La fantasia che non c’è
di Michele Serra
Che in tempi di decrescita catastrofica, e imposta dagli eventi, il nuovo presidente di Confindustria Carlo Bonomi dica che «l’obiettivo è la crescita» non sembra un programma, sembra uno scongiuro. L’obiettivo è anche la salute; ma quando capita di stare male è della malattia che tocca occuparsi. Che poi la mancanza di questa fantasmatica «crescita» venga imputata «alla politica» e dunque al governo (qualsiasi governo), in queste settimane impegnato, per forza di cose, a produrre toppe per tappare buchi (più toppe che mascherine, ormai), non è un atteggiamento sportivo, diciamo così.
Poiché lo sport nazionale è la lagna, la recriminazione, il pianto greco anche in tempi normali, e figuriamoci dunque in tempi come questi, si vorrebbe che almeno le cosiddette classi dirigenti, delle quali Confindustria è certamente parte notevole, evitassero la solfa.
Per censo, per responsabilità, per potere politico e non, gli imprenditori hanno qualcosa in più da mettere in gioco. Per giunta questo qualcosa in più, ormai da molto tempo, non viene loro rinfacciato per pregiudizio ideologico. Anzi: è ampiamente passato, e giustamente, il concetto che fare impresa sia anche un merito sociale, e uno sforzo spesso frustrato da una burocrazia di sadica lentezza. Si chiederebbe, in cambio, di produrre idee (anche disgiunte dall’ossessione della «crescita»), specie se si rimprovera alla politica di produrne pochissime.
Si chiede l’elasticità bastante a leggere un bilancio senza svenire se non quadra (magari quadrerà), di immaginare qualche forma di contrasto alla crisi che non sia la solita lista del cosiddetto personale in esubero. Si dice che l’Italia, dopo la Guerra, abbia salvato la pelle grazie alla fantasia.
Se ne vede in giro poca, purtroppo.Poiché lo sport nazionale è la lagna, la recriminazione, il pianto greco anche in tempi normali, e figuriamoci dunque in tempi come questi, si vorrebbe che almeno le cosiddette classi dirigenti, delle quali Confindustria è certamente parte notevole, evitassero la solfa.Per censo, per responsabilità, per potere politico e non, gli imprenditori hanno qualcosa in più da mettere in gioco. Per giunta questo qualcosa in più, ormai da molto tempo, non viene loro rinfacciato per pregiudizio ideologico. Anzi: è ampiamente passato, e giustamente, il concetto che fare impresa sia anche un merito sociale, e uno sforzo spesso frustrato da una burocrazia di sadica lentezza. Si chiederebbe, in cambio, di produrre idee (anche disgiunte dall’ossessione della «crescita»), specie se si rimprovera alla politica di produrne pochissime.Si chiede l’elasticità bastante a leggere un bilancio senza svenire se non quadra (magari quadrerà), di immaginare qualche forma di contrasto alla crisi che non sia la solita lista del cosiddetto personale in esubero. Si dice che l’Italia, dopo la Guerra, abbia salvato la pelle grazie alla fantasia.Se ne vede in giro poca, purtroppo.
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