sabato 6 giugno 2020

Serra


La band dei quattro
di Michele Serra
L’obiettività non esiste. Esistono però una faziosità controllata, una partigianeria civile, che servono a non rendere troppo odioso, o troppo ridicolo, l’esercizio di un potere (quello del giornalista) che deve comunque dimostrare rispetto per il mondo, che è vario per definizione.
Se si organizza un dibattito come quello che mi è capitato di seguire l’altra sera su Post, presunto spazio di approfondimento del Tg2, significa che questa sorta di convenzione – una forma di educazione come tante altre – è definitivamente alle spalle.
Si può essere faziosi in totale allegria e serenità, faziosi senza scrupoli, forse addirittura senza accorgersene. Tre ospiti su tre (se non sbaglio i calcoli: il cento per cento) dicevano la stessa cosa. Uno era Flavio Briatore, un altro il capogruppo leghista Molinari, il terzo un opinionista che scrive sulla Verità. Dicevano, tutti e tre, che il governo promette soldi che non ha, che l’Europa, ah ah, è roba da matti aspettarsi qualcosa dall’Europa, che “gli italiani” (rappresentati, in toto, da loro tre) si sentono presi per i fondelli. Direbbe l’onorevole Gasparri, che da secoli sorveglia l’intero palinsesto Rai, che non c’era contraddittorio.
Ma non lo dirà, perché la storia della pagliuzza e della trave è, tra gli umani, legge universale.
Aggiungo un’aggravante. La gioviale conduttrice chiamava per nome gli ospiti (romanamente), dimostrando una certa abilità nel non confonderli, visto che dicevano tutti la stessa cosa, ma rinunciando già in partenza a quel poco di formalismo che aiuterebbe il pubblico a illudersi che i quattro non siano i membri di una band, ma persone distinte.

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