sabato 1 febbraio 2025

Torture e misfatti

 


Più che Trump e OrbÁn, Meloni segue B. e Minniti
DI DANIELA RANIERI
Molto furba Giorgia: apparecchiato il video pieno di menzogne, tutti parlano del suo “scomposto attacco alla magistratura” e pochi del merito, e cioè del perché il suo governo non ha fermato un figuro su cui pendeva una richiesta d’arresto da parte della Corte penale internazionale e lo ha riaccompagnato in Libia con un Falcon di Stato e tutti gli onori, neanche fosse l’eroe condannato per omicidio Chico Forti. Bisognerebbe ricordarlo ai suoi reggi-fandonie: “Perché non dite la verità sul generale Almasri? Cosa dobbiamo a costui?”. Invece ormai il discorso si è spostato sul tema “Giorgia orbaniana”: del resto era lei che giurò di dare la caccia ai trafficanti di migranti per tutto l’orbe terracqueo, omettendo di precisare che non parlava di quelli grandi, grossi, potenti e pericolosi.
Con la video-sceneggiata in cui sventola un finto avviso di garanzia, Meloni ha imposto all’Italia mentale un teatrino primitivo in cui gli attori antagonisti sono due: lei Meloni (coi ministri Nordio e Piantedosi e il sottosegretario Mantovano ) e i magistrati, nella persona del procuratore di Roma Lo Voi, reinventato toga rossa anche se è della corrente di destra, il quale li ha iscritti di prassi nel registro degli indagati in seguito all’esposto per favoreggiamento e peculato dell’avvocato Li Gotti, ex militante di An e dell’Msi (per Meloni: “Uno che ha difeso i mafiosi”). Ci sono figure di sfondo, nell’agone fantasy di Meloni: i giudici della Cpi all’Aia, istituita dalle Nazioni Unite nel 2002 “pensando ai milioni di bambini, donne e uomini… vittime di atrocità inimmaginabili che sconvolgono profondamente la coscienza dell’umanità”; secondo Meloni, invece, rosiconi comunisti che l’hanno voluta incastrare spiccando un mandato d’arresto per il libico solo quando costui ha messo piede in Italia. Ciò che non dicono i sottoposti di Meloni quando delirano di scontro tra politica e magistratura (che è piuttosto uno scontro tra politici e Codice penale), è che gli attori sono solo Meloni, cioè il governo con la nostra intelligence, e il capo della polizia giudiziaria libica Almasri, considerato uno stupratore e un torturatore e indicato come tale dai sopravvissuti. Dietro a lui, ovviamente, il governo libico.
Il rapporto perverso con la Libia dipende dal cosiddetto Memorandum Italia-Libia firmato dal ministro del Pd Minniti (governo Gentiloni, 2017), che consiste nel lasciare che dei criminali torturino donne e bambini dietro corresponsione di nostro denaro pur di non farli partire verso le nostre coste. Non è venuto in mente né a Orbán né a Trump, è tutto made in Italy. Questo non fa comodo ricordarlo a Meloni, che vuole passare come colei che difende i confini della Nazione lottando contro gli stessi pm che hanno incriminato Salvini.
Lo ha fatto notare a Piazzapulita Silvia Albano, presidente di Magistratura democratica, commentando il video in cui Meloni si scaglia contro i “giudici che in pratica vogliono governare”: “È un’arma di distrazione di massa; noi non abbiamo dato esecuzione a un ordine d’arresto della Cpi per crimini gravissimi contro l’umanità e abbiamo violato i nostri obblighi”. Perciò l’atto del pm era dovuto e non “voluto”, come dicono Meloni e i suoi spiritosi servi. Meloni coi suoi ministri Nordio e Piantedosi ha istituito la prassi di secretare tutti gli atti sensibili del governo: si pensi all’arresto dell’iraniano Abedini, quando ha negato fino all’ultimo di aver concordato uno scambio con l’Iran per la nostra connazionale Sala salvo poi farlo scarcerare da Nordio 5 giorni dopo. Albano si sorprende per la decisione del governo di ricorrere alla Corte d’Appello sorpassando le “toghe rosse” di primo grado, e dice che in tanti anni di carriera non aveva mai visto una cosa del genere. In realtà non è “un unicum”: 2002, i legali di Previti e Berlusconi chiedono alla Cassazione di spostare i loro processi a Brescia perché a Milano, dicono, l’intero tribunale è prevenuto nei loro confronti. I berlusconiani la chiamano “legittima suspicione” ed emanano la legge Cirami; 2008, il governo B. approva il lodo Alfano: si sospendono sine die i processi ai presidenti della Repubblica, della Camera, del Senato e del Consiglio; 2010, si inventano il “legittimo impedimento”: il PdC e i ministri possono non presentarsi alle udienze per 6-18 mesi. Senza nominare la separazione delle carriere, battaglia proseguita dalla giovane allieva.
“Il problema è che se io sbaglio gli italiani mi mandano a casa, se loro (i magistrati, ndr) sbagliano nessuno può fare o dire niente”, dice Meloni, il che, oltre a essere falso (la legge prevede la responsabilità civile dei magistrati e la risarcibilità del danno ingiusto), non c’entra palesemente niente con l’affare Almasri. Meloni ama incarnare la feroce vestale del nuovo corso sovranista trumpiano (la pacchia è finita), ma è solo la versione terminale di Minniti e di Berlusconi.

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