martedì 16/06/2020
POSTCOVID
Come sopravvivere alla Fase3: NoMask, social e cene-incubo
E LA CHIAMANO NORMALITÀ - POCHE CERTEZZE NELL’INCERTEZZA
di Selvaggia Lucarelli
Nella confusa accozzaglia di incertezze della Fase 3, spiccano con luminosità le seguenti ambiguità.
Le mascherine. Nessuno si ricorda più dove e quando siano obbligatorie, quindi abbiamo chi se le mette pure per fare snorkeling e chi invece si ritiene svincolato dall’obbligo anche se gli mancano i due incisivi davanti.
E gli basta dire “sì” per sputare saliva a una distanza da record olimpico nel lancio del giavellotto. I no-mask, poi, hanno insinuato il dubbio che le mascherine siano una costrizione imposta dai poteri forti, che respirare con le mascherine provochi il cancro e che Indro Montanelli fosse socio della Pivetti nel traffico delle mascherine, quindi ormai sono invise a una discreta fetta della popolazione. In compenso, c’è la schiera dei resilienti che ha fatto dell’obbligo un’opportunità: chiuse per sempre nel cassetto quelle chirurgiche, ora in molti – troppi – sfoggiano mascherine simpatiche con slogan, fantasie floreali o animalier, fluorescenti, con pizzo, macramè e inserti in lana merinos. Il mio direttore di banca l’altro giorno sembrava Myss Keta intenta a deliberare un mutuo.
Le mani. Anche se lo scemare dei contagi ha un po’ derubricato gli arti superiori da ‘pericolo virologico di prima classe’ a ‘ricordati quale dito hai usato per pigiare il citofono’, le mani – specie i polpastrelli – sono ormai un orpello tossico e inutile, un apostrofo rosa tra il virus e le nocche, nocche con cui ormai pigiamo, trasciniamo, tocchiamo qualunque cosa. Quando la cassiera dell’Iper mi porge il pos e io digito il pin con le nocche, mi sento sempre uno sminatore afghano sopravvissuto a un disinnesco maldestro.
I balconi. Si sono ripresi la loro funzione originaria e cioè quella del deposito scope/pisciatoio del cane, per gli inquilini sciatti, e quella di diramazione della foresta pluviale australiana, per gli inquilini più competitivi. Rimane solinga qualche bandiera dell’Italia, ma le pedane per esibizioni canore e le torrette di avvistamento runner con balestre pronte all’uso, sono state smontate e riposte in garage. Particolarmente spoglio, a Milano, il balcone di Giulio Gallera. Interrogato sul perché ha risposto: “Davvero posso mettere un vaso di gerani? Pensavo fosse competenza del direttore di condominio”.
I social. Serpeggia un terrore diffuso e sinistro nel pubblicare qualunque cosa. Basta una foto al ristorante in cui sembra che il tuo volpino non rispetti la distanza di sicurezza dal gatto del proprietario, per innescare una shitstorm letale in cui si può venire accusati di qualunque cosa, dall’essere responsabili del nuovo focolaio dell’epidemia mondiale, all’essere l’assassino di George Floyd o il social media manager di J.K.Rowling. Io, che nel dubbio pubblicavo solo foto di tramonti, sono stata accusata di sponsorizzare tramonti artificiali causa della manipolazione climatica causa dell’inquinamento atmosferico causa del Covid causa delle puntate di Non è l’Arena con Cecchi Paone e Red Ronnie. In effetti, convinta dalla pericolosità dell’ultimo passaggio, mi sono scusata e ho rimosso tutto.
I ristoranti. Ogni volta che prenoto ho la stessa ansia da prestazione della prima volta che sono uscita a cena senza mamma e papà. ‘Buonasera, un tavolo da 4?’, ‘Congiunti?’, ‘Eh, se non siete congiunti vi devo mettere sfalsati, oppure di sbieco. Le scoccerebbe mangiare di spalle al piatto?’. Mi lavo le mani, ma sedendomi mi avvicino la sedia e allora, non si sa mai, torno a lavarmi le mani. Per non finire in un ciclo infinito sedia-mani-sedia-mani, decido di cenare a tre metri dal tavolo, la mia posata è il retino pulisci-piscina. Non so dove mettere la mascherina. Sul tavolo no, poi magari la sfioro, spezzo il pane sovrappensiero e a fine cena ho già il casco Cpap. Me la appendo a un orecchio, ma alla prima cucchiaiata la urto con la spalla e finisce nel pollo con le olive. Poco male, consulterò di nuovo il menù. Che è digitale, un codice QR da inquadrare col telefonino che ovviamente s’è appena scaricato. L’alternativa è un foglio plastificato stile ristorante per tedeschi in Piazza San Marco, con la pizza ‘Italia bella’ stampata in copertina e le grafiche realizzate con Microsoft Paint ’98. Nel reindossare la mascherina, alla fine del pasto, respiro arrosto con patate per i sei giorni successivi.
Gli scienziati. Rimangono un punto fermo: Zangrillo ha detto che il virus non esiste più nella sua forma virulenta, Galli che esiste e che può essere ancora virulento, Bassetti che è meno aggressivo, Pregliasco che è debole, Burioni che è buono e caro ma se si arrabbia, la Capua che è solare ma un po’ pazzerello. Poi è arrivata la Gismondo e ha chiarito il passaggio fondamentale: i virologi non esistono, sono solo una brutta influenza.
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