Ascoltare sul far dell’alba il novello Homeground di Neil Young, 35 minuti di pappa reale, è stato come se la sorella buona Harvest ti presentasse la cugina sconosciuta ma pur sempre in affinità di cromosomi XX tipica della progenie. Musicalmente è lui, lontano per fortuna da quel roboante ed inutile rock spezza corde che a volte gli capita di seguire con poca valenza. C’è una parte di cuore che fibrilla riportandomi ai tempi andati in cui la musica di Young sapeva colorare pastellamente le giornate piovose dell’allora pisciatoio d’Italia e, mentre avverto l’innalzamento delle piccole mongolfiere con le sensazioni del tempo, m’acquieto fiducioso che sui testi l’amico Renzo Cozzani a breve dirà la sua. Per ora mi basta rimaner basito davanti alla canonica e zuccherosa armonica!
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