domenica 31 luglio 2022

Lotta in coda



Ridotto ad elemosinare un androne a Tabacci, a Tabacci, il nuovo partito dell’Innamorato della Poltrona si chiamerà ”Impegno Civico” e si contenderà il ruolo di fanalino di coda al Bimbominkia, al momento dato sotto la soglia Panda. Sarà una bella sfida!

Certezza



Esiste, esiste! Eccome se esiste! Grazie!

Alle origini

 


Live

 


Via con gli sfottò!




Gnomi e Terminator



In questa politica di gnomi, dove persino Confindustria presenterà a breve un piano in 18 punti, chiamiamolo memorandum, senza venir neppure sbeffeggiata, visto che il loro Bonomi srotola una serie di nefandezze antisociali, sfanculando pure il salario minimo, senza neppure lontanamente citare la lotta all’evasione - che chissà da chi verrà - ebbene in questa politica di gnomi spunta lui, il mastro gnomo, che fingendo di dimenticare il suo smilzo 3,6% che in altri paesi dignitosi gli permetterebbe al massimo di organizzare compleanni o rinfreschi, detta linee politiche palesemente ad minchiam, permettendosi pure di non decidere ancora il suo ingresso nel becero recinto dell’oramai famigerato “campo largo”, un’idiozia sorta in cervice del sonnolento bibliotecario che il destino crudele ha posto a capo di quello che una volta fu un partito di sinistra, ed ora solamente un contenitore flaccido, avulso dai reali problemi del paese, accogliente tutto ciò che allontana i sani di mente da una politica seria a servizio della collettività. Se mastro gnomo, bontà sua, deciderà di entrare nei miasmi pd, farà parte dell’accozzaglia pure la Terminator della pubblica istruzione nonché maghetta scopritrice del tunnel cnr, oramai famoso al pari del binario magico 9 3/4 di Harry Potter, ed anche il terribile Brunetta da sempre di destra ed invaso da pensieri degni del mondo di mezzo. Tra gnomi e terminator votare il pd equivarrà ad assecondare il pensiero comune in auge nel radical chic: io so’ io e voi nun siete un c…! 
Buona fine!

Secondo Veronica


La tragedia folle di un cretino e quella pietà che manca ai vili
DI VERONICA TOMASSINI
Alika, sei morto sotto i colpi della tua stessa stampella. Non c’è più tempo, signori, per dire: fregatene. Fottitene. Non ti curar di loro. No fermati, invece. Guarda. Piazzati davanti, perché Alika, il mendicante nigeriano, il segno di contraddizione evangelica, il povero che di traverso molesta la nostra coscienza, nel frattempo è morto.
Il piagato e il rettile, il lebbroso biblico caduto sotto i colpi di un parvenu, di un impiegato della mediocrità, del cretino informato dalle fake, scoglionato e istruito dal giornalismo beotizzante, i talk miserandi, gli anchorman delle seconde serate; dalle costanti erezioni social a cui deve una certa gratificazione, un probabile leone da tastiera con un cosino piccolo così.
Non cercate ragioni metafisiche. A un cretino. È un cretino. Un cretino uccide sudando, ruttando, avvolto nel suo stesso nauseabondo meteorismo.
Il mendicante ucciso dal borghesuccio incafonito, molto consapevole di un Sé grosso quanto una palestra di dopati, un po’ tronista dentro. Il discepolo delle Isole e dei Grandi fratelli, di ogni metafora escrementizia che merita il nostro Paese, dei buoni e dei cattivi, degli sputi via etere, della fantasmagorica circense classe dirigente, del tizio ex ministro avvoltolato nell’esergo da crisi di governo, er nanerottolo, ed è già una notizia Ansa.
Per tutto ciò muore il nostro prezioso Alika, farfugliante la compassione, in un passeggio di vacanzieri. Non ti curar di loro. Perdonaci, Alika. Avrete modo di incontrarvi tutti quelli che abbiamo tradito nel vile adagio del “guarda e passa”. Noi funzionavamo nel jingle acclarato: “non ti curar di loro”.
Mentre ogni bassezza si compiva, dentro l’irascibile flatulenza del cosiddetto soggetto che non avremmo detto mai, giuro.

Eccetto che era semplicemente un cretino. 

Marco e le regole

 

La regola dei 2 errori
di Marco Travaglio
L’informazione all’italiana è talmente prevedibile da risultare commovente. Funziona così: si decide in partenza chi sono i buoni e i cattivi (o meglio lo si fa decidere ai padroni), a prescindere da ciò che fanno e dicono; poi si leccano i primi e si lapidano i secondi, qualunque cosa facciano; i buoni possono diventare cattivi e viceversa, secondo la convenienza del momento. Ma non i 5Stelle, che sono sempre cattivi. Anzi, sono la stella polare dei media, che adottano per loro l’apposita tecnica dell’“errore perpetuo”. A ogni scelta fra A e B, si tengono sempre pronti due articoli: A è una cazzata; B è una cazzata. Fanno riforme (dalla blocca-prescrizione al Reddito) che tutti invocavano da trent’anni? Siccome le fanno loro, chi le invocava scopre che sono schifezze. Minacciano la crisi se Draghi non risponde ai 9 punti sociali di Conte? Tutti dicono che è l’ennesimo penultimatum del Sor Tentenna che mai metterà a rischio le poltrone dei suoi, tutti venduti al sistema, altro che entrare in Parlamento e aprirlo come una scatoletta di tonno, ah ah le risate! Poi Draghi non risponde sui 9 punti, anzi li sputacchia (e prende a calci pure la Lega per esser proprio sicuro di farsi sfiduciare), e il M5S non dà la fiducia. Allora vai con l’altro articolo: per non elogiare la coerenza di chi non baratta le idee per le poltrone, lo si incolpa di averci orbati di un governo così fico da mettere in fuga persino il premier, ovviamente su ordine di Putin.
Stessa solfa per i 2 mandati. Pochi sanno (perché i media non lo dicono) che lo statuto Pd ha il limite di 3: solo che le deroghe sono così tante che nessuno se n’è mai accorto e chi dovrebbe dirlo – l’informazione – e chieder conto a Letta, fischietta e parla dei due mandati del M5S, con la solita tecnica del doppio articolo. Per anni si scrive che la regola è finta, figuratevi se quegli scappati di casa (sono il gruppo con più laureati, ma fa niente) e voltagabbana che urlavano contro le poltrone andranno a casa, altro che aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, ah ah le risate! Poi Grillo nega il 3% di deroghe e Conte si adegua (secondo noi sbagliando entrambi, in un’emergenza come questa). Pur di non lodarne la coerenza, tocca tirar fuori il secondo articolo: “I 5 Stelle azzerano gli eletti” (Corriere), “Grillo licenzia le stelle” (Rep), “Grillo riduce i 5 Stelle” (Messaggero), “Conte l’ammazza M5S” (Libero), “Grillo, schiaffo a Conte e Travaglio” (Giornale). Intanto, giusto in tempo per le urne, la Meloni, che non era più fascista perché atlantista, torna fascista e Salvini, che non era più putiniano perché draghiano, torna putiniano. Invece la berluschina Gelmini non è più l’Attila della scuola perché va con Calenda. Ah, dimenticavo: sapete perché Conte è uno stronzo? Perché è uno stronzo.

L'Amaca

 

Aspettando il pettirosso
DI MICHELE SERRA
Il mendicante ammazzato di botte da un energumeno non è un segno dei nuovi tempi. Al contrario, è segno che il nostro tempo ristagna, e tutto ciò che ristagna si guasta e marcisce.
Negli anni Ottanta i due teenager nazisti di Verona che si facevano chiamare Ludwig bruciavano vivi i senzatetto e i drogati, una maniera spiccia per arianizzare il mondo. “Gli incendiarono il letto sulla strada di Trento, riuscì a salvarsi dalla sua barba un pettirosso da combattimento”, così la raccontò De André nella sua terribileDomenica delle salme(1990), ripreso da Maurizio Maggiani nel suo bel romanzo “Il coraggio del pettirosso”.
Il sadismo e la brutalità contro gli indifesi si passano il testimone da generazioni. Il problema non è dunque l’insorgenza inspiegabile dell’odio e della prepotenza; piuttosto è la sua implacabile sopravvivenza, come se la civiltà fosse solo una finzione. E a renderci ancora più tristi è la scomparsa, o piuttosto il mancato avvento, del pettirosso da combattimento: tutti che fanno video, tutti spettatori, ben pochi hanno il coraggio di entrare in scena. A Recanati (ma che succede nelle Marche, così belle e un tempo così pacifiche?), poche ore dopo la macellazione a mani nude del mendicante a Civitanova, un barista ha fermato un omaccio del posto che stava accoltellando un africano, difficile dire se per razzismo o per generica ferocia. Dunque si può. Non solo si deve: anche si può.
Sui media facciamo scialo della parola “eroi”, sbrodolandola su qualunque persona (infermiere, volontario, soccorritore, cane da salvataggio) che sta semplicemente facendo il suo mestiere. Ma non abbiamo bisogno di eroi, abbiamo bisogno di pettirossi. Non di retorica, ma di mani forti che sappiano disarmare.

sabato 30 luglio 2022

In attesa



Chissà che strali partiranno dal Giornalone di Papà Godot Molinari, che è anche un dipendente dei sabaudi ma prima di tutto un giornalista…

Cattivone!

 



Tutto questo caos davanti alla notizia, ferale per molti, che il Garante abbia seguito lo statuto del Movimento 5 Stelle, pone dubbi e genera pensieri, primo fra tutti: eavoikekaxxovenefrega? Già perché i signori del vapore sembrano molto traumatizzati dinnanzi ad un fatto per loro fuori da ogni logica, visto che intendono la politica come un mestiere, un lautissimo mestiere. Occorre però precisare un aspetto: il limite dei due mandati sarebbe giusto e sacrosanto se nel contempo si fosse pensato a formare giovani e meno giovani, con l'affiancamento, al prossimo ricambio parlamentare. E questa è una pecca. Grillo ha il diritto di applicare le regole, queste sconosciute per molti, ma occorreva appunto creare in tempo uno gruppo pronto a sostituire coloro che sono al termine del secondo mandato.
Detto questo il coro laido degli immoti alfieri della politica mestierante è qualcosa di indecoroso ed indegno. Vedere Pierfi pronto a duellare per superare i quarant'anni di parlamento, o Calderoli, La Russa, Gasparri, Gasparri!!! solo da 31 anni ad acchiapparsi 15mila euroni mensili, provoca stipsi e foruncolosi varie, tanto è il disappunto.

La politica non dovrebbe essere un mestiere, bensì un servizio alla società civile e chi ha superato il limite che lo stato dovrebbe imporre, si dovrebbe togliere dai coglioni e godersi la tanto amata pensione, d'oro naturalmente.
E invece vediamo topastri in giro mendicare un altro scranno, un'altra poltrona, come non pensare a Giggino sfanculante le regole, una volta protette apparentemente con tutto sé stesso ed ora squittire alla ricerca di un maleodorante luogo ove continuare la politica agiata, vedasi il partito dei sindaci senza alcun sindaco presente? E il Bimbominkia con amichetta aretina pronti a far fuoco e fiamme per un seggio sicuro che Ronf Lettino parrebbe non assicurar loro?
Spaventa certo la scelta del Movimento, al punto che ognuno di lor signori si prende licenza di dir la sua in merito, deridendo una scelta statutaria cercante di ridurre al massimo l'abbraccio in stile sirena del luogo per antonomasia ricettacolo di privilegi fuori della portata del popolino votante, che siamo noi.

Speriamo che il corpo elettorale allontani più mestieranti possibile, spedendoli finalmente nel giusto anonimato, dorato anch'esso, ma per lo meno in grado di non farli più nuocere al bene sociale.

Che strano...

 

Novavax funziona (ma non si usa)
di Maria Rita Gismondo
Sussurriamo, per non disturbare le aziende che fino a oggi ci hanno fornito i vaccini anti Covid-19, che anche negli Usa il Cdc (Centro statunitense per il controllo delle malattie) ha approvato il vaccino Novavax, per l’uso negli adulti. Sarà distribuito e disponibile fra qualche settimana E, malgrado il quasi assoluto silenzio, in Italia, l’Aifa si è già pronunciata favorevolmente lo scorso 22 dicembre. Sono trascorsi più di sette mesi, ma il suo utilizzo stenta ad affermarsi. Nei report vaccini della Presidenza del Consiglio, risulta che sul totale di 141.971.225 di dosi distribuite, delle quali somministrate 138.943.026, quelle (distribuite) Novavax sono 1.023.000. Altre fonti riferiscono che ne sono state utilizzate solamente qualche decina di migliaia. Perché? È un vaccino che aveva creato attese, perché diverso dal punto di vista della sua composizione basata non sulla tecnologia genica ma su quella dei ricombinati proteici, utilizzando la proteina spike del virus Sars-CoV-2. Come spesso troviamo in altri vaccini, è presente un adiuvante, cioè una molecola che riesce a potenziare l’effetto immuno-stimolante del principio attivo. Si tratta del cosiddetto Matrix-M, che contiene estratti di saponina dalla corteccia dell’albero di Soapbark, originario del Cile. Lo schema di vaccinazione prevede due dosi per via intramuscolare, a distanza di 21 giorni. I dati oggi disponibili riferiscono una copertura immunologica di 6 mesi. Dopo tale periodo è consigliabile una terza dose, che innalza ancora di più tale immunità, anche di 4-6 volte. Effetti collaterali, fatta eccezione qualche transitoria reazione locale, praticamente nessuno. Il vaccino Novavax non solo è in grado di prevenire la malattia grave o moderata nel 100% dei casi, ma anche l’infezione al 90%, effetto che, seppur atteso, non ci hanno dato gli altri vaccini. Ci aspetteremmo festeggiamenti e fuochi d’artificio! Da informazioni pervenute, che meritano approfondimento, pare che ottenerlo negli hub sia molto difficile. Eppure con in giro un virus molto infettivo sarebbe utile un vaccino che finalmente previene l’infezione.

La cura di Marco

 

La cura omeopatica
di Marco Travaglio
L’ultima trovata del cosiddetto centrosinistra è geniale: battere le destre con le destre. Cioè con l’omeopatia: scippare alle destre parlamentari e ministri, dargli una passata nell’autolavaggio Azione, candidarli nell’ammucchiata Democratici-Progressisti guidata dal democristiano con gli occhi di tigre. E naturalmente sperare che gli elettori di destra ci caschino, seguendo gli esponenti di destra nel centrosinistra, che potrà governare con esponenti di destra. Ove mai non accadesse, il risultato sarebbe ancor più strepitoso: la destra al governo con nuovi esponenti di destra e il centrosinistra all’opposizione con vecchi esponenti di destra che passeranno il tempo a domandarsi che ci fanno all’opposizione quando, essendo di destra, potrebbero stare nel governo di destra e ovviamente non faranno alcun’opposizione perché sono di destra. Non parliamo di idee perché, nel mutuo teatrino del voto utile (“Votate per noi, sennò vince il babau fascista/comunista”), meno ne hai e meglio è.
Brunetta ha trascorso 30 anni a insultare e combattere chiunque non fosse di destra: lavoratori, sindacalisti, pm, eletti ed elettori sgraditi a B.. Ora passa al centrosinistra con la stessa fulminea disinvoltura con cui si cambia i calzini (non deve neanche piegarsi). E nessuno gli chiede almeno di scusarsi, ammettere di avere sbagliato, spiegare perché ha cambiato idea (se l’ha cambiata). La Gelmini ha trascorso 30 anni a beatificare il suo capo pregiudicato, ad attaccare i magistrati che lo processavano e i giornalisti che lo criticavano, a sparare minchiate cosmiche (la celebre “costruzione del tunnel tra il Cern e i laboratori del Gran Sasso”), a farsi consigliare dal piduista-piquattrista-pregiudicato Bisignani e a devastare la scuola con la schiforma che cancellò 100mila insegnanti e tagliò 8,4 miliardi in tre anni. Contro la Gelmini il centrosinistra che ora la candida scese in piazza decine di volte. Ieri è entrata nella premiata lavanderia Calenda e il titolare, anziché nasconderla nella speranza che non la notasse nessuno, l’ha strombazzata con tamburi, grancasse e l’aria di chi ha scoperto la nuova Golda Meir o Indira Gandhi rediviva. Tanto sapeva che nessun giornalista avrebbe disturbato con qualche domanda a lui sulla famosa competenza dei suoi candidati, a lei sulla sua schiforma e il tunnel, a Letta sulle sue amnesie dolose. Rep, per dire, dedica a “Calenda, l’uomo mercato corteggiato da tutti” una pagina di soffietto, con tanto di ingrandimenti dei tatuaggi: “La A di Azione presa dagli Avengers, lo squalo e SPQR” (mecojoni). E avvincenti note autobiografiche su Carletto ragazzo padre che “a 16 anni fece una figlia” e rivela: “Le cambiavo i pannolini e la allattavo”. Che tenero: così giovane, e aveva già le tette.

L'Amaca

 

L’unico girone dell’inferno
DI MICHELE SERRA
Non c’è sunto più efficace della miseria umana, e pure della idiozia umana, del breve video nel quale si vede un prete ortodosso, di osservanza russa, che picchia con la croce un altro prete ortodosso,di osservanza ucraina.
L’efferata scenetta sembra architettata da una lobby di atei — ammesso che gli atei, la minoranza meno rappresentata al mondo, possano permettersi una lobby. Viene da ridere e viene da piangere, che sono le due sole forme di reazione umana di fronte al disumano, o al subumano.
La croce come corpo contundente è una parodia blasfema (fatta da un prete!) del sacrificio del Cristo, che secondo quanto è scritto non morì né per la Russia né per l’Ucraina, ma per l’intera umanità. “Russia” e “Ucraina”, al pari dei nomi di qualunque tribù al mondo, sono, al cospetto del cosmo, meno di niente. E trova conferma, vedendo la scena, l’idea che l’uso della religione come arma politica, dunque come arma impropria, sia uno di quelli storicamente più diffusi.
Vedi il commovente viaggio penitenziale del Papa tra i nativi americani: crocefissi pure loro dalla colonizzazione euro-cristiana.
La fede come strumento del potere locale è disgustosa, perché per sua natura dovrebbe, la fede, diffidare del particolare e alzare lo sguardo all’universale. Maledetti i preti che alzano la croce per benedire la Nazione, o per benedire i cannoni, pochi esseri umani sono più spregevoli di loro. Ogni guerra di aggressione ha avuto i suoi certificatori religiosi, pronti a garantire che ad armare gli eserciti fosse Dio in persona. Se esistesse l’inferno avrebbe un solo girone, e sarebbe il loro.

venerdì 29 luglio 2022

Sta arrivando

 


Benvenuto Charles!




Battiato docet



“Cerco un posto di comodità permanente
che non mi faccia mai cambiare status
alla faccia della gente”

Stranezze



Non mi capacito! Ero deciso a non rinnovare con Dazn, visto l’aumento selvaggio… poi ne ho fatti tre di abbonamenti! Sarà stato il mare?

Si dice in giro

 


Un De Masi molto interessante

 

La lenta fine della sinistra
IN CERCA DI UN’ALTERNATIVA - Dopo le scelte che hanno rinnegato le radici sociali, come privatizzazioni e articolo 18, la sacrosanta lotta alla Meloni offre l’alibi per imbarcare neoliberisti d’ogni tipo
DI DOMENICO DE MASI
Nel 1948, alle prime elezioni del dopoguerra, la sinistra era rappresentata da tre partiti (comunista, socialista e socialdemocratico); la destra (liberali, monarchici e neofascisti) era pressoché inesistente. Alle prossime elezioni, la situazione è rovesciata: questa volta inesistente è la sinistra mentre la destra è rappresentata da tre partiti. Lo ha già osservato Giulio Gambino su Tpi e vale la pena ribadirlo.
Cosa è successo in questi 74 anni? I partiti di sinistra sono il riferimento politico delle classi disagiate. Non esistono più queste classi? Tutt’altro. Politiche economiche, pandemia e guerra legittimano l’ipotesi che nel prossimo autunno almeno 12 milioni di italiani vivranno in condizioni penose. A essi vanno aggiunte le centinaia di migliaia di stranieri, clandestini e non, che subiscono uno sfruttamento sistematico.
Ma la questione non riguarda solo i poveri. Anche molti giovani e meno giovani che superano la soglia della povertà vivono in uno stato di precarietà perenne, imposta dalla politica economica neo-liberista che della precarietà e del rischio diffusi ha fatto i suoi principi fondamentali. “Siamo tutti in soprannumero” denunziava André Gorz già molti anni fa.
I partiti di sinistra hanno intercettato solo in parte questa massa crescente di precari: nell’estate del 2019 i sondaggi davano il Pd e la Sinistra al 24,4% delle dichiarazioni di voto; dopo 31 mesi, il 25 luglio scorso, i tre partiti sono saliti al 29% ma con l’aggiunta dei Verdi. Se all’aumento degli emarginati non corrisponde un parallelo aumento delle adesioni ai partiti di sinistra, c’è qualcosa che non funziona nei loro paradigmi e nelle loro macchine organizzative.
Negli ultimi decenni del secolo scorso, gli intellettuali discussero molto sulla validità delle due categorie “destra” e “sinistra”. Per alcuni (ad esempio Massimo Cacciari) esse erano ormai destituite di significato teorico e di utilità operativa. Per altri (ad esempio Norberto Bobbio e Marco Revelli) esse restavano valide e il carattere distintivo della sinistra consisteva nell’egualitarismo. Per chi volesse ricostruire lo stato dell’arte nel dibattito destra-sinistra, rinvio a un mio saggio pubblicato nell’ultimo numero di MicroMega. In sintesi si può dire che oggi la contrapposizione frontale è tra neoliberismo, che si risolve fatalmente in aumento delle disuguaglianze, e socialdemocrazia che le riduce.
La distinzione è netta e chiara, ma nell’ultimo mezzo secolo i leader di sinistra hanno fatto a gara per disorientare i cittadini. Si pensi, ad esempio, agli esperimenti di “terze vie” alla Tony Blair. Ma in Italia il disorientamento è iniziato subito dopo la morte di Enrico Berlinguer, quando le sinistre caddero in un insano innamoramento per il neoliberismo considerato come salvifica modernizzazione. Se si pensa che, negli anni 90, quando Mario Draghi fu Direttore generale del Tesoro e presidente della Commissione per le privatizzazioni, la furia privatizzatrice contro le industrie di Stato e il settore pubblico non fu sferrata da leader neoliberisti come Berlusconi o Dini, ma da socialisti e comunisti come Amato, Bersani e D’Alema, ci si rende conto del disorientamento in cui è stato via via trascinato il popolo di sinistra. Il capolavoro perverso, allora compiuto sotto l’accorta regia di Draghi, negli anni successivi si è ripetuto più volte, sotto altre regie meno raffinate. Si pensi all’articolo 18 abolito non da Berlusconi, leader di Forza Italia, ma da Renzi, leader del Pd. E si pensi, da ultimo, allo stesso Pd che, per fare fede alla sua natura di sinistra, dovrebbe esibire con orgoglio un programma socialdemocratico e che invece fa sua l’agenda di un liberista come Draghi, dopo essere stato il massimo sostenitore del suo governo.
Il compimento del capolavoro disorientante si compie con disinvoltura in questi giorni in cui la sacrosanta lotta alla Meloni offre l’alibi per imbarcare nel Pd neoliberisti d’ogni tipo che vanno ad aggiungersi ai neoliberisti già da tempo sistemati al suo interno. Ciò comporta che, se anche si vincesse la battaglia contro le destre, subito dopo per le classi disagiate inizierebbe comunque il supplizio dell’ulteriore impoverimento, dovuto a un governo apparentemente di centro-sinistra ma in realtà neoliberista.
A questo punto la situazione è pressoché disperata. Per affrontare “da sinistra” e in modo non deprimente le prossime elezioni occorrerebbe che si verificassero condizioni al limite dell’impossibile: che il Movimento 5 Stelle si posizionasse decisamente a sinistra con un adeguato programma e una sicura coscienza; che formazioni come Sinistra italiana, come la Fondazione Carlo Rosselli, come il gruppo “Prima le persone” e come tutti gli altri innumerevoli gruppi e gruppuscoli orfani della sinistra, in cui sono rintanati molti intellettuali di prima qualità, si aggregassero almeno per un’alleanza tecnica, senza reciproci veti, in modo da sconfiggere le destre nei collegi maggioritari. Mal che vada, si avvierebbe così la lunga marcia verso le elezioni del 2027.

Sempre lui!

 

Sala & Tabacci
di Marco Travaglio
Stavamo per cascare nella trappola dello scoop della Stampa sul ruolo dell’ambasciata russa nella decisione di Salvini di negare la fiducia a Draghi. Poi ci ha aperto gli occhi una prova più rocciosa della smentita di Gabrielli: la firma di Jacopo Iacoboni. Noto negli ambienti del fantasy perché vede Putin dappertutto, anche nella siccità e nell’acidità di stomaco, il commissario Iacoboni è il segugio che smascherò la Mata Hari putinian-grillina Beatrice Di Maio, salvo scoprire che era la moglie di Brunetta (che ora si spera segua il marito nei Democratici Progressisti cari anche a Iacoboni). Del resto, se la caduta di Draghi l’avesse voluta Putin, il suo primo complice sarebbe Draghi, che vi si è impegnato molto più di lui: per fare un dispetto a Putin gli sarebbe bastato non insultare la Lega e i 5Stelle mentre chiedeva loro la fiducia. Invece s’è sfiduciato da solo, putiniano che non è altro.
In attesa del prossimo scoop del commissario sul ruolo di Putin dietro la triade monnezza-cinghiali-incendi a Roma ora che non c’è più la Raggi, la notizia del giorno la dobbiamo al Foglio. Infatti riguarda un fenomeno clandestino quasi quanto il Foglio: il Partito dei Sindaci che impegna Di Maio, Tabacci e Sala. Impegno comprensibile per Di Maio e Tabacci, a caccia di un posto al sole e soprattutto a sedere; meno per Sala, che già fa il sindaco. Tabacci porta il simbolo Centro democratico che, già presente in altre elezioni (dal Pleistocene), non necessita di firme e viene offerto ogni volta in franchising al bisognoso di turno: nel 2018 la Bonino, ora i postulanti dimaiani che, non arrivando a 73,5 elettori, 73.500 firme se le scordano. Lo scopo dichiarato è “dare voce ai 2mila sindaci per Draghi”. Ma, nota sconsolato il Foglio, “all’accordo manca il punto fondamentale: trovarli questi benedetti sindaci. Almeno uno”. Be’, dài, almeno un paio su 2mila si troveranno, no? No: “Nessuno vuol fare la figura del fesso che mette la faccia su un cartello che rischia di servire solo a rieleggere Di Maio, Tabacci e qualche altro fedelissimo” (un pensiero commosso alla Azzolina e agli altri 62 geni che fanno da poltrona a Giggino). Si dava per scontato Pizzarotti (che fra l’altro non è sindaco), ma si defila persino lui: “Non ho aderito a progetti elettorali”. Ah ecco. Sala sindaco lo è, ma proprio per questo non può: “Do una mano a Di Maio, ma non farò parte di nulla”. Mannaggia. “Manca il front runner”, qualunque cosa significhi: Sala potrebbe prestare Stefano Boeri, che però fa l’architetto, non il sindaco. E andrebbe perlomeno interpellato: mica è un ficus. La notizia più ferale è che si sta scoglionando pure Tabacci: “Non parlo di cose elettorali, non ho tempo da perdere, sto lavorando al Cipess”. O al Cipress.

giovedì 28 luglio 2022

Travaglio!

 

La Tigre di Lexotan
di Marco Travaglio
La campagna elettorale è appena cominciata ed è già tutto chiaro. Siccome il Rosatellum impone le alleanze elettorali più larghe possibili, la coalizione favorita – la destra – tiene dentro tutti, mentre quella sfavorita – il centrosinistra – tiene dentro chi non ha i voti e fuori chi li ha. La destra litiga su chi fa il premier: Salvini e B., in picchiata nei sondaggi, non vogliono la Meloni, colpevole di essere prima. B. dice che “Meloni spaventa i nostri elettori”, che però sono un quinto di quelli di FdI, cioè molti meno di quanti ne spaventa lui. Se passa la regola del “vinca il peggiore”, alla fine a Palazzo Chigi andrà Lupi, o Cesa. Il Pd invece, avendo scelto di perdere, non ha il problema del premier: Letta parla solo di quello vecchio, sotto forma di Agenda Draghi. Seguiranno Portapenne Draghi, Gomma Draghi, Svuotatasche Draghi e tutto il set. Più che il premier, Letta vuol fare il “front runner”, che nessuno sa cosa sia, tranne che è come “un quadro di Van Gogh” (una natura morta) e ha “gli occhi di tigre”: la Tigre di Mompracem, anzi di Lexotan. Calenda invece rivuole Draghi e si allea con Letta solo se giura che non farà il premier. Se poi Draghi non vuole, “al massimo il premier lo faccio io”: si sacrifica lui.
Siccome il perimetro di Letta è l’Agenda Draghi, i 5Stelle sono fuori perché nell’ultima settimana non gli han votato la fiducia: invece Fratoianni, che non gliel’ha votata mai per 18 mesi, è dentro. E fa coppia fissa con l’ambientalista Bonelli nel Cocomero rosso-verde, simbolo ortofrutticolo della transizione ecologica che è l’opposto del programma del neoalleato Calenda. Il quale, se tutto va bene, porta con sé mezza FI: Brunetta, Gelmini, Carfagna e tal Giusy Versace, che “non riconoscono più i toni di Berlusconi” (in effetti è da un po’ che non dà dei “comunisti con le mani sanguinanti” ai pidini e dei “coglioni” ai loro elettori, non fa bisbocce con Putin, non mima il mitra alle giornaliste russe, non ripete che “i giudici sono un cancro da estirpare”, non loda il Duce e non racconta quella della mela al doppio gusto). Col Pd c’è anche il Partito dei Sindaci, nato da un furtivo amplesso fra Di Maio e Sala allo scopo di candidare Di Maio, che non è sindaco, e Pizzarotti, che non lo è più e ha passato gli ultimi cinque anni a insultare Di Maio. Sala invece sindaco lo è, ma non si candida, e come lui nessun altro sindaco: per entrare nel Partito dei Sindaci bisogna non essere sindaci. E ovviamente avere un simbolo, fornito da Tabacci, che l’ultima volta l’aveva prestato alla Bonino, che adesso sta con Calenda e ha liberato il posto. Ora manca l’insegna: Sala&Tabacci.
Conte corre da solo con i 5Stelle. E Grillo, dopo 18 mesi di impegno indefesso per affossarli, pare minacci di fare finalmente qualcosa per loro: andarsene.

mercoledì 27 luglio 2022

Accontentiamoci



Certo, un aperitivo a Castelpusterlengo o a Seregno ha un altro fascino. Ma accontentiamoci!

Ancora uno sforzo…



Ormai mancano solo Rosa e Olindo che parlino di buon vicinato e poi ci potremmo mettere sereni in riva al mare ad attendere Armageddon!

Spifferi

 



Marco e la storiaccia di sinistra

 

9 anni e non sentirli
di Marco Travaglio
Lo dicevo io che bisognava seguire la Direzione Pd. Letta è stato spiritoso (“i sondaggi ci premiano per la nostra linearità e nettezza”). Ma soprattutto chiaro: “Con Forza Italia abbiamo lavorato bene nel governo Draghi”. Poi, proprio sul più bello, i berluscones hanno negato la fiducia. Ma è stato il loro unico errore. Non invocare la cacciata dei 5Stelle, non proporre di abolire il Rdc, non respingere il salario minimo e gli altri 8 punti sociali di Conte, non combattere la transizione green a suon di trivelle, inceneritori e rigassificatori, non sposare la schiforma Cartabia e la controriforma fiscale pro ricchi, non fare muro su catasto e balneari, non sostenere i referendum per l’impunità, non bocciare – per citare le uniche proposte del Pd in 17 mesi – lo Ius Scholae, la legge Zan e la mini-tassa di successione per i patrimoni sopra i 5 milioni. Quelli sono pregi: “Dobbiamo convincere gli elettori di FI a votare per noi”. E meno male che B. non ha votato la fiducia, sennò entrerebbe pure lui di diritto nei Democratici e Progressisti con Calenda, Di Maio, Brunetta, Gelmini, Carfagna e forse – non poniamo limiti – Toti e Brugnaro.
Mentre Letta nipote (tutto suo zio), parlava, sul suo profilo Fecebook la base indignata invocava Bersani e Conte. Ma lui stroncava sul nascere il dissenso (peraltro invisibile: in Direzione nessuno ha osato contraddirlo, come i bei tempi di Renzi): “Sul M5S i nostri elettori han dato un giudizio lapidario”. E chissà dove, visto che non sono stati consultati neppure gli iscritti. Qualcuno si domanderà come possa il segretario, mentre sbarra le porte agli alleati nell’unico governo di centrosinistra della legislatura, elogiare un partito di destra guidato da un pregiudicato, plurimputato, pluriprescritto, finanziatore di Cosa Nostra, tuttora indagato per strage. Altri vorranno sapere perché le 9 misure progressiste chieste da Conte a Draghi non le abbia proposte il Pd. Domande oziose, tipiche di chi non è ancora guarito dal virus della sinistra. E di chi ha rimosso il governo Letta (2013-’14), chiave di lettura indispensabile per l’oggi. Affossato Bersani col tiro al Prodi e col bis di Napolitano, Letta andò al governo con FI e i montiani. E per 10 mesi non fece assolutamente nulla, tranne abolire l’Imu sulle case dei ricchi (come promesso a B.), attentare all’art. 138 della Costituzione (come promesso a re Giorgio) e inseguire B. in fuga perché il Senato voleva cacciarlo dopo la condanna (per la Severino). B. se ne andò lo stesso, ma Letta si resse per altri tre mesi grazie alla scissione dei forza-poltronisti Alfano&C. Poi arrivò la giusta punizione: Renzi. Otto anni dopo, ricomincia con gli stessi ingredienti. Comunque vada, sarà un successo.

Robecchi e l'annacquato PD

 

Pillole per votare. Credere al Pd? Servirebbe la sedazione di massa
di Alessandro Robecchi
Quella cosa delle pulci con la tosse non è del tutto sbagliata, e la spiega molto bene Matteo Renzi: “Se pensano di poterci abbindolare con due seggi non ci conoscono”. Tranquillo, vi conoscono, ma già siamo alla battaglia per i posti (pochi), e sempre meno blindati (traduco: niente seggi sicuri a Bolzano), quindi a breve assisteremo a spettacolini poco decorosi in cui si sommeranno preghiere e minacce per salire sul pittoresco carro di Enrico Letta. Secondo altri, addirittura, sul carro dovrebbe salire lui. Dice Calenda che il suo programma è quello lì, se il Pd ci sta bene, sennò farà da solo (cioè, con Bonino, cioè da solo).
È uno strano modo di condurre una trattativa, un po’ come andare a comprare una Porsche con trentacinque euro e, incredibilmente, trovare un concessionario che dice, va bene, qua la mano. Misteri che la direzione del Pd di ieri non ha del tutto chiarito, e non era possibile, anche perché non si sa dove mettere nel mazzo né alcuni centristi un po’ imbarazzanti (chiedere ai propri militanti di votare Brunetta, specie se sono dipendenti pubblici insultati per anni, non sarà uno scherzetto), né chi si definisce orgogliosamente “a sinistra del Pd” e che poi vota come il Pd, torna a casa Lassie.
Ma sia, la cronaca la conosciamo, da qui alla formazione delle liste, in confronto, la corte dei Borgia sembrerà la famigliola del Mulino Bianco. E questo è il prima, lo stupefacente “qui e ora”, che già scoraggia un bel po’. E poi, per scoraggiarsi definitivamente, ci sarebbe “il dopo”. Nell’ipotesi, al momento improbabile, che i “democratici e progressisti” riescano a resistere alla destra, si troverebbero dentro un po’ di tutto, il bar di Guerre stellari. Non so, Gelmini e Fratoianni, per dire, magari con un peone alla Camera di nome Renzi, un Calenda che detta le tavole della legge, tutti a sventolare l’agenda Draghi. Dove, faccio notare, alcune cose sono scritte sempre al futuro, lo ius scholae si farà, il salario minimo si farà, l’agenda sociale si farà, vedremo, forse. Nel programma di Calenda, per dire, c’è che bisogna “militarizzare” (testuale) i siti dove si prevedono inceneritori o rigassificatori, e non so se un governo di “democratici e progressisti” possa veramente usare l’esercito così, a capocchia di Calenda. O la detassazione totale per le assunzioni di under 25, che sarebbe un altro regalo sontuoso ai datori di lavoro.
Non se ne esce, a meno che non ci venga in aiuto la scienza. Una pillola che fa dimenticare sarebbe l’ideale, una specie di amnesia universale, un vuoto di memoria che consenta all’elettore di scordarsi tutto. Credere a un’ipotetica “agenda sociale” promessa da tutti quelli che hanno votato il Job act o il decreto Poletti è possibile soltanto in caso di grave ottundimento. Lo spettacolo di una classe politica che ha governato per dieci anni negli ultimi undici e che ora dice di voler fare l’esatto contrario non è tollerabile, a meno, appunto, di procurarsi una forte amnesia, di svegliarsi dopo un coma decennale e ritrovarsi in un mondo fatato dove il Pd parla di salari e di precarietà. Per ora la precarietà che si sta sistemando è quella dei disperati sotto il tre per cento che si presentano minacciosi, ma col cappello in mano.
Una sedazione di massa sarebbe invero utile. Potrebbe riportarci alla fine del governo Monti, quando si dicevano dell’“agenda Monti” le stesse cose che si dicono ora dell’“agenda Draghi”, quando si pronunciavano solenni “mai più” e laboriosi piani di rilancio a sinistra. Ed eccoci all’oggi, dieci anni fa tondi tondi.

L'Amaca

 

La carrozzina e la prateria
DI MICHELE SERRA
Il vecchio signore in carrozzina che va in Canada a chiedere scusa ai nativi nordamericani, soggiogati, derubati e decimati dai cristiani d’Europa, commuove e consola. Gesto non dovuto, dunque gesto molto voluto.
Lascia capire che i tempi del pensiero, quando il pensiero è profondo, sono lunghi, reggono il passo dei secoli, non tengono in alcun conto le convenienze e le piccole ragioni.
Quello del Papa è un omaggio non preteso, non imposto da alcuna agenda politica.
Evoca tragedie lontane, consumate, già molto prima del Novecento, nel vortice della smisurata energia, avidità, ambizione dell’uomo bianco in cerca del suo bottino.
I morti parevano presenti, nella sconfinata distesa d’erba attorno al Papa in carrozzina. Li si sentiva respirare. I guerrieri come i bambini, come le donne derubate dei figli per “civilizzarli”. Perché proprio così avvenne, e per quella gente la croce e il Winchester furono comunque due strumenti della stessa sottomissione (che è l’esatto contrario, lo ha detto il capo della Chiesa, dell’evangelizzazione).
Quanto al vecchio, la sua immobilità, in quegli immensi spazi, non gli è stata d’impiccio. Chinava la testa, ornata di penne alla maniera degli “indiani”, e chiudeva gli occhi. Negli scampoli di telegiornale dedicati a quel viaggio, schivando le tonnellate di notizie elettorali, di facce di politici intenti a dire “io”, di altre vecchiaie assai meno decorose, ci è sembrato che quella carrozzina appartenesse alla prateria, e il suo cavaliere conoscesse il suono del vento e del galoppo.

martedì 26 luglio 2022

Avatar


Sto seguendo su La7 uno che assomiglia ad un altro che qualche tempo fa s’affacciò dal balcone annunciando la fine della povertà e che un’altra volta andò a stringere la mano ai gilet gialli francesi, e che ha sempre combattuto quelli che d’attaccano alle poltrone. Questo avatar poverino sembra un mix tra Forlani, Fanfani e il Gobbo. Preferivo quell’altro.

Abnormità



Pare che un innovativo corso di autostima, ancora da testare scientificamente, sia sfuggito di mano agli sperimentatori, creando degli abnormi palloni gonfiati, tra cui spicca un pariolino ex ferrarista, ex assistente di Montezemolo a Confindustria, battuto e sbeffeggiato a quasi tutte le elezioni a cui ha partecipato, ma ora, a causa del corso degenerato, auto convintosi di essere un politico in grado di guidare una nazione, e la sfortuna ha voluto che incontrasse un sonnolento leader di quello che fu un partito di sinistra, il quale crede che un’accozzaglia di nanetti insulsi possa arrestare l’ascesa del “nero perdisempre.” Attualmente l’ambiente scientifico brancola nel buio.

In ricordo

 

Don Gianluigi Bagnasco, scomparso ieri, era una figura di sacerdote atipica, di quelle che la letteratura sforna ogniqualvolta si voglia insaporire un testo con il profumo della figura di un prete. 

Apparentemente sulle sue, don Gianluigi era irrorato di una venatura d'allegria che faticavi a trovare ma che una volta scoperta, ti faceva vieppiù apprezzare aspetti apparentemente faticosi, in primis le sue prediche, di una lunghezza a volte inducente alla micro pennichella di cui sono da tempo immemore portatore sano. 

Fu lui che, per una misteriosa e mai compresa serie di eventi, accolse negli anni 80 la mia richiesta di assaporare il seminario, in una domenica d'estate in cui col motorino mi recai nella parrocchia di S.Stefano per molti anni da lui retta. Di quel momento ricordo la sua pacatezza, l'agevolazione leggera impressami a tentare di comprendere se quel sentimento si sarebbe in seguito trasformato in vocazione. 

Non si intromise mai nella ricerca, rimase quasi con timidezza ai margini della mia avventura, venendomi a trovare solo una volta nei pochi mesi trascorsi a Sarzana, con raro tatto e soffice presenza per nulla ingombrante. 

Nella casa diocesana di Cassego don Gianluigi partecipava a qualche campo estivo, senza mai perdersi la settimana delle famiglie a cavallo di Ferragosto. Ricordo che un anno, che non saprei fissare temporalmente, al termine della messa, e della sua interminabile omelia, decidemmo di fare una partita, schierandoci in formazioni comprendente da una parte lui e dall'altra il suo alter ego, don Paolo, alias Cassego in persona. Ad un certo momento della gara, don Gianluigi spedì in orbita il pallone e subito, gli partì un grido con il versetto evangelico "Cercate le cose di lassù!" tra il divertimento generale. 

Ha sempre vissuto da sacerdote la sua esistenza terrena, collaborando in pieno al misterioso progetto divino. 

Ora che è entrato nella Bellezza lo voglio salutare sperando che, nel gaudio avvolgente in cui vivrà l'eternità, ci invii rinforzini, possibilmente brevi, per proseguire la strada sconnessa che un giorno, chissà, dovrebbe congiungersi al Tutto! 

Vivi nella Gioia don!    

Illogicamente auguri



Oggi sono misteriosamente 79!! Auguri Sir Mick!

Rivotiamoli!



Ci sto facendo un pensierino, soprattutto perché diventa vitale sostenere ella ed ello, ad un passo dall’estinzione. Girerei per i lidi assolati cercando di convincere turisti ed indigeni sulla necessità di continuare ad avere in parlamento due come loro, caparbi, inflessibili, mai fuori dai confini di quella impavida forma di sinistra progressista che tanto bene ha profuso durante la rinascimentale Era del Ballismo! Dammi il 5 e speriamo che il popolo rielegga due come loro! Quasi quasi m’iscrivo…

Letta letto da Daniela

 

Letta dagli occhi di tigre si crede rocky, ma è sordi

DI DANIELA RANIERI

In vista del campo larghissimo con dentro cani e porci (non è un’offesa: è un modo per dire “tutti dentro senza eccessive schizzinosità”, abbiamo molto rispetto e di cani e di porci), Enrico Letta si sta già renzizzando: “Io ho gli occhi di tigre. Chiederò a tutti i candidati di avere gli occhi di tigre”, ha detto. Altrimenti perché, se non per far sentire a casa il più grande sfornatore di slogan-baggianate d’Italia, raggiungere tali vette di albertosordismo?

Ma forse Letta vuole significarci qualcosa con codesta metafora. Scartato subito il richiamo alla tigre di Blake e alla sua “spaventosa simmetria” (figuriamoci, il Pd è il partito del midcult, mica della cultura vera), non resta che l’ovvia citazione pop di Rocky III: “Non puoi vincere, Rocky: quel tizio (la Meloni, ndr) ti fa secco nel giro di tre round! Ha la fame di un bulldog!”; poi Rocky si allena con la canzone The eye of the tiger e vince.

O vuole trasmettere il fuoco sacro di fare politica che lo abita, peraltro già evidentissimo col contributo di lotta di classe dato dal Pd al governo Draghi? O è un modo di mettere paura all’avversario, tipo danza maori della nazionale di rugby neozelandese?

Dalle parole di Letta non si cava molto. Le riportiamo testuali: “Occhi di tigre non sono una frase fatta, ma il modo col quale noi, che siamo consapevoli di essere dalla parte della ragione e siamo consapevoli anche che sarà da come gli italiani ci vedranno in azione che le nostre proposte diventeranno vincenti oppure no”. Mah.

Non avendo contatti diretti con chi gli cura la comunicazione, dobbiamo arrangiarci con le supposizioni. Esiste una pietra detta “occhio di tigre” che tiene lontana la iella; che Letta si sia dato alla cristalloterapia? È una cosa Zen, il verso di un haiku, un consiglio di Osho? Letta ha fatto l’i-Ching e gli è uscito l’esagramma 27 (“Scrutare in giro con occhi attenti come una tigre in brama insaziabile”)? È andato al bioparco e alla sezione grandi felini ha pensato “che paura gli occhi della tigre!, se ci fosse qui Giorgia Meloni si spaventerebbe moltissimo”? Ma poi perché la tigre, e non, ad esempio, il dragone, a proposito di brama insaziabile per il Pnrr e del brivido bollente suscitato dall’agenda Draghi? Forse è un rovesciamento del giaguaro da smacchiare di Bersani, lì dove la bestia era Berlusconi, mentre qui ci si imbestia per sbranare la destra (o il M5S?). Chissà. Ma magari è solo un titolo da gettare in pasto ai giornali, che infatti ci si sono avventati, non avendo il Pd uno straccio di programma (anzi ce l’ha: quello di Draghi-Renzi-Di Maio-Calenda-Bonino-Brunetta-Gelmini-Toti-Carfagna), come si avventarono il giorno del suo insediamento sulla formuletta “anima e cacciavite” (a proposito, dove stanno? Che ci ha fatto, Letta? L’anima l’ha data al governo Draghi, che ne abbondava, specie nei confronti dei poveracci, ma il cacciavite? L’avrà rubato qualcuno alla buvette?).

Naturalmente a nessuno viene in mente di chiedere a Letta (che di preferenza i manifesti li pubblica sul Foglio, il giornale più neo-liberista d’Italia, che però campa con gli aiuti statali), come mai finora ha remato contro il Reddito di cittadinanza e il Decreto dignità, e sul salario minimo è stato a dir poco reticente, e adesso parla impunemente di “agenda sociale” con quel po’ po’ di compagnia di giro.

Siccome si sentiva troppo sbilanciato sul marxismo-leninismo, per coprirsi un po’ a destra Letta dà del traditore” (della Patria) a chi non ha votato la fiducia a Draghi, e in un’intervista a Repubblica butta lì due intramuscolo mezze fasce, “serietà e patriottismo”.

Nel frattempo (su idea di Casini, pare) ha trovato un nome per l’assembramento promiscuo: “Democratici e progressisti”. È già qualcosa: non Autocratici e Conservatori, non Monarchici e Retrogradi, non Oligarchici e Misoneisti: Democratici (Meloni non è democratica?) e Progressisti (o piuttosto sviluppisti?). Un nome che andrebbe bene per qualunque formazione, perfetto per una lista che accoglie tutti, da Gelmini a Speranza a Fratoianni (quest’ultimo solo se Calenda vuole: forte del suo 0,4% alle ultime Comunali, detta lui le condizioni). Una nota seria in tanta pochade: ci si dispera perché con questa legge elettorale la destra avrà la maggioranza dei parlamentari e potrà cambiare la Costituzione. Ci si dimentica che dopo Berlusconi l’ultimo che voleva cambiare la Costituzione, in senso esecutivista e autoritario, è stato Renzi, che allora fu bloccato da 20 milioni di italiani, e che Letta adesso si rimetterebbe serenamente in casa.

Così alle prossime elezioni avremo l’imbarazzo della scelta: una destra guidata da una figlioccia di Almirante, a capo di un partito pieno di arrestati per ’ndrangheta e altre prelibatezze, o una destra centrista neo-liberista con scartine della politica e il santino di un banchiere nel portafoglio.

Analisi perfetta

 

La Direzione
di Marco Travaglio
Ogni volta che il Pd tiene una Direzione, si capisce meglio cos’è un ossimoro, trattandosi di un partito nato senza una direzione e peggiorato strada facendo. Ma quella di oggi sarà utile: non per capire la direzione del Pd (fatica sprecata), ma per intuire le ragioni delle alleanze di Letta: sì a LeU; sì a Renzi, Calenda e Di Maio; sì a Brunetta, Gelmini e Carfagna; no al M5S. Una scelta demenziale per motivi pratici, etici e politici.
Motivi pratici. Il Rosatellum è un misto di proporzionale e di maggioritario che può dare la maggioranza assoluta dei seggi al partito o alla coalizione che supera il 40%. Una legge orrenda, votata da Pd, FI e Lega con i no di M5S, Leu e FdI. Ma, siccome non è stata cambiata, è con quella che si gioca. Tutti i dati confermano che, contro le destre unite (almeno fino al 25 settembre), non c’è partita, salvo che tutti gli altri si coalizzino (almeno fino al 25 settembre). Altrimenti non solo Meloni sarà legittimamente premier, ma le destre potranno superare i due terzi dei seggi e cambiarsi la Costituzione senza referendum. Unire Pd, M5S, partitini di centro e di sinistra è difficile: ma chi dice di voler battere le destre dovrebbe almeno provarci, partendo da chi ha più voti. Il Pd è al 22%, il M5S al 10-12, tutti gli altri sotto il 3-4: chi butta via il 10-12% vuole perdere.
Motivi etici. Il trasformismo (348 cambiacasacca nella scorsa legislatura, 290 in questa) è, al netto dei reati, il peccato mortale della politica, che gonfia qualunquismo e astensionismo. Anziché scoraggiarli, Letta premia i voltagabbana: Calenda e Renzi, eletti col Pd e messisi in proprio (alleandosi con la destra per far perdere Regioni e Comuni al Pd); Di Maio&C. e il trio Brunetta-Gelmini-Carfagna, eletti con M5S e con FI e fuggiti con le poltrone.
Motivi politici. Letta non vuole il M5S perché ha negato la fiducia al governo Draghi (senza però rovesciarlo: per quello sono stati determinanti Lega e FI). Ma vuole Renzi, che nel 2014 rovesciò il governo Letta (da segretario del Pd) e nel ’21 il Conte-2 (da leader scissionista di Iv). Ma il Letta e il Conte-2 erano di centrosinistra, mentre il Draghi era un governissimo destra-centro-sinistra. È più grave mettere in crisi (fra l’altro con 9 proposte progressiste e a fine legislatura) un governo con Lega e FI che due governi progressisti? E che senso ha legare al governo Draghi le alleanze elettorali del Pd? Se Lega e FI avessero confermato la fiducia a Draghi, il Pd imbarcherebbe pure loro? Per votare la fiducia, Conte chiedeva a Draghi il salario minimo e la conferma del Rdc, che Renzi, Calenda e Brunetta vogliono radere al suolo come FI, Lega e FdI. Davvero Letta pensa di battere le destre alleandosi con chi ha il loro stesso programma?

L'Amaca

 

Due piccioni con una fava
DI MICHELE SERRA
Meloni non si deve offendere, l’antifascismo — almeno fuori dall’Italia — è tutt’altro che un dettaglio, e la sua formazione politica è stata tutta interna al neofascismo, così come la fiamma inclusa nel simbolo di Fratelli d’Italia testimonia e rivendica. Ovvio, dunque, che in Europa e in America ci si facciano delle domande che non basta liquidare come tendenziose. La diffidenza contro il nazionalismo di destra è un prezzo da pagare alla domanda di ammissione al famoso Occidente e ai suoi valori. A meno di prendere esempio dal Salvini, che di queste cose se ne frega, Meloni capisca il problema e tenti magari di risolverlo, perché risolto non è.
Per contro, è verissimo che non conviene, a sinistra, insistere sull’antimelonismo (che suona anche ridicolo) come perno della campagna elettorale. Dire che cosa non si vuole (lo spiegava bene Giacomo Papi su questo giornale) non è uguale a dire che cosa si vuole, e anzi, lascia sospettare che si parli tanto del nemico pur di non dire che cosa si vuole combinare tra amici, ammesso che nel centrosinistra, su dieci leader, almeno due possano dirsi amici. Da molti anni la sinistra è, per dirla banalmente, la non-destra, e questa vaghezza non le giova. Individuare quattro o cinque punti programmatici forti non basterebbe a mettere d’accordo tutti i galli nel pollaio; ma almeno i galli litigherebbero su cose che si capiscono e non sulle beghe personali, o su vaghi presupposti ideologici.
Ci vorrebbero quattro o cinque cose facili da capire. La prima, a me pare, è far pagare le tasse a tutti, i classici due piccioni con una fava: niente è più democratico, e niente aiuta a capire la differenza con la destra, specie quella del Salvini e del Berlusca, idoli degli evasori.

Allarmi son fascisti!

 

Questo articolo di Repubblica è a firma Paolo Berizzi, il quale ha ricevuto minacce via social dai gruppi neri che pullulano in rete. Solidarietà piena al giornalista, con la speranza che l'antifascismo italiano si metta in moto al più presto per contrastare il pericolo imminente del ritorno dei fascisti al governo.

Voti e saluti romani quel filo mai reciso tra CasaPound e FdI
Ancora nel 2019 Ignazio La Russa partecipava alla kermesse delle “tartarughe nere”. Le frequentazioni di Meloni con Jonghi
DI PAOLO BERIZZI
MILANO — Eccoli, Giorgia Meloni e il “Barone nero” Roberto Jonghi Lavarini. «Grazie Roberto!» sorride la leader FdI, la mano sul braccio del neofascista milanese sostenitore della “razza tedesca” e del partito sudafricano pro-apartheid; già condannato a due anni per apologia del fascismo aggravata dall’odio razziale, bannato persino dal social russo VK e già citato su Stormfront, il forum neonazi chiuso in Italia. Lavarini è l’uomo al centro - insieme a Carlo Fidanza, sono entrambi indagati dell’inchiesta della Procura di Milano sulla “lobby nera” che ha sostenuto i “patrioti” alle ultime elezioni amministrative. Ma torniamo all’incontro. Pasticceria San Gregorio, Milano. Il pasticcere offre una busta con dei dolci a Meloni: «Da parte di Roberto». Lei ringrazia. “Giorgia” e “Roberto” chiacchierano, sorridono: c’è appena stato il brindisi coi camerati. È una delle tante istantanee nelle quali, tra 2017 e 2018, la donna che si candida per Palazzo Chigi compare a fianco del noto esponente dell’estrema destra lombarda. Anche a eventi pubblici. Cresciuto all’ombra di Ignazio La Russa, Jonghi, nel 2018, è candidato alla Camera da FdI. Candidato perché, da anni, è uomo di raccordo tra la destra in doppiopetto e gli ambienti neri di Milano. Candidato nonostante, o forse proprioin virtù, del curriculum. Mussoliniano, paladino del saluto romano, tra le dichiarazioni si possono ricordare: «Mussolini è stato troppo morbido coi suoi oppositori»; «l’Olocausto? Tutto va riscritto e contestualizzato»; «l’olio di ricino è salutare»; «c’è una lobby ebraica»; «se mia figlia sposasse un ebreo interverrei… Lei sarebbe contento se sua figlia sposasse un negro, un drogato o un ebreo?». Parole del 2014, seguirà condanna. Ma nel 2017, quando gira con Meloni, il “Barone nero” non ha abbassato i toni. Fa il saluto romano al campo X del cimitero Maggiore dove sono sepolti i caduti della Rsi; sostiene che le leggi razziali «sono state applicate all’acqua di rose». Frasi che, in teoria, dovrebbero confliggere con quel che Giorgia Meloni afferma a ottobre 2021, è appena scoppiata l’inchiesta “lobby nera”: «In FdI non c’è spazio per atteggiamenti ambigui sull’antisemitismo e sul razzismo, e per il paranazismo da operetta». Già. Però la parola “fascismo”, la presidente dei Conservatori e riformisti europei, non la pronuncia. Né lo ha mai condannato, Meloni, il fascismo. Ad ogni modo: il neonazifascista e razzista Jonghi perchè non le sta alla larga? Perché nel 2021 raccoglie voti, insieme a Fidanza, per Chiara Valcepina, candidata al consiglio comunale diMilano?
Le ambiguità del partito della fiamma. I gesti e le dichiarazioni nostalgiche di dirigenti, ammini-stratori, deputati. Le interlocuzioni con partiti e movimenti di estrema destra. Una storia che, al netto delle smentite della leader, continua. Prendi le sponde con CasaPound. Sabato 7 settembre 2019, festa nazionale (“Direzione rivoluzione”) delle tartarughe nere a Verona. Tra gli ospiti FdI mandati alla kermesse neofascista la star è il vicepresidente del Senato, Ignazio Benito Maria La Russa. Eccolo accanto a Simone Di Stefano, Luca Marsella e all’assessora regionale Elena Donazzan, quella che canta “Faccetta nera” in radio. «Bisogna unire il fronte sovranista » dice La Russa. Su Casa-Pound è tenerissimo: «Un movimento che è stato emarginato dai Soloni di questa Repubblica». Emarginato? Le cronache giudiziarie dicono altro. CPI è sotto inchiesta per tentata ricostituzione del partito fascista e violenze. In una sua sede a Maccarese, l’anno scorso, la polizia ha sequestrato altarini dedicati ai nazisti Priebke e Himmler. Idoli? Ad applaudire La Russa a Verona c’è Andrea Bonazza, ex consigliere comunale a Bolzano, anche lui relatore. Uno che si presentava in aula indossando una felpa con la scritta “Charlemagne”, la divisione francese delle SS naziste. Esponenti FdI sono sempre stati accolti calorosamente dai “fascisti del terzo millennio”. All’edizione 2021 di “Direzione rivoluzione” c’era l’eurodeputato Vincenzo Sofo.
Ma il colpaccio è stato il La Russa veronese. Dall’intervento del cofondatore: «Questo mondo deve parlarsi di più perché l’obiettivo è comune e si identifica in quello slogan “prima gli italiani”, che è stato lanciato da Giorgio Almirante ». Lo slogan, dunque. Alla vigilia del congresso nazionale del 2017 a Trieste, quando le chiedono di quel “Prima gli italiani”, all’epoca spot di CasaPound, Meloni taglia corto: «Qui se ci mettiamo a fare la guerra a chi si copia non ne usciamo più». Sarà. Ma il problema, per FdI, è un altro: le ombre nere. Repubblica le ha raccontate domenica. I big del partito, a partire dai fondatori Meloni, La Russa e Crosetto, si sono irritati.
Ieri, ospite di Metropolis, format online del Gruppo Gedi, il deputato FdI Giovanni Donzelli ha dichiarato: «Non abbiamo niente a che fare con il fascismo. Prendiamo le distanze da chiunque pensi di riportare il fascismo in Italia». Lo ha detto dopo avere negato l’evidenza anche plastica di alcuni degli episodi raccontati, sul tema, da questo giornale.

lunedì 25 luglio 2022

Difficile assegnarlo!

 


Quest'anno sarà dura davvero assegnare il celeberrimo premio "Coglione dell'anno", anche perché la campagna elettorale balneare promette sfaceli! 

Ma in ottima posizione figura Baghwant Mann, primo ministro del Punjab. 

Che ha fatto Mann? Ora che in India i fiumi siano raccoglitori di bacilli e quant'altro è cosa arcinota, vista l'assenza di fogne e di umanità, tra l'altro continuano a inserirla nelle liste dei paesi più progrediti non capisco perché, visto che in India si muore nelle strade e poi quelle caxxo di caste che sono un colpo basso alla civiltà, mannaggia! 

Ma torniamo al primo ministro che per dimostrare la fandonia, a suo dire, delle acque purulenti di tutto quanto fa verminaio, si mette in posa e si beve un bicchiere colmo preso dal fiume, col risultato di finire di corsa all'ospedale dove gli hanno riscontrato una grave forma di infezione intestinale. 

Che dire? Baghwant sei in ottima posizione dai! Il premio probabilmente potrebbe essere tuo! 

Alla salute!  

Notte indigesta



Che avrà mangiato ieri sera per sparare una così mastodontica cazzata, una proposta tanto idiota da indurmi a rivalutare il partito monarchico? 
E secondo te, caro il mio assonnato segretario, voterei un partito dove vi fossero il Bimbominkia, il Perdisempre ex Confindustria e il gigante fuoriuscito da farsa italia? E soprattutto: rompere con l’unica formazione politica che abbia fatto qualcosa di sinistra da trent’anni a questa parte? Medita segretario! E fatti una tisana alla passiflora!