sabato 3 aprile 2021

Leggiamone

 

Due modi, distanti anni luce, di parlare di Resurrezione.
La prima di Recalcati su Repubblica
Pasqua, la vita oltre la Legge
di Massimo Recalcati
Il mistero della Pasqua cristiana coincide con l’evento della resurrezione di Cristo. Dobbiamo sottolineare la parola evento perché la resurrezione non vuole essere una figura parabolico- metaforica, come molte di quelle che hanno caratterizzato la predicazione di Gesù, ma un’esperienza effettiva, un evento reale. Quale? Quello più decisivo: la morte non è l’ultima parola sulla vita, esiste sempre per la vita la possibilità di non essere finita del tutto dalla morte.
Questa è l’enunciazione folle e assoluta dell’evento della resurrezione che sembra contrastare con ogni buon senso. Non è infatti la morte la fine della vita, la sua dissoluzione, l’ultima nota che chiude irreversibilmente la melodia dell’esistenza? La resurrezione per ogni cristiano contrasta l’opinione comune, sfida il carattere oggettivo di questa evidenza. Al tempo stesso l’evento della resurrezione non è un semplice fatto in sé, come la pioggia o il vento. Esso non è semplicemente avvenuto, come raccontano i Vangeli, in un «buon mattino » (Gv, 20, 1, 18), presso la tomba dove era stato deposto il corpo di Cristo. La resurrezione è resa un evento solo dalla fede di chi allora vi ha creduto e di chi oggi ancora continua a crederci. Non è qualcosa di remoto che giace alle nostre spalle, non è un fatto miracoloso che si è compiuto una volta per tutte. Se la resurrezione è davvero un evento e non una parabola tra le altre è perché essa continua ad accadere grazie alla fede di chi resta, appunto, fedele a quell’evento. La fedeltà all’evento-Gesù risorto è ciò che fa esistere ora e non al passato remoto la resurrezione: la morte non è, non può essere, l’ultima parola sulla vita.
Tutta la straordinaria forza della predicazione di Gesù si istituisce su questa tesi: la vita è più viva della morte, è ciò che dà morte alla morte, è ciò che consente di uscire dalle tenebre del sepolcro e di ricominciare. Non tutto muore mai del tutto. È la linea extramorale che attraversa la parola di Gesù. Mentre il giudizio morale definisce la vita giusta come quella che si è adeguata alla volontà della Legge, e la vita che cade nel peccato come quella che vive contro la Legge. Ebbene Gesù ha sovvertito questo metro di giudizio con decisione: la vita giusta è la vita viva, è la vita che desidera la vita e che sa generare frutti.
Di qui il ripensamento radicale della nozione deuteronomica della Legge. Essa non è in antagonismo alla vita perché, nella sua forma ultima, coincide con il desiderio del soggetto, con la sua vocazione e coi suoi talenti. In questo senso la vita viva è vita animata dalla forza del desiderio, antagonista alla Legge del sacrificio e capace di fare del desiderio la propria Legge. È questo il cuore davvero laico della predicazione di Gesù: la vita che si perde nella morte, la vita che cade nel peccato, è la vita che ha paura della vita, è vita senza desiderio, è vita che rifiuta la vita. Si tratta di liberare allora la Legge dal culto masochistico del sacrificio. La predicazione di Gesù insiste su questo punto: l’uomo non è fatto per la Legge ma è la Legge che è fatta per l’uomo. Sicché la Legge alla quale l’uomo è tenuto a subordinarsi è una Legge che solleva l’uomo dal peso della Legge perché questa Legge — la Legge della buona novella — coincide con il desiderio dell’uomo stesso, con la sua forza affermativa. «Non abbiate paura!», è il solo monito che Gesù indirizza agli uomini. Di qui la sua critica serrata ad una concezione solo ritualistica e cultuale della religione. Non c’è proibizione giustificata di fronte al dovere del desiderio. Mentre passava un giorno in un campo di grano in compagnia dei suoi discepoli, questi raccolsero le spighe per cibarsene. I farisei reagirono scandalizzati: «Perché fanno di sabato quello che è proibito!» (MC, 2, 24).
Lo stesso accadde direttamente a Gesù quando nella sinagoga guarì un uomo dalla «mano inaridita». I farisei restarono turbati e usciti dalla sinagoga «subito tennero una riunione con gli erodiani contro di lui per farlo morire» (Mc, 3,1-6). I sacerdoti sostenitori di una versione solo rituale-cultuale della Legge rimproverano Gesù di agire fuori dalla Legge. Ma la sua risposta è decisa: «Il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato» (Mc, 2,23-27). Non si tratta, dunque, solo di sottrarre l’uomo ad una interpretazione moralistica della Legge come peso che toglie il respiro, ma di affermare l’esistenza di un’altra Legge, di una nuova Legge che autorizza a coltivare il proprio desiderio — la propria vocazione, i propri talenti — anziché reprimerlo. Non a caso per Agostino è questo lo scopo ultimo della venuta di Cristo: «Riscattare quelli che erano sotto la Legge, affinché non fossimo più sotto la Legge ma sotto la grazia». È la correzione della Legge che risuona nell’evento della resurrezione pasquale: se la Legge viene data per mezzo di Mosè, la grazia viene per mezzo di Gesù, scrive Paolo di Tarso (Galati, 4, 4-5). Se, infatti, si dissocia la Legge dalla grazia, la Legge non può che risultare una maledizione. La promessa di Gesù è l’esistenza di una Legge libera dal peso della Legge. È la promessa che rivela che quella della morte non è la sola Legge poiché esiste un’altra Legge, quella del desiderio, che libera la vita dalla paura della morte.
Ecco perché, diversamente dai filosofi, Gesù non parla della morte ma l’attraversa. È necessario testimoniare l’eccedenza della vita rispetto alla morte. Solo l’evento di questa testimonianza mostra che resta sempre qualcosa della vita, che resta sempre la possibilità che non tutto muoia per sempre, che non tutto sia deciso dalla morte: «Venite a me, voi tutti che faticate e vi piegate sotto un pesante fardello, e io vi libererò da quel peso… Il mio giogo è facile da portare e leggero il mio fardello» (Mt, 11, 28-30).
Non a caso nel giudizio universale il criterio che separa i salvati dai dannati è ancora una volta quello della vita che sa essere viva. La colpa più decisiva dei dannati è stata quella di non aver saputo amare. Per questo i salvati saranno i più fragili, ovvero quelli che hanno saputo avere un rapporto di amicizia e non di rifiuto con la mancanza (Mt , 25, 31-46). È per costoro che la resurrezione sarà un evento sempre possibile.

La seconda, irriverente, atea, insufflante dubbi, personalmente sono stato sempre contrario a mettere gli scritti spinosi sotto il tappeto, di Daniele Luttazzi

Dal Concilio di Nicea (325 d.C.), i cristiani celebrano la resurrezione di Cristo la domenica dopo la prima luna piena di primavera. Cosa sia davvero la Pasqua, però, l’ho scoperto leggendo un libro sul Carnevale (Di Cocco, 2007): le due ricorrenze, infatti, sono collegate dall’antico culto di Iside. Quando l’imperatore romano Costantino, nel IV sec. d.C., prende la decisione politica di unificare ideologicamente il suo Impero con il cristianesimo, la narrazione del culto cristiano viene strutturata dai filologi alessandrini sulla falsariga del plurimillenario culto di Iside, diffusissimo in tutto il Mediterraneo. 
L’antico mito egizio narra di Iside, sorella, madre e sposa di Osiride. Osiride viene ucciso dal fratello Seth, e il suo corpo viene smembrato. Iside va in cerca delle parti del corpo di Osiride, le ricompone, vi soffia la vita e Osiride risorge. Il mito è un’allegoria astrologica: Osiride è il Sole; muore/tramonta in mare, colorandolo di rosso/sangue; Iside è la Luna, che di notte segue il tragitto del marito per ritrovarlo e riportarlo in vita. E il mattino, il Sole risorge (Sole e Luna sovrastano il crocifisso di Raffaello, nonostante il terzo concilio di Costantinopoli avesse proibito tale simbologia perché evocava altre religioni). La cerimonia del culto di Iside, raccontata da Apuleio nell’XI libro dell’Asino d’oro, era la parte culminante del rito di consacrazione di un sacerdote di Osiride; le stazioni della passione di Cristo (percosso, coronato, crocifisso, sepolto) sono un calco di quel percorso iniziatico, così come iconografia e preghiere mariane sono un calco di quelle di Iside. Con la cerimonia, i sacerdoti “dedicano al mare, ormai navigabile, una nave vergine”, e offrono a Iside le primizie della navigazione. 
Il loro corteo solenne è preceduto da una processione festosa e mascherata. La festa del Navigium Isidis, diffusa in tutto l’Impero romano, è giunta fino a noi trasformata in Carnevale (carrus navalis), festa tipica di località marine e fluviali (Venezia, Viareggio, Colonia; e Rio, dove venne portata dai portoghesi). 
La festa del Navigium Isidis seguiva il calendario lunare babilonese: coincideva con la prima luna piena di primavera, cioè col capodanno babilonese; ma nel IV sec. d.C. venne spostata indietro di 40 giorni (ridefiniti come quaresima) perché non si sovrapponesse alla Pasqua, che ne aveva preso il posto; e fu edulcorata in Carnevale. 

La Pasqua, insomma, è ciò che resta di una parte della cerimonia isiaca (la resurrezione dell’iniziato alla nuova vita sacerdotale), il Carnevale è ciò che resta dell’altra parte della festa (la processione delle maschere). Nonostante i rimaneggiamenti, la Chiesa non è ancora riuscita a eliminare l’indizio fondamentale sulle origini isiache della Pasqua: la data variabile, collegata alla prima luna piena di primavera. Ma il gesuita Bergoglio non è lì a pettinare le bambole, e nel 2015 ha proposto di “stabilire una data fissa per la Pasqua”, affinché “possa essere festeggiata nello stesso giorno da tutti i cristiani, siano essi cattolici, protestanti o ortodossi”. Se conosci l’antefatto, la proposta di Bergoglio mette i brividi, perché cancella proprio quell’ultimo indizio isiaco. 
Nel leggere la notizia, ho fatto un salto sulla sedia, come la prima volta che vidi Vera Miles girare il cadavere mummificato della signora Bates alla fine di Psycho. E quale modo migliore per celebrare la Pasqua che rivedere quella scena? 
Buona Pasqua di resurrezione, signora Bates!

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