BUONGIORNO
Il marmo della storia
di Mattia Feltri
La scelta di Joe Biden di chiamare il genocidio degli armeni col suo nome – genocidio – non è piaciuta ai turchi. Ai turchi non piace mai quando qualcuno, a proposito degli armeni, usa quella parola: genocidio. È un termine codificato, preciso, indica la volontà di distruzione di un gruppo per la sua appartenenza a un'etnia o a una religione. Gli armeni furono spazzati via in particolare negli anni della Seconda guerra mondiale, il novanta per cento fu ammazzato o cacciato dalla Turchia e più dei numeri potrà il testo di un telegramma spedito dal governo centrale alla prefettura di Aleppo – oggi in Siria, allora nell'Impero Ottomano. «Il governo ha deciso di eliminare completamente tutti gli armeni… senza riguardo per le donne, i bambini, i malati. Per quanto possano essere tragici i mezzi di sterminio… bisogna mettere fine alla loro esistenza». Molti storici concordano sul modello che il genocidio degli armeni costituì per i nazisti alle prese con gli ebrei, non soltanto nei metodi ma nei pretesti: per Hitler, gli ebrei erano la causa della sconfitta tedesca nel 1918 e, per i turchi, gli armeni lo erano del tracollo delle ambizioni turche, che speravano nella guerra per rifare grande il loro impero davanti all'Occidente malvagio. Riconoscere il genocidio significherebbe per i turchi riconsiderare la storia immutabile attorno a cui si consolano e ammettere di essere vittime un po' meno vittime e carnefici un po' più carnefici. Non è una loro esclusiva: è lo stesso processo mentale che, a ogni 25 aprile, da posizioni opposte ma con uguale eterna spossante pervicacia, muove i rossobruni italiani.
Nessun commento:
Posta un commento