venerdì 31 marzo 2023

Chiarimento



Per tutti i buonisti, i terrapancisti, i fautori del volemose bene, per i cocktailisti, per coloro che credono che alla fin fine il mescolamento di ideali, il tutti a governare per il bene del paese, i figli del napoletanismo - riferito allo squallido ex presidente della repubblica -, per i seguaci dell’Ebetino e della sua era del Ballismo: un fascista è per sempre! E in questa triste e martoriata nazione abbiamo avuto il coraggio di eleggerlo alla seconda carica dello stato! Grazie alle borotalcate dell’ex segretario pidino e a tutti coloro che credono che in fin dei conti il Pelato Criminale qualcosa di buono l’abbia fatto! E il fascista posizionato dal merdone dell’indifferenza si permette di offuscare uno dei più efferati delitti della nostra storia, ammorbidendo l’azione partigiana di via Rasella per offuscarne la drammaticità, tentando di inquinare la storia che vedeva da una parte nazisti e fascisti, e dall’altra l’antifascismo che ci donò la libertà. 
Questo squallido energumeno deve essere spazzato via dalla presidenza del senato! Perché ce lo impone la nostra Costituzione, che è eretta sull’antifascismo! E tutti i balordi che compongono questo governo dall’aria fascista hanno giurato sulla Costituzione. Pertanto mentre si avvicina il 25 aprile, urge che il Presidente della Repubblica prenda posizione netta al proposito, senza fraintendimenti né tentennamenti! E la nera finta democratica abbia il coraggio di confermarne il suo giuramento sulla nostra Costituzione antifascista. 
E tutte le persone libere ed antifasciste aderiscano all’Anpi come risposta a questo clima restauratore, agevolante il ritorno di politiche che credevamo essere disperse da piazzale Loreto. Ma ci sbagliavamo. W il 25 aprile! (Domani aderirò all’Anpi!)

L'Italia che non vogliamo

 “Questa è la legalizzazione della nuova Tangentopoli”

EX MAGISTRATO E SENATORE M5S - "Gli imprenditori onesti sfavoriti, vinceranno quelli più spregiudicati agganciati con il potere"
DI GIANNI BARBACETTO
“Hanno legalizzato Tangentopoli”. Così il nuovo codice degli appalti viene sintetizzato da Roberto Scarpinato, ex magistrato in Sicilia e ora senatore del Movimento 5 stelle. “Questo codice ha abolito tutte le regole che servivano a evitare abusi e ha fatto saltare tutti i controlli amministrativi. Sono già stati criticati l’affidamento diretto fino a 150 mila euro, procedure negoziate senza bando fino a 5 milioni di euro, piccoli Comuni che possono fare affidamenti diretti fino a 500 mila euro nonostante non abbiamo le competenze amministrative necessarie, subappalti a cascata, liberalizzazione dell’appalto integrato. Ma la gravità della situazione si percepisce se si allarga lo sguardo.
E che cosa si vede?
Si vede che non soltanto hanno fatto saltare tutti i controlli amministrativi, ma anche i controlli penali e quelli contabili. Dobbiamo ricordare che dal 2020 è stato abolito il controllo di legalità della magistratura penale su tutti gli atti amministrativi aventi carattere discrezionale.
Eppure i politici di governo, con il ministro Carlo Nordio in prima fila, continuano a parlare di amministratori con la “paura della firma”.
Non si capisce che paura possano avere, visto che la loro attività discrezionale non è più sottoposta al controllo penale. Ma non c’è solo questo. Hanno eliminato anche la responsabilità contabile degli amministratori. Lo ha stabilito il decreto Conte-2 durante la stagione della pandemia, per accelerare le procedure di spesa. Ma allora si era previsto che fosse una misura a tempo. Invece Mario Draghi l’ha prorogato fino al giugno 2024 ed ecco che ora c’è un emendamento del centrodestra, che riguarda il decreto del Pnrr ma che dovrebbe estendersi a tutte le procedure d’appalto, che vuole portare questo scudo erariale fino al 2025. L’associazione dei magistrati della Corte dei conti con una lettera del 4 marzo ha segnalato che così si crea di fatto una abrogazione dell’articolo 103 nella Costituzione che attribuisce alla Corte dei conti il controllo dei legittimità sul modo in cui gli amministratori esercitano i loro poteri. Ma non basta. Questo centrodestra non vuole fare una seria legge sul conflitto di interessi, non abbiamo una legge sulle lobby e, dopo avere lobotomizzato l’abuso d’ufficio, vogliono anche lobotomizzare il reato di traffico di influenze illecite, nonostante ci sia stato imposto dall’Europa. E nonostante questo sia il reato per cui l’anno scorso in Francia è stato condannato Sarkozy e quest’anno in Italia è stato condannato Alemanno. Insomma, diamo via libera all’azione occulta delle lobby per influire nei procedimenti di affidamento di appalti. Ecco: ci sono tutti i presupposti per una sorta di legalizzazione di Tangentopoli e per la creazione di un sistema criminogeno che accende il semaforo verde affinché il denaro pubblico finisca nel buco nero della corruzione e anche del sistema clientelare.
Si torna alla Prima Repubblica?
Sì, ci sono tutti i presupposti per un ritorno alla politica della Prima Repubblica, cioè il finanziamento pubblico per finanziare enormi catene clientelari e innescare il voto di scambio. Un pubblico amministratore, non essendo più sottoposto al controllo penale, al controllo amministrativo, al controllo contabile, può utilizzare il suo potere non solo per la corruzione, ma anche per alimentare il consenso alla propria parte politica favorendo non solo se stesso, ma anche una clientela politica, che potrà essere agevolata nell’affidamento di appalti pubblici.
La “semplificazione delle procedure” viene giustificata con la necessità di ridurre la burocrazia.
Quando sento questa giustificazione, mi viene in mente la metafora del tubo e dell’acqua. È come pompare un’enorme quantità d’acqua in una conduttura, ma senza preoccuparsi di controllare se poi qualcuno non la toglie con allacciamenti abusivi, con il risultato che l’acqua che arriva sia alla fine del tubo solo una piccola parte di quella pompata. Così, più che alimentare la crescita del Paese, si alimenteranno i portafogli dei comitati d’affari e delle mafie.
E gli imprenditori onesti?
Saranno danneggiati, perché favoriti saranno i più spregiudicati, che sanno come utilizzare gli agganci con il potere.
E alla fine è previsto anche un condono per chi non paga le tasse.
È un invito all’evasione fiscale: intanto non pago, al massimo pago dopo che mi hai scoperto. È anche un attacco allo Stato sociale, perché priva di risorse il welfare. Nel complesso, siamo di fronte a una legislazione che mira a ottenere il consenso del proprio elettorato. Ai danni dello Stato.

giovedì 30 marzo 2023

Da meditare

 

Ecco un articolo di Selvaggia Lucarelli che fa pensare, e che non giudico, non mi permetterei mai! Lascio a voi ogni vostro pensiero in merito. 


Porsche, lasciare la moglie “demente” è un suo diritto

LA MALATTIA FA SCOMPARIRE LA PERSONA - È successo anche a me. Continuare a vivere con lei significava perdere pezzi di vita, stare in un limbo di paure: un sacrificio inutile

di Selvaggia Lucarelli 

“Ha la demenza, io divorzio”. “Mr. Porsche rottama la moglie”. “Wolfgang Porsche divorzia dalla moglie perché lei ha la demenza”.

Da giorni leggo titoli come questi sui principali siti e giornali italiani e non posso fare a meno di pensare a quanto sarebbe importante conoscere la malattia – quella malattia – prima di semplificare la vita altrui. Prima di appropriarsi di una storia così, di trasformarla in gossip manicheo in cui i cattivi hanno la Porsche e una nuova fidanzata, i buoni sono la moglie abbandonata con la demenza senile.

Riassumo velocemente la storia, quella della fredda cronaca: Wolfgang Porsche, 79 anni, presidente del consiglio d’amministrazione della omonima Casa automobilistica, ha chiesto il divorzio dalla moglie Claudia Hübner, 74 anni, dopo una relazione durata circa 15 anni. Lei si era ammalata di demenza senile due anni fa, è immobile, deve essere assistita dalla figlia e dalle badanti 24 ore su 24. I comportamenti della donna sarebbero molto cambiati divenendo anche aggressivi, e questo avrebbe reso impossibile la convivenza. Il marito ha una nuova relazione con una vecchia amica, Gabriela di Leiningen. L’opinione pubblica tedesca ha accusato Porsche di cinismo, in Italia non è andata meglio. Valeria Braghieri, per esempio, sul Giornale ha scritto: “L’ha confusa con un’auto. Ma non una delle sue, perché quelle si venerano in eterno, pezzo dopo pezzo, anno dopo anno, persino graffio dopo graffio. No, deve averla scambiata per una di quelle più ‘da battaglia’ che carichi fino allo sfinimento partendo per le vacanze, che frusti fino al duecentomillesimo chilometro, che spingi su ruote sgonfie e lisce col motore che tossisce e la marmitta penzoloni. Il ‘signor’ Porsche ha deciso di rottamare la moglie perché lei ha commesso l’imperdonabile errore di ammalarsi di demenza senile”. E così molti altri.

Credo e spero che quest’orda di penne giudicanti non abbia la più pallida idea di cosa sia la demenza, perché se solo conoscesse risvolti e sfumature di questa infame malattia forse riuscirebbe a provare compassione persino per un anziano milionario tedesco col sedere sulla Porsche.

Quando mia mamma un anno fa è stata ricoverata in una Rsa per via dell’Alzheimer e della sua immobilità, per la prima volta nella mia vita ho esplorato quel mondo spaventoso, struggente, malinconico che è una casa di risposo. Mia mamma aveva una forma di demenza quieta, quasi timida. Non parlava, aveva dei momenti di tenerezza, sembrava riconoscerci a tratti ma poi, un attimo dopo, era già smarrita in mondi inaccessibili. Sua madre, che aveva vissuto con noi molti anni fa, invece era stata colta da una demenza feroce, con sbalzi d’umore che per me ancora bambina erano tanto incomprensibili quanto terrorizzanti. La notte, soprattutto, ci svegliava con grida oscene, ci accusava di averla rapita, di volerla uccidere, ci chiamava bastardi. Alzava le mani su mia madre. Dopo un anno di quella vita sottosopra, un anno in cui le nostre esistenze furono oppresse dal peso dei suoi umori incontrollabili, andò in una casa di riposo. Continuare a vivere con lei significava perdere dei pezzi di vita, rimanere sospesi in un limbo di paure e insensatezza, senza che nessuno potesse trarre davvero beneficio da quel sacrificio.

In quella casa di riposo in cui mia madre forse aveva davvero trovato riposo, il tempo con lei era infinito. Fuori da ogni retorica, comunicare con una persona affetta da demenza che non parla, non cammina, ti oltrepassa con lo sguardo oppure ti fissa per un tempo indefinito chiedendosi chi tu sia e cosa tu ci faccia lì, è un’agonia.

Io tiravo fuori le foto dei gatti dal telefono e poi mettevo della musica e mia mamma ogni tanto ricordava qualche parola di una strofa di De Andrè o di Fossati, riesumavo vecchie storie sperando che la parte più sedimentata della sua memoria avesse ancora qualche appiglio, oppure facevo facce buffe come si fa coi bambini, per strapparle un sorriso. Magari restavo lì un’ora e quando andavo a casa ero esausta, mi chiedevo se ne valesse la pena. Per me e per lei. Era uno strazio. E lo strazio era anche guardarmi intorno, osservare come la demenza avesse un abito diverso a seconda del corpo che vestiva. C’era una signora con i capelli bianchissimi che mi chiedeva sempre “aiuto, fammi uscire di qui” e provava a infilarsi in ascensore quando andavo via. Mi faceva pena e paura perché voleva la mia mano, ma la stringeva troppo forte e mi diceva che sua figlia l’aveva abbandonata, poi all’improvviso chiamava sua madre. “Mammaaaa mammaaaa”, urlava. Un’altra signora non diceva niente, come mia mamma. Alle volte le trovavo vicine, nella saletta in cui mangiavano, e sembravano due statue di un tempio. Dritte, parallele, immobili, senza poter comunicare. Vedevo i parenti di tutti, o quasi, entrare, uscire, impegnarsi, sforzarsi, spazientirsi talvolta. Piangere. C’era un comico famoso che veniva tutti i giorni, sua mamma si era rotta il femore e non camminava, la sua testa era lucida, era una signora dolcissima che mi diceva “la guardo io sua madre”, ma non ci voleva stare lì. “Voglio andare a casa” la sentivo dire (credo che poi in effetti se ne sia andata). E io la capivo. Non ci voleva stare in mezzo a persone che non sanno più chi sono, lei che era ancora lì. La capivo, io, mentre voi che giudicate il milionario tedesco evidentemente non sapete nulla e avete un’idea romantica della demenza, pensate che il malato si istupidisca un po’, che si diventi delle bambole tristi da accudire come bambini. Docili e malleabili. Non sapete cosa significhi perdere la memoria e la parola, gradualmente, sentire che la tua essenza ti sta abbandonando. Non sapete cose significhi la quotidianità con chi non ti riconosce più, con chi non riconosci più, doverti difendere dall’aggressività inattesa di chi ti ha accarezzato tutta la vita o assistere alla resa triste di chi amava vivere in battaglia. La malattia degenerativa è una sentenza per chi si ammala, non può diventarlo anche per chi ama quella persona, perché sarebbe una doppia ingiustizia. Io non giudico Wolfgang Porsche. Non ha abbandonato sua moglie. Ha una situazione economica che gli consente di affidarla alle migliori cure. Si occuperà ancora di lei e delle sue necessità, ma evidentemente ha il desiderio di non essere inghiottito da quell’oblio senza ritorno, di assaporare il presente. Non ha abbandonato sua moglie perché è la malattia della moglie che costringe a un abbandono prematuro. Quando mia madre è morta ho pianto poco. Le avevo detto ciao molto tempo prima. Non l’avevo abbandonata. L’avevo salutata. Se non lo capite, i dementi siete voi.

Lo fanno per noi!

 

Appetito insaziabile

di Mattia Feltri 

È struggente vedere il ministro Francesco Lollobrigida pronunciare la parola più amata dal governo: vietato! Nel caso, vietato produrre, importare e consumare carne coltivata in vitro, detta anche carne sintetica. Funziona così: da una sola cellula, in qualche settimana si ricavano dieci tonnellate di carne. Senza abbattere una sola bestia (ogni anno nel mondo si abbattono 50 miliardi di polli, un miliardo e mezzo di maiali, mezzo miliardo di pecore e così via). E a non dire dell'inquinamento, del consumo di acqua eccetera. Ma intanto Lollobrigida la vieta: lo fa per noi, perché non sappiamo delle conseguenze sulla salute. Secondo la Food and Drug Administration, che ha approvato il consumo di carne sintetica negli Stati Uniti, non c'è pericolo, ma in ogni caso grazie a Lollobrigida per la premura. L'altra ragione è la vigorosa e irriducibile difesa del Made in Italy, delle eccellenze italiane, della biodiversità e diciamolo tutti in coro. Al tanto fervente ministro dell'Agricoltura mi permetto di segnalare – dati Istat – che oggi l'Italia è in grado di produrre circa la metà della carne che consumiamo, il resto lo si importa. Siamo, per esempio, i più grandi importatori europei dal Brasile. Nel dettaglio, importiamo più di un milione di tonnellate di carne di maiale, quasi 400 mila tonnellate di carne bovina, e poi carni equine e ovine e un bel po' di pollastrelli. Il Made in Italy, qui, mi sembra già barcollante sotto i colpi di un appetito insaziabile. Per cui, caro ministro, capisco si debba parlare alla pancia del sovranismo, ma bisogna almeno sapere che è una pancia piena di bistecche brasiliane.

Dolci e affini


Caramelle dagli sconosciuti 

di Marco Travaglio

L’analisi clinica sui guerrafondai è tutta nelle parole che usano, con aria fra lo svagato e l’annoiato, senza neppure accorgersi dell’enormità di ciò che dicono e tacciono. Anche perché è quasi sempre roba d’importazione, made in Washington o in London. Ora, per dire, sono tutti eccitati per la prossima “controffensiva” ucraina che seguirà o anticiperà la prossima “controffensiva” russa: una doppia mattanza. A che pro? Quando ancora ci si capiva qualcosa, era chiaro che la Russia aveva attaccato dal 24 febbraio 2022 occupando quattro regioni ucraine (Donetsk, Lugansk, Zhaporizhzhia e Kherson), pari a un quinto-un sesto del Paese; poi a settembre Kiev aveva contrattaccato, recuperando una modica quantità di territori, per poi subire una lenta e faticosa controffensiva russa prima del gelo. Tutti gli esperti veri, come i generali Milley e Cavo Dragone, ne avevano dedotto che: una riconquista dei quattro oblast (per non dire della Crimea) è mission impossible; la “vittoria” di Kiev è una pia illusione; e l’unica soluzione è il negoziato con compromessi territoriali. In attesa che gli Usa e quel che resta dell’Ue presentino un piano, la Cina avanza il suo. È inevitabilmente vago (dei dettagli si parla in segreto) e colpevolmente unilaterale (Xi l’ha esposto a Putin, non ancora a Zelensky), ma è l’unico sul tavolo. Parte dal cessate il fuoco, che noi ingenui credevamo fosse il primo e più auspicabile obiettivo: tantopiù che tutti assicurano che Putin ha già perso la guerra. E poi il 1° marzo ’22 fu il ministro ucraino Kuleba a chiedere a Pechino di “mediare con Mosca per un cessate il fuoco”.
Invece, prim’ancora di un rifiuto di Mosca (e magari di Kiev) alla tregua, è giunto quello degli Usa. Che l’han respinta perché “adesso avvantaggerebbe i russi” (ma non avevano perso la guerra?). E hanno intimato a Zelensky di non accettare tregue dagli sconosciuti, peggio se cinesi. Per non avvantaggiare Putin, gli ucraini devono restarsene lì sotto le bombe a farsi sterminare almeno un altro annetto e mezzo, fino al novembre 2023, così Biden può farsi la campagna elettorale per la rielezione. Poi, se vince, seguiteranno a farsi macellare. Se invece torna Trump, addio armi e proiettili agli ucraini, ai quali non resterà che la resa, oppure altri massacri senza più difese, visto che nessuno avrà messo in piedi uno straccio di negoziato. E tutto questo, attenzione, dovrebbero farlo per il loro bene. Anziché chiamare un’ambulanza e inviarla alla Casa Bianca, il portavoce-consigliere di Zelensky, Podolyak, ha respinto l’idea del cessate il fuoco evocata da Xi Jinping perché – udite udite – “ogni tentativo di congelare il conflitto lo farebbe protrarre”. È il nuovo Comma 22: per fermare la guerra, bisogna proseguirla. E tutti morirono felici e contenti.

mercoledì 29 marzo 2023

Ehi voi!

 


Venghino signori!

 


Diciottomila persone che muoiono ogni anno al pronto soccorso, uno ogni mezz’ora? Bazzecole, pure bazzecole! La sanità pubblica in via di annientamento per via della cronica mancanza di medici ed infermieri, sottopagati? Quisquilie!
Esami oncologici prenotati a un anno, anche due, il cui ritardo lede ciò che la Costituzione garantisce, mentre se lo richiedi nel privato te lo fanno quasi immediatamente, ma c’è gente che non se lo può permettere, come le persone della Sila che per fare la chemio devono andare a 100 km di distanza su pulmini di associazioni benefiche? Frescacce, insulse frescacce!
Quello che conta è spendere tanto krano in aerei militari come quello su cui si sta trastullando la premier coadiuvata dall’omone della difesa tanto felice dello scenario. E naturalmente: viva l’Italia!

Ahi Europa!

 

Ahi serva Europa, in balia di armi, denaro e potenti
DI RANIERO LA VALLE
“Ahi serva Italia, di dolore ostello…”. Quando Dante scriveva queste parole l’Italia era un faro di civiltà, un giardino di bellezza, la culla del pensiero. Però non sapeva leggere i segni dei tempi, era in balia dei potenti, tradiva le sue origini e non riusciva a stare senza guerra. Questo si potrebbe dire oggi dell’Europa, serva delle armi e del denaro, chiusa nel suo egoismo, dimentica dei suoi ideali, sovversiva delle ragioni stesse per cui è nata. Era nata per chiudere con le guerre, per togliere le dogane al carbone e all’acciaio al fine di costruire, e non ai cannoni e ai carri armati al fine di distruggere, era nata per abbracciare i suoi popoli e farsi amica e accogliente a quelli di altre comunità e perfino era decisa a fare rinunzie alla sua sovranità non per farsi serva di nessuno bensì per contribuire alla pace e alla giustizia tra le nazioni. E prima ancora di Spinelli e di Spaak, di Schumann e di Monnet, di Ursula Hirschmann e Simone Weil, di Adenauer e di De Gasperi, l’“idea di Europa” era cresciuta lungo un millennio, come l’avevano illustrata Erich Przywara e Friedrich Heer, tanto cari a papa Francesco, e come aveva ispirato le lettere dei condannati antifascisti (l’identità cancellata da Giorgia Meloni) della Resistenza europea.
E ora che cosa è diventata? L’ultimo Consiglio europeo ce l’ha mostrato con la massima evidenza. L’Unione europea ha fallito sulle sue due massime responsabilità, la pace e l’immigrazione, le due massime cure in cui ne andava della sua “identità culturale”, secondo il “progetto di pace e amicizia che ne è il fondamento”, come aveva detto Francesco al Consiglio europeo del 25 novembre 2014. La pace l’hanno licenziata a tempo indeterminato non solo i suoi cattivi capi, i suoi membri più atlantici, a cominciare dal Regno Unito, che arriva a promettere armi a componenti nucleari, ma anche i due personaggi che ne dovrebbero rappresentare l’unità e lo sguardo sul mondo, Ursula von der Leyen e Jens Stoltenberg, l’una pavesata con i colori di un Paese in guerra, l’altro, dimentico della storia, andato a chiedere di votare i “crediti di guerra” ai partiti socialisti a Bruxelles, come alla vigilia della Prima guerra mondiale.
Ma non solo: l’Europa non capisce nemmeno quello che, se mossi da probità professionale, le stanno dicendo gli esperti di geopolitica: che il suo vero “competitor” sono gli Stati Uniti, che per averla vassalla sono interessati a tenerla in guerra senza fine, vogliono dominarla col loro gas e i loro prodotti più avanzati, che non per niente hanno fatto saltare l’oleodotto che univa la Russia al resto dell’Europa. E non c’è nemmeno bisogno di particolari doti interpretative: l’hanno scritto gli Stati Uniti nella loro “Strategia della sicurezza nazionale” che la loro sicurezza, la loro difesa e l’obiettivo della loro bulimia militare stanno nel fatto che non vi sia alcuna potenza al mondo che non solo non superi, ma “nemmeno eguagli” la potenza americana. E se c’è una potenza che potrebbe osare eguagliarla non è la Russia, data già per disfatta, né la Cina, designata come suprema sfida del futuro, ma è l’Europa che, se facesse una politica meno suicida, potrebbe già ora competere economicamente e grazie alla proiezione della sua cultura, con l’egemonia degli Stati Uniti; ciò che potrebbe e dovrebbe fare proprio restando loro amica ed alleata per costruire insieme “un mondo libero, aperto, prospero e sicuro”, come essi lo vogliono, aiutandoli a evitare gli errori, come quello che fanno, e che facevano ben prima dei crimini di Putin, col volere la fine della Russia.
Certo non è alzando l’età di pensione e gettando un Paese intero in una lotta sociale a oltranza, non è stando appesi alle labbra e al “Crimea o morte” di Zelensky, non è dicendo “nazione” per non dire “fascismo”, né incentivando le fabbriche a stipulare contratti pluriennali per la costruzione di armi che avranno bisogno di altrettanti anni per essere consumate sui campi di battaglia, sulle città e sui famosi vecchi e bambini costretti a morire anche loro in guerra, non è con queste scelte che l’Europa potrà ritrovare la sua dignità, la nobiltà delle sue origini, gli ideali che l’hanno spinta a unirsi. È per quegli ideali, non per essere “provincia” di un Impero che l’Europa è nata, con la vocazione ad attraversare il Mediterraneo e a guardare a Sud, a Israele alla Palestina e al mondo arabo, a Est, alla Russia e alla Turchia, e a Ovest, non solo a un’America sola, ma a tutte e due; e non è togliendo ai suoi popoli la loro tutela sociale che l’Europa unita sarà in grado di prevalere, politicamente e culturalmente, sui sovranismi. Ma allora quale politica dovremmo fare? E quanto dobbiamo aspettare per vedere arrivare qui una vera Schlein, non il dominio del passato, ma il coraggio del cambiamento?

Robecchi

 

Piazze e guerre. L’opinione pubblica è “lucida” solo se obbedisce ai governi
di Alessandro Robecchi
Non è sempre facile seguire un filo, dipanare una matassa, cercare qualcosa che colleghi vari argomenti apparentemente slegati tra loro che invece, come per magia, portano allo stesso punto. Quindi eccoci, nello spazio di una settimana, a strabiliare per il puzzle che si compone, pezzettino dopo pezzettino, da Parigi a Roma, a Kiev, a Tel Aviv, e altri posti più o meno esotici, fino alla storia passata e – si teme – futura. Soltanto qualche anno fa sarebbe stato impensabile in una democrazia per un politico – un ministro, un uomo di Stato – attaccare frontalmente l’opinione pubblica. Si preferiva lisciarle il pelo, o perlomeno tenerne conto, e anche la Storia in qualche modo lo faceva: la guerra del Vietnam, per fare un esempio, fu persa in casa, in America, per la crescente ostilità degli americani a mandare i loro figli a morire in una giungla lontana.
Così si strabilia a sentire Emmanuel Macron dire che “la folla non ha legittimità di fronte al popolo che si esprime attraverso i suoi eletti”. Una nuance filosofica, molto furbetta, che serve a dividere i francesi che protestano in piazza (cattivi) dal potere, emanazione del popolo (buono). Una specie di “il popolo c’est moi” che strappa un sorriso, specie nel Paese della ghigliottina.
Non è difficile tracciare una linea dritta tra le parole di Macron e quelle del ministro dell’Interno italiano Piantedosi. Anche per lui l’opinione pubblica è un problema: quella italiana sarebbe troppo incline all’accoglienza dei migranti e questo farebbe da pull-factor per i barconi di disperati. Certo, con un popolo fatto tutto di Traini, lo stragista di Macerata che se ne andava per la città sparacchiando ai neri, forse Piantedosi avrebbe un compito più facile, ma è evidente che il suo prendersela con gli italiani – troppo buoni (mah!, ndr) – non è altro che depistare l’attenzione dall’incapacità del governo.
Una cosa che fa scopa con la teoria, ben espressa da Francesca Mannocchi in tivù, che l’opinione pubblica non è lucida, mentre “i decisori” (credo si intenda i governi) sì. Quindi i lucidi decisori continuano a spedire armi sempre più letali in zone di guerra, mentre l’opinione pubblica, che lucida non è, si ostina a rimanere contraria nonostante le pressioni di chi dovrebbe informarla, e che sta al 99 per cento dalla parte dei “lucidi”. Che frustrazione!
Purtroppo ci sono eccezioni: se a Gerusalemme e Tel Aviv grandi manifestazioni popolari evitano che il governo di Israele porti la magistratura a obbedire alla politica, ecco i toni di trionfo, e il testacoda: lì sono “lucidi” i manifestanti, e non il governo, colpo di scena, perché preme molto dire di quanto sia democratico Israele, nonostante l’apartheid. Mentre invece per l’Ucraina si usa un altro metro: il popolo è fatto coincidere perfettamente, in scala uno a uno, con il governo, per cui Zelensky e il popolo ucraino vengono usati come sinonimi e mai, in questo anno e passa di guerra, si è sentita qualche voce dissidente, che so, qualche ucraino pacifista, o anche solo qualche lettore dei giornali chiusi dal governo, o qualche elettore dei numerosi partiti messi fuorilegge a Kiev. Dunque il popolo, l’opinione pubblica, i cittadini, sono lucidi quando si identificano con chi li governa, e sono invece poco lucidi quando non si allineano. Ed ecco così sistemate le annose questioni della democrazia, dell’opposizione e della protesta sociale: il “popolo” va bene se annuisce, ma guai se diventa “folla”, o anche solo (come qui) sondaggio.

L'Amaca

 

Per far piangere le mamme
DI MICHELE SERRA
So che è contrario a ogni regola di trasparenza e al diritto di informazione, so anche che il processo penale è per definizione un atto pubblico, eppure sono sicuro che la punizione più giusta, forse anche la più severa, per i protagonisti della “guerra fra trapper” sotto processo a Milano, sarebbe il totale oscuramento dei loro nomi, delle loro imprese, delle loro facce, del loro ambiente.
Il sospetto che la fragilità artistica di questi giovani maschi sovreccitati scelga come corazza e come scorciatoia una cattiva fama, per impressionare le ragazze e far piangere le mamme, è fortissimo. E vederli molto citati e molto fotografati perché si menano e si sparacchiano, si minacciano e si accapigliano, un poco dispiace: come tutti, facciano i loro provini, patiscano i loro fallimenti e gioiscano dei loro molto eventuali successi. Troppo comodo, per dirsi “artista”, fare affidamento sui verbali della Questura.
Purtroppo, anche nel caso che i media tradizionali decidessero (e non lo decideranno mai) di non dare troppa corda a questi aspiranti maudit in coda per il successo, loro potranno comunque contare su quella parodia autogestita di “informazione” che sono le catacombe social dove i loro nomi e le loro gesta sono noti. Bene. Se riescono ad alimentare quel focherello, bravi. Ma la benzina e la legna, almeno, se la procurino per loro conto. Avere gratis la promozione di giornali e telegiornali non è educativo e, a pensarci bene, non è nemmeno giusto.

martedì 28 marzo 2023

Idealizzate!

 


L'Amaca

 

I pregiudizi contro la destra
DI MICHELE SERRA
La deputata di Fratelli d’Italia (non ne scrivo il nome per tutelarla da se stessa) che scrive che quelli di destra amano il vino e il buon cibo, quelli di sinistra mangiano gli insetti e imbrattano i monumenti, con ogni evidenza non sa nulla: della destra, della sinistra, del vino, del cibo, degli insetti, dell’Italia, della vita intesa come occasione per capire e migliorarsi.
Questo non sapere nulla, non avere letto niente, non avere pensato il minimo concesso a chiunque, è il vero, angosciante problema di larghissima parte della destra italiana. Quelli che vale la pena leggere e ascoltare io li conto sulle dita di una mano (Veneziani, Mascheroni, Giuli, Campi, Filippo Rossi) anzi di due mani perché sicuramente ce ne sono quattro o cinque bravissimi o bravissime che non conosco, e mi scuso con loro. Ma la “voce media” della destra è spaventosa, e soprattutto inconsistente anche quando sbraita. È la Bestia di Salvini, è la finta e mediocre lagna meloniana (ministri, parlamentari di lungo corso e direttori di tigì che parlano di se stessi come perseguitati), è i titoli bastonatori della truppa di quotidiani (tutti uguali!) che credendo di dare voce “alla destra” la rendono identica alla sua caricatura: aggressiva e squallida.
Fossi Meloni telefonerei a quella oscura deputatina e la pregherei di smetterla.
“Perché vuoi alimentare i pregiudizi contro di noi? Già ci tacciano di essere un po’ grezzi, quegli odiosi snob della sinistra: cerca dunque di alzare il livello, così gli dimostriamo che si sbagliano”.

Daniela e l'orrido ministro!

 

La sai l’ultima? le fesserie di Piantedosi sui migranti
DI DANIELA RANIERI
Non ci si aspetta certo che un invitato alla scuola di formazione politica della Lega parli come Norberto Bobbio o faccia analisi alla Max Weber (invero stupisce pure che a sfornare quel po’ po’ di classe dirigente sia addirittura una scuola, e non, per dire, il retrobottega di una sala Bingo), ma il ministro dell’Interno Piantedosi a Milano ha spiegato così le ragioni del “boom degli sbarchi” sulle nostre coste: “Poi c’è anche l’elemento che si percepisce il fattore attrattivo di una opinione pubblica che annovera (sic, ndr) l’accettazione di questo fenomeno, un’ampia fetta di persone che mostra apertura verso l’accoglienza. Nei Paesi più piccoli… io ho registrato un’assoluta intransigenza in maniera abbastanza trasversale tra schieramenti di destra e di sinistra”.
Ce lo siamo fatto tradurre da un esperto di lingue morte: il ministro intende dire che i migranti affrontano le traversate per mare verso l’Italia, non solo perché sono irresponsabili e deficitari di patriottismo, come da lui asserito appena dopo la strage di Cutro, ma anche perché “percepiscono” che gran parte dell’opinione pubblica italiana è favorevole agli sbarchi, mentre negli altri Paesi è al 100% contraria. Non si sa se Piantedosi abbia fatto un sondaggio demoscopico, non solo in Italia, ma anche in Svezia, Finlandia, Spagna, Portogallo, Paesi Bassi, Cipro, Croazia, Malta, Estonia, Lettonia, Lituania etc., e quindi parla in forza di una conoscenza scientifica del fenomeno, o se sta sparando idiozie a caso. Di certo si registra che non è più colpa dei mercenari della divisione Wagner al soldo della Russia, che fino a una settimana fa spingevano i migranti sui barconi diretti in Sicilia o in Calabria per punirci del nostro sostegno militare all’Ucraina, come affermato dal ministro della Difesa Crosetto. Ma se è vero che gran parte dell’opinione pubblica è contraria alle politiche xenofobe del governo, che ci stanno a fare i “sovranisti”? I Fratelli e Cognati d’Italia, più la Lega del Salvini delle ruspe, hanno tanto faticato per salire al vertice del potere e proteggere gli italiani dall’invasione dei migranti (che ci rubano il lavoro, le case e le prestazioni sanitarie) per niente? Ci sta dicendo, Piantedosi, che una “grande fetta” degli italiani è nemica degli italiani che loro rappresentano, e che il fatto di non governare la mente di 60 milioni di persone li rende inabili al potere? Preparano forse il terreno per una guerra civile?
Una cosa patente è che Piantedosi non sa l’italiano, che in teoria sarebbe un problema per un patriota: “Noi non arretreremo rispetto a un auspicio di mettere sotto controllo il fenomeno migratorio”; “L’Europa e i Paesi che incrociano principalmente questo tema devono fare qualche passo in più verso l’inevitabile egoismo dei movimenti secondari secondo la regola di Dublino”, mah. Forse si è reso conto che i Paesi amici di Meloni (compresi i neo-acquisiti amici ultra-atlantisti come la Finlandia), sono più sovranisti di lei. In merito Piantedosi afferma: “Il tema è tornato al primo posto dell’agenda europea e bisogna dare atto a Giorgia Meloni del grande merito che ha”. In verità la sortita di Meloni al Consiglio europeo è stata un buco nell’acqua: il discorso sui migranti è durato una mezz’oretta perché le priorità erano altre, compresa la solita videochiamata di Zelensky che presenta all’Europa la lista delle ordinazioni, nello specifico “un milione di proiettili di artiglieria” e l’addestramento di 30 mila soldati ucraini. Infine hanno rimandato la discussione a giugno dando a Meloni il contentino di questa risoluzione: “La migrazione è una sfida europea che richiede una risposta europea”, non caraibica o australiana. A ogni modo, attribuire agli italiani la colpa del boom degli sbarchi (triplicati rispetto all’anno scorso) fa parte di un’escalation di barzellette. Dopo la fanfaluca dei “porti chiusi” (se non altro perché il precetto “L’immigrazione non è un diritto” di cui alle Tesi di Trieste si scontra col diritto d’asilo sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti umani e dalla Costituzione italiana) e quella del “blocco delle partenze dalla Libia” (si sono accorti che è complicato mettere dei questurini lungo 1.770 km di costa), i post(?)fascisti hanno sempre bisogno di un nemico: prima “la sinistra”; poi Soros che finanzia i migranti al fine di realizzare la “sostituzione etnica”; poi i migranti stessi, che ignorano i rischi della traversata anche se hanno “telefonini e parabole” (Rampelli) e fanno morire i loro figli facendo molto arrabbiare Piantedosi; poi gli scafisti, che coincidono coi trafficanti; poi i trafficanti veri, da stanare “lungo tutto il globo terracqueo”, si suppone presso gli ordini professionali degli scafisti; poi i mercenari della Wagner che ci lanciano “bombe migratorie”; ora l’opinione pubblica che non si lascia addomesticare. Qui ci vuole la dittatura!

Chapeau!

 

Vergognatevi voi
di Marco Travaglio
Cari censori liberali e democratici, fate pure il vostro sporco lavoro. Spacciate le nostre caricature per omicidi, le nostre vignette per stragi terroristiche (“Je ne suis plus Charlie”), la nostra ostilità a tutte le guerre per putinismo. Offrite pure la vostra pelosa solidarietà alle presunte vittime di quel crimine contro l’umanità chiamato satira e di quel peccato mortale chiamato imparzialità, ma non credete che non abbiamo capito perché sfidate il ridicolo con questi servizietti: stavolta l’opinione pubblica che tentate di trascinare in guerra con la vostra propaganda da quattro soldi non vi segue. È molto più lucida dei “decisori”, come insegnano le piazze di Francia e d’Israele. È questo che vi spaventa: più fabbricate balle, liste di proscrizione e censure, più aumentano gli italiani che vi sbugiardano e vi abbandonano. Perciò siete ossessionati da un piccolo giornale corsaro come il Fatto: perché è ancora una volta un punto di riferimento per quelli che non se la bevono. E stavolta non sono minoranza, ma maggioranza, come indicano i sondaggi e le classifiche dei libri che tanto vi allarmano. Quindi continuate pure il vostro sporco gioco a effetto boomerang: più lavorate al pensiero unico, più sviluppate senza volerlo il pensiero critico. Ma non illudetevi di creare un clima che ci metta all’angolo, sulla difensiva, costretti a giustificarci ogni giorno di ciò che pubblichiamo al servizio dei lettori. Siete voi che vi dovete giustificare e vergognare. Non noi.

Siete voi che trovavate simpatico e pragmatico Berlusconi pappa e ciccia con Putin, non noi che di Putin abbiamo sempre denunciato i crimini e gli orrori. Siete voi che sorvolavate sulle guerre di aggressione della Nato (la famosa “alleanza difensiva”) prese a modello e ad alibi da Putin per le sue, non noi che le abbiamo sempre denunciate. Siete voi che stavate con Renzi quando aggirava le sanzioni a Mosca dopo l’occupazione della Crimea, continuando ad autorizzare vendite di armi poi usate per aggredire l’Ucraina, non noi che abbiamo contribuito a sloggiarlo, almeno da Palazzo Chigi. Siete voi che avete trasformato il principio di autodeterminazione dei popoli in una burletta, infischiandovi dei popoli di Serbia, Libia, Afghanistan, Iraq, Donbass, Palestina, Kurdistan ecc., riscoprendolo per quello ucraino (Donbass escluso), non noi che l’abbiamo sempre difeso per tutti. Siete voi che avete trasformato il Tribunale penale internazionale in un juke-box, esultando quando processa Milosevic o vuole arrestare Putin, ma tacendo quando ignora i crimini di guerra di Usa e Nato, di Mosca in Siria e dei governi ucraini in Donbass (denunciati per nove anni da Onu, Osce, Amnesty e sempre impuniti, all’Aja come a Kiev).

Siete voi, antifascisti a targhe alterne, che avete sciolto peana ai neonazisti dei battaglioni Azov&C., colpevoli di quei crimini. Siete voi che avete trasformato i diritti civili e umani in un colabrodo, indignandovi giustamente per i delitti Regeni e Politkovskaya e i depistaggi russi ed egiziani, ma tacendo su casi gemelli come quello di Andy Rocchelli, il reporter ucciso dalle truppe regolari ucraine in Donbass nel 2014 perché vi documentava la guerra civile, ancora in attesa di giustizia perché il regime di Kiev ha sempre depistato le indagini. Siete voi che avete compilato o avallato liste di proscrizione (falsamente attribuite ora alla Columbia University, ora ai Servizi) contro chi la pensa diversamente da voi o si limita a difendere l’articolo 11 della Costituzione, bollandolo come putiniano agli ordini o al soldo di Mosca, chiedendo di non invitarlo più in tv o di deferirlo al Copasir e vantandovi di non ospitarlo. Siete stati voi a screditare il buon nome del giornalismo propalando notizie false (il default della Russia, gli effetti balsamici delle sanzioni, l’isolamento internazionale di Putin, la sua imminente fine per una collezione di malattie da Guinness, l’autosabotaggio russo dei gasdotti Nord Stream 1 e 2, l’autobombardamento russo della centrale nucleare di Zhaporizhzhya, la prossima o già avvenuta liberazione dei territori ucraini occupati); e tacendo o bollando di fake news notizie vere (gli appelli del Papa contro i governi “pazzi” del riarmo al 2% del Pil, lo scoop del premio Pulitzer Seymour Hersh sul sabotaggio Usa dei gasdotti russi, i decreti Zelensky che mettono fuorilegge gli 11 partiti di opposizione e vietano di trattare con Putin, gli appelli al negoziato non dei “pacifinti”, ma persino del capo di Stato maggiore delle forze armate Usa, generale Mark Milley, scettico su una vittoria militare ucraina).

Siete voi che avete criminalizzato i pacifisti con insulti e calunnie, trasformando il valore della pace in un disvalore e il “ripudio” costituzionale della guerra in un via libera al bellicismo, all’escalation e alla cobelligeranza con un Paese non alleato che dal 4 ottobre ripudia il negoziato per decreto. Siete voi che avete spacciato le sanzioni su gas e petrolio russi per una battaglia di democrazia, infatti ora li acquistiamo (o ne acquistiamo di più) da tirannie altrettanto o più ributtanti di quella russa: Algeria, Egitto, Angola, Mozambico, Congo, Emirati Arabi, Arabia Saudita, Qatar. Siete voi che minimizzate gli effetti letali dell’uranio impoverito da quando Londra ha annunciato che ne farà dono agli ucraini. Quindi, cari censori liberali e democratici, siete voi che dovete giustificarvi agli occhi degli italiani. Non noi. Fatevene una ragione e provate a spiegare che cosa vi è successo, se ci riuscite.

Adieu!




“Eravamo io, Bob, Alì, Sergio e Gabo…”
 Riposa in pace Gianni!

lunedì 27 marzo 2023

Dunque ci siamo!

 

Plusvalenze. Oggi l’udienza di “Prisma” e a giugno altre due sentenze per la Juve
di Paolo Ziliani
Dunque ci siamo. Oggi a Torino scatta l’udienza preliminare del Processo “Prisma” in cui si deciderà sulla richiesta di rinvio a giudizio per l’ex presidente della Juventus Andrea Agnelli, il suo vice Pavel Nedved, l’ex ad Maurizio Arrivabene, l’ex d.g. Fabio Paratici, svariati dirigenti dell’area amministrativa e la stessa Juventus in quanto persona giuridica, richiesta giunta al termine di un’inchiesta condotta sui bilanci del club per le stagioni 2019-20, 2020-21 e 2021-22.
Detto che la Juventus è una società quotata in borsa, i reati contestati sono molteplici. In particolare il falso in bilancio (reclusione da tre a otto anni con scelta della sanzione maggiore per le società quotate in borsa, e la Juventus lo è), la manipolazione del mercato (da uno a sei anni con multa fino a 5 milioni), l’ostacolo alle autorità di pubblica vigilanza, cioè la Consob (da uno a quattro anni) la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti (da quattro a otto anni). Agnelli, Nedved e Paratici (oggi al Tottenham) sono chiamati a rispondere dei quattro reati, mentre sul capo dell’ex ad Arrivabene pendono le accuse di reato di falso in bilancio per gli anni 2019, 2020 e 2021, di manipolazione del mercato e ostacolo alle autorità di pubblica vigilanza solo per il 2021. Dal giorno della decapitazione dell’intero cda juventino avvenuta il 28 novembre scorso per mano della proprietà Exor (leggi John Elkann), che avendo preso contezza della catastrofe incombente ha scelto di far sparire dalla circolazione tutti, a cominciare dal presidente Agnelli fatto fuori dall’oggi al domani anche dai cda di Exor e Stellantis, sono passati quattro mesi: 120 giorni in cui le notizie degli smaccati reati commessi da Agnelli&company sono via via diventate di dominio pubblico nel disappunto più che nella curiosità dei media: che hanno sostanzialmente silenziato lo scandalo, salvo esplodere in una indignata e coordinata ribellione quando dal fronte giustizia sportiva è piombata in capo alla Juve la penalità di 15 punti dopo la riapertura del processo su un filone minore dell’inchiesta, quello delle plusvalenze fittizie. La giustizia sportiva emetterà le sentenze sui due filoni centrali dell’inchiesta a maggio-giugno: le “manovre stipendi” e la “partnership con società terze” (le definizioni sono dei magistrati) su cui la mole probatoria è, come ha già detto la Corte d’Appello federale, “impressionante”. I tempi della giustizia ordinaria, come si sa, sono lunghi. La Juventus è accusata di aver iscritto a bilancio una perdita di 39,8 milioni invece che di 84,5, nel 2019, una di 89,6 invece che di 236,7 nel 2020 e una di 209,5 invece che di 222,4 nel 2021 facendo sparire perdite di 200 milioni in tre anni; e poiché nel primo e nel terzo esercizio si era determinato un patrimonio netto negativo di -13,38 milioni e -175,7 milioni, il dato è stato camuffato in patrimonio netto di 31,2 e 28,8.
Sapete cos’è il “patrimonio netto” di una società? È la differenza tra attività e passività. Le voci che lo compongono sono 4: capitale sociale, riserve, utili da destinare e perdite. Quando le perdite superano le prime tre voci si verifica una situazione di “patrimonio netto negativo”: che significa liquidazione della società. E uscita dalla borsa. E se sei una società di calcio, impossibilità di iscriverti al campionato. Già. Le carte della Procura di Torino sono 15 mila e di comportamenti corretti della Juventus non c’è traccia. Come si dice in questi casi, chi vivrà vedrà.

domenica 26 marzo 2023

Fini fa pensare


Tribunali morali per guerre “giuste”

di Massimo Fini 

Marco Travaglio (Il Fatto 19.3) ha già dato conto, da par suo, degli aspetti grotteschi del mandato d’arresto per Putin spiccato dalla Corte Internazionale penale dell’Aia per “crimini di guerra”: il Trattato che istituisce questo Tribunale non è stato firmato dalla Russia, ma nemmeno dagli Stati Uniti e dall’Ucraina, per cui i soli altri Paesi dove Putin sarebbe al sicuro da questo mandato sono proprio gli Usa e l’Ucraina.
Ma noi vogliamo approfondire il discorso rimandandolo ai processi di Norimberga e Tokyo per i “crimini di guerra” commessi dai nazisti, che stanno alla base della costituzione dell’attuale Corte Internazionale dell’Aia. Allora, per la prima volta nella Storia, i vincitori non si accontentarono di essere più forti dei vinti mandandone a morte i capi politici e militari, come si era sempre fatto da che mondo è mondo, ma pretesero di essere moralmente migliori dei vinti tanto da poterli, appunto, giudicare.
I processi di Norimberga e Tokyo suscitarono forti perplessità proprio in campo liberale. Scriveva l’americano Rustem Vambery, docente di Diritto penale, sul settimanale The Nation del 1º dicembre 1945: “Che i capi nazisti e fascisti debbano essere impiccati e fucilati dal potere politico e militare, non c’è bisogno di dirlo; ma questo non ha niente a che vedere con la legge… Chiunque conosca la storia del diritto penale sa quanti secoli, quanti millenni, ci sono voluti…” per affermare l’esatto contrario dei presupposti dei processi di Norimberga e di Tokyo che pretendevano di sostituire il diritto con la forza, la forza del vincitore. E Benedetto Croce, in un discorso tenuto all’Assemblea costituente, affermava: “Segno inquietante di turbamento spirituale sono ai giorni nostri i tribunali senza alcun fondamento di legge, che il vincitore ha istituito per giudicare, condannare, impiccare, sotto nome di ‘criminali di guerra’, uomini politici e generali dei popoli vinti, abbandonando la diversa pratica, esente da ipocrisia, onde un tempo non si dava quartiere ai vinti o ad alcuni di loro e se ne richiedeva la consegna per metterli a morte, proseguendo e concludendo con ciò la guerra”.
Sulla superiorità morale dei vincitori erano leciti dubbi già allora. Fa una certa specie pensare che sullo scranno dei giurati, a Norimberga, sedevano, per giudicare di “atti di aggressione”, i rappresentanti di un Paese, l’Urss, che aveva assalito e squartato, con un attacco vilissimo, concertato proprio con Hitler, la Polonia e che era responsabile delle fosse di Katyn. Fa specie ricordare che sui banchi dei giudici del processo di Tokyo sedevano rappresentanti del presidente Truman che gettò l’atomica su Hiroshima e Nagasaki, a guerra ormai finita, col Giappone in ginocchio. Come scriveva, l’inglese The Guardian, giornale liberale, il 1º ottobre 1946: “Non è possibile per il mondo esterno – i neutrali e i futuri storici spassionati – sentir parlare di nazismo imputato di ‘distruzioni indiscriminate’ senza ricordare Amburgo e Dresda”. Le bombe su Amburgo, Dresda, Lipsia furono sganciate, per ammissione degli stessi comandi politici e militari americani, “per scoraggiare il popolo tedesco”, cioè direttamente i civili.
Ciò, naturalmente, è nulla rispetto a quello che han fatto poi Usa e Urss. Negli anni del Dopoguerra, dal 1945 per arrivare fino a noi, Usa e Urss hanno messo a ferro e fuoco il Sud-Est asiatico, usato il napalm e le armi chimiche in Vietnam, combattuto guerre in Medio Oriente per interposta persona e sulla pelle altrui, “suicidato” Masaryk e Allende, schiacciato nel sangue la rivolta ungherese, invaso la Cecoslovacchia e l’Afghanistan, difeso e sostenuto i più feroci, sanguinari e criminali dittatori salvo poi dismetterli, quando non più presentabili, a suon di “golpe”, organizzato decine di colpi di Stato, fomentato e guidato, attraverso Kgb e Cia, una buona fetta di terrorismo internazionale. Questo scrivevo su L’Europeo nel 1986. Ma il peggio del peggio è avvenuto proprio negli ultimi 25 anni con protagonisti non solo Russia e Usa, ma anche alcuni dei più importanti Paesi europei: aggressione alla Serbia (1999), senza l’appoggio dell’Onu anzi contro la sua volontà (5.500 morti civili), aggressione e occupazione dell’Iraq (2003-2011) con un bilancio di morti che va dai 650.000 ai 750.000 a seconda delle stime (la più attendibile è quella fatta da una rivista medica inglese che ha paragonato i morti durante un decennio in cui era al governo Saddam Hussein e il decennio successivo: e fanno 650.000). Subito dopo che c’era ancora da fare? Aggredire, a opera di francesi, americani, italiani, senza l’avallo dell’Onu, anzi contro la sua volontà, la Libia del colonnello Gheddafi. Qui i morti non sono stati ancora calcolati perché lo sconquasso libico è in corso. Poi c’è l’aggressione (2001-2021) all’Afghanistan, non più sovietica ma occidentale. Anche qui i morti non sono stati calcolati perché, si sa, gli afghani, soprattutto se Talebani, non sono propriamente degli esseri umani. Comunque il bilancio, calcolato all’impronta, parla di 400.000 morti civili (depurato dei combattenti talebani, molti dei quali peraltro sono stati deportati a Guantanamo, e molti ancora vi rimangono perché definiti “terroristi”). C’è poi la comparsa dello Stato Islamico e dell’Isis come reazione della parte più radicale dell’islamismo alle continue aggressioni in Medio Oriente degli occidentali: “Io vengo a restituirti un po’ del tuo terrore, del tuo disordine, del tuo rumore”, questa canzone di De André è del 1973 e quindi Fabrizio nulla poteva sapere dell’Isis, ma vale il concetto base che ha innescato questo particolare terrorismo internazionale: voi ci avete bombardato per anni continuando a vivere tranquillamente la vostra vita, fatta di drink, di apericena, di partite di calcio, di consumo, adesso imparate anche voi che cosa vuol dire essere continuamente sotto attacco. Non è certamente un caso che gli attacchi Isis, almeno in Europa, si siano diretti contro i luoghi del divertimento e del consumo occidentale (Bataclan, Promenade des Anglais, stadi, supermarket). Amedy Coulibaly, autore kamikaze di un attentato a un supermercato kosher a Parigi, lo ha detto chiaramente in un suo testamento postumo: “Tutto quello che facciamo è legittimo. Non potete attaccarci e pretendere che non rispondiamo. Voi e le vostre coalizioni sganciate bombe sui civili e sui combattenti ogni giorno. Siete voi che decidete quello che succede sulla Terra? Sulle nostre terre? No. Non possiamo lasciarvelo fare. Vi combatteremo”.
Viene buon ultima, dopo le infinite violazioni del diritto internazionale da parte occidentale, l’aggressione della Russia all’Ucraina che è costata finora, secondo le stime Onu, la morte di 7.100 civili. Una goccia di sangue in un mare di sangue.
Hitler avrebbe saputo fare di più e di meglio? Non si sa. È un’ipotesi. Un cattolico processo alle intenzioni. Quel che è certo è che Hitler era fatto a Hitler e non si è mai presentato come “benefattore dell’umanità”, a differenza dei giudici della Corte Internazionale penale dell’Aia e dei loro patrocinatori americani ed europei, col consenso unanime, o quasi, dei media e dei loro giornalisti reggicoda.
Post scriptum. Il mandato di arresto a Putin sembra fatto apposta per incancrenire ulteriormente la situazione e mettendo con le spalle al muro il presidente russo per indurlo a sganciare qualche “atomichetta tattica”, che sarebbe l’inizio della tanto temuta Terza guerra mondiale. Inshallah.

Oramai sono patologici!




Ragogna

 


Giro dell'allocco

 


Giudizi di parte

 

La gara degli orrori
di Marco Travaglio
In 13 mesi di invasione russa dell’Ucraina l’Onu ha accertato almeno 40 esecuzioni sommarie di militari prigionieri e disarmati: 25 commesse dalle forze ucraine su soldati russi e 15 da quelle russe su quelli ucraini. Sono dati parziali, frutto di un’indagine degli ispettori Onu tra agosto e gennaio con interviste a 400 prigionieri di guerra, metà ucraini e metà russi. Che raccontano anche torture, civili usati come scudi umani e altri abusi bipartisan che “potrebbero costituire crimini di guerra” su entrambi i fronti. La capo-missione Matilda Bogner spiega che Kiev, informata di tutto con tanto di prove, si è voltata dall’altra: “Nessun caso è stato finora portato in tribunale”. Idem Mosca. Il fatto che i crimini ucraini siano più numerosi di quelli russi non conferisce a Kiev il record di ferocia, né giustifica l’aggressione. Ma dimostra che ha ragione il Papa: questa non è la fiaba di Cappuccetto Rosso e del lupo cattivo, perché ci sono soltanto lupi cattivi. Lo scrivemmo un anno fa sulla strage di Bucha, quando ancora mancavano elementi certi per ricostruirne la dinamica, ma già la propaganda atlantista la enfatizzava per farne un unicum mai visto e spezzare l’esile filo dei negoziati russo-ucraini in Turchia. Invece era una storia di ordinario orrore bellico, come centinaia di stragi in ex Jugoslavia, Afghanistan, Iraq e altri Paesi aggrediti dai “buoni”. Usarla per uccidere i negoziati e allungare la guerra non fece che moltiplicare le Bucha da entrambe le parti. Già nel 2014 l’Onu denunciava crimini di guerra ucraini in Donbass: “Gravi violazioni dei diritti umani, continue uccisioni di civili, arresti illegali, persone torturate e fatte sparire, esecuzioni sommarie, stupri… Tra metà aprile e metà novembre, 4.317 civili uccisi e 9.921 feriti”. E nel 2016 segnalava “uccisioni, torture, rapimenti e lavori forzati… anche a opera di gruppi armati che combattono a fianco dell’esercito regolare” (i famigerati battaglioni Azov, Dnipro&C.).
Migliaia di casi mai perseguiti né dai governi ucraini (Poroshenko e Zelensky) e dalla loro “giustizia” né dai giudici strabici del famoso Tribunale dell’Aja. Infatti sono proseguiti nel 2022-23. Vedi i filmati di prigionieri russi ammanettati e gambizzati. E l’ultima denuncia di Amnesty del 4 agosto: “Le tattiche di combattimento ucraine mettono in pericolo i civili”, “violano il diritto internazionale e trasformano i civili in obiettivi militari”, cioè in scudi umani con “basi militari e sistemi d’arma messi in aree residenziali, compresi scuole e ospedali”. Siccome ora lo fanno anche con le nostre armi, chi ha votato per inviarne altre dovrebbe forse dire qualcosa. Non per stilare una classifica dell’orrore, ma per farlo finire al più presto. A qualunque costo.

Calcio nostrano

 

Lo stadio Picco è diventato troppo piccolo
Lo dicono i numeri: l’affluenza media delle gare di serie A è di 28.995 spettatori, mentre sono 8.840 per le partite giocate alla Spezia

di Mirco Giorgi 

LA SPEZIA 
Ora che il Covid non è più un’emergenza, dopo quasi tre stagioni di serie A, con la speranza di vederne una quarta, la questione della capienza inadeguata del Picco esplode. Tutti si beano dell’ennesimo tutto esaurito in arrivo con la Salernitana, ma nessuno che dica che vendere tutti i biglietti in un stadio così piccolo è semplicissimo persino con le assurde scelte di marketing che hanno escluso un sacco di famiglie. A chi si esalta con poco, rispondiamo con la forza di tre numeri. Il primo è 28.995, affluenza media delle gare di serie A fino ad oggi, nonostante le dirette televisive, le problematiche degli impianti e i costi dei biglietti non certo alla portata di tutti. Il secondo è 8.840, affluenza media delle partite giocate al Picco. Il terzo è 11.676, capienza attuale dell’impianto di viale Fieschi. E’ evidente che non si potrà rimanere a lungo in questa categoria se la distanza non viene sensibilmente abbattuta. Salire a 12.000 garantirebbe il minimo richiesto, ma è anche un vicolo cieco. Intanto perché la pressione del baraccone, e di tante grandi piazze che al momento non sono in A, potrebbe far salire facilmente questo limite e rendere lo stadio off limits. Ma soprattutto perché numeri così bassi sono destinati, prima o poi, a tagliarti fuori, non fosse altro che per economia di scala. Che sia stato perso un sacco di tempo è incontestabile. Che si sia persa l’occasione unica di sfruttare il periodo di porte chiuse (durato ben un anno e mezzo) per lavorare a un potenziamento strutturale dell’impianto è un altro dato di fatto. Che la tribuna, ad esempio, sia semplicemente impresentabile a qualsiasi livello professionistico basta la sua ridicola capienza di 1.162 posti a dimostrarlo (il Luperi di Sarzana, che ospita la Fezzanese in D, ha una tribuna coperta da 2.500). Viene il nervoso a pensare quante decine di città in Italia si sarebbero comportate al posto nostro. Facciamo sempre l’esempio di Cesena, ma è utile ricordarlo: promozione in A nell’estate del 1988, demolizione di tre settori iniziata il giorno dopo la fine del campionato, stadio completamente rifatto in tre mesi, prima partita del nuovo campionato con l’impianto agibile, copertura terminata durante la stagione, primo stadio totalmente coperto in Italia, un gioiello. Tecnologia allora avveniristica, con blocchi di stadio costruiti altrove e poi assemblati in loco, perfettamente replicabile con trent’anni di vantaggio e tecniche probabilmente molto più avanzate. Ma la logica del «maniman» (termine purtroppo ormai in disuso nella pur ligure La Spezia) ha prevalso su ogni cosa. Progetti di minima, non sia mai. E non trascuriamo i grandissimi problemi di sicurezza che sono sempre lì sul tavolo. A nessuno interessa il potenziale redditizio di un grande stadio, che potrebbe ospitare, in una città turistica come la nostra, eventi di ogni tipo durante l’estate, facendo aumentare le possibilità di rientro sull’investimento: un weekend estivo con tre date di Vasco Rossi, ad esempio, quanto farebbe incassare? Qui nessuno chiede di buttare via i soldi ma di spenderli bene, perché ritornerebbero con gli interessi, visione del tutto sconosciuta ai nostri politici.

sabato 25 marzo 2023

L'incompetenza al potere

 

Salvini e la costosissima barzelletta del ponte
DI ALBERTO ZIPARO *
Gli annunci reiterati di Matteo Salvini sul Ponte sullo Stretto di Messina – una vera campagna mediatica – non vanno presi per novità di rilievo politico e programmatico. Il neo ministro delle Infrastrutture ha intensificato frequenza e quantità di annunci, anche perché aumenta la quota di inadempienze e incapacità che l’agitare della figurina del Ponte deve coprire. Se all’inizio era solo l’ignoranza e il vuoto di conoscenza e azione rispetto ai problemi e alle necessità del Sud, specie di Calabria e Sicilia, da occultare, ora si sono aggiunte due autentiche catastrofi sociali per i territori meridionali: la cancellazione del Reddito di cittadinanza e l’avanzata dell’Autonomia differenziata. E questo a non dire delle liti di governo.
Ci sono però alcuni punti da chiarire per spiegare la grande balla del Ponte. Innanzitutto non c’è un atto ufficiale: il verbale del Cdm in cui si è trattato l’argomento chiarisce che l’approvazione del decreto è stata “salvo intese”. Tradotto: questa potrà potrà essere definita una volta che i problemi legali, normativi, economici, tecnici e programmatici della questione siano stati affrontati e risolti, forse tra altri cinquant’anni.
Fonti informali di governo specificano la natura di tali problemi. Il mancato decreto risultava “privo di fondamenti” normativi e legali, prima che tecnici e programmatici. L’elenco delle bizzarrie giuridiche è lungo: “Resuscitare” la società concessionaria del progetto e dei lavori del Ponte, già liquidata; ripristinare i diritti di affidamento dei lavori al Contraente generale (che intanto non esiste più, essendo cambiate natura giuridica e caratteristiche dell’impresa capofila, che prima era Impregilo e adesso è Webuild); riattivare la procedura ex Legge Obiettivo (cosa possibile per la procedure già in corso al momento dell’abrogazione della stessa legge, ma non in questo caso, in quanto la caducazione di tutti i contratti di appalto e la cancellazione ufficiale del progetto ha chiuso anche la continuità di procedura ex Legge Obiettivo e cancellato la fonte normativa dell’operazione). Oggi riaffidare i lavori alla società in cui è parzialmente presente la società ex capofila del general contractor significherebbe affidare un contratto d’appalto di una decina di miliardi a trattativa privata, in barba a tutte le norme nazionali e comunitarie. Come irregolarità e illegalità non c’è male.
La cosa incredibile è che non sono solo e non tanto questi i problemi del Ponte. Gli attuali fan del progetto omettono infatti un passaggio fondamentale, che fu decisivo nel 2013 per la sua cancellazione ufficiale: lo stesso coordinatore tecnico-scientifico del progetto, professor Remo Calzona, aveva ammesso che, a fronte delle numerosissime edizioni di un progetto infinito, la sua versione esecutiva, quella cruciale per dimostrare la reale fattibilità dell’opera, non era mai stata redatta perché avrebbe provato l’esatto contrario della fattibilità, ovvero che il Ponte non si può fare. Non è che sia difficile, problematico, complicato, arduo o pieno di incognite: è semplicemente impossibile. Il progetto è giudicato “allo stato non realizzabile” dalla massima autorità tecnica competente, non da un gruppuscolo di ostinati luddisti, sia nell’ultima versione con campata unica di 3,3 chilometri, sia nella versione con i piloni nello Stretto, bocciata anni prima proprio dai luminari coinvolti all’uopo dalla società e dal ministero, che avevano stabilito l’impossibilità di poggiare il manufatto su pile “nel mare” proprio per le condizioni sismo-tettoniche e meteo-climatiche dello Stretto.
Stessa sorte è toccata alle altre ipotesi progettuali. Il perché di tutto ciò è semplice: a oggi non esistono ancora materiali che assicurino le prestazioni tecnologiche necessarie per costruirlo. Questo problema insormontabile non è mai menzionato dai politici e dai decisori pubblici locali e nazionali che continuano a perseverare sulla favola del Ponte sullo Stretto. La stessa stupefacente insistenza rappresenta un’autodenuncia della sua ignoranza e incapacità. Pur di annunciare “i cantieri tra un paio di anni” è costretta a ignorare il problema capitale della non costruibilità, per non parlare delle gravissime criticità territoriali, ambientali, economiche, sociali, trasportistiche emerse in decenni di studi sul progetto.
Il Ponte è un annuncio perenne, immagine paravento di mancanze e insipienze della politica istituzionale rispetto alle regioni coinvolte e in generale al Mezzogiorno. Più di questo, è stato una formidabile fonte di sprechi e sparizione di risorse pubbliche (oltre mezzo miliardo di euro in cinquant’anni): sarebbe bene smetterla davvero con questa costosissima barzelletta diventata una piaga sociale.
* Ingegnere ed Urbanista Università di Firenze

Anche l'uranio è buono?

 

Uranio Fan Club
di Marco Travaglio
L’uranio sarà anche impoverito, ma il suo Fan Club non fa che arricchirsi. Dopo il duo Caprarica-Fubini, giovedì a Piazzapulita ne parlavano Vittorio Emanuele Parsi e Francesca Mannocchi. Invano Corrado Formigli ricordava la strage infinita di soldati in missione all’estero, mentre quelle dei civili possiamo soltanto immaginarle. Poi intervistava Sigfrido Ranucci sui bombardamenti anglo-americani a Fallujah (Iraq) col fosforo bianco. E, con Padellaro e Negri, notava il doppiopesismo del Tribunale dell’Aja che vuole arrestare Putin dopo aver dormito sonni profondi sulle stragi occidentali da uranio impoverito e da fosforo bianco. Ma ora che l’uranio impoverito lo donano generosamente gli inglesi agli amici di Kiev non riesce proprio a indignare né Parsi né Mannocchi. Sì, certo, spiegava Parsi, agli ucraini va raccomandato di “non raccogliere queste cose (sic, ndr) senza cautela, perché potrebbero essere pericolose” e financo “avere delle controindicazioni”, tipo l’aspirina. Ma “non hanno nessuna capacità di escalation”, quindi “sta a noi decidere se vogliamo fare (sic, ndr) l’agenda dei russi o la nostra”. Ovvio che è meglio la nostra, anche se è difficile distinguerla da una cartella clinica di oncologia. Mica possiamo darla vinta a Putin rinunciando a sterminare un po’ di ucraini con un po’ d’uranio.
Padellaro osservava che la parola “uranio” allarma vieppiù l’opinione pubblica per un’escalation senza sbocchi né strategie. Ma Mannocchi metteva su l’arietta di Parsi: queste cose spettano ai “decisori”, non certo all’“opinione pubblica, che non ha la lucidità”. A noi pare l’opposto, ma non essendo decisori non siamo lucidi. Invece il lucido Parsi spiegava che i giudici dell’Aja “applicano la legge in ossequio alla separazione dei poteri, non all’opportunità politica”: infatti hanno inviato “un segnale a Putin”, che è proprio una scelta politica. E la lucida Mannocchi opinava che non si può chiedere a quei giudici perché non processano tutti i criminali di guerra, ma solo chi conviene alla Nato: “L’Iraq è una vergogna che ci portiamo dietro, ma è un fatto storico, mentre ora parliamo di Ucraina”. E il milione di morti ammazzati da noi fra Iraq e Afghanistan è prescritto, sennò “c’è un pregiudizio antiamericano”. Cose che càpitano quando l’opinione pubblica poco lucida si ostina a non apprezzare le virtù taumaturgiche dell’uranio impoverito che “si libera attraverso le urine con molta più facilità” (Fubini). Ed è meglio del Viagra: vuoi mettere avere lì sotto un razzo a testata nucleare fosforescente che ti illumina a giorno la stanza da letto, così risparmi sull’abat jour? La preziosa sostanza è consigliata anche come profumo per ambienti e sale da bagno: la famosa essenza di geranio impoverito.