lunedì 24 marzo 2025

Pure col Da Vinci!

 

Povero Leonardo, diventato un marchio per chi fa le armi
DI TOMASO MONTANARI
Nessuno ha oggi il diritto di sequestrare quel nome immenso. Perché a differenza di chi lo usa, lui ha detto cosa pensava della guerra: tutto il male possibile
Nel 2014 fu grande lo sdegno contro una fabbrica di armi statunitense, la Illinois Arma Lite, che aveva pensato bene di farsi pubblicità mettendo un mitra a tracolla al David di Michelangelo, giocando con l’oscena didascalia A work of art. “L’immagine pubblicitaria del David armato offende e viola la legge. Agiremo contro l’azienda americana, che deve ritirare subito la campagna”, dichiarò l’allora ministro per i Beni culturali Dario Franceschini. Nessuno invece protestò, solo due anni dopo, quando Finmeccanica (controllata proprio dallo Stato italiano, col 30,2 %) privatizzò per sé stessa il nome di Leonardo da Vinci, associandolo (in modo ben più clamoroso, offensivo e indelebile) all’industria delle armi, alla guerra, alla morte. “Abbiamo peccato di arroganza? Probabilmente”, disse con inconsueta esattezza l’allora amministratore delegato Mauro Moretti: lo stesso che, da ad di Ferrovie dello Stato, aveva definito la Strage di Viareggio (condannato a 5 anni anni per disastro ferroviario, dopo la richiesta di 15 avanzata dalla Procura di Firenze, con pena da ricalcolare secondo la Cassazione) “uno spiacevolissimo episodio”.
Le armi rappresentano l’83% della produzione di Leonardo, e dei suoi oltre 15,3 miliardi di ricavi totali (2023) solo gli spiccioli vanno allo Stato (49 milioni nel 2023). Oggi, con il suo super-consulente Crosetto assurto al ministero della Guerra, e con la deriva guerrafondaia di Von der Leyen, quei profitti volano, sulla carcassa della pace.
Ebbene, cosa diavolo c’entra tutto questo con Leonardo da Vinci? Certo, Leonardo studiò e progettò anche macchine da guerra. Ma questo è solo un aspetto, per di più secondario, di una figura complessa e poliedrica come poche altre nella nostra storia culturale: e nessuno ha oggi il diritto di sequestrare quel nome immenso, legandolo allo sporco profitto della morte. A differenza dei suoi manipolatori, Leonardo ha detto chiaramente cosa pensava della guerra, cioè tutto il male possibile: «esser cosa nefandissima il torre la vita all’omo”. In un passo mirabile dei suoi scritti, dice che non avrebbe divulgato una certa sua invenzione sulla navigazione subacquea, perché le “male nature delli omini userebbono li assassinamenti nel fondo de’ mari, col rompere i navili in fondo, e sommergergli colli omini che vi son dentro”. Una bella lezione sulla coscienza della ricerca, che si deve sempre porre il problema dell’uso militare dei suoi frutti, il famoso dual use. Leonardo conosce la guerra, la studia, la rappresenta: sa bene che “la sanguinosa battaglia si sta con la oscura e tenebrosa aria, mediante il fumo delle spaventevoli e mortali macchine, miste con la spessa polvere intorbidatrice dell’aria, e la paurosa fuga de’ miseri, spaventati dall’orribile morte”.
Ne conosce l’essenza profonda di “pazzia bestialissima”: parole definitive. La guerra come follia: un’idea che condivideva con Erasmo da Rotterdam, che affidava alla pagina scritta pensieri che rappresentano meglio di tanti altri l’Europa del 2025: “Che altro, infatti, facciamo nella vita se non la guerra, o prepararci alla guerra? Neppure tutte le bestie combattono tanto, ma solo le belve, le bestie cattive. E neppure queste combattono fra loro, ma solo se sono di specie diverse. Combattono con mezzi naturali. Non come noi con macchine escogitate da un’arte diabolica”. Leonardo quelle macchine le inventò, e le offrì ai potenti del suo tempo, principi per metà umani e per metà bestiali (come diceva Machiavelli), ma non celebrò mai la guerra, non ne fece un fine, non la difese con la propaganda e la menzogna: come invece fa incessantemente l’odierna industria delle armi. Sarebbe assurdo e scorretto farne un’icona del pacifismo: ma è molto più disonesto, anzi schifoso, farne il testimonial dello sterminio tecnologico.
Leonardo era consapevole della doppiezza della natura umana, e della sua stessa civiltà: mentre oggi, da una parte rivendichiamo nelle piazze la presunta superiorità morale e culturale della civiltà europea (dimenticandone i lati mostruosi), dall’altro usiamo il nome di Leonardo per fabbricare la guerra. Come ha notato in questi giorni, Pietro Cataldi: “l’Europa è civiltà e barbarie intrecciate, come pare sia inevitabile. Dimenticare la barbarie vuol dire tuttavia ripeterla”. Dare alla massima fabbrica italiana di morte il nome di Leonardo da Vinci significa esattamente questo: non solo spogliare Leonardo della sua grandezza, cioè della sua dolorosa consapevolezza, ma letteralmente assumere la barbarie come programma, prendendo dalla nostra storia solo il veleno, e non l’antidoto. Incartare l’omicidio, la strage, la violenza seriale della guerra nell’involucro scintillante dell’arte, della bellezza, del Rinascimento significa nascondere (in un colpo solo) che il Rinascimento non era affatto buono quanto era bello (lo scriveva lucidamente, nel 1537, Pietro Aretino), e che le armi di oggi non sono né buone né belle, ma utili solo ad arricchire i ricchi, e a massacrare i poveri. Leonardo da Vinci mercante di morte: la più oscena delle menzogne.

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