mercoledì 7 aprile 2021

Un bel botta e risposta!

 "Giuseppi" è tornato, ed ha scritto una lettera al direttore del La Stampa Massimo Giannini. 

Ve l'allego qui sotto, dopodiché potrete leggere la risposta del direttore in edicola oggi. 

(Non commento naturalmente, anche se tifo da sempre per Conte. Lascio a voi farvi un'idea al proposito)

Lettera di Giuseppe Conte al Direttore de La Stampa, Massimo Giannini. 06.04.21

Gentile Direttore, da alcune settimane sono impegnato nel compito di rifondare il Movimento5Stelle, in modo da rilanciarne la carica innovativa e renderlo pienamente idoneo a interpretare una nuova stagione politica. Anche per questa ragione sto evitando di rilasciare dichiarazioni e di intervenire nell'attualità politica. Ritengo prioritario preparare al meglio una nuova agenda politica, da condividere con la massima ampiezza, che sappia esprimere un progetto di società rispondente ai bisogni più urgenti dei cittadini, ma fortemente proiettata su un modello di sviluppo che coinvolga anche le generazioni future.
Ma sono costretto a intervenire per correggere alcune falsità riportate nel lungo editoriale, che Lei ha offerto ai lettori del suo giornale il giorno di Pasqua, dedicato ai vecchi e ai nuovi scenari di politica estera del nostro Paese, con particolare riguardo al conflitto libico, dal titolo «Italia e Libia. Un atlante occidentale».
Non posso tacere perché queste notizie false, essendo attinenti alla politica estera perseguita dall'Italia negli ultimi anni, non riguardano solo la mia persona, ma anche un buon numero di nostri professionisti, della filiera diplomatica e dell'intelligence, che hanno condiviso gli sforzi e profuso grande impegno in questa direzione.
Non entro, peraltro, nel merito delle varie considerazioni da Lei formulate. Sono sue, opinabili valutazioni. Non Le scrivo per aprire una discussione sui complessi scenari di geo-politica. Ma trovo palesemente fuorviante riassumere tutte le iniziative di politica estera poste in essere dai due governi da me presieduti con l'immagine di un'«Italietta che finalmente si risveglia dalla sbornia nichilista, sovranista e anti-occidentale di questi ultimi tre anni».
Sono rimasto colpito dall'incipit del Suo editoriale. Con un accorto espediente retorico ha messo in relazione tre notizie: la prima vera, la seconda e la terza completamente false.
La prima notizia, vera, è che «Dopodomani Mario Draghi volerà in Libia». Questa notizia è seguita da un suo commento, pienamente legittimo: «è una missione cruciale, non solo per la difesa del nostro interesse nazionale, ma in parte anche per la ridefinizione del nuovo Ordine Mondiale, la riaffermazione dei valori dell'Occidente, la ricostruzione del ruolo dell'Europa».
Subito dopo ci sono due notizie false, che non riguardano solo me personalmente quanto la politica estera perseguita dall'Italia. Queste due falsità sono precedute da un suo commento molto malevolo: «Le ultime pezze a colori improvvisate da Giuseppe Conte nel Corno d'Africa e nella Penisola Arabica hanno portato più malefici che benefici».
La prima falsità: «I due incontri ad Abu Dhabi con Mohammed bin Zayed, tra il novembre 2018 e il marzo 2019, furono talmente inutili sul dossier libico che lo sceicco emiratino diede ordine ai suoi diplomatici di non organizzargli mai più altri colloqui con l'Avvocato del Popolo».
La seconda falsità: «Il blitz a Bengasi del 17 dicembre 2020, organizzato come uno spot di bassa propaganda solo per riportare a casa i pescatori mazaresi previa photo-opportunity con Haftar, è stato ancora più imbarazzante».
La prima notizia è smentita dal fatto che dopo le date che Lei ricorda ho avuto ulteriori colloqui con lo sceicco Mohammed bin Zayed, che hanno confermato non solo l'eccellente rapporto personale instaurato, ma anche le ottime relazioni tra i nostri due Paesi. Mi permetta poi di sottolineare che la sua falsità suona davvero ingenua: in pratica ha tentato di convincere i Suoi lettori che lo sceicco emiratino avrebbe informato solo lei che non avrebbe più accettato colloqui con il sottoscritto, quando invece abbiamo sempre operato, anche a tutti i livelli della filiera diplomatica e di intelligence, nella reciproca consapevolezza che i nostri rapporti fossero molto buoni.
La seconda falsità è non meno sorprendente, in quanto già all'epoca dei fatti chiarii che volai in Libia non per piacere, ma perché fu l'unica condizione per ottenere il rilascio dei diciotto pescatori. L'ho fatto. Lo rifarei. Dopo un lungo negoziato e dopo avere respinto altre richieste che giudicai non accoglibili, atterrai all'aeroporto di Bengasi, dove Haftar mi accolse e firmò in mia presenza il decreto di liberazione dei diciotto pescatori. Quanto alla photo opportunity, caro Direttore, la informo che ho ricevuto più volte Haftar a Roma, anche nel pieno di quest'ultimo conflitto libico. Aggiungo che non troverà in giro nessuna mia foto con i pescatori: a loro e a tutti i cittadini di Mazara ho mandato un saluto a distanza. Ho evitato di incontrarli proprio per non dare adito a speculazioni inopportune. Ma vedo che con Lei questa premura, ancora a distanza di tempo, non è servita.
Concludo. Ci auguriamo tutti che il viaggio del premier Mario Draghi in Libia possa rivelarsi utile. Il dossier libico rimane strategico per gli interessi italiani ed europei ed è estremamente rilevante negli equilibri geo-politici mondiali. Non credo che nessuno abbia difficoltà ad aderire al suo auspicio che questa possa essere la svolta che l'intero mondo occidentale attende da anni.
Ma non serve e non vale a rafforzare questi auspici la denigrazione di chi è venuto prima.
Gentile Direttore, Lei e l'intero gruppo editoriale a cui il Suo giornale fa riferimento avete abbracciato convintamente una causa. Ora, non dico che debba fidarsi di me. Ma dia retta almeno a un raffinato stratega quale Talleyrand, che ai suoi collaboratori raccomandava sempre: «Surtout pas trop de zèle» («Soprattutto non troppo zelo»). Quando si eccede in fervore si rischia di servire male la causa. 
E questa è la risposta del Direttore de La Stampa, pubblicata oggi. 
Risposta di Massimo Giannini a Giuseppe Conte - 07.04.21
Caro Presidente Conte,
La ringrazio per la Sua lettera e per la Sua attenzione. Capisco le ragioni che la spingono a replicare ai contenuti del mio editoriale. Ma mi corre l'obbligo di replicare a mia volta, per ribadire i fatti che Lei considera «falsità» e che invece, purtroppo, non lo sono. Scrivo «purtroppo» perché le questioni di cui stiamo parlando riguardano non già le baruffe chiozzotte tra i partiti di casa nostra, ma la politica estera del Paese, che è materia delicata ed essenziale a definirne il profilo e a tutelare l'interesse nazionale.
Il primo «fatto» è il severo giudizio di Mohammed bin Zayed, emiro di Abu Dhabi, sulla «sostanziale inutilità» dei due incontri ufficiali avuti con Lei a proposito della Libia e sulla sua ferma volontà di non replicarne altri. Per bollare come «falsità» questo mio resoconto Lei spiega che dopo quei due incontri ha avuto con lo Sceicco «ulteriori colloqui», a conferma dell'«eccellente rapporto personale instaurato». Io non so se dopo il marzo 2019 vi siano state conversazioni telefoniche tra voi: non ce n'è traccia nelle comunicazioni ufficiali di Palazzo Chigi. Ma so per certo e ribadisco quello che ho scritto, e che mi è stato riferito da una fonte primaria e autorevolissima che, sul terreno, ha istruito e segue da sempre il dossier libico-emiratino.
Il secondo «fatto» è il blitz del 17 dicembre 2020 per liberare i 18 pescatori mazaresi sequestrati dai libici. Qui non ci dividono «falsità», come Lei dice, ma semplicemente opinioni. La mia rimane quella che ho scritto: il volo improvvisato a Bengasi e le modalità con le quali è stato organizzato il rilascio dei sequestrati, con tanto di photo-opportunity pretesa da Haftar, restano una pagina opaca della nostra storia diplomatica.
Comprendo il "movente": dopo aver respinto «altre richieste non accoglibili» (sono parole Sue) quella foto era evidentemente l'unica che ritenne di accogliere per raggiungere il risultato, cioè il rilascio dei pescatori. Fu dunque un gesto di realpolitik. Ma l'evidenza rimane: come ho scritto, fu comunque un episodio imbarazzante.
Detto tutto questo, Caro Presidente Conte, La voglio rassicurare sugli ultimi due punti della Sua lettera. Da parte mia non c'è nessuna intenzione di denigrare chi c'era ieri per lodare chi è arrivato oggi. Lei ha guidato l'Italia in una stagione infausta, soprattutto per la nostra collocazione geopolitica. Sa meglio di me che sulla credibilità del Paese che Lei rappresentava nei consessi internazionali hanno pesato fortemente le sbandate filorusse della Lega e le intemerate filocinesi dei Cinque Stelle.
Diciamo che non solo la tela delle relazioni transatlantiche, ma più in generale tutta la politica estera (in particolare con il Suo primo governo gialloverde) ha subito strappi di ogni tipo.
Come dimenticare la missione del ministro degli Interni e vicepremier Salvini al Cremlino, quando il Capitano attaccò ferocemente Francia e Germania e concluse dicendo «qui a Mosca mi sento a casa mia, mentre in alcuni Paesi europei no»? Era il 16 ottobre 2018, e dopo il varo delle sanzioni contro Putin per l'annessione della Crimea e l'aggressione dell'Ucraina noi scaricavamo così Parigi e Berlino, per schierarci al fianco del nuovo Zar di tutte le Russie. E come dimenticare la missione del vicepremier e ministro dello Sviluppo Economico Di Maio proprio a Parigi, quando insieme all'allora suo scudiero Di Battista incontrò il leader dei gilet gialli Christophe Calencon e ne sostenne pubblicamente la battaglia, in nome «delle posizioni e dei molti valori comuni che mettono al centro delle nostre battaglie i cittadini»? Era il 5 febbraio 2019, e nel pieno di una protesta violenta che ogni weekend metteva a ferro e fuoco la capitale francese, noi prendevamo a schiaffi così l'alleato Macron.
In tanta confusione identitaria, se me lo consente, Lei talvolta ci ha messo del Suo. Un esempio su tutti: l'atteggiamento un po' troppo appiattito su Trump, che del resto le valse un endorsement fondamentale per il Suo secondo governo. Era il 27 agosto 2019 e, subito dopo la pazza crisi del Papeete, The Donald cinguettò il famoso «spero che Giuseppi resti primo ministro!». Un "abbraccio" non mortale ma certo soffocante, che forse spiega il ritardo col quale il 17 gennaio scorso sono infine arrivate le congratulazioni telefoniche con il neo-eletto presidente Joe Biden. Ma a parte questo, Lei ha fatto quel che ha potuto. E di una cosa, decisiva per noi e per l'intero Occidente, Le do atto volentieri: ha tenuto la barra dritta sull'elezione di Ursula Von Der Leyen alla presidenza della Commissione Ue. Una mossa non scontata, persino miracolosa, nelle assurde condizioni politiche di allora, che ha messo all'angolo le destre populiste e sovraniste e ha cambiato il corso degli eventi in Europa. Era il 16 luglio dello stesso 2019, e forse proprio quella svolta (che a Strasburgo i Cinque Stelle condivisero con i popolari e i socialisti europei) convinse definitivamente Salvini a rompere un mese dopo il patto di governo. Dunque, come vede, da parte mia nessuna denigrazione preconcetta e nessuna critica «a prescindere».
Infine, nella Sua lettera Lei parla di una «causa abbracciata» da me e «dall'intero gruppo editoriale». La citazione di Talleyrand sull'eccesso di zelo è bella, ma fa torto alla Sua intelligenza e alla Sua cultura. Per quel poco o tanto che ci conosciamo, dovrebbe aver capito che delle scelte fatte e della "linea" del mio giornale (sulle quali il mio gruppo editoriale non mi chiede e non mi ha mai chiesto conto) rispondo solo a me stesso e ai miei lettori. E dovrebbe anche aver capito che in politica ho le mie idee, ma non abbraccio «cause» a priori, dove per cause si intendono capi di governo o leader di partito. Dunque, se oggi Lei per «causa» intende Mario Draghi, certo, Le confermo che apprezzo e stimo l'attuale premier. Ma l'apprezzamento e la stima (come del resto capitava anche per Lei) non mi fanno velo quando ne giudico gli atti di governo. Per averne prova, vada a leggere gli ultimi editoriali che ho scritto, sui troppi silenzi di Palazzo Chigi, sui troppi ritardi nei vaccini, sui troppi errori nei viaggi consentiti all'estero, sulle troppe promesse mancate per la scuola.
Concludendo, possiamo forse venirci incontro. Io prometto che non cadrò nella trappola dello zelo di cui scriveva Talleyrand, Lei prometta di non cadere nella Schadenfreude di cui parlava Schopenhauer. Non renderebbe un buon servizio al Paese. E soprattutto non La aiuterebbe nel compito impegnativo di cui si è fatto responsabilmente carico: e cioè (come Lei stesso mi scrive) «rifondare il Movimento 5 Stelle» e «renderlo pienamente idoneo a interpretare una nuova stagione politica». Segno evidente che finora non lo è stato. —

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