Fare i conti senza le bare
di Michele Serra
Il fronte degli aperturisti a oltranza sostiene una posizione che avrebbe una sua legittimità, se solo avessero il coraggio di dirla così com’è: preferiamo qualche migliaia di morti in più piuttosto della morte di alcuni settori economici che ci stanno particolarmente a cuore, anche perché è soprattutto in quel bacino elettorale che noi peschiamo voti.
È un ragionamento decisamente rude, ma appartiene senza dubbio alla discussione in corso, nel mondo intero, a proposito della pandemia, delle sue conseguenze, del modo di affrontarla.
Ma non la dicono così, perché suonerebbe troppo cinico, e troppo schietto. E nei talk-show, quando l’epidemiologo di turno li inchioda alla realtà delle cose (meno limitazioni vuol dire più contagi e più morti), fanno come ha fatto l’altra sera il leghista Borghi: inalberano un sorrisetto di sufficienza, come si fa di fronte ai menagramo, e tirano diritto, come chi, di un problema, enuncia solo la parte che fa comodo a lui.
Così, però, è troppo facile. Avrei molto più rispetto per un politico che sorridesse di meno e dicesse: “Sì, è vero, lo sappiamo tutti, moriranno più persone, ma è un prezzo da pagare, perché sarebbe maggiore il costo sociale di ulteriori chiusure e limitazioni.
L’economia che si riprende vale qualche fila di bare in più”. Ecco, questo sarebbe un ragionamento brutale, ma rispettabile nella sua sincerità. Invece fare finta di nulla, e limitarsi a sollecitare l’applauso della claque strillando “basta con questa galera! Riapriamo tutto!” non è rispettabile.
Omette di fare i conti comprendendo anche i costi, in questo caso i costi umani.
È un modo per barare al gioco.
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