sabato 27 giugno 2020

Il Ritocco


Ritocco: correzione o aggiunta di lieve entità, intesa ad ottenere la perfezione voluta.

Forte di questa definizione sono entrato nel mondo della manualità, ostico e misterioso dedalo a me del tutto sconosciuto, trinariciuto come sono da sempre rispetto allo stare alla larga dal fai da te. 
L’attività consisteva nel verniciare di bianco una striscia alta 20 cm e lunga meno di un metro, ad angolo, un ritocco appunto, cosa che amici, da me riveriti quasi fossero dei Tintoretto, avrebbero fulmineamente eseguito pure bendati e con braccio legato.
Primo step, Brico Center
Quando entro in un negozio come il Brico, avverto le stesse sensazioni tipiche di un disgelato dopo un centinaio d’anni in un pianeta lontano; attraverso con inquietante disagio scaffali pregni di attrezzi misteriosi e dannatamente inconcepibili, con persone che li prendono sapendo del loro utilizzo. Cercavo un barattolo di pittura non una fresa per micro levigate ad una turbina atomica e ciò nonostante è mancato poco che il commesso, osservando il mio girovagare alla Rumiz, chiamasse il centro Tso per informazioni circa la scomparsa di qualche soggetto affetto da instabili amnesie. 
Stavo acquistando del coppale quando una caritatevole ragazza mi ha diretto verso la vernice lavabile. Successivamente occorrevano i pennelli e dalla quantità che ne stavo accalappiando un astante si è convinto del mio incarico al rifacimento della facciata del palazzo delle Poste. Frenando la maniacale ed incontrollata fobia negli acquisti cazzo&campana dop, ho preso un rullo e un pennello di piccole dimensioni, i teli per non sporcare, sarebbe bastato un sacchetto della spesa ed invece ne ho preso per una superficie adatta alla villa di Arcore del Puttaniere, il nastro di carta anche se ne possiedo già una collezione che Sotheby’s alla mia dipartita venderà a prezzi fantastici; le spugnette con la parte rugosa per lavare i piatti, che non c’entrano nulla ma, essendo un pluripremiato socio della Ad Minchiam Shopping, ha un suo perché intrinseco.

Secondo step: la preparazione
Dopo aver, attraverso giaculatorie antichissime, richiesto l’aiuto di Santa Berenice, sono finalmente riuscito ad aprire il barattolo di vernice, attraverso l’uso scriteriato di vari attrezzi tra cui un cacciavite, una rivettatrice e la frusta per montare il bianco d’uova, il tutto compiuto dopo essermi denudato e ansimando come  Messner mentre lascia il campo base verso la vetta del Makalu. 
Una volta davanti alla bianca pittura e avendo letto le istruzioni in maori, ho compreso che necessitavo di un qualcosa per mescolarla, provocando un fuggi fuggi dalla cucina di coltelli, forchette e cucchiai di legno. Dopo una meditazione prossima al Nirvana ho rimirato il pennello appena acquistato, tra l’altro fischiettante come se stesse facendo minzione in un bagno pubblico a Marrakech. Per evitare il nervosismo nelle successive azioni, sarebbe bastato lavarmi la faccia immergendo entrambe le mani nel barattolo, mettendo a tacere una volta per tutte la prudenza fobica attanagliante ogni movimento al fine di evitare la famigerata macchiolina su indumenti o pavimento. Ed invece, estraendo il manico del pennello dal barattolo per lavarlo, ho composto un Warhol sul pavimento, gocciolando pittura anche nella tasca dei pantaloni. 

Terzo step: la pitturazione 
La tempistica irrisoria è stata frenata dall’incapacità di immergere il rullino nel barattolo senza che, estraendolo, non si spargesse pittura a mo’ di benedizione orbi. E dire che ho sperimentato ogni movimento del polso, dalla volee alla Macarena, ma non c’è stato nulla da fare. Inoltre la pittura in eccesso formava dei mini rivoli tipici di una carta geografica dei tempi di Vasco De Gama a cui solo Giobbe non avrebbe risposto con improperi curiosissimi. Terminato il ritocco, ho iniziato impercettibilmente a fischiettare, sentendomi per un attimo un novello Sanzio ammirante il compimento della sua Scuola di Atene.

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