La fatica di capirsi
di Michele Serra
Non posso venire perché ho una visita medica. Non posso venire perché non posso lasciare sola mia madre. Non posso venire perché è appena nato il mio secondo figlio. Non posso venire perché faccio il sindaco e devo stare sull’argine di un fiume che minaccia di esondare.
Vengo perché sono riuscito a rimandare un paio di appuntamenti di lavoro. Vengo anche se la macchina è rotta, prenderò il treno. Vengo perché abito a duecento metri da piazza del Popolo. Vengo perché mio marito mi ha convinto. Vengo perché mio padre conosceva bene suo padre.
Veniamo perché siamo riusciti a trovare un pullman all’ultimo momento. Vengo perché a vent’anni era ora che facessi una manifestazione. Vengo anche se sono di destra, però la destra liberale. Vengo anche se sono di sinistra e stanco di delusioni. Vengo perché mi è piaciuto quello che lei ha detto a Propaganda. Vengo perché mia sorella, che non c’è più, sarebbe sicuramente venuta.
Persona per persona, come se ognuno avesse preso molto sul serio la rappresentanza di se stesso, nelle ore che precedevano la manifestazione per l’Europa mi hanno scritto in centinaia, forse migliaia, per dirmi vengo o non vengo in piazza (qualcuno, addirittura: posso solo dopo le quattro, vale lo stesso?).
Mi ha dato molto sollievo prendere atto, un whatsapp dopo l’altro, una mail dopo l’altra, che ogni folla è solamente una somma di persone. E anche io, che mi sono ritrovato quasi per caso a essere il terminale di quel flusso di individui che, pensandoli tutti assieme, mi intimidivano, mi spaventavano, mi sono sentito più tranquillo e più normale.
Quando si dice “la gente” non si dice granché, fino a che non ci si rende conto che la gente è semplicemente una somma molto rilevante di persone. Dicono gli attori che, in un teatro, spesso individuano nel pubblico una sola spettatrice o un solo spettatore per il quale recitare. È un modo efficace per umanizzare, semplificare la fatica di capirsi.
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