venerdì 30 novembre 2018

Il Termometro



Non mi ritengo intelligente sopra la media, né moralmente in grado di insegnare nulla a nessuno. Per fortuna, o per passione, leggo almeno tre quotidiani al giorno (a proposito: sono abbonato da almeno dieci anni al Secolo XIX ma visto il suo accanimento ossessivo al nuovo, basta leggere il commento di Feltri ogni mattina, in virtù della nuova proprietà, Agnelli-De Benedetti, sto seriamente pensando di disdirlo) e una parvenza di opinione che definirei provvidenziale me la sono fatta. 
Perché ho postato la foto di tal Corona, di cui cerco di non interessarmi mai, cambiando canale ogniqualvolta appaia in video, saltando le pagine che lo riguardano nei giornali propri e specialistici dell'attesa dal barbiere, e della Totta? 
Perché costoro hanno inscenato una commediola, spacciandola per vera, all'interno di quella macelleria della ragione che chiamano qui in Alloccalia, "Grande Fratello Vip." 
Se ne sono dette di santa ragione, ho tememariamente letto ora che da quella cloaca del pensiero è emerso il vero motivo scatenante la rissa: lo share. 
Ed è venuto a galla solo per un motivo: tal Corona, rischiando di tornare in galera, ha presentato un documento sminuente l'attacco mediatico, dichiarando che il diverbio è stato fatto solo per seguire il copione, tendente a rialzare il seguito di babbani, infervorati da questo cocktail di idiozie. 
Ora, a mio parere, il problema è uno ed uno solo: questi spettacoli indecorosi per la ragione, retti da soubrette scaltre e mai sazie di popolarità, coadiuvate da tale Signorini che sta alla cultura come Martina all'indipendenza di pensiero, costituiscono la subliminale azione per depressurizzare critica e pensiero libero in una nazione. Due, tre milioni di persone s'appassionano a questa tipologia di merda in video, appassendo cerebralmente, divenendo un tutt'uno con il sistema che esige, pretende tale scadimento di sinapsi per continuare a perpetrare danni alla collettività. 
Sono armi in mano a pochi, suadenti nel far ammuffire libri, nell’usard i quotidiani solo per incartar uova. 
Tutto è programmato affinché l'attenzione rimanga dentro i confini dell'adiposi mentale, per un gregge mite e sdolcinato in grado di digerire scorribande brigantesche con leggiadria ed assenza totale di sani principi. 
Ci vorrebbero così, spasimano per ridurci in uno stato larvale nel quale le caramelle, i bon bon ogni tanto elargiti, sviano le nostre menti, i nostri ragionamenti, dalla naturale retta via, sostanzialmente di per sé rivoluzionaria. 
Diffidate amici di tali obbrobri! Per il bene vostro. E per il nostro.  

Faccia tosta



Impegno


Lo prendo come impegno: ogni fine mese pubblicherò questo elenco per agevolare le menti di chi vede in quel per fortuna canuto pagatore di tangenti alla mafia, una speranza, un riparo da questi inetti del M5S. Come il Bomba che da sempre sta cercando d’inculcare, sublimare, fa accettare a menti sofferenti l’idea che alla fin fine il proprietario di gran parte dei media nazionali, alla fin fine non sia poi così malaccio. 
Grazie al Fatto Quotidiano ecco un vademecum per tentare di espatriare da Alloccalia:

PROMEMORIA

Le 41 leggi ad personam che Matteo vorrebbe condonare al Caimano
PER NON DIMENTICARE - PROCESSI AZZERATI, REATI CANCELLATI, PRESCRIZIONE RADDOPPIATA E CONDONI À GO GO

Ecco un breve prontuario (incompleto) di norme ad personam che (non) valgono le scuse a B. 

1. Decreto Biondi (1994). Vieta le manette per i reati di Tangentopoli alla vigilia degli arresti in casa Fininvest per le tangenti alla Gdf.
2. Legge Tremonti (1994). Detassa del 50% gli utili reinvestiti dalle imprese. Mediaset risparmia 243 miliardi.
3. Condono fiscale (1994). Consente agli evasori di “patteggiare” una modica multa.
4. Condono edilizio (1994). Riapre i termini del condono Craxi.
5. Rogatorie (2001). Cancella le prove giunte dall’estero, comprese quelle sulle sentenze comprate da Previti per Fininvest.
6. Falso in bilancio (2002). In parte il reato è depenalizzato, in parte le pene vengono abbassate. I 5 processi a B. per falso in bilancio vengono cancellati.
7. Mandato di cattura europeo (2001). Il governo B. rifiuta di ratificarlo per i reati finanziari e contro la PA. Per Newsweek, B. “teme di essere arrestato dai giudici spagnoli” per Telecinco.
8. Giudice trasferito (2001). Il ministro Castelli, su richiesta di Previti, nega la proroga al giudice Guido Brambilla del processo Sme-Ariosto (per azzerarlo).
9. Legge Cirami (2002). Reintroduce la “legittima suspicione” per trasferire i processi, come chiesto da Previti e B. da Milano a Brescia.
10. Patteggiamento allargato (2003). Qualsiasi imputato può chiedere 45 giorni di tempo per valutare se patteggiare o meno. Previti annuncia che userà la nuova legge.
11. Lodo Maccanico-Schifani (2003). Sospende sine die i processi ai presidenti della Repubblica, delle Camere, della Consulta e del Consiglio (cioè i processi a B.).
12. Legge ex Cirielli (2005). Dimezza la prescrizione per gli incensurati (decimando i processi a B.) e trasforma in arresti domiciliari la detenzione per gli over 70 (Previti li ha appena compiuti e B. sta per compierli).
13. Condono fiscale (2002). Sanatoria tombale per gli evasori. Mediaset ne approfitta per sanare evasioni di 197 milioni di euro pagandone appena 35. B. cancella con appena 1.800 euro un’evasione di 301 miliardi di lire.
14. Condono ai coimputati (2003). Infila nel condono anche chi ha “concorso a commettere i reati”, anche se non firmò la dichiarazione fraudolenta. Così B. salva i 9 coimputati nel processo Mediaset.
15. Legge Pecorella (2006). L’on. Pecorella, avvocato di B., abolisce l’appello del pm contro assoluzioni o prescrizioni, ma non quello dell’imputato contro le condanne. Ciampi respinge la legge in quanto incostituzionale. B. la riapprova tale e quale. La Consulta la boccerà in quanto incostituzionale.
16. Legge ad Legam (2005). Depenalizzati l’attentato alla Costituzione e l’attentato all’unità e all’integrità dello Stato, di cui sono imputati a Verona una quarantina tra dirigenti politici e attivisti della Lega per la Guardia nazionale padana (fra cui Bossi, Maroni, Borghezio, Speroni, Calderoli).
17. Legge Frattini (2002). Dovrebbe risolvere i conflitti d’interessi, invece li legalizza e li santifica: chi possiede aziende e va al governo, ma di quelle aziende è solo il “mero proprietario”, non è in conflitto d’interessi e non deve cederle. Unica conseguenza per B.: deve lasciare la presidenza del Milan.
18. Legge Gasparri-1 (2003). Per la Consulta, entro fine 2003 Rete4 dev’essere spenta, passare sul satellite e cedere le frequenze a Europa7. Ma il 5 dicembre la legge Gasparri le concede una proroga sine die “ancorché priva di titolo abilitativo”. Ciampi però non la firma: è incostituzionale.
19. Decreto salva-Rete4 (2003). A due settimane dallo spegnimento di Rete4, B. firma un decreto salva-Rete4 che concede alla sua tv l’ennesima proroga semestrale, in attesa della nuova Gasparri.
20. Legge Gasparri-2 (2004). Assicura che Rete4 non sfora il tetto antitrust perché il digitale terrestre avrà centinaia di canali. Europa 7, che ha vinto la concessione, resta senza frequenze.
21. Decoder di Stato (2004). Contributi pubblici a chi acquista il decoder del digitale. Fra i principali distributori c’è Paolo Berlusconi.
22. Salva-decoder (2003). Il digitale terrestre è un affarone per Mediaset, che vi trasmette partite di calcio a pagamento, ma teme il mercato nero: il governo che ha depenalizzato il falso in bilancio porta fino a 3 anni e 30 milioni di multa la pena per le smart card fasulle da pay tv.
23. Salva-Milan (2002).I club di calcio, quasi tutti indebitatissimi, possono spalmare su 10 anni la svalutazione dei cartellini dei giocatori. Il Milan risparmia 242 milioni.
24. Salva-diritti tv (2006). FI blocca un ddl che riforma il sistema di vendita dei diritti tv del calcio in senso “collettivo” per non penalizzare i club minori. Il sistema resta “soggettivo”, a tutto vantaggio di Juve, Inter e ovviamente Milan.
25. Tassa di successione (2001). Abolita anche sopra i 350 milioni di lire (sotto, l’ha già abolita l’Ulivo). B. ha 5 figli e beni per 25 mila miliardi.

26. Autoriduzione fiscale (2004). Ridotte le aliquote fiscali per i redditi dei più abbienti. B. risparmierà 764.154 euro di tasse all’anno.

27. Plusvalenze esentasse (2003). Detassate le plusvalenze da partecipazione. B. nel 2005 cede il 16,88% di Mediaset detenuto da Fininvest per 2,2 miliardi e risparmia 340 milioni di imposte.

28. Sondaggi a spese nostre (2005). Stanziati 6 milioni per sondaggi sulle “politiche pubbliche adottate dal governo”. B. paga con soldi pubblici i sondaggi di FI.

29-30-31. Condoni alla villa abusiva (2004). Tre condoni bloccano le indagini sugli abusi edilizi a Villa Certosa.

32-33. Due scudi fiscali (2001-2003). Chi vuol far rientrare (riciclare) capitali guadagnati e/o detenuti all’estero illegalmente paga un misero 2,5%, con garanzia di anonimato. B. è imputato per 1.500 miliardi di lire in nero su 64 società estere Fininvest.

34. Lodo Alfano (2008). Sospende i processi ai presidenti della Repubblica, delle Camere e del Consiglio sino al termine della carica. Cioè i processi Mills e Mediaset. Riprenderanno quando la Consulta boccerà la legge.

35. Scudo fiscale-3 (2009). Funziona come gli altri due, però con un obolo del 5%.

36. Legittimo impedimento (2010). Bocciato il lodo Alfano e ripresi i processi, ecco una nuova legge Alfano per bloccarli per 18 mesi: quella che rende automatico il “legittimo impedimento” a comparire nelle udienze per il premier e i ministri. E non solo per le attività di governo, ma anche per quelle “preparatorie e consequenziali, nonché comunque coessenziali alle funzioni”. La Consulta e un referendum bocceranno anche quello.

37. Più Iva per Sky (2008). Raddoppia l’Iva a Sky, principale concorrente di Mediaset, dal 10 al 20%.

38. Meno spot per Sky (2009). Un decreto Romani obbliga Sky a scendere entro il 2013 dal 18 al 12% di affollamento orario di spot.

39. Più azioni proprie (2009). Aumenta dal 10 al 20% la quota di azioni proprie che ogni società può acquistare e detenere. Norma subito usata da Fininvest per aumentare il controllo su Mediaset.

40. Legge pro Mondadori (2010). L’Agenzia delle entrate contesta a Mondadori 173 milioni di euro di tasse evase nel 1991. Mondadori ricorre in I e II grado, vince la causa, ma il fisco ricorre in Cassazione. B. fa un decreto che consente a chi ha vinto due gradi di giudizio di chiudere il contenzioso in Cassazione versando solo il 5%. Così, invece di 173 milioni (350 con gli interessi), Mondadori se la cava con 8,6.

41. Legge pro Lega-2 (2010).Per salvare i leghisti delle camicie verdi ancora imputati a Verona per costituzione di formazione paramilitare fuorilegge (gli altri due reati sono stati depenalizzati nel 2005), ecco un codicillo nascosto in un decreto omnibus di 1085 norme, che abolisce pure quel reato. Al giudice di Verona non resta che prendere atto della depenalizzazione e prosciogliere tutti gli imputati.

Nefaste sensazioni travagliate


Spero non sia vero, che il Fatto oggi abbia preso una cantonata. Quello che ho sempre sospettato sarebbe un duro colpo per gli indomiti aficionados del bulletto rignanese. Sembrerebbe infatti che abbiano avuto in casa un nano puttaniere in formato tascabile, senza essersene mai accorti! Coraggio!

venerdì 30/11/2018
Silvio, sei tutti loro

di Marco Travaglio

Quella di Renzi che riabilita ufficialmente B., dopo averlo ammirato di nascosto e imitato a cielo aperto per cinque anni, non è né una gaffe estemporanea né l’ultimo reflusso gastrico di un leader alla frutta, anzi al caffè (corretto grappa). È la premessa culturale (parlando con pardon) essenziale di un progetto politico condiviso da tutto l’Ancien Régime, che sta lavorando alacremente per conservare il potere in barba alla maggioranza degli italiani che il 4 marzo aveva deciso finalmente di levarglielo. Lo dimostra quotidianamente il gioco sporco dei suoi trombettieri sparsi nei giornaloni: quelli che dedicano due pagine al giorno a una minuscola impresa edile di Pomigliano solo perché appartiene al padre di Di Maio; quelli che riservano il primo titolo dei loro siti web a qualche capanno e quattro laterizi sequestrati da uno dei Comuni più abusivi del mondo; quelli che nascondono i veri scandali politici dietro quelli finti (confrontare gli spazi su Di Maio padre e su Salvini e la legge Pd che salvano Bossi). È in cantiere, in vista delle elezioni europee e dell’auspicato ribaltone italiano, un’Union Sacrée dei vecchi poteri affaristico-politici per buttare fuori dal governo il primo partito che ha il torto di aver vinto le elezioni e sostituirlo con quelli che le hanno perse. Possibilmente in tempo utile per salvare i tre capisaldi del Paese del Gattopardo minacciati dai 5Stelle: la Santa Prescrizione, patrona dell’impunità per i colpevoli ricchi e potenti; le Grandi Opere con relativi grandi sprechi e grandi mazzette (dal Tav Torino-Lione in giù); e le Benedette Concessioni di beni pubblici ai privati (da Autostrade in giù).

Mentre i gonzi vengono dirottati appresso a falsi obiettivi – il ritorno del fascismo, i contratti e i non contratti in casa Di Maio, le madamine in marcia a Torino, la procedura d’infrazione europea per un paio di decimali di deficit – chi bada al sodo sa dove guardare. E sa pure che, per quanto malconcio e rintronato, B. è decisivo per la Grande Ammucchiata, insieme al Pd renziano e alla Lega (o a una parte di essa). Mentre ancora ci si balocca sull’antico asse destra-sinistra, o addirittura sul decrepito fascismo-antifascismo, lorsignori sanno benissimo che oggi la guerra è fra vecchio e nuovo. E naturalmente scelgono il vecchio. Nel 2013, complice il premio incostituzionale del Porcellum, bastò ammucchiare Pd, FI e centrini vari per tener lontano il nuovo: Napolitano si fece rieleggere apposta per garantire al sistema che nulla cambiasse (pussa via Rodotà), prima con Letta jr. e poi con Renzi. Stavolta Pd, FI e centrini vari non arrivano al 25%.

Bisogna imbarcare anche un po’ di Lega, che già nel “governo del cambiamento” si è assunta la preziosa missione di garantire il vecchio e fermare il nuovo. E naturalmente bisogna riabilitare B., che nel 2013 era ancora incensurato (8 prescrizioni, ma nessuna condanna definitiva), invece oggi è pregiudicato e ulteriormente sporcato – ove mai fosse possibile – dalla sentenza per mafia, che ha portato in galera Dell’Utri, e da quella sulla trattativa Stato-mafia, che indica il Caimano come il ricettore del ricatto di Cosa Nostra e il finanziatore della medesima anche da premier (sino alla fine del 1994). Renzi non è il solo a pensare che B. non fosse poi così male, e non è neppure il primo a dirlo. Il primo, dal centrosinistra, fu Eugenio Scalfari alla vigilia delle elezioni. Il secondo, con l’aria di dissentire mentre in realtà condivideva, fu De Benedetti. Ieri, intervistato dalla radio di Repubblica, è arrivato anche il bravo scrittore Sandro Veronesi: “Se mi chiedete di firmare per far tornare Berlusconi e il suo governo domani, io firmo, e firmo col sangue. Meglio lui di quelli di oggi, non c’è dubbio. Era arrogante, strafottente, con il conflitto di interessi, ma sapeva qualcosa del mondo. E sapeva che stava trasgredendo le etichette quando prendeva in giro la Merkel. Questi non sanno quello che fanno… possono tirarci giù non solo economicamente ma anche filosoficamente, culturalmente”.

Nelle democrazie normali, gli intellettuali sono i custodi della memoria e gli stimoli al pensiero critico. In Italia sono più smemorati e più conformisti dell’uomo da bar sport. In fondo, a loro, B. che problema dava? Bastava parlar d’altro e si viveva felicissimi. Anzi, se eri di sinistra, B. era il nemico perfetto, lo spaventapasseri ideale per terrorizzare gli elettori e trascinarli, volenti o nolenti, a votare centrosinistra turandosi il naso. Che poi B. fosse un delinquente naturale, direttamente o indirettamente corruttore di giudici, di testimoni, di finanzieri, di politici, di senatori, di minorenni e di maggiorenni, che finanziasse la mafia, che l’avesse portata in casa sua e poi in casa nostra, chi se ne importava: meglio non pensarci, sennò poi ti scappava detto e finivi bandito dalle tv, dai giornali, dall’editoria, dal cinema e sepolto di cause civili per miliardi. Fateci caso: prima Renzi e poi Veronesi ricordano B. esattamente come lui vorrebbe essere ricordato, rimuovendo esattamente ciò che lui vorrebbe fosse rimosso. Un simpatico vecchietto (anzi “pischello”, dice Renzi) che sì, avrà avuto dei conflitti d’interessi, sarà stato un po’ arrogantello e politicamente scorretto, si sarà fatto qualche leggina, ma ci sapeva fare, perbacco. Mica come “questi”, che ci portano al disastro. Pazienza se, anziché fare decine di leggi contro la giustizia e il codice penale, “questi” ne han fatta una contro la corruzione e la prescrizione. Pazienza se, per superare i 550 miliardi di debito pubblico accumulati dai suoi tre governi, “questi” dovrebbero vivere dieci vite. Gaber temeva, “più che il Berlusconi in sé, il Berlusconi in me”. Renzi, Veronesi e gli altri nostalgici dell’Ancien Régime ce l’hanno in sé da una vita. E non c’è esorcista che possa liberarli.

giovedì 29 novembre 2018

Addobbi personalizzati



Senza vergogna


E a me il video sembra pure sparito!

giovedì 29/11/2018
Faccia da Renzi

di Marco Travaglio

Che stesse per dirlo, in preda ad attrazione fatale, si capiva da tempo. Il coming out ce l’aveva sulla punta della lingua da una vita, ma non si decideva mai a sputare il rospo. Ora finalmente, dopo anni di petting clandestino, ha deciso di ufficializzare la liaison. “Dobbiamo chiedere scusa a Silvio Berlusconi che faceva le norme ad personam più incredibili: ha fatto votare la nipote di Mubarak e via dicendo”. Lo scrive Matteo Renzi sulla sua pagina Facebook, per la gioia degli eventuali elettori superstiti del Pd. Il figlio di babbo Tiziano sostiene che l’altro Matteo è molto peggio di B., ma è un espediente retorico: ciò che davvero gli sta a cuore è la riabilitazione del Caimano. Infatti, fra le 60 leggi vergogna dei suoi 11 anni di governo (di cui almeno 41 ad personam o ad aziendam, che poi è la stessa cosa), non ne cita nemmeno una: Ruby nipote di Mubarak non era una legge, ma un’inutile mozione parlamentare, fra l’altro votata anche da Alfano e dagli altri ex forzisti di Ncd, accolti a braccia aperte nel governo Renzi e persino (vedi Lorenzin) nel Pd. La lista completa delle leggi ad personam di B. lo trovate a pag. 2. Facile confrontarle con quelle che Renzi attribuisce alla Lega per sostenere – restando serio – che B. al confronto “era un pischello” perché “non ha mai fatto quello che ha fatto Salvini in questa settimana: sigarette elettroniche, voto segreto sul peculato che cambia la sorte dei processi in cui sono implicati deputati della Lega, l’accordo sui 49 milioni e la querela solo per Bossi”.

1) L’emendamento all’Anticorruzione approvato dalla Camera col voto segreto svuota il peculato di consiglieri comunali e regionali (Lega, Pd, FI e FdI) che si facevano rimborsare con soldi pubblici spese private spacciate per “istituzionali”. Se è passato, col parere contrario del governo e il voto contrario del M5S, è perché l’han votato molti deputati di Lega, Pd e FI. Ma non sarà mai legge: la maggioranza s’è impegnata a cancellarlo in Senato.

2) I produttori di sigarette elettroniche potrebbero ottenere, grazie a un emendamento leghista alla legge di Bilancio (non ancora approvato), uno sgravio fiscale. E il Fatto ha scoperto che uno di essi, il milanese Vaporart, ha finanziato la campagna elettorale leghista con 100 mila euro. Lo sgravio fiscale è discutibile, come tutti: ma nessuna norma lo vieta e il finanziamento di Vaporart ha rispettato la riforma dei finanziamenti ai partiti votata da Pd e alleati nel 2013 (governo letta). Una seria legge sul conflitto d’interessi dovrebbe vietare a chi è finanziato da un’azienda di legiferare a vantaggio (anche) di quella. Ma non ce l’abbiamo perché chi ha governato negli ultimi anni s’è ben guardato dal farne una.

3) L’“accordo sui 49 milioni” rubati dalla Lega non è una legge, ma una transazione con la Procura di Genova, che le ha generosamente concesso di restituire il maltolto in comode rate da 600 mila euro l’anno per 76 anni.

4) La “querela solo per Bossi” è un nonsense, frutto di un refuso o di una gigantesca confusione mentale (ne vedremo fra poco il motivo). Renzi voleva dire “querela solo per Belsito e non per Bossi”. Salvini, infatti, nel processo milanese d’appello contro l’ex segretario e l’ex tesoriere della Lega per appropriazione indebita di una parte dei 49 milioni, ha deciso di querelare solo Belsito e solo per i reati commessi in proprio: nessuna querela invece per Bossi sulle appropriazioni indebite contestate a lui solo, né per il duo Bossi-Belsito per quelle contestate a entrambi. Così Bossi verrà assolto per assenza di querela, mentre Belsito rischia una nuova condanna, ma solo per i capi d’imputazione per cui Salvini l’ha querelato (in quel caso avrà un forte sconto di pena). Renzi non spiega come mai Bossi e Belsito siano stati condannati in Tribunale nel 2017 per tutte quelle appropriazioni indebite senza che la Lega li avesse querelati. E per forza: non può. Altrimenti dovrebbe confessare che l’unica vera legge ad personam del suo ridicolo elenco non l’ha fatta Salvini: l’ha fatta il Pd.

È il decreto 36 del 10.4.2018 del governo Gentiloni (già dimissionario dopo le elezioni e in carica per gli affari correnti), che ha abolito la procedibilità d’ufficio per l’appropriazione indebita. Da allora quel reato è processabile solo se le vittime querelano gl’indagati. Guardacaso la Procura di Firenze aveva appena inquisito il cognato di Renzi, Andrea Conticini, e i suoi fratelli Alessandro e Luca: il primo per riciclaggio, gli altri due per appropriazione indebita. Secondo i pm, 6,6 milioni di dollari che l’Unicef, Fondazione Pulitzer e altre onlus americane e australiane credevano di devolvere ai bimbi africani sarebbero finiti in conti bancari personali riconducibili al terzetto. Appena entrato in vigore il decreto, i pm fiorentini hanno scritto a Unicef &C. per sollecitarli a sporgere querela: altrimenti, con le nuove regole, il processo sarebbe morto lì e addio soldi. Ma nessuno lo fa, rinunciando inspiegabilmente al maltolto: il processo non partirà neppure. E questo a causa del decreto ad cognatum del Pd che, naturalmente, si applica a tutti i processi per appropriazione indebita.

Compreso quello ai leghisti per i soldi rubati. Così anche Bossi e in parte Belsito si salveranno grazie alla simpatica joint venture Pd-Salvini: il Pd fa la legge ad cognatum e Salvini, con la querela chirurgica, la trasforma in legge ad Umbertum. “Amici – conclude Renzi nel suo delirio – lo dico forte: la sinistra che sta zitta su Salvini dovrebbe chiedere scusa a Berlusconi”. Invece lui che sta zitto sul decreto ad cognatum del Pd non chiede scusa a nessuno. Anzi Bossi, Belsito e i Conticini lo ringraziano sentitamente. E quel pischello di Silvio è fiero di lui.

mercoledì 28 novembre 2018

Qui ad Alloccalia



Oh si, qui in Alloccalia si permette tutto, ma proprio tutto. Si permette ad esempio ad un quotidiano di proprietà della famiglia del Pregiudicato Seriale, di sparare in prima pagina la notizia riguardante il pagamento in nero da parte del padre di Luigi Di Maio, dello stipendio di alcuni suoi dipendenti, prima che il figlio rilevasse l'azienda e si dedicasse alla politica.
Permettiamo questo ed altro: come la foto del Pregiudicato in formato statista, pensa che periodi bui e cupi abbiamo passato, sul quale la corte di Bruxelles non si è pronunciata in merito alla sua possibile prossima candidatura, Dio ce ne scampi. 
Ma torniamo al Giornale: al momento Luigi Di Maio non è accusato di nulla e, sia chiaro, nel caso venissero accertate delle responsabilità, la sua missione politica all'interno del Movimento cesserebbe automaticamente. 
E' il rancore, il livore, questo voler tentare di dirci "siamo tutti uguali" che oltre a rammaricare, insinua sentimenti di violenza verbale attorno al mondo del Puttanesimo. Pare, dico pare, che gran parte dei ribaldi che ci hanno condotto in tutti quegli anni di folcloristico arraffo generale, vedasi l'Era del Puttanesimo e la conseguente Era del Ballismo, fremano per ritorcersi contro una parte politica che ha fatto dell'onestà la propria bandiera. Sembra, anzi è così, perché qui ad Alloccalia dobbiamo necessariamente essere modellati sugli "amici degli amici." E' innegabile, incontrovertibile: nessun giornalone, nessun media ha mai evidenziato il fatto che i parlamentari del M5S continuino a privarsi di una parte del proprio stipendio per investirlo in attività a favore degli altri, microcredito alle piccole società ed ora destinati alla gente colpita dall'alluvione. E' fatto concreto che siamo passati sopra ad inverecondi misfatti, primo tra tutti il fatto accertato che l'ex premier proprietario del Giornale abbia pagato tangenti alla mafia. Ma di cosa cazzo dobbiamo parlare se per vent'anni non siamo riusciti a fare una legge sul conflitto d'interessi, se abbiamo sopportato modifiche di leggi per uso personale, otto processi prescritti, se abbiamo fatto finta di nulla davanti ad un abnorme affarismo che ha fatto spendere alla collettività miliardi, si miliardi, in opere rivelatesi una buffonata ad uso e consumo di pochi, vedasi il Mose veneziano già distrutto da ruggine ed incuria ancor prima di essere messo in funzione? Di che cazzo stiamo parlando se nella successiva era, quella del Ballismo, una ministra avente un padre vicedirettore di una banca, nomina acquisita due mesi dopo che la figlia assurgesse al ruolo ministeriale, abbia fatto il giro delle sette chiese per cercare di porre rimedio all'inchiappettamento alibabesco ai danni dei poveri risparmiatori? E sempre in quel periodo di sberleffi e promesse ululanti alla luna: il padre del premier Egoriferito che, pare, intrallazzasse rapporti con faccendieri per far cassa nella gara pubblica più grande d'Europa?    
Ripeto: se Di Maio risultasse coinvolto nella vicenda dell'azienda di famiglia, subito, immediatamente, dovrà scomparire dal proscenio politico. Quello che però in queste ore è lampante, fluorescente, è il sospiro di sollievo di molti, che si sentono sulla stessa barca con chi è nato per rompergli i coglioni al grido di Onestà! 
Sappiatelo bene: siamo difronte ad un tentativo filosofico di riportare le barra, il timone dentro a quella che per decenni abbiamo ontologicamente creduto fosse la giusta e sacrosanta via; dove tutto era concentrato, incentrato nel lucrare, succhiandone dal bene pubblico. Da questo stanno, stiamo cercando di discostarci. Ma la resistenza è, al momento, troppo forte. Stiamo assistendo, vivendola, ad una fase in cui diventa secondario, il bisogno primario di una gran fetta di popolazione: una vita decorosa. Ci stanno inculcando idee che prediligono il "ce lo chiede l'Europa" alla ridistribuzione equa di bene pubblico. Il tentativo di ritornare indietro è grandioso, la voglia di raccontar fregnacce pure. Mistificare modesti, per via Leghista, tentativi di equanimità è pura arte, come quella di far di tutta l'erba un fascio. Rancorosi manigoldi stanno acquattati in ogni dove per proseguire l'azione merdosa di ingozzarsi alla faccia nostra. 
Cedere ora, significherebbe deporre le sane armi democratiche, ridotte a squallore dalle predazioni precedenti. Viva l'Italia libera dai corrotti! Vamos!  

Finalmente!


La Rai de-bombabizzata tornerà finalmente ad essere una tv pubblica di tutti! Aria fresca rivitalizzerà ambienti offuscati dalle fregnacce dell’Era del Ballismo. Un bentornato speciale a Carlo Freccero! W la libertà!

Era ora!


Finalmente un po’ di chiarezza!

mercoledì 28/11/2018
Figli & Gigli

di Marco Travaglio

Da quando i giornaloni presidiano la trincea della libera informazione improvvisamente minacciata dai barbari, non si sono mai viste tante bufale. Ieri s’è appreso che l’annunciatissima e attesissima sentenza della Corte europea per i diritti dell’uomo, destinata a “riabilitare” e “risarcire” il delinquente di Arcore dopo tante persecuzioni e angherie, dall’ingiusta condanna per frode fiscale alla vergognosa applicazione retroattiva della legge Severino (da lui stesso votata) in Senato per “eliminare un avversario politico”, non poteva arrivare per un semplice motivo: B. quatto quatto, il 27 luglio aveva chiesto a Strasburgo di lasciar perdere, perché intanto aveva ottenuto dai generosissimi giudici milanesi la “riabilitazione” ed era tornato eleggibile. Motivo: l’accoglimento del ricorso “non avrebbe prodotto alcun effetto positivo” per lui, mentre il diniego avrebbe sbugiardato cinque anni di balle. E, per giunta, avrebbe creato un pericoloso precedente in caso di nuove condanne definitive per lui e i suoi cari: facendoli cacciare dal Parlamento senza più poterla menare sulla “retroattività” della Severino (che ovviamente è scritta retroattiva). Insomma: era così sicuro di avere ragione da temere che gli dessero torto. Spiace per il Giornale, che ieri, nel poco spazio rimasto nella prima pagina interamente dedicata ai crimini dei Di Maios, titolava: “Berlusconi ‘riabilitato’. Oggi la sentenza infinita”. Povera stella.

Messaggero e Foglio raccontano che la commissione per l’analisi costi-benefici delle grandi opere guidata dal professor Marco Ponti, ha “promosso”, con “disco verde” e “parere favorevole”, il Terzo Valico, ma Toninelli ha “secretato” nel “cassetto” il prezioso incunabolo. Ma è vero il contrario: la commissione ha bocciato il Terzo Valico, stabilendo che è inutile e dunque, malgrado i soldi già spesi per iniziarlo, converrebbe bloccarlo anzichè ultimarlo.

Il “caso Di Maio”, poi, se non ci fosse bisognerebbe inventarlo. Perché smaschera cinque anni di censura sulle leggendarie imprese di babbo Renzi e babbo Boschi. E fa a pezzi la comica polemica dei renziani sui 5Stelle, accusati di difendersi a ogni pie’ sospinto col refrain “E allora il Pd?”. In realtà sono i renziani che, qualunque cosa accada nel M5S, vi si imbuca strillando “E allora noi?”, nel vano tentativo di pareggiare il conto degli scandali. Appena s’è scoperto che vari anni fa papà Di Maio aveva alcuni operai in nero, hanno subito alzato il ditino i Renzi babbo e figlio e la buonanima di Maria Elena Boschi per conto del genitore, seguiti a ruota dalla solita corte di twittatori.

Matteo per dire che il suo papà certe cose non le fa. Tiziano per chiedere di non essere paragonato a Di Maio sr. Maria Etruria per augurare a Di Maio sr. di non subire mai il trattamento che lei e famiglia subirono da Di Maio jr. Uno spasso. E fanno bene, a prendere le distanze, perché i loro paragoni – come spiega Marco Lillo a pag. 2 – non reggono. 1) Il padre di Di Maio non risulta indagato, mentre i genitori di Renzi e Boschi lo sono stati e ancora, in alcune indagini, lo sono. 2) Papà Renzi e papà Boschi avevano incarichi di pubblico rilievo, rispettivamente segretario del Pd a Rignano sull’Arno e vicepresidente-consigliere d’amministrazione della decotta Banca Etruria, mentre papà Di Maio è un privato cittadino. 3) Gli scandali Consip ed Etruria che coinvolgono i genitori di Renzi e Boschi risalgono al periodo in cui i due figli sedevano al governo della Repubblica Italiana, come premier e come ministra. Pier Luigi Boschi fu addirittura promosso da membro del Cda a vicepresidente della banca aretina due mesi dopo che la figlia salì al governo. I casi di lavoratori in nero in una società di papà Di Maio risalgono a diversi anni prima che Luigi diventasse vicepremier e ministro. 4) Nessuno avrebbe mai fatto ricadere su Renzi figlio e Boschi figlia le colpe dei rispettivi padri, se i due giovanotti non avessero giocato alcun ruolo in quelle vicende. Purtroppo la Boschi fece il giro delle sette chiese per salvare la Banca Etruria che stava per crollare in testa al babbo indagato (da un pm consulente del suo governo!), incontrando da ministra (ma non delle Finanze: delle Riforme e dei Rapporti col Parlamento) l’ad di Unicredit, il vicepresidente di Bankitalia, il presidente di Consob e l’ad di Veneto Banca. Quanto a Consip, appena la Procura di Napoli iniziò a indagare sugli strani incontri di Tiziano Renzi e del fido Carlo Russo con l’ad Luigi Marroni (nominato dal premier Matteo) e con l’imprenditore Alfredo Romeo, interessato al più grande appalto d’Europa e pronto a retribuire i due possibili mediatori con 30 mila e 2.500 euro al mese, partì una fuga di notizie che avvertì dell’indagine e delle intercettazioni sia Marroni sia Tiziano, rovinando l’indagine. Soffiata che la Procura di Roma attribuisce a quattro fedelissimi di Renzi: i generali Del Sette e Saltalamacchia, il ministro Lotti e il consulente Vannoni. Il tutto mentre il governo Renzi varava un decreto incostituzionale (poi bocciato dalla Consulta) per imporre alla polizia giudiziaria di informare i superiori delle indagini in corso.
Perciò Renzi, Boschi e Giglio magico furono tirati in ballo nei casi Etruria e Consip: per ragioni non penali, ma politiche ed etiche legate a conflitti d’interessi reali e/o potenziali. Magari un giorno Di Maio farà un condono per il lavoro nero nella ditta paterna, o parlerà con banchieri e authority per salvarla dal crac, o i suoi fedelissimi spiffereranno a suo padre un’indagine per mandarla in fumo. Ma per ora non risulta nulla del genere. Quindi né Renzi né Boschi possono dire a Di Maio “sei come noi”. Che è una ben magra consolazione. Ma soprattutto è una balla.

martedì 27 novembre 2018

Cosa si fa per la gloria perduta


In questo video, emporio di ogni bassezza umana, una ex famosa, corteggiata, ostentata madonna fatata, si scaglia contro il padre di un famoso ed attuale politico, Luigi Di Maio, per contestare, rimuginare, equiparare misfatti ancestrali. 
Già nell'inizio di denota tutto il rancoroso stile di una povera damigella finita, per fortuna, nell'anonimato: "Vorrei poter guardare in faccia il signor Antonio Di Maio, padre di Luigi Di Maio, ministro del lavoro nero e della disoccupazione di questo paese."
Un'escalation senza pari di riverberante vendetta, di sanguinaria speranza di sopraffare per ritornare ai tempi in cui aveva gran parte dell'Italia ai suoi piedi. 
E per confondere, arte innata di questa triste camminatrice in viali di tramonti, ecco partire immediatamente l'equiparazione di tragedie, di dolori, di sofferenze. Quell'augurio, quella speranza a non replicare le lacrime da lei sofferte per gli attacchi al su' babbo, sono la risultante di un squallido tentativo di riposizionamento sociale, di ritorno e riappropriazione di quanto le è stato portato via, e che considera suo per decisione divina, dalla debacle politica, dalla distruzione provocata dal referendum perso, di cui era testimonial, e dell'asfaltata del 4 marzo. 
Equipara l'aretina il lavoro nero, deprecabile sempre, sia chiaro, ad aver, pare, contribuito ad inchiappettare poveri risparmiatori, come nel caso di Banca Etruria. 
Si difende l'ex divina spiegandoci come suo padre sia stato tirato in ballo in una vicenda più grande di lui, solo per il cognome che portava. Ci appioppa quindi, perché spera che ancora lo siamo, un marchio, temibile, sparso ovunque nell'Era del Ballismo: quello degli allocchi. 
Vi dico queste cose sperando che ci caschiate come ai tempi in cui il mio vate, il Bomba, raccontava fiabe dorate, fasciate in aurei regni di pace e benessere che v'accompagnavano nelle braccia di Morfeo, parrebbe dirci l'ex architrave del Bullismo. 
E non poteva riferirsi all'ingiustizia, ad aver vissuto leggiadramente in un mondo minato dal sospetto, dagli inganni mediatici, tramati dai veri malfattori che hanno fatto di tutto per portarla nella mediocrità sociale, dove i fari sono spenti, dove il verbo pronunciato non finisce più in prima pagina, dove per ritornarvici devi farti immortalare da un ex grande fotografo, finendo sulle copertine di riviste da attesa del taglio dei capelli. 
"il fango fa schivo come la campagna di fake news su cui il movimento 5 stelle ha fondato il proprio consenso" 
Tutte balle, nulla di vero, si! guardatemi sono l'immacolata, sono io, mi hanno affondato mentre mi stavo spendendo per voi, solo per voi, perché ho la chiave che apre lo scrigno in cui è riposta la vostra felicità. Mi hanno sospinto verso il baratro, sono scomparsa ma ritornerò dopo aver dimostrato di essere immacolata.
E poi il gran finale: continuo a far politica solo per dimostrare di essere pulita, come la mia famiglia. 

Questo video mi fa accapponare la pelle, non tanto per le smancerie rancorose di cui è pregno; mi terrorizza ancora l'idea di come saremmo ridotti se questi impavidi eroi avessero vinto il referendum costituzionale. Brrr!

lunedì 26 novembre 2018

Quella domanda


"Dunque tu sei Re?" è la domanda rivolta da Ponzio Pilato a Gesù nel vangelo di ieri che festeggiava la regalità del Figlio di Dio. 
"Dunque tu sei Re?" trasuda, è ovattata dal silenzio attorno a quell'attimo; anche se non ero presente lo immagino per forza così: Pilato gli si sarà accostato, quasi assorto nei suoi pensieri, e tutt'intorno nulla avrà fiatato, il tempo stesso avrà rallentato per questa domanda, la domanda che ci poniamo, spesso, da due millenni. "Dunque tu sei Re?" Non stiamo parlando di pura e fuorviante regalità, non tendiamo a considerare questo quesito in riferimento allo sfarzo, al luccichio di corone e scettri. Deriva la parola da rex, da regere, governare. Ma ci viene tramandata pure dal sanscrito rags che significa risplendere, colui che risplende, e da questo significato ne è scaturito nei secoli lo sfavillio di pietre preziose che hanno marchiato i sovrani. 
Dunque tu sei Re? Dunque tu sei Colui che risplende? 
Pilato aveva intravisto qualcosa, lo sfavillio nel suo cuore glielo avrà confermato: l'Uomo davanti a sé non era uno qualunque. Si, è vero stava in silenzio, sopportava le angherie, era pronto al suo destino. Ma risplendeva, inspiegabilmente di una Luce che non è di questo mondo, di una sovranità mai apparsa prima. 
Quel dubbio, quella richiesta di chiarimenti è fulcro possente su cui costruire noi stessi, la nostra quotidianità, i nostri dissapori, i dubbi, le ansie, i dolori. 
Ed è la stessa luminosità che dovremmo cercare nelle feste oramai vicine. Dunque tu sei Re? 
Vorrei tanto anch'io accostarmi, in silenzio, guidato dallo sfavillio regale, farmi trasportare lontano da tante pacchianate per assaporare l'essenziale, l'abbacinante. 
Come avrete potuto constatare, il dolore di una vicenda familiare mi sta sparigliando le convinzioni marmoree di questa immersione costante nell'effimero, nella corsa perpetua contornata dal superfluo, "black friday" e panettoni che siano. 
C'è una luce, un lumicino fumigante, scaturito dal dolore, dall'ineluttabilità della vita, dal non poter far nulla difronte a certe asperità che, forse per vigliaccheria, per pigrizia, per pavidità in questi momenti osservo, auscultando me stesso. Forse è per questo. Ma vorrei tanto almeno per una volta, concentrarmi sul silenzioso, offuscato, bistrattato attimo accogliente, sparpagliante, conflittuale, lontano da mode, da shopping, da effimere illusioni e convergente nella domanda, precisa, impercettibile, affascinante, mai saziante appieno, proferita con voce sommessa e roca, aprente scenari inconcepibili, immateriali, ancestrali, incredibili, non frutto di ragione, calcoli, soppesate culturali: "Dunque tu sei Re?"    

sabato 24 novembre 2018

Asta



Ops!


"Ha ragione chi pensa, dice o scrive che la giovane cooperante milanese rapita in Kenya da una banda di somali avrebbe potuto soddisfare le sue smanie d’altruismo in qualche mensa nostrana della Caritas, invece di andare a rischiare la pelle in un villaggio sperduto nel cuore della foresta. Ed è vero che la sua scelta avventata rischia di costare ai contribuenti italiani un corposo riscatto."

Per fortuna non leggo quasi mai il fazioso (nel senso di seguace del borotalcoso Fabio) Gramellini. Le parole sopra riportate sono le sue, scritte nell'opuscolo, nel vademecum della sapienza che edita ogni giorno sul Corriere.
"Smanie di altruismo." Una volta, privi del vate, ci si confondeva con compartecipazione, farsi carico dell'altro, insomma: carità. Ma grazie a Gramellini da oggi sappiamo che il farsi uno col sofferente, indigente, disagiato, risponderebbe ad una smania d'altruismo, un disturbo in grado pure di farci alzare lo sguardo dallo smartphone!
Ma il passo più affascinante di questo lacrimevole edicolante è: "avrebbe potuto soddisfare le proprie smanie di altruismo in qualche mensa nostrana della Caritas invece di andare a rischiare la pelle in un villaggio sperduto nel cuore della foresta."
E' chiaro quindi per Gramellini che non serva assolutamente andare là dove ti porta il cuore, dove inspiegabilmente potresti capitare, spendendoti pure in gratuità, parola urticante per Fabio e Massimo! Se occorre pianificare pure "l'andare incontro", "il farsi l'altro", appassiscono i pregi, le primizie trasbordate a noi da una casualità... per nulla casuale: Emmaus e il camminare accanto allo Sconosciuto, prima dello spezzare il pane, sembrerebbero smentire l'insigne scrittore, come il Samaritano, straniero, definito addirittura buono alla faccia degli astiosi, parrebbe non convalidare appieno le tesi di questo personal trainer delle ghiandole lacrimali.
Già che ricordiamo le gesta di quel tale Gesù, uno che "smaniava di altruismo" avendolo nel dna, mi piacerebbe che Gramellini spiegasse a noi inetti, come quell'andare del suddetto nelle case di stranieri, centurioni o prostitute che fossero, non gli possa far sorgere in cranio un piccolo dubbio: che forse, in quel caffè letterario che conduce inducendoci ad inumidire tonnellate di Tempo, gli potrebbe essere scappata un'eclatante ed inappropriata stronzata. Ops!

venerdì 23 novembre 2018

Un dubbio, una possibilità


Gino Castaldo analizza una possibilità, triste: la morte del rock. 
Che ne pensate?

di Gino Castaldo

C'era una volta il rock. Cominciò col bacino roteante di Elvis a infiammare i sovversivi ormoni dei ragazzi nati nel dopoguerra, esplose col luminoso verbo beatlesiano, prese forza e consapevolezza con le parole incendiarie di Bob Dylan, con le visioni dei Pink Floyd e di Frank Zappa, celebrò riti estremi con Jimi Hendrix, Rolling Stones, Doors, continuando per almeno un altro paio di decenni a raccontare le trasformazioni del mondo. Ma oggi, cosa è diventata questa irripetibile favola della cultura contemporanea? Il nulla, un enorme e fragoroso vuoto. Il rock è morto, amici e compagni, assente, latitante, travolto da ondate di pop e hip hop, schiacciato sulle proprie antiche responsabilità e incapace di reagire al nuovo. Eppure molti fanno fatica a prenderne atto. Fate la prova: ditelo ad alta voce e vi troverete ancora oggi in pochi secondi circondati da gente con la t-shirt dei Metallica che vi insulta.

A scrivere un possibile epitaffio ci ha pensato il solito incorreggibile Kanye West che per i Grammy del prossimo anno ha proposto un suo pezzo, Freeee (Ghost town Part 2), nelle categorie miglior canzone rock e miglior performance rock. Come dire: il rock oggi sono io, fatevene una ragione, e del resto se andiamo a vedere l'edizione passata i fatti sembrano dargli ragione: i protagonisti sono stati Jay-Z, Kendrick Lamar, Bruno Mars. Il rock, relegato nelle sue categorie, si è aggrappato ai mastodonti tipo i Mastodon, appunto, Foo Fighters e Queens of the stone age, le regine dell'età della pietra, nome che oggi suona piuttosto beffardo, e la miglior performance l'ha vinta Leonard Cohen col suo ultimo pezzo pubblicato in vita, You want it darker. Sembrano metafore della fine. Per trovare cose che avessero un sapore contemporaneo bisognava andare nella categoria Best Alternative music album, per la quale infatti non si usa neanche più il termine rock. La verità è che ai Grammy ormai il rock sembra piuttosto il nonno che alle feste comandate non si può non invitare, ma dal quale certo non ci si aspetta il glam dei tempi migliori. "Il rock è morto, o è solo vecchio?", titola infatti Bill Flanagan sul New York Times, ed è un altro modo di vedere la questione: magari è solo fuori moda, ripetitivo, legato a stereotipi logori ma di sicuro non è più musica per ragazzini. Le nuove generazioni guardano altrove, anche perché a cercarlo bene di rock buono ne circola, ma gira nei bassifondi delle minoranze, è troppo discreto o troppo estremo per superare la soglia di massa.

Basta dare un'occhiata alle classifiche. In questo momento quella inglese degli album più venduti è stupefacente. Tra i primi dieci posti ci sono Andrea Bocelli e il duo Aled Jones e Russell Watson, anche loro di impostazione tenorile, ben due colonne sonore, ovvero quelle di The greatest showman e A star is born, e al colmo del paradosso il White album dei Beatles, ovvero un disco di incomparabile bellezza ma che è stato pubblicato 50 anni fa, e lo stesso vale per la Platinum collection dei Queen, tornata in classifica grazie alla spinta del film Bohemian Rhapsody. Uniche presenze vagamente contemporanee e in odore di rock sono i Muse al primo posto e gli Imagine Dragons al nono. In America la situazione non è molto diversa. Ai primi posti ci sono Beatles e Queen, la colonna sonora di A star is born, ma in cima trionfa l'eroe country Kane Brown, al terzo posto Trippie Redd seguito da Lil Peep e da una lunga schiera di rapper e trapper.

Ma ovviamente non è solo una questione numerica, casomai di forza, di presenza, di attaccamento al presente. Riesce il rock a raccontare quello che siamo, quello che vorremmo essere, riesce a mettere in scena ansie, conflitti e desideri del nostro tempo? In giro ci sono ancora i vecchi soloni. Dylan fa ancora concerti, Springsteen continua a sembrare in missione per conto di cause superiori. A dire il vero il rock è già morto tante altre volte, è morto il giorno in cui Elvis partì per il servizio di leva, è morto il giorno in cui precipitò l'aereo con a bordo Buddy Holly, è morto quando è arrivato il punk, ma per ogni assassinio c'era un nuovo re pronto a ripartire. Ora di giovani in grado di assumersi quel ruolo non se ne vedono, oppure sono come i Greta Van Fleet, copia conforme dei Led Zeppelin o, in Italia, i Måneskin che infiammano i ragazzi ma usano un linguaggio in fin dei conti classico.

Forse a uccidere il rock è proprio il peso dello stereotipo. Se diciamo rock oggi pensiamo a un cliché: quattro accordi sparati, chitarre elettriche, batteria in quattro con cassa e rullante in evidenza, un cantante che strilla. Ma il rock non è nato per essere questo. Era la musica più varia e fantasiosa mai apparsa sul pianeta.  E per questo forse è morto. In realtà si è reincarnato e oggi vive in tutte le altre musiche. Basta non chiamarlo rock.

Accorrete




E' di moda!



Ah Martina!



Personalmente lo ritengo una persona tutto sommato perbene, anche se la sua sudditanza, l'ossequiosità eclatante nei confronti del Distruttore della Sinistra, ne ha fatto praticamente una macchietta: "e smettila di dire sempre si che sembri un Martina!" - "Guarda che se non ti irrobustisci finisci per divenire un Martina." 
E' in quest'ottica che va letta la sua decisione, sua e di nessun altro come decidere se il sole si alzi o no questa mattina, di candidarsi alla segreteria del partito, chiamiamolo ancora così per misericordia, democratico.
Lo squallore del piano progettato dal Bomba non ha riscontro alcuno in questa era del post Ballismo: il menefreghismo sfrenato che porta codesta pletora di diversamente pensanti ad infischiarsene di qualsiasi ideale di dignità, di amor patria, di lealtà, non ha eguali su questo suolo. Continuare nella dabbenaggine di credere che gli allocchi siano la maggioranza, è quanto di più insalubre si possa immaginare. Il giochetto gigliato di sparpagliare voti al fine di non far raggiungere il quorum del 51% a nessuno dei candidati per poter poi successivamente, come da statuto, delegare l'Assemblea del partito, a trazione pacchianamente renziana, alla nomina del segretario nazionale, è vomitevole, stucchevole, quanto farsi eleggere in un seggio sicuro nel lontano Trentino. Infischiandosene allegramente della mannaia del 4 marzo, questo coacervo di rancorosi, illiberali, inadeguati, ha già iniziato a tramare, confabulare, patteggiare per proseguire nell'agghiacciante trasformazione di un partito progressista in reazionario, capeggiato da un rigonfio di sé senza scrupoli, fermamente convinto di essere l'Unto, teorizzante l'abbraccio mortale con un pagatore seriale di tangenti alla mafia, un losco individuo che non lascerei da solo neppure in cantina, ammesso di averla.
Ma come in tutte le tragedie epiche e non, per perpetrare un delitto democratico, un gesto illiberale e sguaiatamente vergognoso, necessita la fortuna di avere nei dintorni un esile fuscello senza alcun nerbo, un pavido inconsistente, uno gnomo masticante carrube e politichese, che, al solito, s'accovacci, s'accucci nel caldo anfratto alla destra del capo, perennemente pronto a scattare allorché il suo signore pretenda l'inimmaginabile, lo scavalcamento del confine tra ciò che è dignitoso e quello che ahimè affranta la speranza in un mondo migliore, leggasi di sinistra.

Marco forever


venerdì 23/11/2018
Garantismi e gargarismi

di Marco Travaglio

Avete notato quanto sono diventati simpatici i Casamonica, ora che la Raggi gli fa svuotare e abbattere i villini? Qualche estate fa, dopo il vistoso e fastoso funerale in stile Padrino per il loro patriarca, parevano la più pericolosa organizzazione criminale del mondo. Ora che la sindaca e i vigili di Roma fanno ciò che avrebbero dovuto fare da 21 anni i loro tremebondi predecessori, i giornaloni la menano sulla “passerella”, lo “spot”, il “défilé” di Raggi, Conte e Salvini, come se non fosse una buona notizia che le massime autorità della capitale e del Paese mettano la faccia sulla restituzione di un pezzo di territorio nazionale ai cittadini onesti. La legalità non è più un valore in sé, ma un principio intermittente, da applicare ai nemici e ignorare per gli amici. Se Mimmo Lucano, sindaco di Riace, usa i pubblici poteri per violare la legge, e i giudici lo bloccano, è un martire e un eroe, perché certe leggi non vanno rispettate. Quali, lo decidono lui e i suoi amici. Se la benemerita Ong (francese) Medici senza frontiere scarica nei porti (italiani) 24 tonnellate di rifiuti tossici, infettati da vari virus e dunque pericolosi per la salute pubblica, come fossero bucce di banana, e i giudici la bloccano, l’indagine diventa “accanimento” e la legge “cavillo” (Repubblica) anche per chi vorrebbe imporre l’obbligo vaccinale pure contro le unghie incarnite.

L’altra sera abbiamo appreso dall’autorevole Bruno Vespa che le manette sono una brutta cosa, soprattutto in mano a un giudice tipo Davigo, così come il bisturi in mano al chirurgo e il volante all’autista (a proposito: indovinate che mestiere fa la moglie di Vespa). Arrestare chi commette reati, o auspicare che ciò avvenga, non significa schierarsi dalla parte della legge: ma essere “giustizialisti” e dunque poco “garantisti”. Infatti il Foglio spiega che l’emendamento infilato nell’Anticorruzione (ribattezzata per l’occasione Procorruzione) da Lega, Pd e FI per depenalizzare il peculato nei processi di Rimborsopoli, è “benedetto” perché “ci salva da una legge manettara” e “giustizialista”: cioè dal Codice penale che incredibilmente, dopo tanto “garantismo”, punisce ancora il peculato e l’abuso d’ufficio, cioè chi deruba lo Stato o usa i pubblici poteri per farsi i cazzi propri. Intanto non gli avvocati (ce ne sono di serissimi), ma le loro lobby delle Camere penali e di altre sigle sindacali, scioperano per difendere la prescrizione, definita nientepopodimenoché “diritto costituzionale” e “conquista di civiltà” in nome della “ragionevole durata dei processi” (che in Italia è irragionevole anche grazie alla prescrizione).

Siamo così abituati a sentire spacciare l’impunitarismo per “garantismo” da aver dimenticato il significato del termine. Cesare Beccaria teorizzava un insieme di regole per tutelare il diritto dell’imputato a difendersi nel processo per essere giudicato equamente, non dal processo per farla franca. Le garanzie devono valere per tutti, ma andrebbero modellate su misura degli innocenti, non dei colpevoli. L’innocente vorrebbe uscire al più presto dal processo: invece i processi sono eterni. L’innocente indagato ingiustamente vorrebbe spiegare subito al pm le proprie ragioni: invece il pm non è obbligato a sentirlo durante l’indagine e può chiederne il giudizio senza averlo mai visto. L’innocente, se viene archiviato o assolto, vorrebbe almeno che l’avvocato glielo pagasse lo Stato o chi l’ha denunciato ingiustamente: invece le spese legali deve pagarsele lui. Se i “garantisti” lo fossero davvero, invocherebbero queste norme di ordinaria civiltà. Invece difendono la prescrizione, riservata ai colpevoli: per gl’innocenti c’è l’assoluzione (in caso di prescrizione, l’innocente può rinunciarvi per farsi assolvere nel merito oltre i termini: il che è consigliabile a tutti per i reati infamanti).
Ho appena messo le mani sulla seconda sentenza del Tribunale civile di Firenze che mi ha visto soccombente contro Tiziano Renzi per una banale frase del tutto veritiera sul caso Consip. Il giudice l’ha ritenuta diffamatoria perché ha dato ragione all’unica parte presente al processo: l’“attore” Renzi sr., mentre io, il “convenuto”, ero contumace. Il postino, non trovandomi in casa, mi aveva lasciato nella buca delle lettere un avviso di giacenza (dell’atto di citazione) che, evidentemente, s’è perso. Così non l’ho ritirato e il processo è partito senza di me. Nel civile pare che sia normale: non ti avvisano neppure una seconda volta, come per le multe per divieto di sosta prima che scatti la maggiorazione. E, se sei contumace, non c’è né un pm che indaghi anche per te né un avvocato d’ufficio che ti difenda. Conta solo la parola dell’“attore”, che ovviamente sa del processo. Così, ignaro di tutto, non ho potuto mandare il mio avvocato con le carte che dimostrano la veridicità della mia frase. Perciò sono stato condannato a 50 mila euro. Lo scrive il giudice: “È financo intuitivo che, a fronte dell’allegazione di… affermazioni astrattamente diffamatorie, compete al convenuto invocare l’esimente del diritto di cronaca o critica e provare, tra l’altro, la veridicità del fatto narrato… Il convenuto non si è costituito, così rinunciando a spiegare le proprie difese e, quindi, a far valere una eventuale causa di giustificazione ed a provare che i fatti riferiti nella trasmissione televisiva fossero veri… A fronte della contumacia del giornalista, questo giudice non deve né può chiedersi… se operi o meno la scriminante del diritto di cronaca o di critica”. Avete mai visto un “garantista” battersi contro questo abominio, cioè chiedere una prima notifica brevi manu e le successive allo studio del difensore (per evitare le fughe di chi non si fa più trovare)? Questi “garantisti” all’italiana parlano di Cesare Beccaria e pensano a Cesare Previti.

giovedì 22 novembre 2018

Lo stupefacente regno Distorto


Come gli ingiusti prigionieri che dimenticandosi della perdita della libertà s'azzuffano, litigando, sulla quantità di riso concessagli dagli aguzzini, anche nelle nostre lande europee il niet alla manovra di bilancio italiano fa scomparire dagli orizzonti, scientemente, il fulcro, il succo, il nettare della socialità, dell'abbattimento, o almeno della relativa riduzione, delle disparità sociali. 
Abbiamo pertanto digerito, inglobato in psiche, addomesticato l'idea dettataci, insufflataci dai grandi economisti che personalmente ritengo ribaldi, che per far funzionare le cose, per far girare un motore già logoro, occorra mantenere disparità economiche, non volgendo minimamente lo sguardo verso coloro che, in pratica, furono necessariamente abbandonati alla stazione precedente. 
L'indignazione dei "giornaloni di lorsignori" in queste ore è eclatante: l'attuale maggioranza ha sbagliato la manovra, ha esposto il nostro paese al pubblico ludibrio europeo. E nel concreto ha toppato perché tentando di rivolgersi agli sconfitti, a coloro cioè che dal tempo della più grande presa per i fondelli mai perpetrata dal potere, quando cioè Monti predicava ai quattro venti la spudorata ed indegna frase "è tempo di sacrifici per tutti", una menzogna sgualdrinata perché, come abbiamo successivamente constatato, i soliti noti hanno continuato ad accumulare, coadiuvati dalle spelonche finanziarie comunemente chiamate banche, le quali in primis imprestarono soldi ad amichetti senza garanzie per poi accollarcele sotto il nobile appellativo di "sofferenze", e subitaneamente imbrogliando in perfetto stile "Alì Babà" ignari ed onesti risparmiatori, ha probabilmente scalfito il totem innalzato ad hoc dai riccastri in cravatta, meglio cravattari. 
E' inglobato nella nostra comune psiche il concetto che un saldatore, un lavoratore edile, un addetto al versamento in fornace di metallo, debbano lavorare fino a 67 anni. E' opinione comune che un pensionato con minima, accetti di vivere con meno di seicento euro al mese. E' normalità vedere un giovane affannarsi inutilmente alla ricerca di un lavoro, è lampante consuetudine accettare che boiardi, leccaculi, paraculi, menefreghisti, spregiudicati conigli, ricevano due, tre, pensioni superiori ai quattromila euro. 
E' culturalmente accettata la mentalità di questo periodo storico, il rapto-tecno-finanziario, un coacervo di differenze sociali riportante l'orologio della dignità umana a periodi che credevano sconfitti, come la peste ed il vaiolo. 
Guardiamoci attorno: bande armate arzigogolanti hanno modificato il diritto in un inverecondo scansamento di responsabilità, creando un sistema giudiziario al servizio di coloro che, infrangendo regole una volta punite, non solo non accompagnano a marcire giustamente in galera evasori e nobili ladri, ma addirittura agevolano questi miracolati e prescritti ribaldi ad insegnare, commentare, criticare politiche tendenti a bonificare una società pregna di storture, dalla quale ricevono periodicamente privilegi, affossamenti di concetti costituzionali, per scorribande finanziarie degne dei più grandi banditi di epoche passate. 
Siamo stati così perfettamente storditi che, deponendo sano livore, proteste ed affini, riusciamo ancora a credere che la normalità, la giustizia, l'equanimità, siano di casa su questo suolo, che il famigerato "ce lo chiede l'Europa" possa costituire il vademecum del nostro vivere attuale, incastonato nella mercificazione di valori che dovrebbero essere di tutti. 
Leggere che il disavanzo eccessivo di riferisca non al 2019 ma al 2017 conferma l'ipotesi sopra descritta. 
Nel 2013 l'Italia uscì dalla procedura d'infrazione e ritornò nei paesi corretti, alzando l'avanzo primario, quello che rimane dopo aver pagato tutte le spese e prima di aggiungere gli interessi sul debito al 2% del Pil. 
L'anno seguente, nel pieno dell'Era del Ballismo del Bomba, l'avanzo primario scese al 1,4%, il costo per finanziare il debito rimase attorno al 2,4% mentre il Pil era all'1,6%. 
Nel 2016 l'Italia era lontana anni luce dai parametri europei, 5,2% dal rapporto debito/Pil, una cifra pari a 80 miliardi. 
Tra il 2015 e il 2018 l'Italia ha beneficiato di circa 1,8% di Pil, una flessibilità autorizzata, una quarantina di miliardi serviti al Bomba a elargire gli 80 euro in busta, ad evitare l'aumento dell'Iva e facendo altre misure specchietto per allodole (fonte Fatto Quotidiano)

Oggi invece la cara ed amata, da pochi, Burocrazia Europea si è scocciata di continuare ad elargire flessibilità ed il pensiero che accosta tale nervosismo ad una mossa politica in grado di sbeffeggiare la compagine governativa è chiaro come che Moscovici sia un pagliaccio, visto che quando era nel governo francese contribuiva a creare deficit attorno al 3%. 
Questa mossa europea altro non è che l'ibernazione, la marmorizzazione di uno status di società imparziale, artificiale, scompaginante politiche un tempo chiamate di sinistra, che cercavano una solidarietà, un'attenzione particolare ai meno abbienti. 
L'abbiamo quindi istituzionalizzata, senza rendercene conto. Abbiamo sdoganato un circo ingiusto fondato sull'accaparramento di pochi, sulla distribuzione imparziale di risorse, sull'inamovibilità delle immarcescibili caste da vent'anni regnanti senz'apparire. 
Sul disprezzo di pochi, sovrasta il silenzio dei tanti addolciti dal gelido vento impetuoso, irrorato da giornali finanziati dai grandi gruppi industriali, in grado di spargere fregnacce, fake news, stravolgimenti di verità per il bene del dogma come già detto insinuatosi dentro le coscienze di tutti: sacrifici, teste chine, silenzi e obbedienza in nome e per conto di questa Europa, lontana anni luce da Ventotene.    

mercoledì 21 novembre 2018

Travaglio


mercoledì 21/11/2018
Il bacio della morte

di Marco Travaglio

La Caporetto di Salvini nella campagna campana sugli inceneritori è stata ovviamente oscurata dai giornaloni, dei cui padroni il Cazzaro Verde è l’idolo incontrastato. E infatti la dice lunga su di lui e sulla cosiddetta informazione. Dal crollo del ponte di Genova e poi ancor più chiaramente dalla marcetta di madamine e umarell Sì Tav a Torino, si è ricomposto attorno alla Lega quel partito trasversale degli affari che per vent’anni aveva puntato tutto su B. e negli ultimi quattro su Renzi. Rovinandoli entrambi. Non il partito degli imprenditori, che sono gente seria, ma quello dei prenditori all’italiana, quei questuanti straccioni che non hanno mai avuto un’idea né rischiato un euro in vita loro. E infatti sono sempre lì con la mano tesa sotto i palazzi della politica a chiedere elemosine sotto forma di appalti, sussidi, provvidenze, grandi opere, Tav, inceneritori, discariche, cliniche convenzionate, giornaletti assistiti, purché sia tutto a carico dello Stato tranne i guadagni (nella migliore tradizione del “privatizzare gli utili e socializzare le perdite”). Ora questi parassiti della società, dopo l’estinzione dei loro santi patroni Pd&FI, si aggrappano a Salvini come all’ultima àncora di salvezza. E lui gli dà corda, immemore della fine miseranda di chiunque li abbia assecondati. B. li prese sul serio con la famigerata Legge Obiettivo e il Ponte sullo Stretto, e finì seppellito da un’omerica risata. Renzi raccolse il testimone, diventando il trombettiere di Confindustria, Confcommercio, Confqua e Conflà, tagliando su misura per loro il decreto SbloccaItalia e la controriforma costituzionale, che dovevano velocizzare le procedure e velocizzarono solo il suo tramonto.

Ora il bacio della morte tocca a Salvini che, non avendo alcun progetto di gittata superiore alle 24 ore, si fa dettare la linea da questi amorevoli portajella nella speranza che la gente ci caschi. Soprattutto da quando s’è accorto che i migranti non tirano più. Così frena sulla revisione delle concessioni pubbliche, da Autostrade in giù. Poi delira di “completare la Tav Torino Lione”, senza sapere bene cos’è (un treno merci: il Tav) e che non c’è nulla da completare, perché i lavori non sono neppure iniziati (se avesse interpellato i suoi deputati piemontesi Alessandro Benvenuto ed Elena Maccanti, l’uno presidente della commissione Ambiente e Lavori pubblici e l’altra capogruppo in commissione Trasporti, gli avrebbero ripetuto ciò che han detto un mese fa: “Vanno sospesi i bandi di gara per l’appalto del tunnel di base in attesa dell’analisi costi-benefici: se dimostrerà che i costi superano i benefici, ne trarremo le conseguenze”).

Infine i suoi ultimi acquisti in Campania, tutta brava gente che stava con Giggino ’a Purpetta e Cosentino, gli raccontano che c’è un’emergenza rifiuti e va risolta in quattro e quattr’otto con nuovi inceneritori (che, anche cominciando subito i lavori, sarebbero pronti fra 7-8 anni). E lui ripete a pappagallo, citando il modello di Brescia (il più grande e più cancerogeno inceneritore d’Italia) e scordandosi il contratto di governo che s’ispira al modello opposto di Treviso. Lì nel 2010 il primo consigliere dei 5Stelle in un capoluogo, David Borrelli, fece approvare alla Lega un ordine del giorno anti-inceneritori. Con risultati strepitosi. Treviso ha chiuso i due termovalorizzatori e produce 386 kg di rifiuti pro capite (contro una media italiana di 497 ed europea di 477), con una differenziata dell’85% e una tassa rifiuti di 185 euro pro capite (la media nazionale è 304). Merito della Lega, che seguì sulla strada dei “rifiuti zero” i neonati 5Stelle, quando la Provincia era guidata da Luca Zaia, ora governatore del Veneto. E anche di Laura Puppato, allora sindaca Pd di Montebelluna, e della sua consulente Paola Muraro (poi assessore della giunta Raggi, costretta alle dimissioni da una campagna di stampa oscena e da un’inchiesta della Procura di Roma basata sul nulla).

Ieri, sul Fatto, Ferruccio Sansa ha rinfrescato ai leghisti la loro memoria corta. Ancora il 10 marzo 2017 Salvini elogiò pubblicamente i suoi consiglieri regionali umbri Fiorini e Mancini, che si battevano “contro l’inceneritore di Terni voluto da Renzi”, con mega-manifesti (“Ambiente e salute, non mandiamoli in fumo”); “Grazie per quello che state facendo dentro il palazzo, da fuori mi arrivano tante testimonianze di fiducia e solidarietà. Grazie Lega, perché sulla salute non si scherza, ci sono in ballo posti di lavoro, c’è in ballo la salute di tanti figli”. Lo stesso accadeva l’anno prima in Lombardia, dove l’assessore all’Ambiente, la leghista Terzi, si batteva non solo contro la costruzione di nuovi termovalorizzatori, ma addirittura per smantellarne di già esistenti (“rivedere tutta l’impiantistica”). Idem in Toscana, col no dei leghisti agli inceneritori di Firenze e Grosseto. E pure in Liguria, dove Edoardo Rixi, oggi viceministro delle Infrastrutture, tuonava contro il progetto dell’inceneritore Scarpino a Genova: “La decisione dei politicanti di centrosinistra sul termovalorizzatore vuole aiutare i compagni Bassolino e D’Alema a risolvere i problemi delle discariche sature nel Mezzogiorno. Ma non tiene conto delle decine di migliaia di cittadini che subiranno danni alla salute”. Naturalmente negli ultimi giorni, mentre Salvini cancellava dieci anni di battaglie, nessuno di questi impavidi combattenti ha fiatato. Ma l’han fatto per loro migliaia di militanti, tempestando di proteste i suoi social. I suoi bravi comunicatori gliel’han fatto notare. E lui, che ne è succube, ha prontamente rinculato, cedendo a Di Maio e Conte e tornandosene a Roma con la coda fra le gambe. Il che dimostra che non bisogna mai sopravvalutare nessuno, neppure Salvini. E che gli elettori sono sempre più avanti degli eletti, persino nella Lega.

martedì 20 novembre 2018

Speranza



Toninelli visto da Scanzi


martedì 20/11/2018
IDENTIKIT
Il “vigile” Toninelli: l’uomo inadatto nel posto sbagliato
di Andrea Scanzi

Orange is the new black, Toninelli is the new Nardella. Lanciato a bomba contro se stesso, Danilo Toninelli è una sorta di Bignami dell’insipienza: tutto quel che non andrebbe fatto in politica, lui lo fa. Persino Beppe Grillo ha detto che parlare di lui “è come sparare sulla Croce rossa”. Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti è più Paperino che Disastro, ma quando sei a capo di un dicastero – purtroppo – sempre più centrale, non puoi permetterti neanche mezzo inciampo. E lui, di inciampi, vive. Senz’altro onesto e brava persona: e non è poco. Ma non basta. Parafrasando Marco Travaglio, che ne ha scritto settimane fa, potremmo dire che quando Toninelli non scrive, non parla, non si muove e non sta sui social, qualcosa di buono lo indovina. Un po’ poco, però. E la sua presenza nel Salvimaio finisce col sabotare il governo dal suo interno. Venerdì scorso, sempre sul Fatto, Pino Corrias ne ha vergato un ritratto mitologico. Raccontandone anche gli inizi: “Come molti della premiata lotteria Cinquestelle, Danilo Toninelli viene dal quasi nulla della provincia, paese di Soresina, dove nasce il 2 agosto 1974. Babbo salumiere, madre casalinga, un fratello, una villetta. Fino ai vent’anni, dopo i compiti, aiuta in bottega al bancone. Qualcuno lo ricorda ancora in camiciola bianca e cappello tra i cotechini, già allora adornandosi i polsi con i bracciali colorati, dettaglio d’anticonformismo paesano che ancora coltiva. Finito il liceo e il capocollo, studia Giurisprudenza a Brescia, si laurea, e quando gli tocca il militare, anno 1999, si arruola carabiniere, ufficiale di complemento: ma l’Arma non è ancora il suo destino”.

Assicuratore, matrimonio, figlie. Le prime candidature stitiche (84 e 9 preferenze) col M5S. Poi l’elezione nel 2013. “Secchione” esperto di legge elettorale, inventa il cervelloticissimo “Toninellum” e lo propone in streaming a Renzi. Al tempo la Diversamente Lince di Rignano è all’apice del suo regno tragicomico e Toninelli ne esce zimbellato il giusto. Ora: se ti fai mettere sotto da uno come Renzi, è bene che tu smetta. Subito. Ma lui non smette mica.

Si fa rieleggere nel 2018 e diventa addirittura ministro. Da allora è una slavina. Sensibilizza sul Codice della Strada, ma nella foto non mette la cintura. Si fa ritrarre con sguardo ora “concentrato” e ora “con occhio sempre vigile”, anche se a guardarlo sembrerebbe al massimo soffrire di stipsi. Posta scatti al mare, sorridente muscoloso e piacione, mentre imperversa l’emergenza Genova. Sorride con Vespa davanti al plastico del Ponte Morandi. In un crescendo mesto di tafazzismo bulimico, si rivela poi nell’ordine: sognatore di rosticcerie nelle stazioni e bimbi che giocano sui ponti autostradali; uomo che sussurra a tunnel inesistenti; e da ultimo “esultatore” col pugno chiuso (destro, però) lanciato al cielo dopo una votazione solo per lui storica. “Ischia il vento”, compagno Toninelli! Dopo quell’esultanza da Tardelli moscio ha pure fatto l’inchino zen, mentre la “pianista” Bernini si travestiva da pasionaria posticcia. Uno spettacolo ingigantito dai media, che trasformano ogni minuzia grillina in reato da ergastolo, ma pur sempre mediamente pietoso. Pare si sia arrabbiato pure Di Maio, e non per la prima volta. Nulla di personale, ma non è proprio il lavoro suo: in quel ruolo lì, Toninelli è ontologicamente inadatto. Durante il “caso manina”, mentre Salvini si difendeva dicendo che “Conte leggeva e Di Maio scriveva”, il collettivo Spinoza chiosò così: “Conte leggeva. Di Maio scriveva. E Toninelli colorava”. Geniale. Ma forse non era una battuta.

lunedì 19 novembre 2018

Gran pensiero


“Bisogna ribellarsi al conformismo, al pensiero che le profonde ingiustizie del sistema neoliberista - milioni di persone abbandonate alla miseria e a una vita precaria - siano normali. La precarietà del lavoro e del salario, della pensione, dell’educazione e della sanità non sono normali. È il sistema economico che non funziona. La grande sfida è immaginarne uno migliore. Pensare che il mercato sia un grande regolatore, che più libertà di mercato significhi più democrazia, è sbagliato. Crescono non gli interessi generali, ma quelli di una minoranza.”

(Luis Sepúlveda)

domenica 18 novembre 2018

Exultet!


M’inchino, quasi commuovendomi, nel leggere le parole, i concetti, le proposte di Katia Tarasconi, consigliera regionale del PD emiliano. Prorompo in un “finalmente!” epocale nel gustare i suoi pensieri, che sono di molti, me compreso, proferiti in quella triste e anacronistica assemblea, fiera del nulla che, se non ci fosse stata lei, avrebbe ricalcato lo stereotipo di tutti gli anni precedenti, dannatamente sperperati e riconducibili all’insalubre Era del Ballismo, retta da un bullo egoriferito, supportato da una claque indisponente, pregna di nullità fagocitanti ideali alimentanti la becera arsura di visibilità. 
Katia Tarasconi nasce anch’ella come seguace del Pifferaio Insulso; probabilmente però l’aria tonificante emiliana deve averle fatto un gran bene, ringalluzzendone sinapsi e neuroni! Ai soliti giochi senza storia né arte, imprimatur di una politica ad uso di ribaldi e corrotti, antepone, con coraggio, lo sparigliamento, il giusto anonimato, la scomparsa di tutti coloro che per anni hanno flirtato con banche, banchieri, affaristi, tecnorapto e, in specialmodo, con un seriale pagatore di tangenti alla mafia, nonché pluri indagato, alteratore di democrazia, utilizzatore di leggi confezionate ad hoc per i suoi porci comodi, puttaniere incallito, nauseante inglobatore di libertà mediatiche, corruttore senza limiti né decenza, insufflante scientemente idiozie in etere al fine di rimbambirci totalmente in queste terre oramai culturalmente esangui, la cosiddetta Alloccalia. 
Grazie Katia di aver riportato ragione e speranza in un partito non solo da rianimare, ma da rifondare totalmente, blindandolo da codesti ballisti oramai impalpabili!

“E adesso io dico: ritiratevi tutti”

Intervento all’assemblea PD di Katia Tarasconi consigliera regionale Pd Emilia Romagna

Se dovessi titolare il mio intervento lo intitolerei “Ritiratevi tutti”. Mi sono data tre minuti per sintetizzare quella che è una tra le più difficili sfide a cui il Pd deve far fronte. “O noi risorgiamo come squadra o cederemo un centimetro alla volta, uno schema dopo l’altro, fino alla disfatta”: queste parole non le ha pronunciate uno statista o un politologo, le diceva Al Pacino ai suoi giocatori di football nel film Ogni maledetta domenica. Eppure sembra che parli di noi. (…)

Lo spazio a Salvini e ai 5 Stelle lo abbiamo lasciato noi. Noi con le nostre divisioni, correnti, e soprattutto con la nostra presunzione – guardate ne abbiamo tanta, eh –. Noi che continuiamo a parlare di fuoco amico mentre il fuoco vero è arrivato dalla gente. Loro non ci hanno più capito, per loro siamo diventati quelli che difendono le élite, non il popolo, e che ci piaccia o no, sia vero o no, noi abbiamo il dovere di fare i conti con questo. Sono passati 5 mesi dalla scorsa assemblea. A nessuno là fuori, ve lo garantisco, interessa chi sta con o contro Renzi, Franceschini, Martina, Zingaretti, Minniti. Noi dovremmo provare con questo Congresso a dimostrare una volta per tutte di essere una squadra e non un agglomerato di singoli presuntuosi, arroganti e spesso autoreferenziali. Ci serviva, ci serve, io spero, un congresso serio, rifondativo sui programmi, sulle idee, sulle modalità, invece sembra che siamo ricaduti in un congresso vecchio stile dove si ha cura persino di mettere persone provenienti dalla stessa area politica a sostenere diverse mozioni per essere sicuri ancora una volta che comunque vada qualcuno difenderà la vostra ricandidatura.

Se io questa cosa la dico fuori, la gente mi dice “Hai ragione” e anche qui dentro tantissimi la pensano così, ma avere il coraggio di dirlo è un’altra cosa. E voi credete che la gente non l’abbia capito? Il punto è: anche se l’elettorato cominciasse a vedere il governo gialloverde per quello che è, con le sue promesse irrealizzabili, siete davvero sicuri che sarà pronto a votare il Partito Democratico un’altra volta? Io purtroppo no. Davvero non sono sicura. Perciò io dico o non risorgiamo adesso come collettivo o saremo annientati individualmente. Siccome non voglio che tutto questo passi come una critica faccio una proposta e siccome credo che tutte le persone che si sono candidate siano capaci e stimabili, io dico ritiratevi tutti, facciamo un passo indietro, facciamo un congresso in un altro modo, ripartiamo da zero, ripartiamo non dalle persone, ripartiamo dalle idee, ripartiamo dai valori, ripartiamo dal riscrivere lo statuto. (…) Il Pd ha bisogno di ossigeno, deve essere libero, tra la gente e non più ostaggio di qualcuno. Chiudo e vi dico che una delle cose che ho guardato oggi, con un po’ di tristezza, è che noi siamo il partito che dovrebbe stare in mezzo alla gente e persino qui in assemblea c’è un cordone che divide un pezzo di assemblea, quelli importanti, dall’altro pezzo di assemblea, che sta dietro. E no, ragazzi, se siamo il partito della gente siamo tutti insieme, questa è tutta l’assemblea.

Sia così!


D’accordissimo! Togliamo immediatamente il disturbo per far ritornare coloro che sanno governare, che lo hanno sempre fatto alla grande. Se non altro per farli smettere di cianciare, blaterare, belare su democrazia, libertà, diritti, legalità, accoglienza. Rompendo oltremodo i coglioni.

domenica 18/11/2018
Il Cazzaro posseduto

di Marco Travaglio

L’abbiamo scritto già quest’estate che Di Maio farebbe bene a valutare seriamente l’utilità di proseguire l’alleanza con Salvini. E non erano ancora accadute le frizioni 5Stelle-Lega su alcuni punti qualificanti del programma di governo. Né il Cazzaro Verde aveva tranciato, come ha fatto ieri, l’unico esile filo che teneva insieme i giallo-verdi: il Contratto. Le ragioni tattiche che avevano originato il “governo del cambiamento” sono note, almeno a chi ha buona memoria: la necessità di evitare di tornare subito al voto e la mancanza di alternative per l’indisponibilità del Pd a mettersi in gioco. Ora però la situazione è cambiata: non si vede né un governo né un cambiamento. O meglio: si vede un partito, il M5S, che – con tutte le sue gaffe e i suoi errori – prova e ogni tanto riesce a cambiare qualcosa; e il presunto alleato, la Lega, che gli mette ogni giorno i bastoni fra le ruote per conservare o restaurare l’Ancien Régime. Non è solo una battaglia di potere fra partiti concorrenti: è anche il frutto della trasformazione della Lega in qualcosa di molto diverso da ciò che era fino alla vigilia del 4 marzo: un partito del 12-15% che contendeva a B. la leadership del centrodestra su posizioni quasi paritarie. E giocava a contrapporsi come forza anti-sistema (pur facendone parte da 25 anni) al vecchiume italoforzuto.

Ora, nel breve volgere di nove mesi, il tempo di una gravidanza, la Lega s’è mangiata quasi tutto il vecchio centrodestra (infatti è passata dal 17,7% al 30 e più). Ne sta imbarcando tutto il peggio, soprattutto nelle regioni del Sud. E, più riciclati incorpora, più si gonfia e diventa simile a quel che fu FI, meno può permettersi di cambiare qualcosa. Paradossalmente, proprio mentre uccide il padre, anzi il nonno, Salvini ne viene posseduto e imprigionato. Gli elettori di centrodestra, si sa, sono di bocca buona: dopo aver digerito B., Dell’Utri, Previti, Cosentino, Cuffaro e altri galantuomini, considerano Salvini&C. delle educande. Dunque la corsa dei peggiori figuri sul Carroccio del vincitore non toglie voti a Salvini, anzi ne porta di nuovi. Ma le dimensioni abnormi assunte dalla Lega la costringono a farla finita col cambiamento e a tirare il freno a mano ogni qual volta i 5Stelle provano ad attuare uno dei punti innovativi del Contratto. Manette agli evasori? Era Salvini a sventolarle in campagna elettorale: tutto dimenticato. Meglio un bel condono (stoppato l’altra notte in extremis dal M5S, ma al prezzo di rinviare la linea dura sui reati fiscali). Ridiscutere le grandi opere inutili? Per carità: ecco i leghisti in piazza con le madamine e i pidin-forzisti nascosti dietro.

Annullare le concessioni pubbliche? Per carità: fosse per la Lega, chi ha lasciato crollare il Ponte Morandi incasserebbe altri miliardi per ricostruirlo. Trasparenza sui soldi a partiti e fondazioni? Non se ne parla, sennò qualcuno chiede lumi sui 49 milioni spariti e sugli strani giri dal Lussemburgo all’onlus leghista Più Voci. Chiudere negozi e outlet a rotazione la domenica? Guai, sennò chi li sente i governatori e i sindaci leghisti, tutt’uno col pidino Sala. Metter mano ai conflitti d’interessi? Figuriamoci, B. non vuole e nemmeno i grandi editori, che ogni giorno erigono sui giornaloni il monumento equestre a Matteo (sia quelli di destra che lo elogiano, sia quelli di sinistra che fingono di attaccarlo spacciandolo per il vero padrone del governo, anche se non fa nulla). Bloccare la prescrizione? Peggio che mai, altrimenti l’establishment che ha eletto Salvini a nuovo santo patrono del Sistema finisce in galera. Anzi, piuttosto si tenta di svuotare il peculato per salvare i leghisti, i forzisti e i pidini che rubavano sulle note spese coi fondi regionali e comunali. E sotto coi nuovi inceneritori, ignoti al Contratto, ma non ai compari di Cosentino e Giggino ’a Purpetta convertiti al salvinismo. Alla Rai, mentre i 5Stelle nominano un Ad indipendente come Salini, la Lega fa la guerra per piazzare tal Casimiro Lieto, nientemeno che autore de La prova del cuoco dell’ex (?) capitàna Isoardi.

In questo continuo gioco di Penelope, dove Salvini disfa di notte la tela che Di Maio tesse di giorno, è già un miracolo se il M5S è riuscito a portare a casa il dl Dignità (annacquato dai leghisti), il ddl Anticorruzione (con agenti infiltrati, aumenti di pena e premi ai pentiti), il blocca-prescrizione (dal 1° gennaio 2020), il nuovo voto di scambio politico-mafioso, l’abolizione dei vitalizi, i fondi in manovra per reddito di cittadinanza e rimborsi ai truffati dalle banche, lo stop al bavaglio sulle intercettazioni e alla Svuotacarceri. Che, di fronte al quasi nulla della Lega (l’inutile dl Sicurezza e l’inutilissimo ddl sull’illegittima difesa), è un bottino tutt’altro che magro. Ora però è impensabile che i 5Stelle trascorrano i prossimi quattro anni a lottare ogni giorno col sedicente alleato per realizzare ciò che avevano concordato nel Contratto, stracciato da Salvini senza neppure interpellare il “comitato di conciliazione”, previsto per dirimere le controversie. Il Cazzaro Verde posseduto da B., anziché a governare pensa solo alle elezioni europee. E cerca pretesti per rompere. Tanto vale che i 5Stelle lo anticipino: approfittino dei pochi mesi che mancano per piazzare, se ci riusciranno, qualche altro colpo; e poi lo lascino al suo destino. Che probabilmente sarà un nuovo voto per il Parlamento, seguìto da un bel governo Salvini-B. (così quanti oggi gridano al fascismo lo rimpiangeranno). O magari niente elezioni e subito un governo di restaurazione Lega-FI-Pd. Dopo avere sfilato a braccetto a Torino per il Tav e combattuto insieme contro l’Anticorruzione e l’anti-prescrizione, è giusto che i tre partiti dell’Ancien Régime smettano di vedersi di nascosto e ufficializzino il partouze.