martedì 18 marzo 2025

A lezione

 

All’università dell’agnolotto dove si impara la religione del Plìn
DI MAURIZIO CROSETTI
RODDINO(CUNEO)
L’Osteria di Gemma Boeri diventa scuola di tradizione: qui si tramanda la specialità delle Langhe
L’Università del Plìn è un tavolo in legno sbiancato di farina, dove la Magnifica Rettrice Gemma Boeri (anni 76) osserva le titolari di cattedra, cioè Alfa Vivalda di anni 87 e Carla Olivero di anni 83, esercitare il misterioso magistero del “ghëddo”. Non si finisce mai di imparare, ma soprattutto di insegnare.
Qui si narra il rito del pizzicotto di Langa (i turisti dicono “andiamo nelle Langhe”, i locali invece “andiamo in Langa”, perché la Langa è femmina…), celebrato ogni giovedì mattina nella “sala della pasta” dell’Osteria da Gemma, creatura pressoché mitologica della cucina piemontese. Prima di cominciare, breve glossario, altrimenti non si capirà nulla. “Plìn” in dialetto vuol dire pizzicotto, “ghëddo” è il tocco, lo stile in senso esteso e non solo manuale. È l’avere quel qualcosa in più che fa la differenza: la prosa di Gadda, il tocco di Del Piero, cose così.
Allora: alle 8 di mattina di tutti i giovedì, arriva da Gemma un gruppo di pensionate amiche della titolare, c’è anche qualche maschio, adibito più che altro a mansioni servili, per fare gli agnolotti del plìn, quelle meraviglie ripiene, piccole e morbide, da accompagnarsi al sugo di carne con un sospiro di fegatini di pollo e pomodoro, oppure al burro e basta. In Langa li chiamano “raviole”, ma non complichiamo troppo.
La stanza con le mattonelle bianche e verdi sta in cima all’osteria, che ha vetrate aperte su colline lussuriose e montagne ancora bianche in punta, laggiù dove finisce l’orizzonte. Le signore e i signori si mettono subito all’opera, stendendo sui tavoli i fogli di pasta preparati prima da Gemma, e pescando con la punta del coltello dal “grilletto” (insalatiera) dove c’è il ripieno. Urla, nelle loro dita, il sangue delle trisavole cuciniere. La “professoressa” Alfa Vitali, un memorabile donnino color fucsia — in piemontese, “dunìn”: se la Langa è femmina, il donnino è maschio — ci spiega il segreto: «Bisogna fare gli agnolotti tutti uguali e tutti diversi. Io ero contadina: mi hanno insegnato la mamma e la nonna. Qui è proprio bello perché si sta in compagnia ». Se volete calarvi nell’atmosfera, rileggete Fenoglio più di Pavese. Tra l’altro, Roddino è Alta Langa fenogliana.
Undicimila agnolotti mignon assemblati in quattro ore, stivati in venti sacchi e congelati per la settimana, con 40 chili di ripieno, 360 uova e svariati decametri di pasta tirata a mano. Tra i tavoli della stanza, l’Università del Plìn è quello a sinistra, il più grande, dove le novizie e soprattutto i seminaristi del pizzicotto vengono a imparare. «Le vede come sono piccole, le raviole? Gioiellini! Le cose piccine sono le più preziose, lo sanno tutti», sussurra Carla Olivero, altra esimia docente. «Tutto il buono viene dal ripieno, e intanto i ragazzi tagliano. Per i pizzicotti giusti, vanno meglio le mani delle donne. E quando abbiamo finito, ce la raccontiamo». C’è fervore e meccanica dei corpi, in questa catena di montaggio fordista dell’agnolotto. Si sente il tàc tàc della rotella che il ragazzoLuigi Adriano, di anni 83, usa per separare gli agnolottini l’uno dall’altro. «Noi qui in Langa lo chiamiamo il rubilìn, la rotellina… Conosco Gemma da quando eravamo bambini. Io nella vita ho fatto l’impiegato e vengo qui il giovedì da una quindicina d’anni, cioè da quando sono andato in pensione. A casa? Lì non cucino, lì io mangio».
Passa Gemma con una torta di mele e una manciata di amaretti del Sassello per rifocillare i lavoratori. Tutto gratis, sia chiaro: la ricompensa sarà il pranzo insieme, con un menù diverso da quello dei clienti che aspettano quattro o cinque mesi per avere la grazia di un tavolo. «Il mio segreto è non cambiare mai», dice Gemma. «Il menù fisso è sempre lo stesso, perché i clienti vengono apposta». Ovvero i fortunati che nei “click day”, e ce ne sono appena tre all’anno, riescono a prendere la linea e prenotare. L’ultima volta, dalle ore 10 alle ore 10 e quaranta secondi del 30 novembre 2024, se ne sono andati tutti i tavoli del sabato e della domenica per i quattro mesi a seguire.
La signora Irma Adriano racconta di mamma Delfina che le insegnò il plìn ma non i tajarìn, le tagliatelline al coltello («Poverina, morì che io avevo undici anni e non fece in tempo» ), mentre la signora Donatella Straneo dice che qui stacca il cervello: «Il giovedì mando via i pensieri e ascolto le storie degli altri, i matrimoni, le medicine, la vita. È come andare in analisi, però gratis».
C’è anche un novizio, che è un omone e si chiama Luigi Battaglino. «Sono in pensione anch’io, prima facevo lo pneumaturgo». Prego? «Il gommista, a Castellinaldo. Avevo questo desiderio di venire qui da Gemma, non è stato mica facile: ho chiesto, ho aspettato il giusto e adesso eccomi. Ci sono persone gentili e si passano ore belle, spero mi facciano ritornare». Chissà che pizzicotti, le dita di un gommista.

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