martedì 28 febbraio 2023

Mannaggia!




Ridiamoci su!




Se manca la scintilla

 

E' difficile veder scoccare la scintilla in queste mattine, l'agevolamento ad affrontare il giorno e le sue ritualità, sempre e costantemente uguali, appunto, mancando il guizzo. E' una sensazione personale naturalmente, l'ovvietà mi sta impregnando lo spirito, la debacle della fantasia è campanello d'allarme. 

Vivo il tempo che ci è concesso imbizzarrendomi alquanto per ciò che attorno a me avviene, ad iniziare dall'assassinio di migranti avvenuto a Crotone. Si, lo reputo un assassinio della nostra cosiddetta civiltà. E mi incazzo. Principalmente con me, incoerente imbolsito e pure flaccido mentalmente, e non solo. Non si può far finta di niente, non si può immergersi nella noia per certi versi appagante, e nemmeno continuare nella banalità del fiume che scorre senza storia, ritmato da paglie e respiri, cosicché la vita vergognosamente dilapida i suoi secondi, sempre meno numerosi. Non posso accettare che un ministro degli Interni dica cazzate invereconde, discetti da instabile su temi così gravi e tremendamente vergognosi. 

Sono morte delle persone, tra cui bambini. Cosa ci dice la coscienza collettiva? L'abbiamo ancora o ne abbiamo agevolato il trapasso soffocandola con la nostra insana e squallida voglia di apparire su Instagram o TikTok?

Mi è capitato di vedere le immagini dell'uscita della bara dalla chiesa degli Artisti dopo il funerale, accompagnato da un enorme numero di cellulari issati per immortalare il momento. Riprendere un funerale per farne cosa? Per guardarlo dopo? Dopo che? 

E allora mi pervade una sensazione di resa. Questo mondo mi fa sempre più schifo, mi nauseano gli imbecilli, probabilmente lo sono anch'io. 

Bloomer, generazione Z, X, millenians. Non ne posso più di queste cenciose modalità d'approccio. Avverto molto menefreghismo, inganno, invidia, spossatezza mentale. 

Mi ribellerò. Con forza e determinatezza. 

E a culo tutto il resto! (cit.)   

Parole illuminate


di Selvaggia Lucarelli 

E difficile ascoltare le parole del ministro Piantedosi sul naufragio di Cutro (63 annegati, tra cui 15 bambini) e rimanere fermi sulla sedia, perché viene voglia di alzarsi, afferrarlo per la giacca e scuoterlo, come in certe brutte fiction in cui è tutto orribilmente teatrale, e chiedergli se stia scherzando, se stia recitando un copione, se davvero lui sia quello che dice. 

Ci sono molti livelli di disumanità, ma l’anti-empatia credo sia il più basso e irrecuperabile. L’anti-empatia è quella cosa per cui tu fingi di essere capace di metterti nei panni degli altri e non per comprenderne le emozioni, ma solo per sancire la tua superiorità morale in ipotetiche situazioni che riguardano, appunto, gli altri. Quelli che: “io se mi fosse morta una madre mai sarei andata in tv”. O: “io al posto di tizio mai avrei accettato quel compromesso”. Poi c’è Piantedosi, ministro, prefetto, 63 anni, che con la stessa anti-empatia riesce a mettersi nei panni bagnati dei naufraghi e spiega loro la vita, l’educazione, il senso di responsabilità, perché lui sì che ha il senso dell’onore e conosce l’etica, mica gli altri, quelli che scappano senza diritti e senza il dovere di farlo. 

“Io non partirei perché sono stato educato alla responsabilità di non chiedermi solo cosa mi debba aspettare dal paese in cui vivo, ma anche quello che posso dare io al paese in cui vivo per il riscatto dello stesso”. Certo, se lui fosse stato uno dei 28 afgani morti in mare avrebbe senz’altro cercato di riscattare il suo paese dalla violenza talebana. Se fosse stato uno dei 16 pakistani morti con i polmoni pieni d’acqua sarebbe rimasto senz’altro ad affrontare a testa alta terrorismo, talebani, violenza, instabilità e povertà. Se fosse stato uno dei somali affogati tra le onde, Super Piantedosi sarebbe rimasto senz’altro ad affrontare guerra e carestia, magari con moglie e figli destinati a morte certa, stupri, fame. 
“Non devono partire, questo messaggio è etico, non bisogna esporre donne e bambini a situazioni di pericolo”, ha detto col tono del generale che parla alle truppe.
Già, come se il luogo da cui questa gente scappa non fosse già esso stesso una situazione di pericolo tale da spingere a compiere il gesto disperato di buttarsi in mare, magari con un neonato in braccio, il buio, una barca scassata e le onde altissime.

Mentre dice queste cose spaventose, già spaventose nella sostanza e come se non bastasse pure con toni, mimica facciale, comunicazione non verbale assolutamente spaventosi (osservate le mani che indicano quasi la presenza di una lavagna invisibile su cui i migranti possono leggere i loro diritti e i loro doveri nel campo della vita e della morte), penso a qui disperati sulle Torri gemelle col fuoco alle spalle, che sceglievano di morire lanciandosi dalla finestra, perché chissà, forse una tenda, un rimbalzo fortunato, magari un osso rotto e ci si salva. La finestra aperta sul nulla faceva paura, era un lumicino di speranza, il fuoco ormai alla porta no, il fuoco era morte lenta e dolorosa. Loro sono diventati eroi, perché morti sui marciapiedi. Gli altri sono intrusi, perché venuti a morire nei nostri mari. 
Gli altri non potevamo salvarli, questi sì. È per quello che sono scomodi, vanno spogliati di umanità, va rimossa l’idea che partano o no siano spacciati comunque. I Piantedosi di questo governo devono convincerci che questi dissennati muoiano da irresponsabili, da vigliacchi disertori che scelgono di privare il loro paese delle sue risorse migliori. 

E invece noi non ci facciamo fregare, non dimentichiamo mai che quei viaggi tra le onde esistono perché il loro unico modo per vivere è quello di rischiare di morire.
I Piantedosi ci raccontano che quelli lì sono egoisti perché è il modo più subdolo per non ammettere che sì, quelli lì sono avidi, sono assetati: hanno disperatamente voglia di futuro. 
Come l’avremmo noi, e non a costo di morire. 
Lo sanno già che forse moriranno.
Partono a costo di salvarsi.

Dialoghi

 


Grazie a Dio!

 

“Non so che Vangelo legga Salvini. Il mio è diverso”
L’INTERVISTA - "Il Viminale mi denuncia? Non ho moglie, non lascio nessuno, posso andare in galera"
DI LUCIO MUSOLINO
“Diventiamo umani”. Il parroco di Botricello, don Rosario Morrone, lo ha ripetuto più volte ieri pomeriggio per spiegare cosa ha provato davanti ai cadaveri dei primi 27 migranti.
Don Rosario, i morti sono saliti a 63. Ci ritroviamo dopo l’ennesima tragedia. Perché?
Se si tratta di fare soldi ci si ammazza. I migranti sono per tutti un prezzo e non siamo capaci di umanità. Se fossero soldi, tutti si sarebbero scomodati. I porti si devono aprire: prima si accoglie e dopo si discute in Europa. Magari pure si litiga, ma prima dobbiamo essere umani.
Lei ha detto: “Siamo italiani, accogliamo tutti”.
Abbiamo l’accoglienza nel sangue. Soprattutto in Calabria. Io ho 55 anni, Meloni 46. Vorrei parlare con lei di umanità. Salvini ne ha 49 e con lui vorrei parlare di quale Vangelo legge e quale Rosario recita, perché i miei sono diversi.
“Italiani” per molti, soprattutto a destra, significa altro…
Ma stiamo scherzando? La prima cosa che mi hanno detto i miei parrocchiani è stata: ‘Dicci cosa dobbiamo dare ai migranti. Se è necessario li portiamo nelle nostre case’. È mai possibile che quattro persone che di umanità non ne capiscono ci condizionino la vita? Sono un parroco di periferia e fino a ieri mi conoscevano solo i miei parrocchiani. Adesso ho l’urlo di quei 27 che dicevano ‘aiutateci’ e non c’eravamo.
Perché non si è riusciti a salvarli?
Non accuso nessuno. Però siamo capaci di costruire missili per colpire un bersaglio nel millimetro e non siamo capaci di vedere una rotta, di seguire i migranti e di trovare navi che superino mare forza 7. A proposito, oggi dicono che è forza 3. Perché nessuno dice che sono state sospese le perlustrazioni del mare o che hanno ostacolato le ong? Li sta sentendo i politici che dicono queste cose?
In compenso il Viminale fa sapere che sottoporrà le sue affermazioni all’Avvocatura dello Stato. Che ne pensa?
Ci hanno minacciato in diretta. Hanno detto che l’Avvocatura ci denuncerà. Lo facciano. Non metterò nemmeno l’avvocato. Tanto non ho moglie, non lascio nessuno e posso andare in galera. Ripeto: bisognerà capire che cosa è successo. Senza accuse, ma devono rendere conto tutti.
Possibile che, davanti a 63 morti, ci si preoccupi delle parole di un prete?
Ho conosciuto troppe persone nella mia vita. L’umanità ce l’abbiamo tutti. Sono stato cappellano delle carceri e dico che ce l’hanno pure i mafiosi. Facciamo un appello: diventiamo umani. Tra i cadaveri c’era una bimba di 9 anni. Fosse stata mia figlia, la figlia di Meloni, di Salvini o di un altro politico, ci saremmo straziati il cuore. Eppure non ci dovrebbe essere nessuna differenza. La preghierina senza l’amore verso l’umano è una perdita di tempo.
Cosa direbbe ai politici?
Di elaborare pensieri, idee e strategie ma per servire l’umanità. Siete lì come dei servi non come persone che si devono pavoneggiare per la poltrona. Sono abituato alla politica con la P maiuscola. A mio parere, siamo scesi di livello. Pure i comunisti. Ricordiamoci che gli accordi con la Libia li ha fatti il centrosinistra.

Elly e Marco

 

Elly, l’arma segreta
di Marco Travaglio
Anche stavolta, come a ogni elezione che guasta i piani dei padroni del vapore, stupisce lo stupore. Elly Schlein s’è presa il Pd, a cui s’era iscritta il giorno prima, con una bella impresa: per la prima volta ha ribaltato il voto degli iscritti, neutralizzando le truppe cammellate dei cacicchi. Quindi, visti i precedenti interni al Pd, non si può dire che la sua vittoria fosse prevedibile. Ma chi la dava per spacciata in partenza, scambiando i propri sogni per solide realtà, trascurava almeno due avvisaglie irresistibili.
La prima è che sono almeno dieci anni che lorsignori intimano agli italiani di votare “bene” e gli italiani votano “male”: cioè con la propria testa. Nel 2013 non dovevano votare 5Stelle: i 5Stelle arrivarono primi. Nel 2016 dovevano salvare Renzi votando Sì al referendum costituzionale: passò il No. Nel ’18 non dovevano premiare M5S e Lega: vinsero M5S e Lega. Nel ’23 dovevano affossare Meloni e Conte e premiare quelli dell’Agenda Draghi: premiarono Meloni e Conte e affossarono quelli dell’Agenda Draghi (mai trovata, fra l’altro). Il comun denominatore di questi ribaltoni, che possono stupire solo chi non frequenta le persone normali, cioè l’establishment e stampa al seguito, non è una scelta fra destra e sinistra: ma fra cambiamento e restaurazione. Non sempre chi vince è nuovo, ma lo sembra. Se poi non lo è, tramonta presto. Renzi vinse le primarie 2013 e le Europee 2014 perché sembrava nuovo (aveva lo stesso programma di Grillo), poi scelse la conservazione al posto della rottamazione e passò di moda. Salvini pareva nuovo alle Europee 2019, poi scelse il partito degli affari e ciao. Ora tocca alla Meloni che, se va avanti a botte di agenda Draghi e agendina Biden, rischia di durare poco anche lei. E nel Pd tocca a Schlein, che ha vinto le primarie aperte non tanto perché è la leader più di sinistra mai vista da quelle parti, ma soprattutto perché è la più distante dal Pd di Renzi, di Letta e anche di chi ha puntato su di lei (Franceschini, Zinga e Orlando). Chi l’ha votata pretende scelte molto più radicali di quelle fatte finora (ha persino votato il dl Armi del governo Meloni). E lei, per vincere la sua sfida, dovrà leggere bene i numeri dei gazebo, che sono una vittoria solo sua. E non dovrà leggere i giornaloni, che già le consigliano amorevolmente (straziante l’appello di Folli su Rep), di “non regalare la posizione ‘atlantica’ a Meloni”: cioè di fare la fine di Letta.
La seconda avvisaglia, che ormai è pura scienza, è Piero Fassino: “Bonaccini è la miglior garanzia di un Pd nuovo, che torna al centro della scena”, “Il riformismo di Bonaccini ci farà vincere”, “Massimo impegno per eleggere Bonaccini segretario”. Con un’arma segreta di quel calibro, come poteva non vincere Elly Schlein?

Incredibilmente

 


lunedì 27 febbraio 2023

Mestizia

 


Non fai in tempo a rallegrarti, sommessamente, molto sommessamente visto che una delle sponsor maggiori della Elly è nientepopodimeno che Lady Franceschini, ovvero la reincarnazione del Gobbo visto che non lo abbattono né trombe d'aria né maremoti, al secolo Michela Di Biase, e allora visti i trascorsi non resta che attendere gli sviluppi di quello che dovrebbe essere un nuovo corso. Ma la notizia ferale è che Beppe Fioroni pare abbia annunciato di lasciare il partito! Quale tremebonda notizia! Che sfacelo! Perdere un così grande compagno di viaggio! Beppe ripensaci! Il tuo contributo alla sinistra è stato fondamentale in questi anni. Ricordo...ricordo.. no! Non ricordo proprio un fico secco! 

E allora addio Beppe, con la speranza che molti ingombranti armadi incompatibili con una vaga idea di socialismo, ti imitino al più presto! 

Aria fresca, aria nuova, aria di sinistra! 

Sarà vero? 

Mah...

Interessante

 


Il piano di pace della Cina è già morto: per 3 motivi

di Alessandro Orsini 

Come avevo anticipato, il piano di pace della Cina è nato morto per tre ragioni principali che riassumo.

La prima è che gli Stati Uniti e la Cina si preparano per massacrarsi a vicenda. Che la guerra tra loro scoppi non è certo, ma è certo che la stiano preparando. Gli Stati Uniti non consentirebbero mai alla Cina di assumere un ruolo preminente nella contesa in Ucraina. Biden non prenderà la decisione suicida di accrescere il peso strategico di Pechino in Europa concedendo il ruolo di mediatore a Xi Jinping, “amico illimitato” di Putin.

La seconda è che gli Stati Uniti hanno voluto inserire in un documento ufficiale della Nato che la Cina è un nemico collettivo dell’Occidente contro cui tutti i membri dell’Alleanza Atlantica dovrebbero coalizzarsi. Mi riferisco al meeting della Nato del 14 giugno 2021 a Bruxelles. La Cina protestò vibratamente. La tesi di quel documento è che la Cina sia una potenza che destabilizza l’ordine internazionale: un’immagine in contrasto con il ruolo di mediatore nella guerra in Ucraina. O la Cina destabilizza o stabilizza: tertium non datur.

La terza è che la Cina è sempre più vicina a fornire aiuti militari diretti alla Russia. Almeno per il momento, l’Unione europea e Biden dichiarano di non avere prove certe, ma le probabilità che i cinesi aiutino i russi militarmente aumenteranno se Putin si trovasse in difficoltà durante la prossima grande offensiva di terra o se la crisi a Taiwan dovesse subire un’accelerazione per mano americana.

Tutto sommato, il piano di pace cinese non è un piano di pace. È semplicemente un documento in cui la Cina ha pubblicato in forma solenne la sua posizione sulla guerra in Ucraina. Nessuna buona notizia per il blocco occidentale. La Cina rifiuta di condannare l’invasione russa, ma censura la penetrazione della Nato in Ucraina attribuendole la responsabilità principale della crisi. Di più: la Cina non chiede il ritiro delle truppe russe, si astiene dalle risoluzioni Onu contro la Russia e chiede pure il ritiro delle sanzioni.

Che cosa ne sarà del piano di pace della Cina?

Probabilmente cadrà nel dimenticatoio in poco tempo oppure verrà usato cinicamente da certi governi europei per fingere di volere la pace. Alcuni di questi loderanno il finto piano di pace cinese; altri, invece, fingeranno addirittura di volerlo sostenere per indurre le loro opinioni pubbliche contrarie alla guerra a sperare invano nella pace. È un fenomeno che si è già verificato con il finto piano di pace presentato dal governo Draghi, il 19 maggio 2022: una messa in scena respinta non soltanto dal Cremlino, ma – fatto davvero imbarazzante – persino dal governo di Kiev.

È vero che la Cina ha bisogno della pace affinché le rotte della nuova via della seta in Europa possano prosperare. Tuttavia la nuova via della seta riceverebbe più vantaggi dalla vittoria di Putin che da quella di Zelensky. Ricorrendo alla sociologia comprendente di Weber, che invita ad assumere il punto di vista di chi agisce ricostruendo la sua prospettiva cognitiva, ecco la mia conclusione: la Cina ha un interesse strategico verso la pace in Europa. Tuttavia, se guerra dev’essere, allora è meglio che a perdere siano gli americani. Una vittoria di Biden in Ucraina accrescerebbe ulteriormente il potere degli Stati Uniti sull’Europa che Biden userebbe per danneggiare la nuova via della seta cinese. Ogni avanzamento della Casa Bianca in Europa verrebbe utilizzato da Biden per ostacolare la Cina. E poi esiste un problema di prospettiva futura: Xi Jinping sa che, una volta assorbita l’Ucraina, la Nato punterebbe verso la Bielorussia. Le crisi con la Russia non finirebbero, tutt’altro. In Europa, il gioco tra Stati Uniti e Cina è a somma zero: se avanza il primo, la seconda arretra. Biden si oppone al piano di pace cinese come Trump si oppose ai 10 accordi commerciali e alle 19 intese istituzionali firmati tra Giuseppe Conte e Xi Jinping a Roma, il 23 maggio 2019, noto anche come memorandum d’intesa sulla collaborazione nell’ambito della via della seta economica.

Quanto alla prospettiva americana, l’intervento militare della Cina avrebbe svantaggi e vantaggi: lo svantaggio di accrescere le probabilità di successo di Putin; il vantaggio di spingere l’Europa a recidere i rapporti commerciali anche con la Cina. Con un colpo solo, anzi, con una guerra sola, Biden farebbe fuori Russia e Cina dall’Europa. L’Unione europea, invece, perde sempre e dappertutto.

Un ricordo non mieloso

 

La frusta morbida di un qualunquista

PICCOLO SCHERMO - Sul palco era spietato con i deboli e ossequioso con i forti. Mai di sinistra – era una leggenda –, credeva un po’ comicamente nel potere taumaturgico della parola. “Se non lavoro mi annoio a morte”

di Massimo Fini 

Ho conosciuto Maurizio Costanzo nel suo momento più buio, quando si era bruciato sul braciere della P2 e tutti, anche coloro che gli avevano fin lì leccato i piedi, anzi soprattutto costoro come vuole la consuetudine flaianesca italiana (salire sul carro del vincitore, picchiare sul perdente) lo schienavano.

Il suo isolamento era impressionante, quasi un quadro di De Chirico, i personaggi si rifiutavano di andare al suo show – aveva penosamente ricominciato da Rete4 – e lui stesso si vergognava persino a uscir di casa.

La nostra conoscenza e anche un briciolo di amicizia risale a quel periodo (naturalmente ero stato molte volte al suo show, ma in quei casi i rapporti erano del tutto superficiali, Maurizio si limitava a chiedermi che cosa pensavo di dire, per appropriarsene o per tapparmi la bocca al momento opportuno a seconda che gli facesse più comodo). Gli feci quindi un’intervista post P2 per Amica in cui non gli scontavo nulla, ma davo atto a quest’uomo, precipitato da un giorno all’altro dalle vette del successo alla polvere, del lavoro, della fatica, della grandissima forza di volontà con cui stava cercando di rialzarsi. Fra i più accaniti e feroci con Costanzo c’erano i giornalisti della Rizzoli-Corriere per la quale Costanzo era stato adulato direttore dell’Occhio e della Domenica del Corriere (due fallimenti). Per questo era importante per lui ritornare, sia pur come intervistato, su un giornale del Gruppo come era Amica. E infatti Pietroni, il direttore di Amica, ebbe delle grane con i sindacalisti della Rizzoli molto predisposti al linciaggio (in questo come in altri casi, Tobagi docet). Costanzo mi è sempre stato grato per quell’articolo e, interpretando la cosa a modo suo, un po’ “mafiosetto”, come un favore mentre per me era solo un articolo scritto nei termini che mi parevano più giusti. Quando fu tornato in auge mi invitò ripetutamente al suo show per sdebitarsi di un debito che non aveva.

Nell’intimo Maurizio non era un uomo cattivo, solo un po’ vile. Non cercava mai lo scontro diretto, frontale di cui aveva orrore e un timore quasi fisico, la sua tattica era avvolgente e aveva trasmesso questo metodo anche alla moglie, Maria De Filippi (naturalmente parliamo di allora – siamo nei primi anni 90 – in seguito i rapporti di forza fra i due sarebbero cambiati, anzi si sarebbero ribaltati). Una volta che vidi la De Filippi in quel suo infame programma, Padri e Figli, le tolsi i panni di dosso sul Tempo di Roma. Lei, che non mi conosceva, mi telefonò la sera stessa, a casa, dimostrandosi dispiaciuta e attenta alle critiche che le avevo mosso. Un modo di fare democristiano, tutto sommato, visto che cosa è venuto dopo la Dc, meno sgradevole di altri.

È una comica leggenda metropolitana che Costanzo fosse un uomo di sinistra, utile a Berlusconi per dire che sulle sue Tv c’erano anche degli oppositori. Pupi Avati, che fu uno dei pochissimi amici, tre in tutto, a rimanergli vicino all’epoca dello scandalo P2, ed è quindi una fonte non sospettabile di astio, mi ha detto una volta: “Maurizio è antropologicamente fascista”. Io non mi spingo così lontano, dico che era un qualunquista della più bell’acqua. Inoltre, cosa rara per chi aveva milioni di fan adoranti, era uno che non se la dava.

Costanzo aveva il mito del lavoro, cosa singolare per un romano de Roma, si realizzava nel lavoro, fuori non esisteva. Mi capitò una volta di andarci a cena, con Nantas Salvalaggio e un altro giornalista che non ricordo, e lui fece praticamente scena muta. Del resto il suo orizzonte culturale non andava e non è mai andato oltre la Garbatella. Diventava protagonista e domatore solo sul palcoscenico, dove usava una frusta morbida, vellutata, insidiosa e spietata con i deboli, e pronto ad aprire il ventaglio dell’adulazione e dell’ossequio con i forti.

Il primo Costanzo, quello, se non ricordo male, di Bontà loro, faceva simpatia perché, con un fisico così insignificante, impersonava l’uomo della strada che punzecchiava, sia pur con prudenza, i potenti, e il pubblico si immedesimava.

Qualche anno dopo la vicenda P2, quando lui era tornato in grande spolvero, poiché passavo le vacanze nella vicina Talamone, era agosto, andai a trovarlo nella sua villa di Ansedonia, che affittava come ci tenne a precisare perché non aveva i soldi per comprarsela. Dopo aver attraversato un immenso parco, scortato dalle sue guardie del corpo e da numerosi famuli, entrai nella villa e lo vidi al centro di un grande salone, in piedi, con indosso una larghissima camicia (era già dimagrito) lunga fin quasi alle ginocchia, che gli dava un’aria da satrapo orientale, un po’ lascivo, con un telefonino in mano che non abbandonò un istante, facendo mille chiamate o ricevendone, nelle due ore che stetti lì. “Cosa vuoi, se non lavoro mi annoio a morte”, mi disse vedendo il mio sguardo perplesso e interrogativo. Durante il mese di agosto, che dovrebbe essere di riposo, organizzava il lavoro dell’annata. Sotto le sue finestre aveva uno degli angoli di mare più incantevoli d’Italia, fra l’incontaminata Feniglia e il litorale esclusivo di Ansedonia, ma non andava mai a fare il bagno. Praticamente non usciva mai, o quasi, stava lì rintanato nella sua villa o, al massimo sulla terrazza con una piscina che non usava, come un grosso ragno al centro della sua tela, e lavorava. Lei, Maria De Filippi, invece no, lei usciva, andava a cavallo, si divertiva. Quel pomeriggio la incrociai per un attimo, vestita appunto da cavallerizza, e mi parve più bella e affascinante di com’è in televisione. C’era un forte contrasto fra i tratti androgini, duri nella loro regolarità, di lei e la cedevolezza e la mollezza che era di lui. Mi parvero una buona coppia, affiatata, complice.

Avendo avuto successo con un talk show, Costanzo aveva una fiducia illimitata, infantile e un po’ comica nel potere taumaturgico della parola. Qualsiasi situazione si presentasse, la sua reazione era: “Parliamone”. Uno si è rotto la gamba? “Parliamone”.

Durante il lockdown, non avendo di meglio da fare, ho rivisto programmi del passato fra cui molti Costanzo Show. Devo dire che rivisti oggi sono, a parte l’insopportabile ‘Tv del dolore’, molto meno banali di quanto mi apparivano un tempo: persone che raccontano le loro storie, i loro drammi, il loro vissuto, artisti, politici, il tutto tenuto insieme da un filo psicanalitico o sociologico, comunque da un tema di fondo anche se non particolarmente profondo.

Non pensi il lettore che questa mia sia la solita sviolinata a un uomo che è morto. Anche questa volta non ho scontato nulla a Maurizio, come in quell’intervista su Amica in un lontano giorno di ottobre.

Mi fate commuovere!




Super Slurp!

 


E per non farci mancare nulla, questa sera sulla rete ammiraglia, il cui Tg è diventato, come consuetudine italica, e per volere della restia Maggioni a lasciare la poltrona, l'Eco del Nero camuffato da democrazia, questa sera l'eterno slinguatore folle, il simbolo della Modifica di Pensiero per i Lor Signori al Potere, lo scrittore annuale di libri nemmeno buoni, a mio parere, per concludere una seduta, lo Slurp fattosi persona per ossequiare i potentati del momento, l'antitesi del giornalismo, il fulcro delle oramai imbolsite fregnacce pro loro, il Neo immarcescibile, al secolo Bruno Vespa, appiopperà a noi comuni pagatori seriali di canone una striscia di cinque minuti post TG1 Nero, ove si esibirà nella sublime arte della riverenza e, per incensare alla grande, intervisterà il/la/lo Premier Caciotta, al fine di confermare nei secoli futuri la sua duttilità di pensiero che gli ha permesso di restare in tolda per oltre quarant'anni. 

Quale becera sceneggiata potrebbe arrecare più danno all'informazione libera se non questa? 

E quindi v'invito di cuore a scanalare alla grande, evitando il tribale contatto mediatico! 

W la Libertà, W il Giornalismo vero!   


Aria nuova!

 


Sfottò

 


Tomaso

 

La scuola può ancora salvarci dai fascismi (e dai Valditara)
DOPO IL PESTAGGIO DI FIRENZE - Argine. La distruzione del progetto politico della Costituzione, avviata alla fine degli anni 70 e culminata con un centrosinistra di destra, ha prodotto un deserto culturale
DI TOMASO MONTANARI
La prima cosa che mi sono domandato di fronte al pestaggio fascista al Liceo Michelangiolo, è se uno dei picchiatori fosse il ragazzino che, sei o sette anni fa, durante un incontro in una scuola media di Firenze mi chiese perché dicessi che il fascismo era “sbagliato”, visto che quelli di Casa Pound portavano alla sua famiglia pacchi di pasta. Due episodi che ci mettono di fronte a un fallimento politico, sociale ed educativo che non si risolve certo con le proclamazioni di antifascismo (comunque sempre benvenute, specie in queste ore): che Italia abbiamo consegnato a questa nuova generazione?
La distruzione del progetto politico della Costituzione, avviata alla fine degli anni Settanta e culminata nelle politiche di un centrosinistra sempre più di destra negli ultimi decenni (dalla precarizzazione del lavoro alla sperequazione dei diritti indotta dalla riforma del titolo V; dalla privatizzazione della sanità all’aziendalizzazione della scuola; dalla distruzione della progressività fiscale ad una sempre più marcata sudditanza anche bellica agli Stati Uniti; dalla politica securitaria contro i migranti alla “riabilitazione” del fascismo) ha prodotto un deserto di deprivazione sociale e culturale che oggi sfocia nell’astensionismo di massa e nel ritorno al potere (per abbandono di tutti gli altri) di una destra di matrice fascista. Fin dal 1970 Sandro Pertini aveva ammonito che solo tenendo insieme libertà e giustizia sociale non avremmo perso la prima: ora il corto circuito rischia di compiersi. Abbiamo scelto di essere così ingiusti e diseguali da creare consenso per i fascisti che portano pacchi di pasta a chi è scartato da una società bestiale.
Quando alla bellissima manifestazione fiorentina convocata dagli studenti per reagire al pestaggio, li ho sentiti scandire lo slogan “Ma quale pacifismo, ma quale nonviolenza / Ora e sempre resistenza”, un brivido mi è corso lungo la schiena. E mi sono sentito subito paternalista: come giudicare le parole di ragazzi di sedici anni che hanno subìto quel che hanno subìto (non solo le botte, ma la colpevolizzazione delle vittime orchestrata dal governo e dai suoi scherani mediatici)? Il punto non è giudicarli, ma star loro vicini, offrendo loro gli strumenti culturali per scoprire che la resistenza fu fatta perché noi potessimo abbracciare il pacifismo e la nonviolenza (verso tutti: anche verso i fascisti) come valori essenziali. Non farli sentire soli: dimostrare (se ne siamo capaci) che lo Stato è dalla loro parte, perché, nonostante tutti i tradimenti, la “rivoluzione promessa” (Calamandrei) chiusa nella Costituzione ha ancora la forza di cambiare la realtà, facendola assomigliare alle loro aspirazioni di giustizia e libertà.
Per farlo, il primo passo è che la scuola torni a essere scuola. Mi ha colpito che nell’alluvione di solidarietà arrivata al Michelangiolo (simboleggiata dalla lettera della preside perciò minacciata dall’indegno ministro Valditara) la voce degli altri licei classici fiorentini sia o non pervenuta, o singolarmente reticente: la parola d’ordine di professori, genitori e dirigenti è “non facciamo politica, non parliamo di fascismo e antifascismo”. Un errore capitale, quanto rivelatore. La scuola che si vede come fucina della classe dirigente si è messa al servizio dello stato delle cose, non del suo scardinamento. E si è dimenticata delle angoscianti domande sulle complicità della scuola nell’ascesa dei fascismi. In Costituente, il relatore dell’articolo 9 Concetto Marchesi disse amaramente che “il mondo della scuola ha dato ai giovani un senso di soffocazione: è apparso come chiuso a tutte le esigenze del mondo morale; e più la cultura si elevava e affinava nelle sue particolari ricerche e applicazioni, più appariva il suo distacco dai principî di dignità e utilità sociale e da quell’aspirazione all’universale che è nello spirito dell’uomo. Così veniva formandosi il tecnico, il giurista, il letterato, lo storico, dentro un’orgogliosa clausura che badava a dar pregio … all’utilità personale che ne veniva, anziché al fine superiore cui lo studio è diretto, cioè alla scienza intesa come perpetua ricerca di un bene comune. E quando l’enorme crisi del mondo scoppiò e avvenne l’urto immane delle forze in conflitto, quei maestri … non ebbero più una parola da dire ai discepoli che si avviavano da soli verso la salvazione o la morte. Perché è avvenuto tutto questo? Per mancanza di capacità e di cultura? No: per mancanza di coscienza civile”. Oggi i ragazzi ci chiedono non la professionalizzazione che li rende capitale umano o merce nel mercato del lavoro, non la selezione per ‘merito’ o l’avvio al massacro sociale della competizione. No: ci chiedono una scuola e un’università che abbiano una coscienza civile. Capaci non solo di educare all’antifascismo, ma perfino di recuperare quei ragazzi lasciati soli a credere al fascismo. Perché è solo la scuola l’unica cura efficace per un’Italia che è tornata a produrre picchiatori (e ministri) fascisti.

domenica 26 febbraio 2023

Scoop - dal futuro



“Negli ultimi tempi la nostra condizione psichica subì un subitaneo ammaloramento, dovuto all’aggressione dei supporti tecnologici che ridussero in poltiglia molte labili menti alla mercé servile della dea Visibilia, la cui fede era incentrata esclusivamente sull’apparire, in qualunque situazione anche estrema, come la foto dell’anno 2023 testimonia, scattata durante la veglia funebre di un noto showman dell’epoca. Questa dinamica esistenziale ci travolse in psiche, dilaniando i nostri principi, agevolando l‘estinzione della nostra specie.”

(Messaggio inserito in una capsula lanciata nello spazio nel 2068)

Come dargli torto?




Addio!



Ci ha lasciato un grande giornalista, Curzio Maltese, da sempre impegnato nella ricerca della verità. Riposa in pace!

Verifica

 


In buona compagnia

 


Un saluto

 


Altro giro

 


Voto travagliato

 

Pd, giù l’elmetto
di Marco Travaglio
Stasera, dopo una maratona che avrebbe sfiancato Abebe Bikila, sapremo chi è il nuovo segretario del Pd. Cioè se torna Renzi sotto le mentite spoglie di Stefano Bonaccini, che non ha il carisma di Renzi e neppure quello di un termosifone spento, o se arriva Elly Schlein, outsider tutta da scoprire (almeno come leader). A decidere non saranno gli iscritti, come sarebbe normale in un partito normale, ma i non iscritti. Quindi chi non voterebbe mai Pd potrebbe sostenere il candidato più vantaggioso per la destra, o la sinistra, o il centro, o il M5S. Ma c’è da dubitare che qualcuno lo farà: chiunque decidesse di uscire di casa la domenica per le primarie dem sarebbe colto da una tale noia che si addormenterebbe per strada, anche in piedi. È il paradosso delle primarie a doppio turno carpiato, le cui regole paiono ideate da un trust di enigmisti: in quattro mesi non hanno prodotto uno straccio di contrapposizione sui contenuti (“prima i programmi, poi i nomi”: come no). Bisogna proprio conoscerli bene, i due finalisti, per cogliere le differenze: più facile per chi vive in Emilia-Romagna (dove peraltro lei è la vice di lui), meno per chi sta altrove. Tantopiù che nel duello (si fa per dire) su Sky facevano gli amiconi e smussavano democristianamente gli spigoli: tutto l’opposto dei faccia a faccia preelettorali all’americana.
Fumo e vaselina anche sul tema più cruciale di oggi e di domani: l’escalation in Ucraina. La pacifista Schlein ha cambiato idea e ha votato il dl Meloni sulle armi e Bonaccini s’è detto favorevole, pur supercazzoleggiando su fantomatici negoziati europei. Eppure, se il Pd vuole riprendersi, chiunque sarà il segretario dovrà archiviare la folle linea BaioLetta e riconnettersi col sempre più vasto movimento pacifista: oggi l’opposizione è debole non perché 5Stelle, Pd e Centro marciano separati (mica devono governare), ma perché l’unico cruccio di Giorgia Meloni, cioè l’antibellicismo sempre meno latente di Lega e FI, trova sponde solo nel M5S. Se il Pd cambiasse linea, la premier si troverebbe sola (cioè con Calenda) e disarmata. BaioLetta lo sa: infatti ha chiuso la sua terrificante e deprimente segreteria promettendo all’ambasciatore ucraino che anche domani il Pd resterà bellicista, parlando a nuora perché suocera intenda. Con una suocera come Schlein un cambio di registro sarà meno improbabile, anche se spaccherà i dem: turboatlantisti tipo Guerini e Borghi non dismetteranno mai l’elmetto e la mimetica. Ma a questo servono le primarie: a scegliere un leader che scelga, a costo di scaricare qualche zavorra per guadagnare qualche elettore. Se invece l’obiettivo è perderne altri, tanto vale tenersi BaioLetta: per le sconfitte, non c’è chi lo valga.

sabato 25 febbraio 2023

Oh Mike!

 


Orchestrina

 


Un nome, un destino...

 

Finanzierungsgesellschaft für Residenzen Ag.

Aktiengesellschaft für Immobilienanlagen in Residenzzentren

No, non è un gioco e neppure sono impazzito. Riuscite a leggere queste parole? No? Non vi preoccupate, non è questo il nocciolo. Dietro a queste frasi incomprensibili, si nasconde un mistero profondo e, ahimè, terribilmente nocivo per tutta la nostra storia recente. Trattasi infatti di finanziarie svizzere, sempre loro di mezzo quando t'imbatti in mistero e occulti fondi che provengono da chissà dove - ci potrebbe stare anche il lavacro di soldi piovuti dal mondo infame della malavita organizzata - e che mai nessuno riuscirà a capirne la provenienza. Ebbene perché dico che se avessero indagato ai quei tempi, tra il 1967 e il 1975 probabilmente oggi saremmo tutti più liberi e meno imbolsiti. 

Perché grazie a queste finanziarie, l'ho scoperto poc'anzi nel meraviglioso libro di Gianni Barbacetto - Una storia italiana - che vi invito a leggere, la società Edilnord Sas costruì con la prima il villaggio di Brugherio, in Lombardia. Altro socio accomandante, assieme alla finanziaria elvetica, e quindi veri proprietari dell'Edilnord, fu la Banca Rasini ove lavorava il padre di uno degli accomandatari, tale Silvio Berlusconi... e ho detto tutto!  

Con la seconda finanziaria si costruì Milano 2, il futuro premier fonda un'altra società, Edilnord Centri Residenziali Sas di Lidia Borsani e C, una sua cugina. Ma i soldi, al solito, li mette la svizzera Aktiengell etc. etc. di 'sta ceppa!        

Ma guarda un po’!




Come dargli torto?

 


Sfogo

 


Turbinio

 

Vogliamo gli ammiragli
di Marco Travaglio
E niente: siccome ormai i generali sono molto più pacifisti dei politici e della stampa al seguito, le Sturmtruppen si sono giocate pure il capo di Stato maggiore della Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone. Che ieri ha rilasciato una bella intervista a Marco Menduni per la Stampa, che – in bocca a un altro – sarebbe subito liquidata come propaganda del partito putiniano, o “pacifinto” o “della resa”. Sapendo cos’è la guerra e cosa rischiamo con la folle escalation, mentre già si sdoganano caccia e missili a lunga gittata e magari prossimamente truppe e testate nucleari, l’alto ufficiale mette in fila i fatti. Gli stessi che il suo ex collega Mini certifica da un anno sul Fatto e il suo omologo americano Milley ripete da mesi: la Russia non può (o forse – aggiungiamo noi – non ha mai voluto) prendersi l’intera Ucraina e l’Ucraina non può riprendersi i territori invasi dalla Russia. “Questo è un dato che rimane costante nel tempo. Non esiste una soluzione militare”. Di qui dovrebbe partire ogni scelta politica, non dal mantra ovvio e moralistico “c’è un aggressore e un aggredito”, che andava bene un anno fa e ora, dopo 300 mila morti, 10 milioni di profughi, la devastazione fisica di mezza Ucraina ed economica (e anche etica) di tutta Europa, lascia il tempo che trova.
Se fosse realistica l’idea che, inviando armi sempre più devastanti, Kiev riconquisterà i territori perduti, l’opzione dei bellicisti – per quanto spregevole per chi ritiene sacra ogni vita umana, oltreché la Costituzione – avrebbe almeno un senso. Ma tutti gli esperti veri lo negano. La controffensiva ucraina di settembre è durata poco e ha recuperato minime porzioni delle quattro regioni annesse dai russi a Est e a Sud. E ora Kiev paventa una contro-controffensiva russa con 300 o 500 mila uomini. Dice Cavo Dragone: “Non possiamo permetterci un altro conflitto ‘congelato’ nel cuore dell’Europa”. Serve “una riflessione sul dopo”: non sul ripristino dello status quo ante 2022, ma “sul mondo nuovo che verrà, diverso da quello che era prima dell’invasione. Non ci sono alternative a superare le macerie e il dolore”, per evitarne altri. E per disegnare un futuro di sicurezza per Kiev, ma anche per Mosca e gli altri Stati dell’Est Europa, urge in Occidente “un esame di coscienza” per capire se si fece di tutto per evitare l’invasione di Putin: “Ci sono stati elementi di instabilità che non abbiamo colto prima del 24 febbraio?”. Si poteva fare di più “nel proporre dialogo e inclusione?”. Ora ogni iniziativa negoziale va colta al volo, anche quella cinese: “Non dobbiamo trascurare nulla”. E la domanda è: ma Meloni, Mattarella&C. chi ascoltano prima di decidere se, oltre al Parlamento, ignorano anche il capo di Stato maggiore della Difesa?

L'Amaca

 

Niente è indiscutibile
DI MICHELE SERRA
Il New York Times ha ricevuto una severa lettera di biasimo, firmata da attivisti Lgbt+ e da molti collaboratori dello stesso Nyt, a proposito di alcuni articoli sulla transizione di genere giudicati molto negativamente dai firmatari della lettera. La vicenda è molto complicata e sconsiglia opinioni sommarie, chi volesse approfondirla può trovarne ampio resoconto in rete.
Ma c’è un dettaglio che mi ha particolarmente colpito. Nella lettera di critica si sostiene, tra le altre cose, che “queste discussioni hanno un impatto negativo sulla salute mentale delle persone Lgbt+, in particolare i nostri giovani”. Forse è solo un passaggio infelice, ma il lettore ne trae la conclusione che “le discussioni” sulla transizione di genere (esperienza in costante aumento tra gli adolescenti: chiedere agli insegnanti di scuole medie e superiori) sono considerate irricevibili in quanto tali, perché provocano turbamento nelle persone interessate.
Non le discriminazioni, non le offese, non i pregiudizi: le discussioni.
Ora, a me sembra che quella frase contenga tutta la pericolosa fragilità di quelle buone cause che, considerandosi “indiscutibili”, rischiano di sommare alla prevedibile ostilità dei reazionari anche la non necessaria diffidenza dei democratici. Perché, dai Lumi in poi, di “indiscutibile” non esiste proprio niente, e nessuna esperienza individuale, per quanto sofferta e rispettabile, merita di essere sottratta alla discussione, specie nel momento in cui si presenta sulla scena non solo come fenomeno sociale, anche come agente politico. Fare politica pretendendo di non avere contraddittorio rischia di rendere insostenibile anche la causa più giusta.

venerdì 24 febbraio 2023

Vorrei ma...

 

E' chiaro che non posso postarvi tutto il nuovo libro di Marco Travaglio! Ma sono sollevato di capire che non ero solo a pensarla così. Che la mia idea, becera rispetto al pensiero comune attuale, tutto sommato si può ritenere valida e non putiniana come ci vorrebbero far credere. 

Vi posto ancora uno stralcio, invitandovi a leggere questo libro "Scemi di guerra" 

Leggetelo con calma, prendetevi tutto il tempo necessario. Ne vale la pena! 


Abbiamo abolito la storia. È vietato raccontare ciò che è accaduto in Ucraina prima del 24 febbraio 2022: gli otto anni di guerra civile in Donbass dopo il golpe bianco (anzi, nero) di Euromaidan nel 2014 e le migliaia di morti e feriti causati dai continui attacchi delle truppe di Kiev e delle milizie filo-naziste al seguito contro le popolazioni russofone e russofile che, col sostegno di Mosca, chiedevano l’indipendenza o almeno l’autonomia. Il tutto in barba ai due accordi di Minsk. La versione ufficiale, l’unica autorizzata, è che prima del 2022 non è successo niente: una mattina Putin s’è svegliato più pazzo del solito e ha invaso l’Ucraina. Se la gente scoprisse la verità, capirebbe che il mantra atlantista “Putin aggressore e Zelensky aggredito” vale solo dal 2022: prima, per otto anni, gli aggressori erano i governi di Kiev (l’ultimo, quello di Zelensky) e gli aggrediti i popoli del Donbass. Fra le vittime, c’è il giornalista italiano Andrea Rocchelli, ucciso dall’esercito ucraino. Un caso simile a quello di Giulio Regeni, che però nessuno conosce, perché “Andy” ha avuto il torto di farsi ammazzare dai killer sbagliati. Chiunque faccia un po’ di storia per “spiegare” la guerra e le sue cause viene scambiato per un putiniano che “giustifica” l’aggressore. Solo abolendo la storia si possono azzardare assurdi paragoni fra Putin e Hitler e fra Zelensky e Churchill, per farci credere che oggi, come nel 1938, un dittatore folle vuole impadronirsi dell’intera Europa. Ergo dobbiamo armare gli ucraini perché difendono anche noi: caduti loro, toccherebbe a noi. Solo abolendo la storia si può bestemmiare parlando di “nuova Shoah”, “nuovo Olocausto”, “nuova Auschwitz”, “genocidio”, “pulizia etnica”, “sostituzione ebraica” e via dicendo. Solo abolendo la storia si può raccontare che la Nato è un’“alleanza difensiva” (infatti, solo nell’ultimo quarto di secolo ha attaccato la Serbia, l’Afghanistan, l’Iraq e la Libia che non ci avevano fatto un bel nulla) e “difende i valori della liberaldemocrazia” (infatti fra i suoi membri c’è la Turchia di Erdoğan, che arresta gli oppositori, chiude i giornali e stermina i curdi). Solo abolendo la storia si può credere al presidente Sergio Mattarella quando ripete che “l’Ucraina è la prima guerra nel cuore dell’Europa nel dopoguerra”. E Belgrado bombardata anche dall’Italia nel 1999 dov’è, in Oceania? E chi era il vicepremier del governo D’Alema che bombardava Belgrado? Un certo Mattarella.

(Marco Travaglio - Scemi di guerra) 


Inizio da replica

 

“Mi piacciono gli italiani”, diceva Winston Churchill: “vanno alla guerra come se fosse una partita di calcio e vanno a una partita di calcio come se fosse la guerra”. Infatti, da quando un anno fa la Russia dell’autocrate criminale Vladimir Putin ha invaso l’Ucraina, abbiamo trasformato quella tragedia in una farsa. Con un dibattito politico-giornalistico da bar sport, umiliante, primitivo, cavernicolo, ridicolo: tutto slogan, grugniti e clave. Fino al giorno prima eravamo tutti virologi ed epidemiologi, poi siamo diventati tutti strateghi esperti di geopolitica e questioni militari. Anche i politici e i giornalisti che fino al 24 febbraio 2022 pensavano che il Donbass fosse un prete nano.

(Marco Travaglio - Scemi di guerra) 


L’Amaca



Correttezza non è censura

DI MICHELE SERRA

Con una certa ottusità, che va capita e soccorsa, qualche polemista di destra ha accolto con spregio e sghignazzi la levata di scudi di scrittori e intellettuali contro la riscrittura dei libri di Roald Dahl. Il loro ragionamento è più o meno questo: avete difeso il politicamente corretto, come potete lamentarvi della censura su libri e film?
La risposta è semplice, ammesso che si abbiano la voglia e il tempo di ascoltarla. Il politicamente corretto nasce con l’intenzione di difendere il linguaggio pubblico da messaggi di odio e da grevi e volontarie parole offensive: delle quali è possibile avere un ricco campionario sfogliando ogni giorno i quotidiani di destra (tutti) e anche qualcuno non di destra (pochi). La “scintilla” del politicamente corretto è dunque la difesa della qualità della vita democratica; della dignità delle persone; del concetto di rispetto.
Questa legittima preoccupazione ha generato negli anni, soprattutto nel mondo anglosassone, una vera e propria paranoia censoria. Per giunta retrospettiva – come nel caso di Dahl. E come nel precedente caso di Philip Roth e di tanti altri, puntualmente denunciati in Europa come caccia alle streghe. Questa degenerazione del principio di “rispetto” è l’oggetto in discussione. Si può uscirne dicendo che è legittimo vomitare qualunque insulto, perché questa è “la libertà”. Oppure difendendo il principio di rispetto, ma combattendo il fanatismo cieco, censorio, bigotto che pretende di applicarlo distruggendo la parola, l’arte, la sua inevitabile irriducibilità a un paradigma “buono per tutti”.
In sintesi: gridare “frocio” a un omosessuale è violenza. Censurare un cartoon di cinquant’anni fa, o un romanzo di cento anni fa, perché nel cast non ci sono omosessuali, è violenza anche quella. Non mi sembra così difficile da capire.

Già!

 


Se vi venisse in mente di...

 

Fedez, uovo pasquale che fa beneficenza a Carlo De Benedetti

E LA FONDAZIONE DELL’INGEGNERE - Spingitori di spingitori. I Ferragnez tendono a organizzare sistemi un po’ opachi: quanto delle vendite andrà a progetti solidali?


di Selvaggia Lucarelli 


E fin lì è lecito si crei un clima divisivo. Poi però c’è il fattore beneficenza e il modo ambiguo in cui talvolta la utilizzano e a meno che non si sia tifosi anziché semplici osservatori della realtà, è impossibile non notare una propensione per la scarsa trasparenza.

Ci eravamo lasciati a Natale con la questione “pandori di Chiara Ferragni”. Vado a rinfrescarvi la memoria. Sotto le feste natalizie l’imprenditrice digitale aveva lanciato un pandoro Balocco griffato Chiara Ferragni con annunci sulla sua pagina Instagram del tipo: “Questo Natale io e Balocco abbiamo pensato a un progetto benefico a favore di un ospedale, sosteniamo insieme un progetto di ricerca!”. I giornali più importanti del Paese avevano lodato l’iniziativa dedicando a Chiara-dal-cuore-d’oro titoli più zuccherosi del pandoro, si leggeva ovunque che parte del ricavato sarebbe andato in beneficenza.

Insomma, sembrava che a comprare pandori rosa confetto si contribuisse a una buona causa. E invece finì che, insospettita da alcuni particolari fumosi, telefonai all’azienda Balocco e scoprii che la vendita dei dolci non incideva sulla cifra finale della donazione, ma che si trattava di una semplice operazione commerciale: Chiara Ferragni aveva ricevuto il suo lauto compenso come testimonial e Balocco aveva già stabilito che avrebbe donato una cifra per l’acquisto di un macchinario per l’ospedale. Più pandori si vendevano e più si arricchiva l’azienda. La Ferragni si portava a casa una buona operazione economica ma pure reputazionale, perché un accordo con compenso era percepito da fan, cronisti e consumatori come un’opera di bene.

L’imprenditrice digitale – smascherata – non diede mai alcuna spiegazione, salvo poi due mesi dopo indire una conferenza per annunciare che avrebbe devoluto il suo cachet sanremese a un’associazione benefica. Insomma, le conferenze stampa in tema di beneficenza si fanno solo quando c’è da interpretare il ruolo dell’eroina buona, quando c’è da chiarire un passaggio opaco, tutto tace.

Arriviamo a oggi, perché se è vero che tra i Ferragnez, nel privato, tirerebbe aria di crisi, dal punto di vista commerciale mi pare che i due mantengano un certo affiatamento. Due giorni fa, infatti, nei supermercati italiani sono apparse le uova di Pasqua dell’azienda cremonese Walcor brandizzate “Fedez”. Sulle uova appaiono un disegno con le sue fattezze e i suoi tatuaggi, c’è il suo nome sulla carta e indovinate un po’? Il cantante indossa una t-shirt con su scritto “sosteniamo Tog”. Considerato che Tog è una fondazione benefica e che quel “sosteniamo” è su un uovo di Pasqua con la faccia di Fedez sopra, io consumatore suppongo che il mio acquisto contribuisca a una qualche operazione benefica. Per me è una sorta di déjà vu, vedo di nuovo uno dei due Ferragnez legato a un dolce delle feste e a una operazione di beneficenza i cui contorni non sono troppo trasparenti. Faccio qualche ricerca: nessuna spiegazione esaustiva sulla carta dell’uovo, idem sul sito di Walcor che non si perde troppo in dettagli: “Un’iniziativa importante dal punto di vista del sociale, visto che Walcor sosterrà il progetto della fondazione TOG, specializzata nella riabilitazione dei bambini affetti da malattie neurologiche complesse, tramite la Fondazione Fedez E.T.S.”. Quindi a dire il vero la cosa non è solo oscura, ma pure complicata. Non si capisce ancora una volta se il numero delle uova vendute inciderà sull’entità della cifra donata, non si capisce se è un’operazione benefica o commerciale o entrambe le cose, se Fedez sia benefattore o beneficiato e perché siano citate due fondazioni. Spingitori di spingitori di fondazioni. È poi curioso che la fondazione destinataria della beneficenza sia proprio di proprietà di quel Carlo De Benedetti che è anche l’editore del giornale (Domani), che a Natale ha ospitato la precedente inchiesta sui pandori di Chiara Ferragni. Fatto sta che telefono all’ufficio marketing di Walcor e la mia domanda su come si sviluppi il progetto benefico ha subito l’effetto di gettare nel panico l’interlocutore. Nella prima telefonata ammette infatti di non conoscere bene i termini dell’accordo con Fedez e aggiunge che la cifra devoluta in beneficenza non è proporzionale alle vendite, ma già stabilita, solo che è “un dato sensibile” e non si può comunicare. Mi spiega che Fedez ha ceduto a Walcor, dietro compenso, la licenza per l’utilizzo del suo nome e del suo avatar sulle uova e poi lui donerà una cifra alla fondazione Tog di Carlo De Benedetti. Preciso che questo passaggio andrebbe chiarito ai consumatori e mi chiedo come mai Walcor, visto che non donerà una percentuale del venduto, non faccia direttamente beneficenza, senza mettere la faccia di Fedez sulle uova. Dopo un po’ la persona dell’azienda mi richiama perché, dice, mi ha dato informazioni inesatte e mi invia una mail in cui mi spiega che le cose stanno così: loro hanno pagato Fedez per la licenza (quindi per Fedez è un’operazione commerciale, da cui guadagna). Fedez però ha imposto da contratto che loro donino anche una cifra alla fondazione benefica di Fedez, cifra che la sua fondazione poi donerà (in che percentuale?) a Tog di De Benedetti. Insomma, ricchi che donano a ricchi.

Spingitori di spingitori di ricchi. Non si capisce perché Fedez chieda da contratto non che Walcor doni direttamente all’ente destinatario della beneficenza, come parrebbe logico, ma alla sua fondazione che poi dona a sua volta. Verrebbe da pensare a ragioni fiscali o al fatto che in questo modo sembri che la beneficenza la faccia la sua fondazione, di fatto però i soldi sono di Walcor e questa è una bella operazione commerciale a tutti gli effetti: Fedez ha venduto a caro prezzo la licenza, Walcor venderà un sacco di uova con la scusa che comprarle è (anzi, sembra) una buona azione.

Insomma, i Ferragnez sono come le uova di Pasqua: bella confezione, ma dentro, spesso, c’è una brutta sorpresa.

Già comprato!

 

Scemi di guerra
di Marco Travaglio
Da oggi è nelle edicole e nelle librerie il mio nuovo libro “Scemi di guerra. La tragedia dell’Ucraina, la farsa dell’Italia: un Paese pacifista preso in ostaggio dai NoPax” (ed. PaperFirst). Vi anticipo un’ampia sintesi della mia introduzione.
“Mi piacciono gli italiani”, diceva Winston Churchill: “Vanno alla guerra come se fosse una partita di calcio e vanno a una partita di calcio come se fosse la guerra”. Infatti, da quando un anno fa la Russia dell’autocrate criminale Vladimir Putin ha invaso l’Ucraina, abbiamo trasformato quella tragedia in una farsa. Con un dibattito politico-giornalistico da bar sport, umiliante, primitivo, cavernicolo, ridicolo: tutto slogan, grugniti e clave. Fino al giorno prima eravamo tutti virologi ed epidemiologi, poi siamo diventati tutti strateghi esperti di geopolitica e questioni militari…
Ma gli scemi di guerra non sono soltanto i foreign fighter da salotto che ogni sera, nei talk show, fanno il presentat’arm in soggiorno e marciano in assetto di guerra sul divano con l’elmetto di cartapesta sulle ventitré: quelli semmai sono i furbi di guerra, perché ci guadagnano sempre. Gli scemi di guerra siamo tutti noi cittadini italiani ed europei che, a parte rare eccezioni (come la manifestazione del 5 novembre 2022 in piazza San Giovanni a Roma), non ci siamo ancora ribellati a questa propaganda, sempre più tragicomica a mano a mano che i sondaggi fotografano la realtà: un Paese in gran parte pacifista tenuto in ostaggio da politici e opinionisti… No Pax. Tutti impegnati in una mission impossible: giustificare l’ingiustificabile per trascinarci in una guerra per procura, nata come conflitto regionale, che lorsignori hanno trasformato in conflitto mondiale al fianco di un Paese che non è nostro alleato né nell’Ue né nella Nato. Un Paese aggredito, certo, ma come centinaia di altri dal 1946 a oggi, ai quali non abbiamo mai inviato neppure un fucile a tappo. Anzi, gli altri aggrediti continuiamo a non aiutarli e ad abbandonarli: dai curdi bombardati dalla Turchia di Erdogan agli yemeniti massacrati dall’Arabia Saudita e dall’Iran. Il dovere della cobelligeranza incostituzionale vale solo per l’Ucraina. E solo perché ce lo ordinano gli Stati Uniti…
In questo anno abbiamo subìto, accettato e digerito di tutto. Si cita spesso la massima di Eschilo: “In guerra la verità è la prima vittima”. Magari fosse soltanto quella. Se in Russia è vietato parlare di guerra (chi lo fa si becca 15 anni di galera), in Italia è vietato parlare di pace (chi lo fa finisce alla gogna, linciato e lapidato sulla pubblica piazza). Perciò sono state abolite tutte le basi del discorso pubblico di una democrazia evoluta.
Abbiamo abolito la Costituzione, che all’articolo 11 “ripudia la guerra come strumento di offesa agli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Siccome poi aggiunge che “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”, i giureconsulti di regime l’hanno stiracchiata come la pelle delle palle per attribuire ai Padri costituenti l’intenzione di autorizzare, anzi di imporre invii di armi a Paesi in guerra purché “aggrediti”.
Tantopiù che l’articolo 52 prescrive come “dovere” la “difesa della patria”. A parte il fatto che ci vuole molta fantasia per vedere una “condizione di parità” fra Italia e Usa e una finalità di “assicurare la pace e la giustizia” nella continua escalation a base di armamenti sempre più devastanti, se avessero voluto dire questo i nostri Padri costituenti sarebbero stati affetti da schizofrenia: al comma 1 usavano il verbo “ripudiare” e al comma 2 lo contraddicevano, per imporre la cobelligeranza in tutti i conflitti dell’orbe terracqueo. Già, perché in ogni guerra che si rispetti c’è sempre un aggressore e un aggredito. Dunque l’Italia dovrebbe intervenire in tutte le guerre del pianeta. La verità è semplice come la lingua in cui è stata scritta la Costituzione. L’unica guerra giusta è quella per difendere la patria: la nostra, non quella degli altri, a meno che con gli altri non abbiamo stipulato trattati che ci vincolino al soccorso armato. E non è il caso dell’Ucraina.
Abbiamo abolito i valori della pace, del disarmo e dell’antifascismo. Ora pace e disarmo sono disvalori perché disturbano i “valori” atlantisti del riarmo e del bellicismo. Si esaltano le stragi, purché compiute dagli ucraini ai danni dei russi, e addirittura gli atti terroristici come l’assassinio di Darya Dugina, saltata in aria a Mosca a 29 anni soltanto perché era figlia di suo padre, filosofo nazionalista e putiniano. Si esaltano i neonazisti del battaglione Azov e delle altre milizie ucraine di estrema destra, con le SS e il sole nero stilizzati sulle bandiere e le svastiche tatuate sulla pelle. La svastica, se è ucraina, è chic: sfina.
Abbiamo abolito la geografia. Proibito mostrare la cartina dell’allargamento della Nato a Est negli ultimi 25 anni (da 16 a 30 membri). E chi la mostra muore, almeno professionalmente: Marc Innaro, storico corrispondente della Rai a Mosca, prima imbavagliato e poi trasferito al Cairo; il professor Alessandro Orsini censurato dalla sua università, la Luiss, e dal Messaggero, il suo ex giornale, poi linciato da tutti. Eppure, che la Nato si sia allargata a Est, accerchiando e assediando la Russia, minacciandone la sicurezza con installazioni di missili nucleari sempre più vicine al confine, in barba alle promesse fatte a Gorbaciov nel 1990, fino all’ultima provocazione di annunciare l’imminente ingresso nell’Alleanza dei vicini di casa della Russia – Georgia e Ucraina – è un fatto storico indiscutibile. Che non giustifica l’invasione, ma aiuta a spiegarla. L’ha detto anche quel pericoloso putiniano del Papa: “La Nato abbaiava alla porta di Putin”. L’altra cartina proibita è quella dei Paesi che non condannano o non sanzionano la Russia, o se ne restano neutrali: quasi tutta l’Asia, l’Africa e l’America Latina, cioè l’87% della popolazione mondiale. Ma al nostro piccolo mondo antico occidentale piace far credere che Putin è isolato e noi lo stiamo circondando. Sul fatto che Cina, India, Brasile e altri paesucoli stiano con lui o non stiano con noi, meglio sorvolare: altrimenti lo capiscono tutti che le sanzioni non funzionano.
Abbiamo abolito la storia. È vietato raccontare ciò che è accaduto in Ucraina prima del 24 febbraio 2022: gli otto anni di guerra civile in Donbass dopo il golpe bianco (anzi, nero) di Euromaidan nel 2014 e le migliaia di morti e feriti causati dai continui attacchi delle truppe di Kiev e delle milizie filo-naziste al seguito contro le popolazioni russofone e russofile che, col sostegno di Mosca, chiedevano l’indipendenza o almeno l’autonomia. Il tutto in barba ai due accordi di Minsk. La versione ufficiale, l’unica autorizzata, è che prima del 2022 non è successo niente: una mattina Putin s’è svegliato più pazzo del solito e ha invaso l’Ucraina. Se la gente scoprisse la verità, capirebbe che il mantra atlantista “Putin aggressore e Zelensky aggredito” vale solo dal 2022: prima, per otto anni, gli aggressori erano i governi di Kiev (l’ultimo, quello di Zelensky) e gli aggrediti i popoli del Donbass. Fra le vittime, c’è il giornalista italiano Andrea Rocchelli, ucciso dall’esercito ucraino. Un caso simile a quello di Giulio Regeni, che però nessuno conosce, perché “Andy” ha avuto il torto di farsi ammazzare dai killer sbagliati. Chiunque faccia un po’ di storia per “spiegare” la guerra e le sue cause viene scambiato per un putiniano che “giustifica” l’aggressore. Solo abolendo la storia si possono azzardare assurdi paragoni fra Putin e Hitler e fra Zelensky e Churchill, per farci credere che oggi, come nel 1938, un dittatore folle vuole impadronirsi dell’intera Europa. Ergo dobbiamo armare gli ucraini perché difendono anche noi: caduti loro, toccherebbe a noi. Solo abolendo la storia si può bestemmiare parlando di “nuova Shoah”, “nuovo Olocausto”, “nuova Auschwitz”, “genocidio”, “pulizia etnica” e via delirando… E si può raccontare che la Nato è un’“alleanza difensiva” (infatti, solo nell’ultimo quarto di secolo ha attaccato la Serbia, l’Afghanistan, l’Iraq e la Libia che non ci avevano fatto un bel nulla) e “difende i valori della liberaldemocrazia” (infatti fra i suoi membri c’è la Turchia di Erdogan, che arresta gli oppositori, chiude i giornali e stermina i curdi). Solo abolendo la storia si può credere al presidente Sergio Mattarella quando ripete che “l’Ucraina è la prima guerra nel cuore dell’Europa nel dopoguerra”. E Belgrado bombardata anche dall’Italia nel 1999 dov’è, in Oceania? E chi era il vicepremier del governo D’Alema che bombardava Belgrado? Un certo Mattarella.
Abbiamo abolito l’economia. Altrimenti l’avrebbero capito tutti, guardando i precedenti dell’Italia fascista dopo l’avventura africana, e poi di Cuba, dell’Iran e della stessa Russia, che le sanzioni servono a poco e spesso danneggiano più i sanzionatori dei sanzionati, che peraltro tendono a stringersi attorno al loro regime (Mussolini, Castro, gli ayatollah e ora Putin). Invece il noto economista Draghi, il 31 maggio 2022, oracolava: “Il momento di massimo impatto delle sanzioni alla Russia sarà da questa estate in poi”. Il professor Enrico Letta, il 9 marzo 2022, vaticinava: “La Russia andrà in default entro qualche giorno”. E Fmi, università anglo-americane, agenzie di rating facevano a gara nel prevedere immediati crolli del Pil russo del 40, del 30, del 20, del 15%, salvo poi rassegnarsi a un misero 2 virgola qualcosa.
Abbiamo abolito la medicina. Siccome la Russia non va in default, mentre rischiano di andarci le economie europee, ci hanno raccontato che il sacrificio durerà poco, pochissimo, perché Putin sta per essere destituito, è solo al mondo, ha tutti contro anche dentro il Cremlino e soprattutto è malatissimo, ha le ore contate, anzi forse è già morto e quello che vediamo è un sosia… Ha praticamente tutte le malattie note in letteratura, da quelle psichiatriche a quelle muscolari e ossee, a ogni varietà di tumore e di leucemia, al Parkinson, a mezze paresi qua e là, per non parlare del diabete… Ed è pure completamente pazzo, visto che tutti ripetono che si era illuso di occupare l’Ucraina (grande due volte l’Italia) in una settimana e di essere accolto con i tappeti rossi da un popolo che per due terzi odia i russi da almeno un secolo e da dieci anni viene armato da Usa e Gran Bretagna.
Abbiamo abolito il comune senso del pudore. Diciamo che le sanzioni sono un sacrificio indispensabile per difendere la democrazia liberale dalla tirannide di Putin. Infatti, per sostituire il gas e il petrolio russi, li compriamo da Algeria, Egitto, Angola, Mozambico, Congo, Emirati, Arabia Saudita, Qatar: tutti regimi al cui confronto Putin è un’educanda. Per colpire un dittatore, ne ingrassiamo una decina.
Abbiamo abolito il vocabolario. Draghi fa approvare dal Parlamento il primo invio di armi italiane all’Ucraina e fa scrivere nella risoluzione che servono alla “de-escalation”. Più armi, meno escalation. E quando il leader dei 5 Stelle Giuseppe Conte si oppone all’aumento della spesa militare al 2% del Pil, i grandi giornali titolano: “Escalation anti-armi”, “escalation grillina”. Meno armi, più escalation. Una neolingua da far impallidire quella del Ministero della Verità di George Orwell in 1984: “La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza”. Non solo. “Pace” diventa sinonimo di “resa”: chi chiede un negoziato e un cessate il fuoco ai due eserciti viene accusato di negare la legittimità della splendida ed eroica resistenza ai tanti ucraini e di pretendere che questi si arrendano, anche se non l’ha mai detto né pensato. Anzi tutti riconoscono loro il sacrosanto diritto di difendersi: ma con le loro armi e con quelle di chi può inviarle, non con quelle dell’Italia che non può per Costituzione.
Abbiamo abolito la libertà di pensiero. Chi non pende dalle labbra di Biden, Zelensky e Stoltenberg, ma li critica se sbagliano o pubblica notizie a loro sgradite, è un venduto a Putin. E viene linciato, infilato in liste di proscrizione come “putiniano” con tanto di foto segnaletiche sui grandi giornali.
Abbiamo abolito il dovere di cronaca e anche la deontologia professionale dei giornalisti. Tutte le notizie diffuse da Kiev vengono prese per oro colato, tutte quelle targate Mosca bollate come fake news, anche se spesso si scopre l’opposto. Papa Francesco attacca Draghi e la Nato per l’aumento delle spese militari al 2% del Pil e viene censurato da Tg1, Corriere della Sera e Repubblica… Nei primi mesi di guerra, mentre l’armata russa occupava oltre un sesto dell’Ucraina (un terzo dell’Italia), i nostri giornaloni descrivevano l’avanzata di Mosca come un rosario di disfatte militari inflitte dall’invincibile armata ucraino-occidentale, ribaltando di 180 gradi la realtà della (tristissima) situazione sul campo di battaglia. Tant’è che, quando a settembre è partita la controffensiva ucraina con le prime sconfitte russe, l’opinione pubblica si domandava incredula: ma come, gli ucraini non stanno stravincendo dal primo giorno?
Abbiamo abolito la diplomazia e le sue regole-base. Il refrain è: “Non si tratta col nemico”. Oh bella, e con chi si tratta? Con l’amico? E su cosa? “Con la Russia si tratta solo se prima si ritira”. Oh bella, ma il ritiro delle truppe, da che mondo è mondo, viene dopo le trattative, non prima. “I tempi e le condizioni dei negoziati li decide Zelensky”. Cioè mai, visto che ha firmato un decreto che vieta di negoziare con la Russia di Putin. E poi, con tutti i miliardi e le armi che invia all’Ucraina, è mai possibile che l’Occidente non debba avere voce in capitolo? Possibile che possa contribuire solo alla guerra, ma non alla pace? E se Zelensky ritiene che il negoziato possa iniziare solo dopo la riconquista completa delle regioni occupate dai russi, Crimea inclusa, e non riesce a riprenderle nei prossimi 10 o 20 anni, l’Europa che fa: si dissangua economicamente con le auto-sanzioni e invia armi su armi e miliardi su miliardi a Kiev, come in Afghanistan, finché l’ultimo ucraino resterà in vita? E perché non lasciare che siano i popoli del Donbass e della Crimea a decidere con chi vogliono stare, con un referendum sotto l’egida dell’Onu? Il diritto all’autodeterminazione per loro non vale? O si teme di scoprire che abbiamo trasformato un conflitto locale in una guerra mondiale per difendere dalla Russia popolazioni che vogliono stare con la Russia?
Abbiamo abolito il rispetto per le altre culture. In una folle ondata di russofobia, abbiamo visto ostracizzare direttori d’orchestra, cantanti liriche, pianiste di fama mondiale, fotografi, atleti (anche paralimpici), persino gatti e querce, soltanto perché russi. E poi censurare corsi su Dostoevskij, cancellare dai teatri i balletti di Cajkovskij, addirittura estromettere la delegazione russa dalle celebrazioni per la liberazione di Auschwitz. Come se il lager l’avessero liberato gli americani o gli ucraini e non l’Armata Rossa…
Abbiamo abolito il senso del ridicolo. Infatti, quando Draghi pose l’assurdo aut-aut fra “la pace e i condizionatori o i termosifoni accesi” (non spenti), nessuno gli rise in faccia. Una sera il noto stratega Beppe Severgnini, a Otto e mezzo, ha sentenziato: “Se non ci fosse la Nato, Putin sarebbe già a Lisbona” (meno male che c’è l’Oceano). E poi: “Vinciamo noi: siamo 40 contro uno”. Come se la guerra russo-ucraina fosse il derby Milan-Inter. Solo che nei derby, di solito, nessuna delle due squadre possiede 6 mila testate atomiche. Invece Putin le ha e l’Ucraina no. E, quando un uomo con l’atomica incontra uno senza atomica, quello senza atomica è un uomo morto. Ma anche quello con l’atomica. Perché tutti fingono di ignorarlo, ma questa è una guerra che non può avere vincitori, ma solo sconfitti. Almeno in Europa, dove arrivano le radiazioni: negli Stati Uniti no. Infatti gli Usa sono l’unico soggetto belligerante (per procura) che, comunque vada, non rischia nulla. Anzi, ci guadagna… Eppure i trombettieri della Nato propagandano la bufala dell’“euroatlantismo” e gli scemi di guerra se la bevono, senz’accorgersi che mai come oggi gli interessi dell’Europa sono opposti a quelli dell’America.