Ma quando arrivano i nostri?
DI MICHELE SERRA
Ogni giorno che passa, i media che si rivolgono alla parte di opinione pubblica più preoccupata per l’avvento di Trump versano qualche grammo di sale in più sulle ferite, pubblicando le biografie non rassicuranti dei componenti della squadra che governerà per quattro anni gli Stati Uniti. Nei ranghi del trumpismo abbondano stelline del web più malfamato, mattoidi cresciuti a pop corn e complottismo, estremisti e fanatici di ogni risma, compresi i suprematisti bianchi e i cristiani rinati (quelli che non mandano a scuola i figli perché non vogliono sentire nominare Darwin).
È importante, anche se penoso, sapere a quale svolta della sua storia si ritrova il cosiddetto Occidente.
Mi capita però sempre più spesso di saltare quegli articoli dopo avere letto il titolo; in parte perché già lo sappiamo, in che mani siamo; in parte perché sta diventando tossica l’abitudine di misurare il mondo con il livello di cattiveria, di mediocrità e di malanimo, e quello che manca di sapere non è quanto sono di bassa lega queste signore e signori; quello che manca di sapere è cosa combinano di buono e cosa inventano di nuovo i loro oppositori.
Diceva pochi giorni fa a Repubblica lo scrittore americano Colum McCann che l’America democratica è sotto commozione cerebrale per il colpo ricevuto. Ogni giorno accendo il computer per sapere se ci sono notizie sull’eventuale risveglio, e se qualcosa si muove anche in Europa, dove la sinistra sembra anche lei, per osmosi, al tappeto, come se fossimo territori d’oltreoceano degli Usa. Quella sì che sarebbe una sorpresa: leggere tracce di cosa potrebbe accadere di buono e di interessante nel futuro immediato, perché cosa è accaduto di cattivo già è agli archivi.
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