci né da perderci. Hanno provato in tutti i modi ad attribuirci padroni o padrini, ma non sono mai riusciti a trovarne mezzo. Abbiamo le nostre idee, dalle quali dipendono le nostre posizioni politiche. Chi si avvicina di più alle nostre idee ha il nostro plauso, chi è più lontano delle nostre idee ha la nostra riprovazione».

Qualche esempio?

«Mi sono fatto l’antinfluenzale e tre dosi di vaccino anti-covid, ma qualche imbecille diceva che ero un no vax soltanto perché, da liberale, sono contro l’obbligo vaccinale e ritengo che ciascuno debba sottoporsi a un trattamento sanitario consultando il suo medico, non il suo governo. Noi – che siamo tanto 5Stelle-contiani secondo qualche imbecille – se i 5Stelle votano a favore delle armi in Ucraina, diciamo che sbagliano, perché siamo contrari. I 5Stelle danno non so quanti voti di fiducia al governo Draghi, E noi abbiamo sempre detto che non avrebbero neanche dovuto entrarci».

Cosa ne pensi di chi ti dice queste cose?

«Non me ne importa assolutamente niente. Anche il condizionamento psicologico di chi non scrive una certa cosa per evitare una certa accusa non mi tange. Non me ne frega nulla di quello che dicono di noi. Tanto le accuse le inventano comunque, anche se fai il bravo. Noi siamo sempre stati anti-putiniani – e continuiamo a esserlo, ovviamente – eppure ci sentiamo dare lezioni di anti-putinismo da Repubblica, che fino a 5 anni fa pubblicava un inserto mensile a cura della propaganda del Cremlino con quelle – non saprei come definirle – fellatio a Putin, al suo regime, al patriarca Kirill. Purtroppo io mi ricordo tutto…».

Il clima è preoccupante: il dibattito è infuocato e sempre più devoto al linciaggio…

«L’Italia era già un Paese praticamente rovinato dal punto di vista della libera informazione, ma poi il cocktail  letale  Draghi-Pandemia-Guerra ci ha dato il colpo di grazia, con un ulteriore giro di vite che ha vieppiù ristretto le già minuscole feritoie nel muro del pensiero unico. Viviamo in una permanente militarizzazione del pensiero, da Paese di guerra. Fino all’altro ieri non potevi nemmeno dire che il vaccino era una buona cosa ma non ti immunizzava dal contagio, perché il presidente del Consiglio, totalmente incompetente in materia, aveva spacciato il Green Pass per una garanzia di vivere in ambienti immuni dal contagio. Dopodiché mi risulta che, con tre dosi di vaccino, si è preso anche lui il Covid. Me ne dispiaccio, sono felice che sia asintomatico, ma mi auguro che abbia capito che nel luglio dell’anno scorso aveva detto una solennissima sciocchezza. Il guaio è che chi lo faceva notare passava per nemico del popolo e della scienza».

C’entra il cosiddetto pensiero binario?

«Sì, anche se poi non è neanche binario, è monolitico: perché hai due sole alternative, ma se scegli la seconda sei un porco, e non puoi mai discutere, distinguere, sfumare. Guarda cosa è accaduto nel dibattito sulla Francia tra Le Pen e Macron. Un’alternativa diabolica, dove entrambe le opzioni inorridivano un sacco di francesi, ma anche di italiani, me compreso: perché mai era riprovevole astenersi, non scegliere nessuno dei due, cioè – come dicevano gli studenti della Sorbona – «né la peste né il colera». Senza dire di questo provincialismo per cui noi dobbiamo sempre partecipare alle elezioni altrui. Il Pd è una vita che vince le elezioni in America, in Francia, in Germania, però non riesce mai a vincerne una in Italia. Questo è il suo problema. E allora si consola oltre confine, dove non lo conoscono».

Fino a un ventennio fa esisteva una contro-informazione più evidente, anche in Rai se vuoi. Dov’è finito quel pubblico?

«Dal punto di vista della visibilità del pensiero critico, siamo messi molto meglio di allora. All’epoca eravamo comunque prigionieri di un altro falso pensiero binario: il centro-sinistra e Berlusconi, per cui gli anti-berlusconiani dovevano votare il centrosinistra, e poi quando il centrosinistra andava al governo faceva le stesse cose di Berlusconi, solo più educatamente. Nessuna legge di Berlusconi è stata mai cancellata dal centrosinistra. Le prime leggi vergogna del caimano le ha cancellate il governo Conte I, con la spazzacorrotti, il reddito di cittadinanza e il decreto dignità contro il precariato. Un governo che tutti dipingono come governo di destra, quello M5S-Lega, è stato il governo più innovativo e anche progressista (al netto dei decreti sicurezza) che io abbia mai visto. Finché Salvini non si è fatto cooptare dal sistema, ha cominciato a difendere i Benetton, il Tav Torino-Lione e a rinnegare la sua natura anti-establishment, che era stata la sua fortuna…».

Anche la Meloni è succube del sistema?

«Bè il suo asservimento incredibile alle politiche atlantiste parla chiaro. Oggi è presentabile chiunque si metta a 90 gradi davanti a Biden, chi non lo fa è uno stronzo, indegno di governare. per questo c’è il boom dell’astensione: perché chi non si allinea al pensiero unico non si sente più rappresentato da nessuno. Però i non allineati in questi anni hanno avuto molta più scelta rispetto a quella che c’era ai tempi del falso bipolarismo Berlusconi-centrosinistra».

Eppure oggi l’informazione pubblica riflette poco o nulla quello che pensa la maggior parte del Paese…

«Sulla guerra sta esplodendo tutto, con il paradosso di una stampa e una politica al 99 per cento con l’elmetto e la mitraglietta, tutta gente che marcia seduta sul sofà, e poi i sondaggi di un Paese che sta da un’altra parte, per la pace e per il negoziato. in grande maggioranza addirittura contro l’invio delle armi in Ucraina, non solo contro il 2 per cento del Pil in spesa militare. È una ribellione clamorosa rispetto non solo al sistema dei partiti, ma anche al sistema dell’informazione, che è assolutamente speculare a quello dei partiti, quasi tutti a rimorchio della Nato, cioè degli Usa, che stanno cercando di trasformare la guerra criminale, ma regionale, di Putin per il Donbass in una guerra mondiale. E non escludo che ci riescano».

Perché dici?

«Lo stiamo vedendo. Questa è una guerra per il Donbass, la manovra su Kiev un diversivo. A furia di inviare armi – violando la Costituzione e per la prima volta nella nostra storia, senza averle mai mandate a nessun altro Paese aggredito che non fosse nostro alleato – finiremo per moltiplicare i massacri e rischiare molto di più l’escalation verso la guerra mondiale, cioè nucleare. Adesso, con la presa di Mariupol, credo che qualcuno stia cominciando a capirlo. Lo capiscono i governi più liberi, quello tedesco e quello francese. Il nostro, insieme alla Polonia, è la Bielorussia degli Stati Uniti. Come ha detto Orsini, Draghi è il Lukashenko di Biden, questo è evidente».

Questo governo serve maggiormente gli interessi Usa?

«Lo abbiamo sempre saputo: una delle ragioni per cui hanno buttato giù Conte è che proseguiva la tradizione della politica estera multilaterale di Moro, Andreotti, Craxi, Prodi. Al suo posto hanno messo l’Amerikano con la K».

A proposito di America, che fine ha fatto quella classe politica e giornalistica fieramente anti-americana, contraria cioè all’appiattimento e alla subalternità verso gli Usa?

«Nella nostra politica estera noi siamo sempre stati nel migliore dei casi multilaterali, nel peggiore dei casi doppiogiochisti. Ricordo quando per obblighi Nato Reagan dovette avvertire Craxi e Andreotti del raid a Sirte per eliminare Gheddafi, dopo avere trovato le impronte digitali del regime libico nella strage aerea di Lockerbie. L’avevano individuato, prepararono il blitz notturno, avvertirono l’Italia, anche perché era coinvolta la base di Sigonella, e Craxi e Andreotti avvertirono Gheddafi e lo fecero scappare. Questi sono gli aspetti deteriori della nostra politica estera doppiogiochista. E poi ci sono gli aspetti migliori: quelli di un Paese che dopo il 1989 ha cominciato giustamente a guardarsi intorno e a capire che i nostri mercati naturali sono quello russo e quello cinese, non certo quello americano che è saturo e concorrenziale. Questo è un ragionamento che faceva Andreotti quando diceva che la Nato avrebbe dovuto sciogliersi insieme al Patto di Varsavia, e che faceva Macron un anno fa, quando parlò della morte cerebrale della Nato».

Chi sta dando il peggio di sé nell’informazione?

«Vedo giornalisti che ritenevo dotati di cervello dire delle cose che credevo si sarebbero vergognati a dire. Sono affascinato dalla rubrica quotidiana dei grandi giornali che non riescono a non parlare di Orsini almeno 10 volte al giorno. Mi domando: ma che gli ha fatto ‘sto Orsini? È vero che ha mostrato la cartina dell’allargamento della Nato a est, ma è una cartina reperibile anche senza Orsini».

Chi ha deciso di prendere Orsini al Fatto?

«L’ho deciso io quando lo stavamo intervistando sul suo primo linciaggio e, in quel mentre, ricevette una telefonata da qualcuno del suo giornale di allora, Il Messaggero, che gli comunicava la non pubblicazione della sua rubrica settimanale che teneva da anni, perché parlava di Ucraina dicendo cose vere, quindi proibite. Mi sono detto: se un professore ha problemi a far conoscere le sue idee, il Fatto è nato apposta per dargli un rifugio, quindi nel caso in cui avesse voglia di scrivere per noi, eccoci qua. Ho fatto con lui quello che abbiamo fatto in questi anni con tutti gli altri censurati. Naturalmente parlo di persone che abbiano dei titoli per parlare, ovviamente. Non siamo una buca delle lettere. Però siamo una specie di accampamento aperto a tutti quelli che hanno qualcosa da dire e non sanno più dove dirlo».

Condividi l’analisi di Santoro sulla necessità di parlare in maniera critica anche dell’Ucraina e di Zelensky?

«È quello che scrivo tutti i giorni, sin dal primo giorno della guerra. Mi sembra il minimo sindacale del giornalismo. Mi è capitato di leggere un pezzo de Linkiesta, dove alla vigilia dell’invasione russa Zelensky era dipinto come un imbecille, un pagliaccio, un incapace: se era considerato un coglione fino al 23 febbraio, può essere mai che sia diventato Churchill dal 24? Fino a quel giorno aveva sondaggi forse anche peggiori di quelli di Biden, e meditava di non ricandidarsi nemmeno alla presidenza. Aveva fallito, in un Paese sempre più corrotto, impoverito e indebitato, e forse preferiva ritirarsi in una delle sue ville in giro per il mondo a godersi le sue cospicue sostanze ben nascoste nei paradisi fiscali (come documentato da molti giornali, anche italiani, sulla scorta dei Pandora Papers). Trovo bizzarro che le stesse cose che si dicevano prima non si possano più dire oggi. Dirle adesso non significa affermare che è stata l’Ucraina ad attaccare la Russia, vuol dire semplicemente fare informazione».

Vale lo stesso sulla polveriera del Donbass, dove vengono commesse gravi atrocità da entrambe le parti da almeno otto anni…

«Se il battaglione Azov, che dal 2014 fino all’altro giorno era il padrone di Mariupol, è stato denunciato per 8 anni da Onu, Osce e Amnesty International per torture, crimini di guerra, stragi, sevizie, oltre che per quei simpatici simboletti a forma di svastiche e croci uncinate stilizzate sulle divise, perché non ne dobbiamo parlare adesso? Sono diventati improvvisamente buoni anche i nazisti? E Orsini diventa un fascista solo perché ha detto una cosa ovvia, e cioè che per un bambino è meglio vivere sotto una dittatura che morire sotto le bombe? Mi ha ricordato Max Catalano: “È meglio sposare una donna ricca, bella e giovane che una donna brutta, povera e vecchia”. Se non puoi più dire nemmeno le ovvietà perché sennò Gramellini ti dà del filo-fascista e del paraculo, lui che sul servizio pubblico di Rai3, a spese del nostro canone, ha elogiato il comandante filonazista del battaglione Azov paragonandolo ai giusti tipo Schindler, c’è qualcosa che non funziona».

Ritieni che sugli Usa e sulla Nato esista una sorta di auto-censura preventiva?

«Noi dovremmo poter dire tutto, non siamo in guerra, almeno che si sappia. Io non sono belligerante, non sono neanche membro della Nato, non me ne frega niente della Nato. L’ho detto una sera dalla Gruber e Severgnini stava per svenire: “Ma come, Biden è la nostra leadership!”. Io non ho nessuna leadership, penso con la mia testa. “È nostro alleato!”. E chi se ne frega. A parte che alleato non vuol dire padrone, se un tuo alleato sbaglia devi essere libero di dirglielo, altrimenti non stai nella Nato, stai nel patto di Varsavia. E invece sembra di essere a Mosca, con questa bell’arietta di censura, perché ci sono cose che non puoi dire visto che in Ucraina c’è la guerra. Ma chi lo dice, dove sta scritto? Bisogna poter dire tutto, sempre. Altrimenti non si capisce perché c’è questa guerra. E soprattutto, se non capisci perché c’è questa guerra, non riesci a capire come si fa a farla finire, che poi è il vero problema che abbiamo in questo momento».

C’è chi dice che sei uno tra i migliori giornalisti italiani.

«Non esageriamo. Io ho sempre la sindrome dell’impostore. E penso che il degrado generale dell’informazione abbia creato una sopravvalutazione anche nei miei confronti. A me pare di essere abbastanza normale, non credo di fare delle cose straordinarie. Se fossi vissuto in un’altra epoca, se fossi diventato direttore all’epoca in cui i direttori erano Montanelli, Scalfari, Pintor, Feltri, Anselmi, Rinaldi, Furio Colombo, Padellaro, Scardocchia, probabilmente sarei il ventesimo, il quarantesimo».

Sarebbe utile una legge che limiti la possibilità di possedere i giornali ai soli editori puri?

«Certo. dovrebbe proibire a ogni editore di giornale di avere altri interessi se non quelli dell’editoria. A lui e ai suoi parenti stretti, altrimenti riciccia fuori il solito Paolo Berlusconi al posto di Silvio. Ci vogliono anche una legge antitrust e una legge sulle rettifiche e contro liti temerarie. Leggi che alleggeriscano un po’ la pressione sui giornalisti. Se e quando verranno fatte, a quel punto vedremo quanti sono i giornalisti liberi che fanno i servi perché sono costretti dal sistema e quanti invece sono proprio nati così».

Cosa ne pensi dell’Espresso in vendita?

«Passare da De Benedetti agli Agnelli-Elkann a Iervolino: non saprei quale dei tre editori sia peggio. È una bella lotta».

Dopo la direzione al Fatto hai in mente altro, chessò, tipo un programma tv?

«No, macché programma… per fare un programma bisogna che un segretario di partito o un presidente del Consiglio telefoni alla Rai, oppure devi comunque dare delle rassicurazioni a quegli editori impuri. Devi pagare dei pedaggi, non fa per me. E non me ne frega niente. E poi, anche se fosse tutto libero, il mio mestiere non è la televisione. Io la soffro, ci vado perché è utile far circolare le idee e la testata del Fatto, ricordare al grande pubblico che comunque una piccola oasi di libertà esiste. Ma, se dovessi scegliere fra la tv e la carta stampata, non avrei dubbi: carta stampata tutta la vita».

Domanda

 


Opinabile e forte Amaca


 Il torpedone per il cielo

di Michele Serra

Se ci sarà la guerra nucleare, i russi andranno in Paradiso, dice la giornalista russa, tra altri patrioti, nel talk show patriottico. Lo dice come se fosse una cosa normale: perché normale, per i fanatici, è il fanatismo.

È lo stesso identico concetto che usano i jihadisti, farsi saltare in aria e uccidere altre persone è solo varcare una porta, quella che separa la nostra vita miserabile dal trionfo celeste. Cambia il Dio tirato in ballo, non la logica sacrificale. E soprattutto: non lo schifoso egoismo che spinge gli eletti, a qualunque club religioso siano iscritti, a trascinare nel loro martirio le vite degli altri, che magari avrebbero preferito continuare ad annaffiare i gerani e dare da mangiare alle galline. Perché nei gerani e nelle galline confidano per la salvezza del mondo, per la sua continuità.

Noi poveretti che non crediamo nell’aldilà, e ci teniamo cara la vita, forse rimarremo schiacciati, come moscerini, nel grandioso cozzo tra i soldatini di Dio. Tra le mille ragioni per rischiare qualcosa (aiutare gli altri, difendere la madre Terra, godersi la vita, amare qualcuno, combattere la tirannia), il vostro Dio, scusateci tanto, non è nella top ten. La sola idea di poter essere ammesso sullo stesso torpedone che trasporta in cielo il mullah paranoico, o la giornalista russa invasata, o il crociato assassino (Anders Breivik, per chi se lo fosse dimenticato), mi fa desiderare la scomparsa nel nulla come solo esito onorevole della mia vita.

Se Dio esistesse, fulminerebbe per primi i fanatici che lo nominano invano. Purtroppo non esiste, ed è per questo che dei fanatici siamo in balia.

Esagerazione?

 


Evidenziazione

 

Mica siamo in Russia
di Marco Travaglio
L’altra sera, a Otto e mezzo, il pompierino della sera Massimo Franco ha rischiato la sincope a causa della pacifista Martina Pignatti, che osava citare quel putiniano del Papa, e l’ha accusata di stare con Salvini (quindi i pacifisti devono diventare guerrafondai per evitare che una mattina Salvini si svegli e dica eccezionalmente qualcosa di sensato). Poi ha deplorato “la sfasatura fra la linea molto coerente filo-atlantista e filo-occidentale di Mattarella e Draghi e pezzi di maggioranza che fanno appelli al cessate il fuoco e al dialogo avulsi dalla realtà”. Purtroppo i “pezzi di maggioranza” rei di “sfasatura” pro dialogo sono 5Stelle e Lega, i due partiti più rappresentati in Parlamento, senza i quali non esiste maggioranza. E spetta a loro dare la linea al governo in Parlamento, casomai Mattarella e Draghi si ricordassero che ne esiste uno. L’unica volta che lo interpellò sul decreto sulle armi, Draghi raccontò “un intervento di sostegno e assistenza al popolo ucraino” con “la cessione di mezzi materiali ed equipaggiamenti militari”. Ora scopriamo dai pissipissi di palazzo che – autorizzato non si sa da chi – invierà carri armati e altre armi pesanti incompatibili con gli “equipaggiamenti militari” per difendere il popolo ucraino, mentre i nostri padroni Biden e Johnson teorizzano una guerra di anni, non più per difendere gli ucraini, ma per “sconfiggere Putin”, destituirlo (“non può restare al potere”), “fiaccare la potenza militare russa” e – dulcis in fundo – “attaccare la Russia sul suo territorio”. Ma per Franco il problema non è un premier che viola la Costituzione, umilia il Parlamento, ignora i suoi due principali alleati e se ne infischia della maggioranza degli italiani. Ma sono i 5Stelle (e forse, a giorni alterni, la Lega) che osano dissentire e fare politica. Ergo, fra Draghi mai eletto da nessuno e i leader dei due partiti che hanno vinto le ultime elezioni, prevale Draghi, come se ce l’avesse portato la cicogna. Verrebbe da domandarsi se siamo in Russia, se non fosse che Putin qualche voto l’ha preso: Draghi no.
Intanto, su Rep, Giovanna Vitale racconta nei minimi dettagli l’incontro “riservato” fra Conte e Orsini, “avvenuto all’inizio della scorsa settimana”. Il prof di “simpatie filo-Putin” ha dispensato “consigli” al leader M5S, che ha risposto testuale: “Caro professore, io apprezzo il suo pensiero laterale” (meno, invece, quello frontale). Poi “tra il serio e il faceto, avrebbe buttato lì la disponibilità a candidarlo. Proposta che Orsini, ribattezzato URSSini dai detrattori, non avrebbe respinto. Anzi”. Tutto meraviglioso, a parte il fatto che Conte e Orsini non si sono mai visti né sentiti in vita loro. Verrebbe da domandarsi se siamo in Russia, se non fosse che le fake news di Putin mescolano fatti veri e fatti falsi: quelle di Rep solo falsi.

venerdì 29 aprile 2022

Tragica Somma

 


Verità nascoste

 


Peccato!

 


Mannaggia, non avessi il corso per istruire le upupe non mancherei per niente al mondo l'incontro!

Ettore e l'eredità

 


Travaglio

 

Vieni avanti Cremlino
di Marco Travaglio
Problema: malgrado la stragrande maggioranza dei partiti e dei media sia favorevolissima a imbottire di armi l’Ucraina, non più per aiutarla a difendersi, ma per aiutare Biden e BoJo ad attaccare la Russia, la stragrande maggioranza degli italiani resta contraria. Analisi (della stragrande maggioranza dei partiti e dei media): se gl’italiani non ci seguono, non è perché rappresentiamo gli americani e gli inglesi, ma perché sono subornati da Orsini e dai giornalisti russi. Soluzione: abolire Orsini e i giornalisti russi. Problema: così sembra di stare in Russia. Analisi: bisogna inventarsi una censura che non sembri censura. Soluzione: dire che sono tutti spie russe. Problema: Orsini è nato a Napoli e pare non sia mai stato in Russia (ergo la Tocci gli disse che non ne poteva parlare). Analisi: a Cartabianca Orsini ascoltava senza insultarla (come fanno tutti gli altri) la giornalista russa Nadana Fridrikhson, che lavora a Zvezda, tv controllata dal governo russo. Soluzione: mandare in Vigilanza i renziani Romano (Pd) e Anzaldi (Iv), che non possono perdere la faccia perché l’hanno già persa, a insinuare che Nadana sia una spia russa e tirare in ballo il Copasir, che si porta su tutto; al resto pensa il sito di Repubblica titolando “Giornalisti russi o spie nei talk Rai?” con la foto di Orsini, spia russa per contagio.
Problema: qualcuno obietterà che anche la Rai è controllata dal governo e domanderà cosa spìano esattamente i giornalisti collegati da Mosca coi talk italiani. Analisi: buttarla in caciara funziona sempre. Soluzione: dire Orsini scrive sul Fatto, come pure altri ospiti di Cartabianca, Scanzi e Di Cesare, quindi se i 5Stelle li difendono è per “salvare i loro cachet” (Anzaldi), anche quello di Orsini che partecipa gratis; senza contare che “Conte avrebbe incontrato Orsini”, la cui “candidatura sarebbe qualcosa di più di un’idea” (Corriere); quindi a doversi discolpare non sono i partiti che censurano, ma il M5S che si oppone. Problema: qualcuno obietterà che gli ospiti dei talk li scelgono i conduttori, non i partiti. Analisi: bisogna trovare qualche fenomeno che dica il contrario. Soluzione: il Corriere trova subito Maurizio M’annoi, pronto a tutto pur di svelenare su Bianca Berlinguer, anche a dire che “gli ascolti dei talk stanno precipitando” (riferendosi al suo: gli altri vanno benone) e “non accade in nessun’altra azienda del mondo” che “il conduttore decida chi invitare e che linea dare al programma” (parlando delle aziende metalmeccaniche, tessili e alimentari) per “attirare più telespettatori” (escludendo se stesso, che notoriamente li respinge). Problema: qualcuno potrebbe ricordare una frase di Leonardo Sciascia: “Quando gli imbecilli si alleano coi furbi, il fascismo è alle porte”.

Dice tutto!

 

“Ora Putin è indifendibile, ma chiamarlo criminale allontana ogni trattativa”
FREEMAN EX DIPLOMATICO - Da Bush jr. in poi l’Ucraina era diventata un’ausiliaria della Nato

DI SABRINA PROVENZANI
Londra. Ex diplomatico Usa, Chas Freeman è stato vicesegretario alla Difesa per gli Affari di sicurezza internazionale dal 1993 al 1994 e ambasciatore degli Stati Uniti in Arabia Saudita, ed è un esperto di Cina. Sul conflitto in Ucraina ha posizioni non allineate.
Lei, il 24 marzo, ha detto: ‘Gli Usa combatteranno fino all’ultimo ucraino”. Cosa intendeva?
La guerra in corso sta diventando una guerra per procura fra gli Usa, con la Nato decisamente al loro fianco, e la Russia, che si contendono sfere di influenza. E ci siamo arrivati partendo da lontano, quando George W. Bush, nel 2008 disse, fra l’altro, incontrando resistenze anche fra gli alleati, che l’Ucraina sarebbe dovuta entrare nella Nato, cioè nella sfera di influenza Usa. Dopo il colpo di Stato del 2014 a Kiev, a cui gli Usa hanno partecipato, l’Ucraina è diventato un Paese ‘ausiliario’ della Nato, che gli ha fornito addestramento, intelligence, materiale per la difesa… una escalation che ha allarmato la Russia. Io non credo che Putin volesse incorporare l’Ucraina: voleva impedire che la incorporasse la Nato. E francamente una Ucraina nazione cuscinetto fra le due sfere d’influenza sarebbe stata meglio per tutti.
Facciamo un gioco di ruolo in cui lei è l’avvocato difensore della Russia.
Putin è indifendibile, e ora non si può fare altro che inviare armi per fermarlo. Ma è andato a Pechino da Xi Jinping per discutere del suo piano di riassetto della sicurezza europea, cioè la sua proposta sull’Ucraina, per mitigare la ‘minaccia’ alla Russia. Pechino era d’accordo, e a favore della neutralità ucraina. Ovvio che conteneva richieste assurde, come il disarmo dei Paesi Nato, ma ogni negoziazione parte con premesse non realistiche per ottenere i veri obiettivi. Ma la proposta è stata ignorata dalla diplomazia occidentale. A quel punto lui ha applicato un classico schema da ‘diplomazia coercitiva’, cioè ammassare le truppe al confine. L’Occidente ha diffuso l’allarme che ne sarebbe seguita un’invasione, e lui si è sentito sfidato e ha invaso, senza nemmeno preavvisare i suoi generali. Un errore dalle conseguenze tragiche, da condannare. Ma chiamare Putin criminale di guerra, demonizzarlo, dichiarare di voler approfittare di una Russia indebolita, significa allontanare ogni possibilità di uscita dallo stallo. Significa eliminare ogni incentivo russo a trattare, e mettere Zelensky nell’impossibilità di farlo. Mi fa pensare al Congresso di Versailles dopo la Prima guerra mondiale, con la Germania esclusa dai negoziati, e sappiamo come è andata a finire. Il risultato è tenere l’Europa in una guerra permanente, alimentata dalle esportazioni di gas russo e dall’invio di armi occidentali, e che può uscire dai confini ucraini, coinvolgere la Nato, portare a un’escalation nucleare. Una Russia indebolita alle porte dell’Ue è un disastro per gli ucraini, per i russi, per gli europei e non conviene nemmeno agli Usa.
Il racconto di questa guerra è estremamente polarizzato.
Be’, questa è la guerra d’informazione più massiccia della storia dell’umanità. Tutti mentono, distorcono la verità, costruiscono il loro racconto. Ma chi è esposto solo alle bugie occidentali, e non anche a quelle russe non ha modo di capire la realtà. Naturalmente non c’è equivalenza perché quello di Putin è un regime che reprime l’informazione: però anche da questa parte della propaganda c’è chi mette in discussione quello che dicono i governi occidentali o le agenzie di PR che stanno aiutando Zelensky a raccontare al mondo quello che sta accadendo nel suo paese. Va riconosciuto a Zelensky di essere un ottimo attore, eletto per guidare uno Stato e che ora ne ha fatto una nazione, grazie proprio alla sua capacità di rappresentarsi come simbolo della resistenza ucraina. E poi ricordiamolo: questo conflitto ci viene descritto come scontro fra democrazia e autoritarismo. Ma il mondo è più grande del G7: l’intera America Latina, buona parte dell’Asia, il Medio Oriente, la Cina, l’Africa possono condannare le atrocità russe, ma non per questo stanno dalla parte della Nato, perché non dimenticano le umiliazioni e il razzismo subiti dagli Usa.

giovedì 28 aprile 2022

L'Amaca

 

Lo scontro finale
di Michele Serra
La Russia difende la sua identità spirituale e i valori tradizionali.
L’Europa invece ha adottato il neoliberismo, che promuove la priorità del privato sul pubblico, e pratica l’individualismo, che distoglie dall’amore per la Patria. Questo dice Nikolaj Patrushev, stretto collaboratore di Putin, e questo pensa Putin: Dio, Patria e Famiglia (nel suo caso, famiglie) contro l’Occidente decadente e pervertito.
Se uno crede nei “valori tradizionali” (tra i quali la guerra occupa un posto rilevante) è un discorso seducente. Fossi un fascista, o un cattolico lefebvriano, un neo-templare o un jihadista, insomma un antimodernista di qualunque taglio e formato, sarei un fervente sostenitore della Russia di Putin, mi lascerei crescere la barba fino all’ombelico come un ceceno e mi farei i selfie sulla Piazza Rossa con il Salvini.
Salvo un impiccio, non piccolo, che forse potrebbe far riflettere, nel caso riattivassero il cervello, perfino Putin e il suo entourage di purificatori “anti-individualisti”. Quando Patrushev indica nella “priorità del privato sul pubblico” il peccato capitale dell’Occidente, si ride di gusto. Perché il pensiero corre subito agli oligarchi, e al più grande furto di beni pubblici mai visto nella storia umana per mano di pochissimi privati di mano lesta. È per loro conto che il signor Patrushev e il suo boss governano la Russia, depredata di tutto senza che un’ombra, dico un’ombra di capitalismo virtuoso abbia spartito almeno una parte del gigantesco bottino con il popolo derubato. Sono nati tanti panfili, poche fabbriche: questo il modello di potere in auge in quel disgraziato Paese.
Non avremmo mai creduto, da giovani, che lo scontro finale sarebbe stato tra capitalismo e feudalesimo.

mercoledì 27 aprile 2022

Daiiiii

 


Chiedo per un amico



Con tutto il rispetto… ma Ettore! Quale sarebbe l’eredità morale e politica del marito Giorgio??😂😂😂chiedo per un amico…

Spiegazione



Ecco perché da fastidio a molti…

Scherziamoci sopra

 


Meditate!

 

Non è uno scherzo “Gente, pianeta e principi”: lo slogan di chi vende fucili
di Alessandro Robecchi
Problemi con le bollette? L’inflazione vi morsica? Il potere d’acquisto vi sfugge di mano? Il vostro stipendiuccio si accorcia ogni anno del 6-8 per cento? Non disperate amici, c’è sempre una via d’uscita. Comprate armi! Cioè, almeno, comprate azioni di aziende che inventano, producono, vendono armi, un affare che non conosce crisi, anzi cresce ininterrottamente da sette anni, pandemia o non pandemia. Per la prima volta nella storia la spesa militare globale ha superato i 2.000 miliardi di dollari (vediamo se così si capisce meglio: 2.000.000.000.000 dollari), una cifra che fa sembrare Elon Musk un barbone che dorme sotto i ponti, figuratevi noi.
È il mercato, bellezza.
Se si sommano i fatturati dei primi venticinque gruppi che producono armi, l’incremento (dati 2019, Stockholm International Peace Research Institute, Sipri) è di 631 miliardi, più o meno l’8,5 per cento. Coraggio, nessun fondo di investimento, assicurazione, o portafoglio di obbligazioni, vi darà lo stesso risultato. Pensateci!
Come per tutte le merci hi-tech – l’irresistibile fascino dell’ultimo modello – domina la componente “sexy” dei prodottini elencati nei siti dei principali produttori, con qualche comprensibile paraculata di marketing. Per esempio, la prima azienda produttrice di armi nel mondo, la Lockheed Martin, apre la sua home page con una bellissima spianata di pannelli solari. Uh, che bello, energia pulita, ecologia, tutto verde, verrebbe da compiacersi, ma è un trucchetto per i gonzi, perché poi si scopre che il fatturato del comparto armamenti dell’azienda rappresenta l’89 del business, più di 50 miliardi di dollari (all’anno) di fatturato. E infatti basta scendere un po’ nella home page e si comincia a ragionare: missili, cacciabombardieri, elicotteri, blindati collegati tra loro con il 5g e via elencando. Quanto basta per far dire ai governi di mezzo mondo: “Oh no! Abbiamo il modello vecchio!”.
Lo stesso vale più o meno per le altre aziende della top ten, un catalogo di fantascienza già disponibile, come dice un bello slogan sul sito del Northrop Grumman (86 per cento del fatturato in armamenti, pari a quasi 30 miliardi di dollari): “Per qualcuno la parola ‘impossibile’ chiude le discussioni. Per noi è un punto di partenza”. Bene, mi sento più tranquillo, anche voi, vero. amici?
La Rayteon Technologies, invece (87 per cento del fatturato in armamenti, oltre 25 miliardi) apre la sua home page con una bella immagine di foresta vergine attraversata da un fiume azzurrissimo e il titolo: “Gente, pianeta e principi”, video che si alterna con immagine di eliche, motori. Anche qui per capire che si vendono armi micidiali bisogna scarrellare un po’ con il mouse. E anche qui, però, la guerra non si vede mai: niente corpi smembrati, niente case distrutte, nessuna immagine “brutta”, solo satelliti, spazio profondo, sistemi radar, impiegati sorridenti davanti a schermi avveniristici. Insomma, tra i primi dieci produttori mondiali, cinque sono americani, il sesto è cinese, Avic (affari di armi per 22 miliardi e mezzo, 34 per cento del fatturato), seguono un’azienda britannica (Bae Systems), altre due cinesi e un’americana a chiudere la top ten.
Noi, poverini, giochiamo a mezza classifica, dodicesimi con Leonardo, poco più di 11 miliardi di fatturato negli armamenti (il 72 per cento del fatturato del gruppo). Dannazione, ma si può fare di meglio, e ci è stato spiegato recentemente che la spesa militare è un volano per l’economia. E voi, amici, volete la pace o il volano acceso?

Eccolo!

 

Si vis bellum, para bellum
di Marco Travaglio
Antonio Padellaro illustra come meglio non si potrebbe il vicolo cupo e cieco in cui ci sta cacciando – per viltà, servilismo e incompetenza – il nostro governo. Mentre nei nostri salotti domestici i soliti onanisti dibattevano su direttori d’orchestra, soprano, balletti russi e Dostoevskj, sul contratto di Orsini e le vignette di Vauro, sull’abrogazione della consonante Z e il putinismo dei pacifisti, Papa in testa (ma non di San Francesco, arruolato da Rep come “uomo d’armi”), sull’evidente somiglianza fra gli antifascisti italiani e quelli ucraini con la svastica, Putin tirava diritto nella sua feroce guerra regionale per il Donbass e Biden e i suoi camerieri facevano di tutto per trasformarla nella terza guerra mondiale. Dài e dài, ci sono riusciti. La tecnica dell’escalation è la stessa di Mitridate: una goccia di veleno al giorno per farci accettare, senza accorgercene, una prospettiva terrificante che avremmo respinto tutta in una volta: entrare in guerra con la Nato contro la Russia. A questo portano i delirii di Johnson sulla liceità di attacchi con armi Nato in territorio russo, e quindi di attacchi russi in territori Nato. Finora si poteva discutere sull’invio di armi alla sacrosanta resistenza ucraina per difendere il suo territorio. Ora non più, perché la guerra è diventata un’altra cosa.
Ora le armi servono a “indebolire la Russia fino a farle perdere capacità militare” (Blinken). Anzi, ad “attaccarla” (BoJo) in vista del regime change evocato da Biden per destabilizzare un Paese sovrano, che è pure una potenza atomica, rovesciandone il presidente eletto. Perciò Blinken ha convocato a Ramstein 40 Paesi vassalli, distribuendo liste della spesa per nuove armi e inviando pizzini mafiosi contro la missione di pace del segretario generale dell’Onu Guterres (attaccato dall’ apposito Zelensky) e le dissociazioni di Scholz (già rientrate). Quindi le armi sono un “mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”: proprio ciò che la Costituzione vieta col verbo più perentorio (“L’Italia ripudia la guerra”). Scrive Lucio Caracciolo (Stampa): “Discutere sull’opportunità e sulla moralità per l’Occidente – l’impero americano – di combattere contro i russi fino all’ultimo ucraino”. E Domenico Quirico (Stampa): “Siamo a un punto di svolta. Si ammette per la prima volta che la libertà ucraina è solo una cosa fittizia di cui gli americani si servono per attuare la loro politica: l’annientamento della potenza militare russa. Non è estremamente pericoloso?”. Lavrov, Zelensky e Johnson evocano in stereo la terza guerra mondiale, ma a Roma tutto tace. Vogliono gli esimi presidenti Mattarella e Draghi spiegarci dove sta l’Italia, sempreché abbia ancora un Parlamento e – absit iniuria verbis – una Costituzione?

Belin!

 


martedì 26 aprile 2022

Ello appare!



Partitona non nelle nostre possibilità quella di stasera a Manchester. I primi venti minuti la squadra di Guardiola ha insegnato il Calcio ai madrileni. E poi ti viene da pensare “ma perché Carletto non ha schierato il più forte attaccante europeo?” 
Guardi il match e non lo vedi, non lo inquadrano neppure. Solo quando saetta una palla ed Ello, apparendo sul prato, la insacca al volo di sinistro ad accarezzare il palo. Flash Benzema una gioia per gli occhi!

Tocca insano



Dopo Trump, Putin, Casellati, ha appoggiato anche lei. Per fortuna ogni cosa che tocca si trasforma in m… L’Europa dovrebbe ringraziare questo abile ballerino, per tutto il male che ha allontanato, organizzando un festival di rutti, sua specialità maxima!



Si!




Booooom!!!


Elezioni per procura

di Marco Travaglio

Dopo i matrimoni per procura, abbiamo inventato le guerre per procura (gli ucraini ci mettono i morti e noi le armi, marciando intrepidi sul sofà). Ora, a grande richiesta, le elezioni per procura: quelle dei partiti che non riescono a vincere le elezioni in Italia, ma in compenso vanno fortissimo all’estero perché lì non li conoscono. Prendete il Pd: nei primi 15 anni di vita (si fa per dire) le ha perse tutte, anche se ha governato per 10. Ora tripudia perché in Francia la Le Pen ha preso solo il 41%, cioè il doppio del Pd nei sondaggi (per i voti veri vedremo), e le Presidenziali le ha rivinte Macron (che nell’Ue non sta col Pd nel Pse, ma nei centristi di Renew Europe). Era già accaduto due anni fa, quando Biden batté Trump e Renzi disse che aveva vinto lui (col 2%) perché l’aveva incrociato un paio di volte. Un po’ come Salvini con Trump per una photo opportunity che quello manco ricordava (cazzaro più, cazzaro meno). Ora il Matteo minore delira di “macronismo all’italiana per un polo riformista” con “Letta e Berlusconi” e lui modestamente lo nacque perché “le nostre traiettorie (sua e di Macron, ndr) si sono passate il testimone” (Macron al 58,5, lui sempre al 2). E quell’altro genio della Tinagli, la vicesegretaria Pd di destra (quello di sinistra è Provenzano), dice che con Macron “siamo più forti anche noi” (inchiodati da sei anni al 18-20%, e Macron c’è da cinque) e “ora stop ai populismi” (cioè alla maggioranza dei francesi, che sceglie Le Pen, Mélenchon e Zemmour, e degli italiani, che vota 5Stelle, Lega e FdI).
Ma attenzione: sempre più difficile! Abbiamo anche il 25 Aprile per procura. Politicanti che se ne infischiano allegramente della Liberazione dal nazifascismo nel 1945 (merito di Usa, Urss, Gran Bretagna e partigiani) e la usano come l’Isola dei Famosi per farsi notare e regolare i loro conticini domestici. Cretini che contestano la Brigata ebraica, vera protagonista della Resistenza. Dementi che sfilano con le bandiere della Nato, fondata nel 1949 contro una delle potenze liberatrici (l’Urss). Smemorati che paragonano la Resistenza italiana a quella ucraina. Somari che inneggiano alla Costituzione nata dalla Resistenza mentre la calpestano inviando armi in Ucraina (anche a milizie filonaziste). Tartufi di Stampubblica che si stracciano le vesti per un ex-senatore M5S che sporca con la Z la Liberazione, ma per anni non dissero una parola quando Rep pubblicava l’inserto di propaganda putiniana Russia Today in cambio di rubli sonanti. E Mattarella che “il mattino che gli ucraini sono stati svegliati dalle bombe russe ho pensato a Bella ciao”. Se ci pensava nel 1999, quand’era vicepremier, magari evitavamo di bombardare Belgrado.

Commovente



Oggi la Gazza pubblica la letterina che scrisse dodici anni fa il bimbo Sandro Tonali a Santa Lucia; un mix d’emozione, commozione unico nel suo genere. Sandro è il Predestinato, guiderà la compagine eroica nelle verdeggianti praterie dei successi, e questa letterina, allorché conquisterà l’ennesimo Pallone d’Oro, sarà esposta nella già debordante Sala Trofei, i cui lavori di ampliamento inizieranno a breve, per accogliere le prossime e numerosissime coppe. Grazie Sandro per l’esempio, la fede sportiva, la classe in campo! E Forza Ragazzi!

lunedì 25 aprile 2022

Ekkelallà!



Estika Sora Cicoria! Dici “Viva la libertà ora” perché quella conquistata nel ‘45 ti stava antipatica, o perché sei ancora in sintonia con quelli che a quel tempo ci oppressero? Dai diccelo Sora Cicoria! (Oh non t’offendere… ma hai fatto un post dal sapore fascista…)

Un saluto

 


Alcuni giorni fa è mancato Jacques Perrin, storico "Salvatore" adulto nello stupendo "Nuovo Cinema Paradiso."
La scena in cui rivede gli spezzoni censurati di moltissimi film d'epoca mi farebbe zampillare gli occhi anche se avessi in tasca la schedina vincente del Superenalotto.
Riposa in pace "Salvatore"!

Buon 25 aprile!!!




Per la dignità

 


Ieri La Nazione, quindi non propriamente un giornale di estrema sinistra, pubblicava un articolo in cui Rino Tortorelli, del "Manifesto per la Sanità" preannunciava ciò che diverrà il nostro servizio sanitario a seguito dell'entrata del privato nella costruzione del nuovo ospedale, scelta questa improvvida e cogitata da Yoghi, l'attuale presidente della regione Liguria.
L'ospedale costerà al pubblico 167 milioni più i 97 milioni del privato. L'Asl 5 per venticinque anni verserà al pribato 16,2 milioni di euro. Nel contempo, a mio parere, procederà speditamente il depauperamento della sanità pubblica, con poche assunzioni che causeranno sempre più difficoltà al personale medico e paramedico, incentivandoci così ad usufruire delle strutture private, "belle come il sole", "che ti sembra di entrare in un hotel a cinque stelle."

La manovra a tenaglia è evidenziata dall'allungamento dei tempi di attesa per una visita negli ambulatori pubblici.
Due anni fa in media, si aspettavano 128 giorni per una visita endocrinologica, 114 giorni per una diabetologica, 65 giorni per una oncologica, 58 giorni per una neurologica, 57 giorni per una gastroenterologica, 56 giorni per una visita oculistica. Tra gli accertamenti diagnostici, in media 97 giorni 'sfumano' prima di effettuare una mammografia, 75 giorni per una colonscopia, 71 giorni per una densitometria ossea, 49 giorni per una gastroscopia.
E' chiaro quindi che l'occulto accerchiamento del nostro fiore all'occhiello, il Sistema Sanitario Nazionale, procede spedito grazie ai soliti Toti che sono tra noi, vedasi ad esempio la Lombardia retta sanitariamente parlando dalla Brichetto ed avviata dal Celeste attualmente ai domiciliari.

Ma torniamo al nostro futuro nosocomio che probabilmente vedranno operante i nati nel nuovo millennio allorché saranno in pensione:
Il "Manifesto della Sanità" ci informa che la mega rata annuale da elarigre al privato,

«depaupereranno le casse di Asl 5, che non potrà garantire assunzioni e nuovi o migliori servizi, e andranno di fatto ad indebitare le future generazioni di spezzini».
«È ora che la politica tutta si opponga a queste scelte. È ora di proporre un’alternativa – ha commentato Rino Tortorelli del Manifesto -. Se consideriamo che attualmente non abbiamo il personale sufficiente a mantenere gli attuali 427 posti letto (tra Spezia e Sarzana), il futuro Felettino – per cui è prevista la realizzazione di 506 posti letto - avrà reparti vuoti e, il San Bartolomeo, rischierà di «chiudere».
La proposta del Manifesto è quella di costruire un ospedale con meno posti letto e finanziato interamente dal pubblico, agghiacciante idea per Yoghi e lo scaltro Giampedrone, i quali sembrano ansiosi di incravattarci ai privati per i prossimi 25 anni.

Anche il consigliere regionale PD Davide Natale è intervenuto sull'argomento, non si sa se per fare quello che un'opposizione dovrebbe sempre fare, anche in questi tremebondi tempi di consociativismo, o perché chiamato dalla propria coscienza a tentar di frenare il futuro scacco immondo ai danni della collettività:

"Asl 5 è chiamata a fare ciò che il suo direttore dice che non potrà fare – ha spiegato Natale -. Perché non si tiene conto di quanto affermato dal dg Cavagnaro sulla non sostenibilità del canone annuale per Asl 5? E, al contrario, si continua ad ignorare che nella legge finanziaria ci sono le risorse pubbliche per realizzare con finanziamenti interamente pubblici il nuovo Felettino?"

Resta infine un senso d'impotenza generale, un menefreghismo collettivo dinnanzi a questa scellerata pensata di Yoghi. Viviamo come se il futuro cittadino non c'interessasse, specie quello sanitario; d'accordo che ci hanno ammorbato l'aria e la storia con quell'immobilismo politico apparentemente riformista oramai ventennale, infarcito da giacche di velluto, foulard al collo, sigari e verticali sinistrorse di Krug, con quell'aria di superiorità e saccenteria in grado d'irritare chicchessia e sfociata poi nella spartizione di potere unica nel suo genere; ma almeno qualche volta il rinunciare alla canonica vasca in centro, posando lo sgabeo, andando in ciassa a dar dei cialtroni a chi se lo meriterebbe, forse ci farebbe evitare di perdere, me compreso, oltre alle conquiste sociali, pure la dignità. O no?

Inchiesta per pecorelle

 

Da leggere per capire perché oramai ci possiamo equiparare benissimo a delle belanti e sonnacchiose pecorelle.
Solo qualche decina di nomi: ecco i padroni del cibo globale
MONOPOLI - Materie prime, fitofarmaci, trattori e semi sono in mano a 13 società: a 1,6 miliardi di produttori toccano il 15% dei ricavi
DI MARCO PALOMBI
Poche decine di nomi: Archer Daniels Midland, Cargill, Jbs, Bayer, Chem China, Anhauser. Poche decine di nomi sono tutto il mercato mondiale del cibo: mettono assieme cifre a nove zeri, mentre 1,6 miliardi di produttori fanno la fame nel sud del mondo o faticano a tenersi in piedi nel ricco Occidente, racimolando in media 15 centesimi ogni euro di prodotto venduto. Ormai, per trovare uno che dica questa ovvietà – che pure sta alla base di molte, delle più drammatiche, diseguaglianze globali – bisogna ricorrere a Papa Francesco. Questo è il suo appello del 16 ottobre 2021, quando il caro energia stava già svuotando le tavole dei più poveri tra i poveri: “Voglio chiedere, in nome di Dio, alle grandi compagnie alimentari di smettere d’imporre strutture monopolistiche di produzione e distribuzione che gonfiano i prezzi e finiscono col tenersi il pane dell’affamato”.
Pure il pane dell’affamato infatti, e non solo quello delle panetterie-boutique delle Ztl delle nostre città, si fa col grano e il grano è in tutto quattro nomi: circa il 90% del mercato globale dei cereali è intermediato da quattro multinazionali che si chiamano Archer Daniels Midland (Usa), Bunge (Usa, Bermuda), Cargill (Usa) e Louis Dreyfus Commodities (Paesi Bassi). Gli stessi quattro nomi controllano il 70% di tutte le materie prime agricole (oltre ai cereali, riso, olio di palma, zucchero, ecc.). Per capirci, Cargill nell’anno fiscale giugno 2020/giugno 2021 ha dichiarato 135 miliardi di dollari di ricavi, Adm 86 miliardi, Bunge 60 miliardi nel 2021 e Louis Dreyfus 50 miliardi: i profitti netti cumulati si aggirano sui 15 miliardi.
Qualunque sia il marchio sul pane, sulla bistecca di soia, sul riso che acquistate al supermercato sappiate che quasi sempre dietro ci sono quei quattro nomi. Una faccenda che ha ricadute enormi. Se un pugno di aziende sono il mercato sono loro a decidere il prezzo, a decidere chi vive e chi muore, cosa, dove e come viene coltivato: per questo, ci dice la Fao, in pochi decenni le grandi monocolture care alle multinazionali hanno ridotto del 75% la biodiversità sul pianeta, a non dire della deforestazione, che nel decennio 2010-2020 s’è mangiata una superficie grande come l’intera Spagna.
Ma mica è finita qua. Per fare un albero, ma pure il grano e tutto il resto, ci vuole un seme, si sa, e i semi sono quattro nomi: dopo una serie di fusioni negli anni scorsi ChemChina (che in Italia ha quasi mezza Pirelli), Bayer, Corteva (ex Dow-Dupont) e il consorzio francese Limagrain controllano quasi il 60% delle sementi a livello globale, un mercato da 42 miliardi di dollari nel 2020. E pure i fitofarmaci per l’agricoltura sono quattro nomi: tre sono gli stessi delle sementi, la quarta è la tedesca Basf al posto dei francesi di Limagrain, e in quatto valgono il 66% di un settore che fattura quasi 60 miliardi. Un mostro a cinque teste da centinaia di miliardi di di dollari di ricavi annui che fa il bello e il cattivo tempo sui contadini dell’intero pianeta. E se a quei poverini serve un trattore, una mietitrebbia o altri macchinari agricoli? Questo mercato da 126 miliardi di dollari annui è per metà appannaggio di quattro imprese: Cnh Industrial (controllata dalla Exor degli Agnelli e basata in Olanda), le statunitensi Agco e Deere, la giapponese Kubota. Pochi proprietari, molti produttori, miliardi di consumatori: lo schema funziona in tutti i recessi del mercato del cibo. La carne ad esempio – su cui l’associazione Friend of the Earth realizza un annuale Meat Atlas – è una sorta di epitome dell’irrazionalità del modello di produzione del cibo e della sua tendenza a creare enormi oligopoli (tanto più che un bel pezzo della produzione agricola serve a produrre cibo per gli animali). Negli Usa, ad esempio, quattro compagnie controllano l’85% del mercato: le brasiliane Jbs e Marfrig, le statunitensi Tyson Food e (ancora) Cargill. Il colosso Jbs, per capirci sulle proporzioni, produce in 15 Paesi e fa impallidire i concorrenti: macella 75mila bovini, 115mila suini, 14 milioni di polli, tacchini e galline e 16mila agnelli tutti i santi giorni. La seconda in classifica, Tyson Food, si difende comunque con 22mila bovini, 70mila maiali e 7,8 milioni di polli ogni 24 ore.
La situazione non cambia se si osserva la cosa dall’interno di un negozio invece che dai campi. Secondo un report 2017 di Coldiretti nella grande distribuzione i primi dieci grandi rivenditori di generi alimentari coprono il 30% delle vendite mondiali (dal colosso Walmart ai tedeschi di Schwarz Group, quelli di Lidl, fino ai francesi di Carrefour, in attesa della crescita scontata di Amazon). Dati coerenti con quelli di un’inchiesta realizzata a fine 2021 dal Guardian con l’associazione Food&Water Watch: negli Stati Uniti quattro compagnie – Walmart, Costco, Kroger e Ahold Delhaize – controllano il 65% del mercato retail del cibo. E anche i marchi produttori non sono da meno: quattro o cinque società pesano per metà o due terzi delle vendite dell’80% dei prodotti alimentari. Un paio di esempi: il gigante Kraft Heinz (in Italia possiede diversi marchi, ad esempio Plasmon) compare dodici volte tra le società leader nella vendita di singoli prodotti che spaziano dagli insaccati al caffè fino ai succhi di frutta; il colosso belga Anheuser-Busch InBev domina il mercato della birra con più di 600 marchi e non solo Budweiser o Beck’s, ma pure birre di nicchia che gli appassionati vanno a cercarsi in negozi specializzati pensando di avere a che fare con un piccolo produttore. L’intero sistema è pensato per pompare utili verso azionisti e manager illudendo i consumatori (dei Paesi ricchi, ma non solo) di poter scegliere sulla base della propria irripetibile individualità, mentre si estrae valore sfruttando agricoltori, lavoratori e risorse naturali.
Il cibo è una commodities come le altre, e si potrebbe dire che lo è sempre stata, ma oggi l’intera filiera dal campo allo scaffale è un prodotto finanziario ben più che fisico. Come per tutto il resto, anche questa slavina inizia negli anni Ottanta (il classico natalizio Una poltrona per due del 1983 racconta una speculazione sui futures del succo d’arancia): il mercato finanziario del cibo, che ovviamente esisteva già, è stato deregolamentato insieme a tutto il resto, diventando via via sempre più astratto e attirando sempre più soldi. Di fatto oggi il prezzo di materie prime come il grano ha più a che fare con la finanza che coi costi di produzione o con la domanda, tanto più che a metà del decennio scorso, per reagire a una fase di prezzi bassi delle materie prime agricole, tutto il settore è stato interessato da fusioni e operazioni societarie che hanno creato gli assurdi oligopoli che abbiamo descritto qui sopra.
Una filiera così estesa e ricca (in Italia nel 2021 valeva 575 miliardi, il 32% del Pil) spartita tra poche società è un fatto che finisce per modellare il mondo: il loro potere rende obbligatori l’agricoltura e l’allevamento industriali standardizzati, che producono per la grande distribuzione e le mega catene di ristoranti, meglio se su enormi appezzamenti di terreno delle stesse multinazionali (il cosiddetto “land grabbing”, che interessa la stessa Europa, Romania in testa). Lo spreco di cibo non è un accidente, ma un perno di questo sistema.
Resta da chiedersi: chi sono, dietro le società, i padroni del cibo che “finiscono col tenersi il pane dell’affamato”? Sono i soliti noti e, al solito, puntano su tutti i giocatori: fondi come BlackRock, Capital Group, Vanguard Group, Sun Life Financial, State Street e il Fondo pensioni norvegese (che non è il piccolo e bonario investitore che il nome farebbe presumere) hanno partecipazioni in molte multinazionali del cibo – teoricamente concorrenti tra loro – ma al gioco partecipano anche grandi investitori privati (Warren Buffet controlla Kraft Heinz col fondo 3g Capital) e qualche banca (Crédit Agricole, Deutsche Bank, ecc.). Sono speculatori? Forse se lo si intende in termini morali, ma un sistema in cui i lupi decidono per gli agnelli ha ben poco di morale.

Buon 25 Aprile!

 

Bandiera della pace alla finestra: resistiamo così all’anti-antifascismo
L’ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE - La reazione alla guerra di aggressione di Putin contro l’Ucraina ha tolto ogni inibizione
DI TOMASO MONTANARI
A casa nostra si mette il tricolore alla finestra due volte l’anno: il 25 aprile per la Liberazione dai nazifascisti, e il 2 giugno per la Repubblica, il voto alle donne, l’Assemblea costituente. Ma oggi alla finestra c’è la bandiera iridata della pace: perché un coro assordante cerca di trasformare il 25 aprile in una festa del nazionalismo armato.
È da un pezzo che, tra revisionismo di Stato, anti-antifascismo e rovesciamento della Costituzione, i valori della Resistenza non hanno nulla a che fare con quelli del pensiero unico dominante. Ma la reazione alla guerra di aggressione di Putin contro l’Ucraina ha tolto ogni inibizione: tutti coloro che fino ad oggi hanno sabotato il 25 aprile, ora provano ad appropriarsene. Dicono che la Resistenza fu un popolo in armi che resisteva all’invasore: non è vero, è stata una terribile guerra civile tra italiani che volevano (inseparabilmente) libertà e giustizia sociale, e italiani fascisti alleati della Germania nazista.
La Resistenza è stata tutto il contrario del nazionalismo. Carlo Rosselli, che andò a combattere contro i franchisti in Spagna, non lo avrebbe fatto in una guerra nazionale: scrisse che “siamo antifascisti perché in questa epoca di feroce oppressione di classe e di oscuramento dei valori umani, ci ostiniamo a volere una società libera e giusta, una società umana che distrugga le divisioni di classe e di razza e metta la ricchezza, accentrata nelle mani di pochi, al servizio di tutti. … Siamo antifascisti perché la nostra patria non si misura a frontiere e cannoni, ma coincide col nostro mondo morale e con la patria di tutti gli uomini liberi”. Tutto il contrario del mondo che prepariamo stando (non in condizioni di parità, come impone l’articolo 11) dentro una Nato che non costruisce pace, ma guerra. E viene linciato chi ripete che “si può e si deve discutere sull’opportunità e sulla moralità per l’Occidente – l’impero americano – di combattere contro i russi fino all’ultimo ucraino” (Lucio Caracciolo).
La Resistenza fu una libera scelta, non una coscrizione obbligatoria col fucile puntato alle spalle. Era una lotta dentro una guerra mondiale, non il suo innesco. “Ben pochi giovani sarebbero stati disposti a prendere le armi e a cacciare i fascisti solo per tornare allo Statuto albertino” (Carlo Smuraglia). Se lo fecero, fu per una rivoluzione democratica e sociale: quella contenuta nella Costituzione.
L’Anpi oggi viene crocifissa perché si ostina a difendere quel progetto politico: che nasce dall’orrore per le armi di chi pure dovette prenderle. Il ripudio della guerra è il cuore dell’eredità della Resistenza. Oggi si accusa di pavidità chi non cede all’alternativa diabolica tra perdere la vita o perdere la libertà: ma il nostro dovere è salvare gli ucraini da un vicolo cieco da cui si esce o morti, o schiavi. E invece di costringere i nostri governi “democratici” a portare con ogni mezzo Putin al tavolo delle trattative, armiamo gli aggrediti e contemporaneamente finanziamo (col gas) l’esercito dell’aggressore. Alimentando (dai due lati) il conflitto, neghiamo il ripudio della guerra e tradiamo Costituzione e 25 aprile.
Nel 1940 Piero Calamandrei scriveva che i suoi compatrioti erano i francesi che lottavano contro l’Italia fascista. In questo 25 aprile i miei compatrioti sono i costruttori di pace, i miei stranieri coloro che affidano il futuro alle armi.