di
MICHELE SERRA
Luca Traini, il giovane fascista di Macerata finito in galera per avere sparato agli africani che incontrava per la strada (per fortuna, anche sua, non è morto nessuno), per poi avvolgersi, nell’estasi razzista, nel Tricolore usurpato alla sua storia, è stato scarcerato perché il tribunale di sorveglianza ha riconosciuto il suo percorso di “revisione critica”. Come si usa dire un poco sciattamente nel linguaggio mediatico, “si è pentito”, concetto moraleggiante buono per fare retorica, non per capire davvero cosa è accaduto nella testa, nei sentimenti e nei convincimenti di un essere umano.
La sua scarcerazione è una buona notizia per chiunque creda che la pena serva al recupero sociale, non solo alla punizione. Ogni volta che qualcuno esce da un carcere torna alla luce, e noi con lui. La frase “butta via la chiave” è tra le più orribili e disumane si possano udire: se poi a uscire di galera è un fascista violento, è severamente messo alla prova il nostro garantismo; eppure, è proprio nelle prove severe che si misura la coerenza.
Ma la cosa più confortante e al tempo stesso più affascinante, leggendo questa notizia, è pensare che qualcuno, per mestiere e probabilmente per umanità, ha provato a spiegare a un razzista infurentito, reo di tentata strage, le cose che un razzista infurentito sembrerebbe l’ultimo in grado di capire. Se è immaginabile che uno psichiatra o un terapeuta o quant’altri se ne sia occupato, ovvero abbia lavorato nella speranza che Traini Luca, sparatore di innocenti, abbia la possibilità di cambiare, e di salvare se stesso, beh, io lo ammiro e un poco lo invidio: fa, nell’ombra, un lavoro difficile e meraviglioso.
Nessun commento:
Posta un commento