sabato 31 dicembre 2022

Ascoltate il Mito!


 Gaber - Qualcuno era comunista

Ricorrenza

 


Daniela Vs Genny

 


Caro Genny, oltre a dar lustro all’Italiano riprendiamoci pure Nizza e la Savoia

DI DANIELA RANIERI

“Usare parole straniere è snobismo radical chic”, ha detto il ministro della Cultura Sangiuliano usando tre parole straniere. Non ci caschiamo. Ormai il giochino è chiaro: uno tra i più rimarchevoli esponenti del governo (collezionisti di busti del Duce, nostalgici delle punizioni scolastiche, cacciatori al cinghiale urbano, riccone in stile balneare, etc.) dice qualcosa di larvatamente fascista, di un fascismo da cabaret; quelli di sinistra – che quelli di destra, insipienti dell’origine dell’espressione, chiamano radical chic – si incazzano, producendosi in paginate di analisi e piagnistei; loro gongolano, avendo ottenuto il doppio risultato di: 1) giustificare il loro stipendio; 2) distrarre l’opinione pubblica dalle vere pecche del governo Meloni.

Messasi di buzzo buono a combattere l’egemonia culturale della sinistra (nella tv pubblica, dove fino a ieri Sangiuliano dirigeva un Tg, nella scuola, dove prima dell’arrivo di Valditara non vigeva il Merito ma il 6 politico, etc.), la battagliera intellighenzia di destra ha dichiarato guerra alla spocchiosa élite di chi non vota FdI: residenti delle Ztl, sì-vax, cosmopoliti (globalizzati, meticci, venduti, traditori della Patria); tutta gente che loro, seguitando la propaganda monomaniaca dei giornali di destra, chiamano radical chic (nota a margine e tuttavia rilevante: la sottoscritta è autrice di AristoDem. Discorso sui nuovi radical chic: figuriamoci se a noi i privilegiati di finta sinistra stanno simpatici). Guerra pure ai poliglotti, che impoveriscono la lingua di Dante, come già Mussolini lamentava; così invece del cachemire indosseranno il casimiro, e stasera brinderanno a sciampagna tra ricchi premi e cotiglioni, tiè.

Il tutto mentre Meloni, più draghista di Draghi e più confindustriale di Confindustria, vara una Finanziaria ligia all’austerità, riduce la spesa pubblica, taglia la Sanità, spende miliardi per le armi obbedendo a Nato-Ue, affama i poveracci, ricatta i disoccupati costringendoli ad accettare qualunque lavoro (la gens nova del “momento Polanyi”, la rivolta delle masse contro le élite, si guarda bene dal fare una legge sul salario minimo). Encomio perciò agli arditi intellettuali revanscisti: è dura fare epica dannunziana stando in un governo neoliberista, in cui Salvini cita la Thatcher e Meloni Ronald Reagan. (Se a Sangiuliano riesce di mettere l’italiano lingua ufficiale in Costituzione, com’era nello Statuto albertino, già che ci siamo riprendiamoci pure Nizza e la Savoia).

Fine d'anno travagliato

 

Un fioretto per il 2023

di Marco Travaglio 

La situazione politica alla fine di questo orribile 2022 è la seguente: la destra dice puttanate (l’ultima è la “Giornata Nazionale dei Figli d’Italia”: e i cognati niente?) per coprire le porcate che fa; il centrosinistra attacca le puttanate e le porcate della destra perché non può più dirle e farle lui. Così, salvo rarissime eccezioni, nessuno ha più la credibilità per dire o fare alcunché.

L’altroieri, primo giorno di applicazione della porcata Cartabia (votata da tutti i partiti ora in Parlamento, tranne FdI e SI), è stato scarcerato e scagionato Simba La Rue, il trapper arrestato per aver picchiato e sequestrato con quattro complici il collega Baby Touché. Non perché ritenuto innocente, ma perché sia le lesioni personali gravi e gravissime sia il sequestro di persona rientrano fra i reati “minori” incredibilmente previsti dalla ministra draghiana come non più perseguibili d’ufficio dai pm, ma solo su querela della vittima (come pure il furto aggravato e altre quisquilie). Siccome Baby Touché non ha querelato i suoi aggressori, il giudice ha scarcerato Simba La Rue, che però è finito ai domiciliari per altri delitti di rapina e sparatoria. La porcata non è targata Meloni, ma Draghi. E chi non ha denunciato a suo tempo quelle dei Migliori oggi non ha alcuna credibilità per denunciare quelle dei Peggiori.

La prescrizione, abolita dopo la prima sentenza dalla Spazzacorrotti, torna grazie alla destra propriamente detta al governo e a quella di scorta di Calenda&Renzi. Quando il Conte-1 la cancellò, il Pd votò contro e Repubblica attaccò Bonafede coi vari Cappellini e Cuzzocrea: “manettaro” e violatore della “presunzione di innocenza” (che non c’entra una mazza). Con che faccia attaccano il governo Meloni che la riesuma?

Il Covid torna da dove era partito: la Cina. E Repubblica, come il Pd, tuona contro il governo “No Vax” degli “Hub smantellati, dosi in frigo, 100 morti al giorno, quarta dose solo a uno su 4”. Davvero ha fatto tutto il governo Meloni in due mesi? Il flop della quarta dose è un lascito dei Migliori, che dopo le fesserie del Supergreen Pass e dell’obbligo vaccinale batterono in ritirata già un anno fa, quando Draghi mollò il fronte del Covid per concentrarsi su quelli del Pil, del Colle e della Nato. E levò l’obbligo di mascherina nei luoghi affollati (treni, aerei, bus, metro), cioè la prima arma anti-contagi (i vaccini servono, ma non a evitare i contagi). Quanto allo scandalo degli scandali, “il reintegro dei medici no-vax” in ospedali e Rsa (a corto di medici) con la fine dell’obbligo vaccinale anche per loro, l’aveva deciso Draghi al 31 dicembre: il governo Meloni l’ha solo anticipato al 1° novembre. Con due mesi in più sarebbe cambiato qualcosa? Chi vuol essere credibile faccia un fioretto per il 2023: provi a essere onesto.

L'Amaca

 

Non insegnate ai bambini...

DI MICHELE SERRA

Le notizie davvero appassionanti rischiano di perdersi nella bolgia.
Dunque, per carità, non lasciamo che passi inosservata la proposta di legge del deputato leghista Centemero, tesoriere del partito, che vorrebbe rendere materia scolastica, fino dalle scuole primarie, “l’educazione finanziaria”. Si tratterebbe, per bocca dello stesso Centemero, di dare “ai futuri adulti maggiore consapevolezza della gestione oculata delle proprie risorse e della difesa del patrimonio”. La difesa del patrimonio. A partire dai sei anni di età. Poveri bambini. Il fatto che Centemero sia stato condannato, in primo grado, per finanziamento illecito dei partiti, mi sembra appena un dettaglio di fronte all’enormità di un pensiero politico (e più ancora: di una dimensione umana) che, a partire dalla prima elementare, comincia a parlare di quattrini, sprofondando i bambini, con parecchi anni di anticipo, in quella morte delle illusioni che è “la gestione del patrimonio”: ammesso che, da grandi, ne abbiano uno. Luigi Pintor (che non nacque né morì ricco) scrisse in Servabo che l’unico ceffone che ebbe da suo padre fu perché, a tavola, aveva pronunciato la parola “soldi”.
Ho rispetto del denaro, ma solo perché ho rispetto del lavoro. Non ho rispetto di chi considera i quattrini come la misura del mondo. Quasi tutta la politica, negli ultimi trent’anni, ha rinunciato a parlare d’altro perché parla quasi solo di soldi: come meravigliarsi, poi, se ha perduto tutto o quasi il suo prestigio? La proposta di legge del deputato Centemero mi ha fatto venire in mente i primi versi di una canzone di Gaber: “Non insegnate ai bambini/la vostra morale/è così stanca e malata/potrebbe far male”.

Così per puntualizzare

 

Perché l’Msi non fu democrazia

DI MIGUEL GOTOR - 
Storico e Assessore alla cultura di Roma

Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato”, così ha scolpito Orwell nel suo 1984. E chi è al governo non riesce a sottrarsi al vizio di riscrivere quel passato a proprio uso e consumo potendo approfittare di un Paese smarrito e senza memoria. Lo fa con lo stile di sempre, quell’impasto di vittimismo, reducismo e comunitarismo che contraddistingue la retorica e l’immaginario neofascista di ogni tempo.
E così il Movimento sociale italiano viene presentato come l’Arca di Noè che avrebbe “traghettato verso la democrazia milioni di italiani usciti sconfitti dalla guerra” e avrebbe avuto “un ruolo molto importante nel combattere la violenza politica e il terrorismo”.
L’obiettivo politico è chiaro: dal momento che il partito del premier, Fratelli d’Italia, ancora porta nel suo simbolo la fiamma tricolore del Msi, si avverte l’impellente esigenza di riscrivere la storia ascrivendo d’ufficio quel partito alla migliore tradizione gollista italiana e della destra democratica, così da rilanciare il tema istituzionale del presidenzialismo.
Purtroppo, le cose non stanno così e forse non è inutile ricordarlo. Bene hanno fatto la Comunità ebraica di Roma e l’Unione delle Comunità ebraiche a condannare con forza il tentativo di riscrivere la storia d’Italia in modo posticcio e pasticciato, ma sarebbe sbagliato – perché anche la viltà, l’opportunismo e l’ipocrisia dei cosiddetti “terzisti” possono trovare un limite - delegare soltanto ai vertici di quella comunità l’onore di una risposta chiara e ferma (Pasolini avrebbe detto “un giudizio netto, interamente indignato”).
Per quanto riguarda la prima affermazione, il Movimento sociale italiano è stata la scialuppa di salvataggio dei reduci e dei collaborazionisti di Salò che con la storia della Repubblica italiana, democratica e antifascista, nata dalla Resistenza, per ovvie ragioni non ebbero nulla a che fare. La difficile educazione democratica di milioni di italiani fu il gravoso compito assunto dalla “Repubblica dei partiti” con l’impegno delle grandi organizzazioni di massa, la Dc, il Psi e il Pci e di forze più piccole ma dall’importante influenza culturale e civile come i repubblicani, i socialdemocratici e i liberali che tutti insieme formarono il cosiddetto “arco costituzionale” che, per l’appunto, escludeva il Msi.

La fine della dittatura e la morte di Mussolini aveva costretto milioni di italiani che erano stati fascisti a chinare il capo, ma senza cambiare la testa e il cuore. Infatti, quanti avevano puntellato per vent’anni il regime con il loro entusiasmo ed erano stati educati e cresciuti nel culto della personalità del duce non erano spariti come per magia, bensì avrebbero condizionato con la loro stessa presenza la vita politica italiana, a partire da quell’ispirazione nazionalista, antidemocratica, bellicista, antiparlamentare e razzista di cui il fascismo era impregnato. Questi elettori formavano un vasto serbatoio di voti che si sarebbe organizzato nel 1946 nel Msi, intorno alla figura di Almirante e ai reduci della Repubblica sociale italiana, ma che sarebbero confluiti, a seguito di camaleontiche mutazioni ideologiche e rapide abiure e grazie a un’abile iniziativa politica di De Gasperi e di Togliatti, anche nella Democrazia cristiana e nel Partito comunista italiano.

Per quanto concerne la seconda affermazione è noto che una serie di personalità, direttamente collegate alla terribile stagione della strategia della tensione e all’esperienza storica del neofascismo, hanno militato nel Movimento sociale italiano: si pensi al capo di Ordine Nuovo del Triveneto Carlo Maria Maggi, condannato per la strage di Brescia del 1974 e già membro del comitato centrale del Msi, partito ove era rientrato insieme con Pino Rauti nel 1969; o a Massimo Abbatangelo, per quattro volte parlamentare, assolto dal reato di strage ma condannato a sei anni per detenzione di esplosivo nell’ambito del processo sull’attentato nel 1984 del treno rapido 904; oppure a Massimiliano Fachini, condannato per banda armata, e consigliere comunale a Padova del Movimento sociale italiano nel 1970; o anche a Carlo Cicuttini, segretario missino della sezione di Manzano del Friuli, condannato per l’assalto all’aeroporto di Ronchi dei Legionari e all’ergastolo per la strage di Peteano del 1972. Lo stesso segretario del Msi Almirante venne rinviato a giudizio dai magistrati veneziani per favoreggiamento aggravato, con l’accusa di avere finanziato la latitanza spagnola di Cicuttini, ma uscì dal processo nel 1987 usufruendo di una amnistia. Ci fermiamo, ma potremmo continuare.
Da chi ha l’onore di governare la nostra Nazione ci si attenderebbe una parola di chiarezza, di responsabilità e di serietà rispetto a questo tragico passato, il presupposto per edificare un “ethos repubblicano condiviso”, così lo chiamava il compianto filosofo Remo Bodei, che è l’obiettivo cui dobbiamo tendere.

venerdì 30 dicembre 2022

Chiedo per un amico!




Yoghi dipendente

 


Tarcisio e la gravità

 


Bugiarda Travagliata

 

La bugia più odiosa
di Marco Travaglio
Le bugie di Giorgia Meloni nella conferenza stampa di fine anno le abbiamo ascoltate tutti. Quelli che per lei non sono condoni (ma “tregua fiscale”) sono condoni. La flat tax per le partite Iva discrimina eccome i lavoratori dipendenti. La sua opposizione al Mes ai tempi di Conte non riguardava solo il fatto di chiederlo per la sanità (non lo chiese neppure Conte), ma anche di approvarne la riforma europea (lei disse no e ora dirà sì). Il tetto più alto al contante favorisce non solo l’evasione, ma pure il riciclaggio dei bottini dei delitti a scopo di lucro. La revoca del Rdc ai disoccupati (pardòn, “occupabili”) è una guerra ai poveri, visto che non manca chi ha voglia di lavorare: manca il lavoro. Il Conte-1 non fece alcun condono a Ischia: si limitò a chiedere ai quattro Comuni terremotati di rispondere in sei mesi alle domande giacenti da anni relative non a un nuovo condono (inesistente), ma a quelli vecchi di Craxi e B., per decidere quali case si potevano ricostruire e quali no, escludendo le aree a rischio sismico e idrogeologico e a vincolo ambientale, artistico e paesaggistico. Bonafede non scarcerò alcun mafioso durante la pandemia, non avendone il potere e avendolo anzi vietato: lo fecero alcuni giudici di sorveglianza, poi Bonafede varò un decreto per far riesaminare le pratiche e riportare i boss in cella. La “certezza della pena” così cara alla premier è stata contraddetta dal voto della sua maggioranza per ridare i benefici penitenziari, cioè il carcere finto, ai ladri di Stato che la Spazzacorrotti aveva tolto. E così via.
Ma le bugie più odiose, e anche vigliacche, della Meloni e dei tanti altri politici e opinionisti che le usano sono quelle generiche e dunque impossibili da provare e da smentire. Tipo: “Le intercettazioni sono utili, ma vogliamo impedirne gli abusi”. Un mantra che, cambiando l’oggetto, si ripete paro paro da trent’anni su tutti gli strumenti di repressione al crimine, soprattutto dei colletti bianchi: “La custodia cautelare è utile, ma vogliamo impedirne gli abusi”. “L’abuso d’ufficio è utile, ma vogliamo impedirne gli abusi”. A ogni accusa devono seguire il nome dell’accusato e le prove a suo carico: accusare un magistrato (non “la magistratura”, che è un’idea platonica o una categoria di 9 mila addetti) di abusare delle intercettazioni, delle manette o di un reato significa accusarlo di un delitto che, se dimostrato, deve portare all’incriminazione dell’accusato; ma, se non dimostrato, è l’accusatore che va incriminato per diffamazione o per calunnia. Vale per la Meloni, per gli altri politici e per gli opinionisti sfusi da talk: avete in mente qualcuno di questi famosi abusi? Diteci quali, chi li ha commessi e quando, così possiamo verificare chi ha ragione e chi ha torto. O il garantismo vale solo per voi?

Ottimo

 

Il profetico Bufalino odiava la politica “tirchia e feroce”
DI DANIELA RANIERI
Nel 1991 il critico letterario Guido Almansi raccolse in Perché odio i politici (Mondadori) l’esasperazione di 96 “campioni scelti degli italiani” (scrittori, filosofi, attori, docenti universitari) non tanto per le ruberie e il peculato, “inevitabile risvolto tecnico della politica”, quanto per il “basso livello umano raggiunto dai nostri politici, personaggi perlopiù intellettualmente modesti, spiritualmente vuoti, moralmente viscidi”. Era il IV governo Andreotti; sarebbero seguiti Amato, Ciampi, Berlusconi. Tra le risposte di Mario Luzi, Raffaele La Capria, Vincenzo Consolo, Vittorio Gassman, Antonio Cederna etc., brillava questa dello scrittore siciliano Gesualdo Bufalino (1920-1996), funambolo della parola sopraffina e alata, profeta, alla luce del “crac” attuale, di straordinaria lungimiranza politica.
Odio? No. L’odio è una passione a suo modo eroica, non la sciuperei su bersagli di così povera specie. E se non odio, che altro sentimento? Direi una sorta di rancore quieto, che si stempera volentieri nel disincanto, senza osare esplodere – per sfiducia, per pigrizia senile – in un gesto o in un grido. Il prezzo che pago è di apparire, controvoglia, un disertore dell’arengo civile. Peggio: un succube, un connivente… In verità da anni non voto. Me ne vergogno, ma non so che farci. Delle scalmane ideologiche sono guarito prestissimo, una trista chiaroveggenza m’insospettisce d’ogni utopia… Mi chiedo spesso perché, se è fatale tanta degradazione. Riapro Il matrimonio di Figaro: “Fingere d’ignorare ciò che si sa e di sapere ciò che s’ignora; di capire ciò che non si capisce, di udire ciò che non si sente, di potere più che non si possa; esser solito nascondere questo gran segreto: che non c’è nulla da nascondere; apparire profondi quando si è soltanto vuoti… La politica è tutta qui”. Male antico, dunque? Sarei tentato di crederlo, io che fin dal principio mi son visto dai politici assassinare la giovinezza e sconvolgere il corso naturale del mio crescere in uomo. Tempi difficili, di stivali e di trombe, in cui tuttavia l’assuefazione all’aria del carcere e l’ignoranza della luce rendevano meno dolorose le tenebre. Quando ne uscii, so io con che animo lieto mi apersi alle novità della storia; come respirai, con quel poco di polmoni che la guerra m’aveva lasciato, l’aria salmastra della libertà! Durò poco, e ogni anno fu peggio. Oggi dai politici mi sento rinchiuso fra le stesse quattro mura di un tempo. Mi ripeto la frase illustre: “Io sono solo, loro sono tutti”. E dire che fino a poco fa una parvenza di programmi e contegni contrapposti ancora li distingueva, fuori e dentro il Palazzo. Oggi nel Palazzo ci sono tutti, le divise si scambiano a piacere, quanto più le risse sono fragorose, tanto più sono finte. Un unico gigantesco partito li arruola tutti, dal Montecitorio più grande agli altri, innumerevoli, sparsi per la penisola. E quanto parlano, poi… Quale quotidiano inesauribile vilipendio della parola… È questa l’offesa che duole di più: ci taglieggiano, ci sgovernano, ci malversano… Ma almeno stessero zitti; smettessero questo balletto di maschere, questo carnevale del nulla, al riparo del quale mani avide intascano, leggi inique o vane si scrivono, ogni proposito onesto si sfarina in sillabe senza senso… Esagero? Esagero, ma ditemi: quanti sono oggi coloro che intendono veramente la politica come servizio? E non sono costretti a nascondersi come lebbrosi? E per uno che opera con coscienza e fatica, quanti altri sono solo vesciche pompose, busti di cartone, pastori di nuvole, puri e semplici ladri? Il risultato è sotto gli occhi di tutti: uno Stato tirchio e scialacquatore, frenetico e inerte, feroce e longanime, occhiuto e cieco… Meno male che sono vecchio. Mi dice un facile calcolo che il crac prossimo venturo mi sarà risparmiato. “E ora sbrigatevela voi”, dirò l’ultimo giorno, fregandomi le mani sotto il lenzuolo.

giovedì 29 dicembre 2022

Adios O Rey!



Probabilmente visto che ci sono due papi, ci sono anche due numeri uno, ma fare questo tipo di classifiche è materia di blateranti. Sicuramente Pelé era il numero uno, visto che eccelleva in tutto: scatto, tiro ambidestro, fantasia a sfare, visione di gioco stratosferica, colpo di testa, scatto, velocità. Insomma tutto! Famosissimo per i “quasi gol” che se fossero entrati sarebbero diritto nella storia della galassia, come la finta contro l’Uruguay. Ma a mio parere l’incredibile O Rey lo raggiunse nel primo gol nella finale contro l’Italia in Messico nel 1970: uno stacco eterno, una staticità in aria scioccante, con scienziati di allora dubbiosi sulle regole governanti la fisica, con Burnich che tentò di contrastarlo, invano. Se ne va il più grande, raggiungendo l’altro più grande. E lassù sarà fiesta eterna!

The dark side of the Moon



The dark side of the Moon (foto NASA scattata da un satellite a 1,4 milioni di Km dalla Terra. La faccia della Luna è quella sempre nascosta)

Ritorno aggravante

 


Non bastassero già i problemi che questo cazzo di 2022 ci ha propinato, la guerra tra un killer aggressore assassino di bimbi e inermi, di decine di migliaia di giovani soldati costretti al martirio, di ex amici miliardari misteriosamente suicidi, e un esaltato sognante di immischiare in questo orribile conflitto la Nato, per agevolare la terza guerra mondiale; di un virus bastardo oramai trattato con derisione, ma non piegato minimamente, che sta impestando in queste ore il paese di origine, il quale, con metodi affossanti tipici di quel regime di merda, sta occultando dati, informazioni che potrebbero divenire utilissimi per l'eventuale e quasi scontata nuova variante probabilmente inficiante gli attuali vaccini; la crisi dei Balcani pericolosamente vicina ad un ennesimo conflitto che all'assassino russo fa venire l'acquolina in bocca; la crescente divaricazione sociale distruggente ceti bassi e medio alti, l'onnivora crescita esponenziale di balordi dediti al lucro fine a se stesso, l'ascesa di governi come il nostro, Robin Hood all'incontrario che proteggono i ricchi affossando ulteriormente il popolino, con anomali comportamenti delle più alte cariche dello Stato, la prima silente, la seconda palesemente fascista e festeggiante l'anniversario di quel movimento sociale che un tempo politici sani di mente estromisero dall'arco costituzionale. 

Ebbene si può dire con estrema sicurezza che il peggio deve ancora arrivare, nel 2023! 

Perché a questi problemi se ne aggiungerà un altro molto, molto serio: oggi il governo retto da questo figuro assetato di potere, qualunque esso sia, otterrà la fiducia del parlamento israeliano. Ma più che un governo, sarà una mefitica miccia che porterà la zona medio orientale a divenire nuovamente protagonista nell'escalation bellica. Perché Bibi, così soprannominato dai suoi sodali, pur di tornare in tolda ha stretto accordi con le due formazioni ultraortodosse – i sefarditi dello Shas e gli ashkenaziti di United Torah Judaism – e i tre gruppi nazional-religiosi, il Partito Sionista Religioso (Psr), Potere Ebraico e Noam. Ed inoltre: poteri senza precedenti sulla polizia per Itamar Ben Gvir, il controverso leader di Potere Ebraico che diventerà ministro della Sicurezza Nazionale; la possibilità per il capo di Shas Aryeh Deri di diventare ministro delle Finanze nonostante una recente condanna per evasione fiscale e la creazione, voluta dal Psr, di un ministero per il controllo degli affari civili della Cisgiordania in precedenza di competenza del Ministero della Difesa.
L'ennesima mina vagante che sommata alle precedenti farà del 2023 un anno molto difficile, con gineprai di conflitti vicini a sfociare in una guerra mondiale dalle conseguenze imprevedibili.
Avessimo la decenza intellettuale di ascoltare i moniti sorgenti dal cuore di Papa Francesco, uno dei pochi a definire la guerra, ogni guerra, una pazzia e briganti chi fornisce armi, probabilmente la situazione migliorerebbe e non poco.
Ma non lo sta considerando nessuno, anzi a volte, come fece Rai Uno, lo censurano pure! Le guerre infatti sono orribili, ma portano tanti soldoni ai soliti noti.

  

Opposti

 


A proposito di decreti legge

 

Una misura odiosa
DI CARLO BONINI
Diciamolo per quello che è. Il decreto migranti – che è più esatto definire il decreto Ong – licenziato dal Consiglio dei ministri – è una misura di bandiera ed è, per giunta, una misura odiosa. Nel metodo e nel merito. Un governo privo anche solo di un semplice straccio di disegno politico utile a fronteggiare una vicenda epocale e complessa come quella dei flussi migratori dal Sud del mondo, sceglie infatti la scorciatoia autarchica di ridurre la questione a un regolamento di conti con le Organizzazioni non governative, già additate a feticcio di campagna elettorale. E, per farlo e per giustificare il ricorso allo strumento della decretazione di urgenza, trasforma le attività di soccorso umanitario nel basso Tirreno in potenziale minaccia all’ordine pubblico e alla sicurezza nazionale. Anche a dispetto del dato oggettivo che le vuole responsabili soltanto di un modesto 11 per cento del totale degli arrivi di migranti nel nostro Paese. Di più: nel farlo, impone per legge norme di comportamento e relative sanzioni che hanno una funzione esclusivamente afflittiva. Non dunque quella – ragionevole - di incardinare il soccorso umanitario in una cornice più ampia di coordinamento del soccorso in mare. Ma, più crudelmente, di rendere quell’attività umanitaria sempre più difficile. Se non impossibile. Con un unico risultato: svuotare il Mediterraneo di occhi e orecchie in grado di testimoniare o anche solo di provare a impedire che il nostro mare continui ad essere un immane e silenzioso cimitero di innocenti.
Né è utile a ripulire il decreto dall’odioso cinismo che lo ispira l’affermazione, ripetuta dal governo dal giorno uno del suo insediamento, che le nuove norme siano necessarie a colmare un vuoto regolamentare di cui le Ong avrebbero abusato nelle loro operazioni di soccorso. Per un semplice motivo.
Che un codice di comportamento “pattizio” tra Stati e Ong esiste da tempo, è stato adottato dai 27 Paesi dell’Ue ed è regolarmente richiamato in ogni summit dedicato al tema dei migranti.
Il ministro dell’Interno sa bene che il decreto che rende impossibile la vita agli equipaggi delle navi delle Ong non solo non risolve il tema dei flussi e degli sbarchi (la cui geografia si è per altro modificata nel tempo, come testimonia l’aumento degli approdi sulle coste calabresi). Ma, soprattutto, sa bene, per esperienza, che non esiste una “via italiana” alla questione migratoria. Mettere dunque la faccia e il suo nome su questa misura non solo non gli renderà il lavoro più agevole ma, se possibile, glielo renderà ancora più complicato. Il messaggio che, da ieri sera, Meloni torna a mandare all’Europa è infatti quello di un Paese, l’Italia, la cui supponenza autarchica è pari solo al suo isolamento. Introdurre la possibilità di chiedere asilo politico al Paese la cui bandiera batte la nave Ong, battezzare come “porto sicuro” l’approdo possibilmente più lontano dal punto di primo salvataggio, serve infatti solo a riproporre un’idea infantile, coatta, dei rapporti tra Stati partner in Europa. Per altro, dimostrando di non aver imparato nulla dalla crisi con Francia e Germania del mese scorso. Quando il braccio di ferro con Parigi e Berlino è servito solo a non ottenere alcunché in sede europea e a ricacciare in fondo all’agenda di Bruxelles il tema dei migranti.
È quello che accade a chi, come Meloni, si illude che il vuoto pneumatico di visione, progetto e ascolto di un governo, possa essere riempito, appunto, da qualche norma di bandiera da agitare di fronte agli occhi della propria base elettorale. Soprattutto se accompagnata da qualche indecente spin da veicolare sui social.
Sarebbe confortante sapere che qualcuno, a Palazzo Chigi, abbia la voglia e la forza di bucare la bolla di devozione narcisista in cui la premier è assisa per interrompere questa drammatica coazione a ripetere. Che oggi misuriamo sui migranti e, da domani, misureremo con la minaccia che il Covid torna a portare alle nostre esistenze. Ma questo presupporrebbe la consapevolezza che un governo, per quanto politico, ha il dovere di rispondere anche e soprattutto a chi non lo ha scelto ed opera in un quadro che non è delimitato soltanto dalle nostre acque territoriali o dai nostri confini terrestri.
Evidentemente, non accadrà. Nel frattempo, potremo addormentarci ogni sera sapendo che abbiamo reso la roulette russa con la vita di chi prende il mare fuggendo dalla disperazione una sfida ancora più impari. Che poi saperci feroci non ci avrà reso più forti è naturalmente un dettaglio.

Il sistema contro i poveri

 

Viva i ladri vaccinati
di Marco Travaglio
Lo dicevo io che, alla fine della fiera, l’unica delinquente resterà la cantante Madame, che va cacciata immantinente dal Concertone di Capodanno a Roma e pure dal Festival di Sanremo per omessa puntura. Lo dice quel buontempone dell’assessore laziale D’Amato, condannato dalla Corte dei Conti a risarcire 275 mila euro sgraffignati alla Regione e dunque candidato di Pd, Azione e Iv a presidente della Regione. E lo dice la capogruppo di Azione in Comune, Flavia De Gregorio: siccome i calendiani sono garantisti, per la presunzione di innocenza e per la candidabilità dei condannati fino alla Cassazione, per l’indagata Madame “è più opportuno rinviare la sua presenza al concertone di Capodanno” (testuale: tanto per lorsignori è Capodanno tutto l’anno). Intanto, per coerenza, Azione si dà un gran daffare per anticipare le destre nell’impresa di spazzare via la Spazzacorrotti e riesumare la prescrizione che inceneriva 200mila processi l’anno. Siccome la legge Bonafede blocca la prescrizione dopo la sentenza di primo grado, la Cartabia lanciò il salvagente dell’“improcedibilità” ai colpevoli che non potevano più farla franca in appello e in Cassazione allungando i tempi dei processi: ora, se riescono a far durare il secondo grado due anni e il terzo un anno, vivranno tutti felici, contenti e improcedibili.
Ma resta da garantire l’impunità durante le indagini, l’udienza preliminare e il giudizio di primo grado: a quello provvede il calendiano Enrico Costa, già forzista e autore di splendide leggi ad Nanum, che infila nella fogna del dl Rave un ordine del giorno per impegnare il governo “al ripristino della prescrizione sostanziale in tutti i gradi di giudizio”. Il pregiato scampolo di prosa, firmato da tutti i parlamentari di Azione&Iv, osa financo rammentare che “l’allungamento dei tempi processuali collide con gli obiettivi del Pnrr che ne impongono una significativa riduzione, e contrasta con i princìpi costituzionali”. Se non fosse gente senza vergogna (sennò non si chiamerebbe Calenda o Renzi o non starebbe con loro), si potrebbe ricordarle che il primo a promettere di abolire la prescrizione era stato il rignanese quando era premier e il pariolino era suo ministro al Mise; e che i tempi processuali si allungano proprio perché l’imputato mira alla prescrizione o all’improcedibilità. Basta levargli entrambe le aspettative e nessun imputato sicuro di arrivare a sentenza definitiva avrebbe interesse a pagarsi l’avvocato più a lungo del normale. Ma sono cose che questi impuniti sanno benissimo, solo che non possono ammetterlo e preferiscono mentire. Il loro unico obiettivo di finti oppositori è lo stesso del governo Meloni: risparmiare la galera ai ladri di Stato. Purché siano vaccinati, si capisce.

mercoledì 28 dicembre 2022

Scusi...

 


Orgoglio

 


Sfera Robecchi

 

Previsioni serie per il 2023 “Andrà tutto bene”, come dissero a Pompei
di Alessandro Robecchi
Finisce il 2022, ed è probabilmente l’unica buona notizia del 2022. Il 2023 s’avanza a lunghi passi distesi, mancano pochissimi giorni, e quindi è il momento delle previsioni, dei buoni propositi, delle necessarie illusioni e dell’“andrà tutto bene”, come dissero a Pompei guardando il primo filo di fumo del Vesuvio.
Prima regola: davanti a un anno nuovo non bisogna essere prevenuti e avere un atteggiamento negativo, no, bisogna aspettare almeno il 15 gennaio, e poi si può cominciare con il pessimismo. Un solo pensiero deve occupare la mente dell’italiano che guarda davanti a sé: cosa potrebbe andare storto? E dunque stilare un elenco infinito di cose, faccenda che potrebbe occuparlo fino alla fine dell’anno, distraendolo da disastri più o meno annunciati. Per esempio, il congresso del Pd, che segnerà il 2023 come l’anno in cui il Pd scelse un nuovo segretario, che sarebbe il decimo in 15 anni di vita (e non conto i bis e gli interim). Forte di questa incredibile novità – un segretario nuovo di zecca che vanta nel curriculum una vittoria per un pugno di voti contro Lucia Borgonzoni, e ancora ne parla come fosse la battaglia di Okinawa – il Pd potrà affrontare il futuro con piglio deciso e autorevole insieme ai suoi duecentocinque elettori. Purtroppo, l’asse della politica penderà ancora verso destra: Meloni, cognato, Crosetto e altri bellimbusti, più il duo comico del Terzo Polo, al momento (fine 2022) un po’ seccato perché a Palazzo Chigi non hanno ascoltato i suoi consigli. Ora, per tutto il 2023, tenteranno di compiacere Meloni in tutti i modi, un po’ per candidarsi a stampella del governo, un po’ per farsi notare. Fiume Italiana, Nizza e Savoia, magari la befana fascista o gli esercizi ginnici il sabato: già pare di vedere Calenda che parla di “tradizioni liberali” come l’oro alla patria o le bonifiche delle paludi.
Proseguirà la riforma della giustizia con decisive novità sulle intercettazioni: saranno tutte autorizzate quelle a carico di giudici e pm, che saranno intercettati regolarmente. E finalmente ecco la separazione delle carriere: la carriera di colletto bianco, dirigente, manager, politico, separata da quella di imputato, definitiva dimostrazione che in Italia il garantismo si applica per reddito.
Continuerà, nel 2023, l’entusiasmante guerra ai poveri che tante soddisfazioni ha dato alla destra, alla sinistra (parlandone da viva), ai grandi giornali, alle televisioni, a Matteo Renzi che teorizza di educare i poveri con la sofferenza, sennò che gusto c’è. Dopo aver tolto il Reddito di cittadinanza a migliaia di indigenti ribattezzandoli “occupabili”, si studierà di escludere anche quelli con una gamba sola (“saltellabili”) e quelli senza fissa dimora (“barbonabili”). Sono allo studio misure restrittive anche per altre categorie di nullatenenti, spiantati, disperati a cui non è giusto garantire sussidi statali, almeno finché hanno ancora degli organi (“asportabili”). Queste norme permetteranno di risparmiare alcune decine di milioni che potrebbero più proficuamente essere destinate alla ricopertura in broccato e oro delle poltroncine delle tribune vip degli stadi di calcio, un aiuto concreto a presidenti di squadre che attraversano purtroppo una drammatica crisi.
Come si vede, le sfide del 2023 saranno numerose e impegnative, ma ci tempreranno e ci renderanno migliori, più consapevoli e più generosi nei confronti di alcune categorie in sofferenza, come ad esempio i produttori di armi, a cui regaleremo un’ottantina di miliardi in più. Auguri a tutti.

Travagliamente

 

La vera delinquente
di Marco Travaglio
Notizie sparse, ma emblematiche di quest’orrendo 2022 fortunatamente agli sgoccioli. Madame, cantautrice sopraffina di 20 anni, forse non si è vaccinata ed è indagata con l’accusa di aver usato un falso Green Pass da un medico compiacente. Ergo c’è chi vorrebbe escluderla non da un simposio di virologia e infettivologia, ma dal concerto di Capodanno a Roma e dal festival di Sanremo (anche se per ora Amadeus resiste). Luciano Moggi, il burattinaio di Calciopoli radiato dalla Federcalcio, condannato in primo e secondo grado per frode sportiva e poi salvato dalla galera dalla solita prescrizione in Cassazione, pontifica all’assemblea della Juventus che insedia il nuovo Cda perché quello vecchio rischiava di finire in carcere. Berlusconi viene intervistato da Repubblica che, al posto delle “Dieci domande” di Giuseppe D’Avanzo, gliene fa 16 genuflesse. Leggendaria la numero 7: “Vi è stata intestata la battaglia per lo scudo fiscale, poi accantonato. Rivendica quella misura?”. E quando lui risponde che occorre “sanare il passato nelle more di una grande riforma del fisco”, nonché “la riforma della giustizia di Nordio, basata su una solida cultura garantista che è anche la nostra”, all’intervistatore non viene in mente di rammentargli, a proposito del passato da sanare e della solida cultura garantista, la sua condanna definitiva per una frode fiscale da 368 milioni di dollari (poi ridotti dalla prescrizione a 7,3 milioni di euro): il doppio di tutte le frodi fin qui scoperte sul reddito di cittadinanza.
Domanda, da vaccinati e vaccinisti convinti, ma contrari ai vaccini forzati a pena di multe, discriminazioni e nuovi reati: ma com’è possibile che, in un Paese democratico come l’Italia, chi non si fa due o tre punture senza fare nulla di male a nessuno (i contagi da Covid vengono sia dai Vax sia dai No Vax) passi per un delinquente, mentre criminali conclamati scorrazzano indisturbati nelle istituzioni, nella vita pubblica e sui media, magari discettando di riforme del fisco e della giustizia? Un lettore ci ha inviato alcune foto segnaletiche, tipo Far West, esposte negli aeroporti tedeschi per catturare i ricercati per evasione fiscale accanto a quelle dei terroristi e degli omicidi. Del resto, dai dati sulle carceri europee del 2020, risulta che in Italia i colletti bianchi detenuti sono lo 0,9% del totale, contro il 16,8% della Slovenia, il 10,1 della Lettonia, il 9,8 della Germania, il 7,1 della Francia. E saranno ancor meno in futuro, visto che la sola Finanziaria del governo Meloni contiene ben 14 fra condoni e sanatorie fiscali. Quindi è deciso: a Sanremo, al posto della “No Vax” Madame, ci mandiamo B., Moggi e i loro simili, che saranno senz’altro plurivaccinati. Così magari cantano.

L'Amaca

 

Abbiamo bisogno di psichiatri
DI MICHELE SERRA
Nell’anno che verrà ci sarà una guerra tra Francia e Germania, la Gran Bretagna tornerà nella Ue portandola alla bancarotta, la Polonia occuperà l’Ucraina e in America ci sarà una guerra civile, con secessione di Texas e California. Elon Musk diventerà presidente.
Sembra una mia “satira preventiva” sull’Espresso (ne approfitto per salutare anche da qui i lettori di quel giornale, che è padre di questo: la mia ultima satira uscirà nel prossimo numero). Si tratta invece delle previsioni, su Twitter, del braccio destro di Putin, Dmitry Medvedev, ex presidente russo e viceresponsabile della Sicurezza (cosa che non rassicura).
Ora, siccome il mondo è pieno di persone che vogliono fare dello spirito e non vengono capite, può darsi che fosse proprio questa l’intenzione di Medvedev. Nel caso, possiamo limitarci a dire che abbiamo riso pochissimo, giusto quanto basta per non essere scortesi con lui. L’altra ipotesi è che Medvedev non si sia espresso in veste di buontempone, ma di uomo politico di spicco.
In questo secondo caso, credo che solo un bravo psichiatra potrebbe da un lato soccorrere il signor Dmitry, dall’altro aiutarci a superare il trauma di sapere che una persona con evidenti disturbi mentali ricopra una carica istituzionale così importante per il futuro del mondo.
Ovviamente Elon Musk ha molto apprezzato e ritwittato le fesserie di Medvedev. Essendo anch’esso un uomo potentissimo, si rafforza l’idea che l’umanità sia alle prese con una vera e propria emergenza psichiatrica. Alla domanda classica: “Abbiamo più bisogno di poeti o di ingegneri?”, ecco finalmente la risposta: di psichiatri.

Chi era Rauti?

 

Il personaggio oggi celebrato da Fdi
Rauti l’impresentabile chi è l’anima eversiva del neofascismo italiano
DI SIMONETTA FIORI
Lo chiamavano il “Gramsci nero”. Ma Pino Rauti non è stato solo un intellettuale, ma un uomo d’azione che ha incarnato in modo paradigmatico l’anima più eversiva del neofascismo italiano. Da vecchio gli piaceva dire che il fascismo non era più ripetibile «ma un giacimento di memoria a cui si poteva ancora attingere ». Tutta la sua vita è stata nel segno d’una religione fascista irriducibile, pericolosamente ai bordi delle istituzioni democratiche, talvolta invischiata nelle più nefaste trame stragiste della storia repubblicana, dalle quali fu assolto in sede penale ma non sul piano morale, come disse il pubblico ministero nel processo per l’attentato di Piazza della Loggia («La sua posizione è quella del predicatore di idee praticate da altri ma non ci sono situazioni di responsabilità oggettiva»).
Cresciuto a Roma in una famiglia di fervente fede littoria – il padre era usciere presso il ministero della Guerra – a 17 anni si arruola volontario nella Guardia repubblicana di Salò, l’organismo di polizia interna e militare che represse la resistenza e partecipò al rastrellamento di civili. L’appartenenza repubblichina non lo abbandonerà nel dopoguerra quando nel 1946 aderisce al nascente Movimento Sociale Italiano, fondato dai fascisti che avevano militato a Salò: il segretario Giorgio Almirante era stato segretario di redazione della Difesa della Razza – la rivista ufficiale dell’antisemitismo – e nella Repubblica sociale aveva ricoperto il ruolo di capo di gabinetto del ministro Fernando Mezzasoma, rendendosi responsabile del “manifesto della morte” contro il partigianato e la resistenza dei civili.
Nel Movimento sociale, partito che era rimasto fuori dall’Assemblea Costituente, eletto sì in Parlamento ma sempre fuori dal perimetro della maggioranza di governo, Rauti rappresenta fin dagli inizi l’espressione ancora più radicale e movimentista, in nome di «una intransigenza dottrinaria assoluta ». «Il più estremista tra gli estremisti», dice ora Giovanni De Luna, studioso del fascismo e del neofascismo. E mentre nel Movimento sociale si discute del ruolo del partito nel contesto politico democratico, Rauti aderisce al gruppo clandestino dei Far (Fasci di Azione Rivoluzionaria): nel 1950 viene arrestato per alcuni attentati rivendicati dall’organizzazione, ma un anno più tardi viene assolto per insufficienza di prove. Insieme a lui viene imprigionato Julius Evola, considerato l’ispiratore del gruppo. Ed è con questo ideologo del fascismo e del nazionalsocialismo, promotore di diverse teorie del complotto razziste e antisemite, che Rauti intreccia lapropria posizione politico-filosofica fondando nel 1953 il gruppo dell’Ordine Nuovo: una vera fazione organizzata del Msi, l’ha definito Marco Tarchi, con strutture locali, tessere, una rivista omonima ispirata alle esperienze dei regimi fascisti nel periodo tra le due guerre mondiali, inclusa la Germania nazionalsocialista. Delle leggi razziste approvate da Mussolini nel 1938, Rauti ha continuato a dire anche in tempi recenti che occorreva “contestualizzare”. «All’epoca del conflitto in Spagna l’ebraismo aveva dichiarato guerra al fascismo. E le leggi del 1938 furono benedette dalla Chiesa cattolica». Nessuna traccia di vergogna postuma.
Da posizioni teoriche sovversive Romualdi combatterà la segreteria moderata e legalitaria di Arturo Michelini, fino all’uscita dal partito nel 1957 con l’avvio del “Centro Studi Ordine Nuovo”, ormai totalmente autonomo dal Movimento Sociale: tra i suoi collaboratori spicca il nome di Stefano Delle Chiaie, un esponente della strategia della tensione che ritroveremo alla fine del decennio successivo tra gli imputati per le bombe di Piazza Fontana.
Gli anni Sessanta vedono Pino Rauti nella veste di agguerrito sacerdote dell’anticomunismo. Nel 1967 accoglie con favore il colpo di Stato dei colonnelli in Grecia. E sostiene i regimi “bianchi“ in Rhodesia e in Sudafrica. È in questi anni che comincia a collaborare con Guido Giannettini, uomo dei servizi: altro nome che ritroveremo tra gli imputati nel processo di Piazza Fontana. Il 4 marzo del 1972 Rauti viene accusato di complicità nelle stragi nere culminanti nel dicembre del 1969 con le bombe nella Banca dell’Agricoltura. Si fa cinquanta giorni di carcere per poi essere eletto deputato del Movimento sociale, sotto la guida di Almirante: successivamente sarà prosciolto dall’accusa.
Insofferente a una destra sempre più in doppiopetto, Rauti elabora una serie di iniziative che puntano al coinvolgimento della società civile. È sua l’idea di un campo Hobbit e dei gruppi di ricerca ecologica: il suo nome esercita un indubbio fascino presso i militanti più giovani. Alla fine degli anni Ottanta la malattia di Almirante gli apre la possibilità di candidarsi alla segreteria del Movimento sociale e nel 1990 riesce a battere Gianfranco Fini, ma per un periodo breve: più tardi sarà tra i più ostinati avversari della Svolta di Fiuggi, con cui vengono recise le radici storiche del fascismo. Fedele fino alla fine al vessillo della fiamma tricolore, sempre orgogliosamente fascista.
Questo è stato Pino Rauti, a cui la destra oggi al governo rende omaggio. E che Giorgia Meloni nel suo libro autobiografico elenca tra le stelle polari. Il più impresentabile, tra gli impresentabili.

martedì 27 dicembre 2022

Eccelliamo

 

L’Italia esporta tangenti: da Mani Pulite all’Europa
DI MASSIMO FINI
E così siamo riusciti a inquinare anche le Istituzioni europee con la corruzione, il reato per cui siamo maestri e ricercati specialisti, uno dei più squallidi perché non comporta, per esempio a differenza della rapina, nessun rischio fisico e vede molto spesso protagonisti soggetti delle Istituzioni, parlamentari, sindaci, presidenti di Regione, assessori, che già ricevono un lauto stipendio molto spesso nient’affatto corrispondente alle loro capacità e competenze.
Ma cosa dici, mi obbietterà qualcuno, non sai che nelle prigioni italiane solo lo 0,6 per cento della popolazione carceraria è in gattabuia per reati finanziari, mentre in Germania è il 14 per cento? Ma proprio qui sta il punto. In Germania si corrompe molto di meno che da noi, tanto che nella classifica del 2021 di Transparency International, partendo dai Paesi meno corrotti per andare a quelli più corrotti è decima mentre l’Italia quarantaduesima, seguita da Bulgaria, Romania, Ungheria, Croazia, Grecia, Repubblica Ceca, Malta, Slovacchia, Cipro. Mentre in campo internazionale è più o meno a livello del Botswana. Il che vuol dire che in Italia i responsabili di reati corruttivi riescono quasi sempre a cavarsela, in un modo o nell’altro (leggine ad hoc, leggine “ad personam” e così via).
Per ora tutti gli inquisiti dalla magistratura belga sono italiani, se si esclude Eva Kaili che è greca e la Grecia non sembra proprio un Paese da imitare. In questa situazione il neoministro della Giustizia Carlo Nordio vuole depenalizzare o addirittura eliminare tutti i reati fiscali che com’è noto, quando si parla di somme ingenti, sono soprattutto reati di “lor signori”. Nordio è una curiosa figura di ex Pubblico ministero. Mentre a Milano i pm di Mani Pulite scoperchiavano l’immensa corruzione politica e imprenditoriale, Nordio che faceva il pm a Venezia non riuscì a trovare un solo corrotto. Eppure la corruzione ci sarà stata, seppur in maniera minore, anche a Venezia. È livido di invidia verso quei magistrati milanesi e adesso gliela farà pagare eliminando o sminuendo di molto le leggi che permisero al pool di mettere in gattabuia anche personaggi eccellenti ed eccellentissimi. Ma se Nordio, berlusconiano mascherato, dovesse in parte fallire nella sua missione, c’è pur sempre come sottosegretario alla Giustizia Francesco Paolo Sisto, che è uno degli avvocati di Silvio Berlusconi.
Come ho scritto più volte Mani Pulite è stata lo spartiacque. Era l’occasione per la classe dirigente di emendarsi dai propri errori, chiamiamoli benevolmente così, in realtà erano reati, invece nel giro di soli due anni, con tutti i testimoni dell’epoca ancora in vita, i magistrati sono diventati i veri colpevoli e i ladri le vittime e spesso giudici dei loro giudici. Non ci si può quindi meravigliare se oggi anche una persona che di suo sarebbe normalmente onesta diventa un mascalzone (“Devo essere proprio io il più cretino del bigoncio?”).
L’Italia è quindi un Paese intimamente, profondamente corrotto e direi che la classifica di Transparency International è anche generosa con noi. Senza contare che abbiamo il record delle mafie: la mafia propriamente detta, la ’ndrangheta, la camorra, la sacra corona unita.
Con Berlusconi il malaffare è diventato, per dir così, istituzionale e ha travolto le ultime barriere della legalità. Ma alle spalle di Berlusconi si intravede la figura del “Grande corruttore”, Bettino Craxi, che, dopo un inizio promettente, in uno scambio di favori ha permesso all’uomo di Arcore di avere, con una legge ad hoc, tutto il comparto televisivo privato italiano ricevendo in contropartita non tanto 21 miliardi, quisquilie, ma una posizione dominante del Partito socialista non solo nelle reti Fininvest poi Mediaset, ma in almeno due delle tre reti della televisione nazionale. Direi che la Rai è l’emblema stesso della spartizione partitocratica del nostro Paese, in ogni settore, non solo pubblico ma spesso anche privato. E nessun governo, anche quando animato da buone intenzioni, penso ai 5 Stelle, è riuscito a cambiare questa situazione indegna di un servizio che dovrebbe essere pubblico.
A me spiace che lo storico e glorioso nome “socialista” sia diventato sinonimo di ladro. Perché coniugare una ragionevole uguaglianza sociale con i diritti civili mi è sempre sembrata, nella modernità, l’idea più bella. Adesso dobbiamo andare a cercarla in Venezuela, da Maduro.

Sob!




Osho

 


L'Amaca

 

Un lavoro interrotto
DI MICHELE SERRA
Una sorella, due genitori, una nonna, un prete anzi due (il cappellano don Burgio e quella gran persona che è don Rigoldi). Leggendo e ascoltando le parole delle persone coinvolte, si capisce che i sette ragazzi evasi dal carcere minorile di Milano possono contare, dentro e fuori, su qualche adulto in grado di dare loro buoni consigli. Tre sono già tornati dentro. Don Rigoldi si aspetta una telefonata dagli altri quattro.
Come tutti, per istinto, alla notizia dell’evasione la prima cosa che mi è venuta in mente è l’allarme sociale.
Saranno pericolosi? Magari qualcuno sì.
Non avevo pensato, invece, al lavoro interrotto: il lavoro di recupero sociale, psicologico e umano che delle carceri è il compito più importante (articolo 27: “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere al recupero del condannato”).
In un carcere minorile vale il doppio.
Che in quei luoghi così importanti si lavori è un tema davvero trascurato.
L’idea più corriva e stupida del carcere (ben rappresentata dai politici forcaioli) è il “butta via la chiave” che li apparenta a un cimitero di vivi. E invece, dal personale agli operatori sociali ai volontari ai medici ai preti, sono molte le persone che lavorano in carcere: compresi i detenuti. Vanno aiutate a lavorare. Cosa pensereste di una fabbrica con le macchine in panne e le finestre rotte? Il Beccaria non ha un direttore da vent’anni e da quindici è aperto un cantiere senza fine. Da quel buco (lavori in corso) sono scappati i detenuti. Da quel buco rischia di scivolare via il lavoro paziente di chi si occupa dei ragazzi che hanno sbagliato.

Onestà in pericolo

 

Giù le mani
di Marco Travaglio
Appena salta fuori qualche politico corrotto, salta su qualche partito con l’ideona di ripristinare il finanziamento pubblico. Infatti ora, in pieno scandalo Ue-Qatar, il Pd vuole raddoppiare i finanziamenti indiretti, assegnando ai partiti anche il 2 per mille delle tasse dei cittadini che non vogliono. E Articolo 1 vuole tornare ai finanziamenti diretti pre-2013. Lo slogan implicito è: “Così non rubiamo più”. Ma, a parte il fatto che rubare è proibito dal VII comandamento e dai codici penali di tutto il mondo dalla notte dei tempi, le euromazzette non finivano ai partiti. Bensì nelle tasche di singoli eurodeputati e portaborse. E soprattutto non c’è alcuna prova dell’equazione “più fondi pubblici, meno mazzette”. Anzi, c’è la prova del contrario: il finanziamento pubblico fu varato nel 1974 con lo scandalo petroli, quando i pretori genovesi Almerighi, Brusco e Sansa scoprirono che i partiti erano sul libro paga dell’Unione petrolifera, che ogni anno girava loro una percentuale sugli sconti fiscali votati in Parlamento. Da allora i miliardi statali non impedirono ai partiti di continuare a foraggiarsi illegalmente con tangenti da imprenditori in cambio di appalti pilotati e altre marchette; fondi neri di aziende di Stato gestite da loro manutengoli; dollari americani (alla Dc&alleati) e rubli sovietici (al Pci). Nel 1992, quando scoppiò Tangentopoli, i partiti ricevevano fondi pubblici legali (dal finanziamento statale) e illegali (da Iri, Eni, Enel, municipalizzate ecc); fondi privati legali (quelli registrati nei bilanci delle imprese e nel registro dei partiti in Parlamento) e illegali (tangenti e finanziamenti occulti). Perciò, al referendum del ’93, gli italiani votarono in massa per abolire il finanziamento pubblico.
Questo però, appena uscito dalla porta, rientrò dalla finestra travestito da “rimborsi elettorali”. Che, calcolati a forfait e senza ricevute, coprivano 4-5 volte le spese per le elezioni. E aumentavano di anno in anno con voti bipartisan, fino a diventare una tassa-monstre di 10 euro l’anno per ogni elettore (contro 1,1 del ’93). Nel 2009 la Corte dei conti rivelò che in 15 anni i partiti avevano prelevato 2,2 miliardi di euro dalle casse dello Stato. Nel 2013, per frenare l’avanzata dei 5Stelle, il governo Letta passò al finanziamento pubblico indiretto e volontario: chi vuol aiutare un partito gli devolve il 2xmille delle tasse. Soluzione ragionevole, che obbliga i partiti a curare il rapporto con gli elettori per meritarsi il loro sostegno: chi non ha elettori o se ne guadagna il disprezzo, peggio per lui. Tornare al vecchio magnamagna, oltreché vergognoso, sarebbe suicida. Lo slogan “Così non rubiamo più” verrebbe subito tradotto: “Siccome i nostri rubano, noi derubiamo gli italiani”.

domenica 25 dicembre 2022

Insofferente


Chissà perché ma a festeggiare questo Natale mi sembra di essere nel salone delle feste del Titanic, con le luci abbacinati, la musica, i sorrisi di rito e non, la gaudente consapevolezza di essere un privilegiato, mentre fuori da questa enclave bimbi, madri, padri al freddo, al buio, vivono nel terrore questa festa già troppo commercializzata, deturpata, insonorizzata dal ciacolare di chi, come me, crede di non essere invischiato nel baccanale bellico, agevolando e maldestramente delegando ad altri le sorti di questo pianeta, soffocato da interessi, da politiche dannose, inumane, agghiaccianti, dedite allo sfruttamento, al riarmo, al sopruso. Quel Bambino che molti, ma non troppi, credono essere il Figlio di Dio, s’interrogherà anch’egli su questa gestione di un’umanità scellerata, rancorosa, invidiosa, assetata di affossare l’altro. Mi vergogno di credere che tutto sia bello, soffice, pacioso, non potendo condividere le sofferenze della maggioranza degli abitanti questa palla blu spersa nel nero abissale dell’universo. Intanto il maestro ha cambiato musica, qui nel salone delle feste del Titanic!

sabato 24 dicembre 2022

Tanto per sapere


Equatorialmente




Alla ricerca della fesa

 

Per gli apparecchiati come me prendere una comanda natalizia ha la stessa valenza di quella dell'incaricato al controllo dell'accensione del robottino da svariati miliardi da inviare su Marte: 400 gr di fesa di vitello! Convinto come sono che nel pascolante vitello siano già tatuati i numeri identificativi le nobili parti che l'allegata legenda tradurrà ai gozzoviglianti per antonomasia, convinti a volte, a seconda della bontà del rosso accompagnatore, che i filetti nascano sugli alberi, mi sono avviato nel supermercato canonico devastato dalla razzia dei molteplici raptoveglioni, una specie che ad ogni vigilia s'attiva per accaparrarsi cibarie sufficienti a sfamare un battaglione militare caucasico, onnivori incapaci di frenare la libido scaturente dalla contemplazione di un maxi frigo pregno di ogni ben di dio, incapace di ospitare neppure una sottiletta! Uscito con la stessa espressione facciale di Dustin in “Kramer contro Kramer”, posseduto dall’ovvio, mi sono diretto verso un macellaio, un rinomato macellaio con tanto di spara biglietti all’ingresso, segno della latitanza di vegani in queste lande; una volta arrivato il mio turno gli ho pietosamente richiesto la fesa di vitello e la sua glaciale e quasi infastidita risposta “non ne abbiamo più e non ci arriva neppure domani” mi ha aperto un baratro urticante, in primis per l’ignoranza zootecnica latente che mi porta a non mappare tale pezzo, e secondariamente perché conoscendo l’emittente di comande “tanto un pezzo vale l’altro” è bestemmia altisonante.
Stamani in albis sono ritornato dal macellaio e, arrivato il mio turno, l’ho implorato di farmi passare un sereno Natale, prima cantandogli un brano della novena in lingua originale, e poi chiedendogli un pezzo di carne simile alla fesa. “Ma certo! Le do un x$$£££$&&& di vitello! Che dice?”
Chiedere un parere in merito ad uno come me, metodicamente attivato come un orsetto a pile ad acquistare le solite cibarie posizionate nei soliti scaffali, come Mr Melvin Udall insegna (se non sapete chi sia Mr Udall vi meritate i cinepanettoni) esperto culinariamente solo di epiche sedute con i piedi sotto la toa, è come attendere un giudizio del maestro Muti su Achille Lauro! Ho guardato il pezzo pronto ad essere tagliato fingendomi esperto mentre si palesava nel negozio la concretizzazione del pensiero del macellaio “ma guarda questo imbecille quanto ci mette a decidersi che devo preparare ancora cime e fegatini per tutta la clientela impaziente!”
Ottenuto l’assenso mi ha tagliato due fette di x$$£££$&&& di vitello (non ho osato richiedergli il nome del pezzo) ed uscito, dopo i canonici auguri, mi sono ripromesso di studiare a breve la struttura dei bovini, tanto buoni una volta cucinati quanto complicati nell’identificar di loro, al contrario dei polli di cui sono esperto fino e sopraffino, individuando in un batter d’occhio le loro parti nobili, le cosce… che sono due o quattro?
Jingle Bells!

L'Amaca

 

I cinghiali ci riguardano
DI MICHELE SERRA
Per inquadrare un poco meglio la faccenda dei cinghiali bisognerebbe mettersi d’accordo su che cos’è la natura e qual è il ruolo più opportuno per l’animale dominante, nonchélargamente più dannoso, che siamo noi umani.
Discorso lunghissimo che qui, spericolatamente, sintetizzo.
1 — La natura non è un Eden, è un magnifico e spietato groviglio di vita e morte.
La predazione ne fa parte. La natura ingoia proteine per perpetuare se stessa, non perché è cattiva.
2 — L’uomo non può illudersi di sottometterla e trasformarla in un supermercato; ma nemmeno di travestirla in una favola zuccherosa, nella quale nessuno mai soccombe e la morte è un tabù. La visione antropocentrica della natura porta a violarla e sfruttarla ben oltre il lecito, ma porta anche a idealizzarla.
Il cacciatore protervo (non tutti i cacciatori) e l’animalista fanatico (non tutti gli animalisti) sono le due facce della stessa medaglia. Entrambi misconoscono la natura. Ognuno la tira dalla sua parte.
Quando una specie prolifera troppo, danneggiando gli equilibri naturali e spesso indebolendo se stessa, quasi sempre a causa degli errori e dell’incoscienza umana (vedi i gabbiani che abbandonano i litorali per le discariche, o i cinghiali “pompati” a scopo di caccia e ora incontrollati scorridori urbani) l’uomo ha il dovere di intervenire, perché sua è la responsabilità di governo e accudimento del mondo: non si può diventare Re evitando la fatica del potere. Come intervenire, per limitare la superfetazione di una specie (vale anche per ratti, gabbiani, nutrie) è materia di discussione. Non è discutibile il fatto che lo si debba fare.
Buon Natale a tutti, uomini e cinghiali.

Strenne e imbecillità

 

Buon Carnevale
di Marco Travaglio
Gufi, rosiconi e disfattisti si rassegnino: le prime mosse del governo Meloni sono di una chiarezza e di una coerenza cristalline. Ricapitoliamo. L’“offerta congrua” per le tangenti è cancellata, quindi si possono accettare anche quelle incongrue, inferiori a 5 mila euro, purché in contanti. L’obbligo di “congruità” rimane invece per l’evasione fiscale, che per ricadere nello scudo penale non dovrà essere inferiore ai 350 milioni di dollari, se no B. si monta la testa. È abolito l’abuso d’ufficio, onde evitare che gli “occupabili” senza più reddito di cittadinanza a luglio occupino abusivamente qualche ufficio per non dormire sotto i ponti. Che, fra l’altro, potranno crollare liberamente grazie all’abolizione del Codice degli appalti, per “non disturbare chi vuol fare” precipitare i ponti. Sono altresì abrogati il Pos, il Mes, lo Spid, ma anche il Var, per arginare il giustizialismo degli arbitri che si ostinano ad annullare i gol non validi. Il ministro Nordio separa le carriere dei pm e dei giudici e riunifica quelle dei politici e dei ladri. Poi rende facoltativa l’azione penale e obbligatoria l’azione venale.
Il Superbonus edilizio passa dal 110% al 5% di tangente sull’importo dei lavori. Il divieto di cellulare è esteso dalle scuole alle carceri, così i mafiosi, non potendo più essere trasportati dalla Polizia penitenziaria, potranno finalmente muoversi con mezzi propri. Il bonus diciottenni andrà a tutti i diciottenni di età compresa fra i 19 e i 99 anni, purché sprovvisti di Pos, Spid e Rdc. Le intercettazioni e i trojan saranno vietati anche per i boss, che tanto non parlano al telefono per paura delle intercettazioni e dei trojan. Però si potranno intercettare i cinghiali per sparargli e mangiarli. B. promette pullman di trojan ai cacciatori interessati, mentre Nordio è più cauto perché le troie violano la privacy dei clienti e hanno già rovinato molte vite. Ai cittadini “sparabili”, cioè quelli sovrappeso scambiati per cinghiali e colpiti da cacciatori miopi, il signor presidente del Consiglio Giorgia Meloni fa la promessa “scritta col sangue” (il loro) che non prenderà mai il Mes. Per ridurre il rischio di incidenti di caccia nei centri città affollati dallo shopping, Nordio cancella il traffico di influenze: così gli automobilisti influenzati restano a casa. Gli occupabili non abitabili e non scaldabili sprovvisti di reddito di cittadinanza e costretti a vivere all’addiaccio in attesa della grande riforma del mercato del lavoro (“lavoro” parlando con pardòn) potranno comunque rifugiarsi sulle navi delle Ong sequestrate nei porti siciliani, dove appositi camerieri laureati con 110 e lode e incatenati serviranno loro pasti caldi a base di cinghiale. Ultim’ora: un emendamento di maggioranza approvato in extremis ribattezza il Natale “Carnevale”.