Giù le armi. La prima causa di fame al mondo sono le guerre
DI BARBARA NAPPINI*
In Ucraina, oggi, più di 7 milioni di persone vivono in condizioni di insicurezza alimentare, per via dell’inflazione, dell’impossibilità di coltivare i campi disseminati di mine e per mancanza di mano d’opera. La Russia, terzo maggiore produttore di grano dopo Cina e India, l’anno scorso ha visto la sua produzione di derrate vegetali crollare del 14%. In Sudan, altro scenario di guerra, ben 17,7 milioni di persone sono in uno stato di grave insicurezza alimentare. L’esercito israeliano è responsabile di ben 8.660 ettari di terreno agricolo palestinese devastato: frutteti, oliveti, campi di ortaggi e cereali.
In Italia la spesa militare complessiva per il 2025 è di 31,2 miliardi: l’aumento decennale in termini assoluti è stato pari al 61%. Una ricerca tedesca ha studiato il prezzo della fame nel mondo: debellarla entro il 2030 costerebbe circa 280 miliardi di euro. Una cifra ridicola rispetto alla spesa militare globale quotidiana: 6,7 miliardi. In 50 giorni di pace globale avremmo quel valore.
Abbiamo una trave nel piatto, anzi un kalashnikov: la guerra è infatti la prima causa di fame al mondo. Lo scorso anno i conflitti armati hanno trascinato 135 milioni di persone in più verso la fame. Il futuro è quantomai incerto perché viviamo una fase nella quale il potere è frammentato: una sorta di sistema anarchico confuso e rischioso, un nuovo medioevo. E nonostante la dirompente innovazione istituzionale che ha rappresentato l’Europa, oggi essa stessa e la democrazia che incarna, sono messe in discussione, anche a mezzo guerra: i conflitti sono infatti oggi utilizzati per creare instabilità, non stabilità. D’altronde la democrazia è complessità e la semplificazione ne è la prima crepa.
Il ritorno alle logiche di forza, all’imperialismo, una cultura marziale diffusa e disinvolta, sono una preoccupante deriva della semplificazione. Il multilateralismo ha prodotto accordi, carte d’intenti, regole che non hanno funzionato perfettamente, ma che esistono ed esprimono valori. Non saranno i singoli Stati a poter affrontare una crisi tanto trasversale, ma federazioni di Stati forse sì, l’Europa sì: se sarà capace di immaginare un’idea di mondo – senza guerra, né fame – e trasformarlo in concretezza.
*Presidente Slow Food Italia
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