Quando si è all’aperto
di MICHELE SERRA
Come forse saprete, sono abbastanza coinvolto in un evento pubblico che si svolgerà domani in piazza del Popolo a Roma. Per me e per le persone che mi aiutano (tante), il bollettino meteo è diventato un chiodo fisso. L’esposizione al cielo, per le persone fisiche, non solo non è un dettaglio, ma è molto rilevante. A seconda di quello che decide il cielo, cambiano le condizioni, l’abbigliamento, a volte anche l’umore.
Quando si è all’aperto, sole o pioggia, caldo o freddo fanno la differenza, e non c’è diavoleria tecnologica che riesca a mettere le briglie al cielo.
Il mondo virtuale non ha di questi problemi. Tutto si svolge nel chiuso delle stanze dove possiamo anche fare finta che il mondo, là fuori, non esista. Tutto è più protetto, ma anche più astratto. Ci sono i tasti che formano le parole, non si vedono le mani che le imprimono e lo sguardo di chi sta fissando il video. Tutto è solo pixel.
Se si va in piazza (non solo per manifestare, anche per prendere un caffè, per fare due passi, per guardare le vetrine) è per sentirci, insieme ad altri sconosciuti, gli abitanti della società, e la frase “esco a prendere una boccata d’aria” è sempre indice di un desiderio di salute, e di libertà. Devo avere citato spesso, lungo gli anni, in questo piccolo spazio quotidiano, il Gaber de “La strada”: la strada è l’unica salvezza. Non ho i social, non me ne vanto e non me ne pento, ma sono sicuro che non averli mi abbia aiutato ad amare le strade e le piazze fatte di pietra e di persone, e quella canzone mi ronza in testa, ultimamente, quasi ogni giorno.
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