Nuove mode Mercatini e co-housing: quanto è trendy la povertà organizzata
DI ALESSANDRO ROBECCHI
In un’ipotetica caccia all’ideologico quotidiano, anche quello subliminale e/o involontario, mi ha colpito un titolo: “Dormire in auto? Sì, ma con grande classe” (La Stampa). Pare che le case automobilistiche stiano attrezzando le auto “per il tempo libero”, cioè (traduco dal marketing all’italiano) caricandole di accessori, materassi e fornelletti. L’industria quindi coglie – mascherandolo da leisure e svago – un bisogno profondo del popolo. Il quale popolo, in centinaia di video sui social, si affanna per spiegare come sistemare la biancheria in una Panda, o dormire in una Ford Fiesta del 2001, o lavarsi al bar e presentarsi in ufficio come se si venisse da casa. Come dire: cominciate a abituarvi all’idea.
Se il segnale di incoraggiamento alla povertà organizzata vi sembra flebile (lo capisco, anch’io vorrei la Rolls Royce con il set da picnic che nemmeno il Re Sole), potete rivolgervi al profluvio di osanna che circondano il fenomeno della coabitazione, che detto così è brutto, e allora diremo co-housing. Il “Fenomeno del momento”, la “Nuova tendenza”, che nel rumore di fondo dell’informazione diventa quasi: “Che figata!”, e che consiste nel vivere con qualcun altro, quindi dividere le spese, quindi diciamo conquistare, dopo trent’anni di salari bloccati, il lusso di vivere come tuo nonno nel dopoguerra.
Dietro la vernicetta glamour della modernità (wow! Un co-housing con rubinetti d’oro a due passi dalla Bocconi!) c’è acquattata la realtà: milioni di italiani che alla mattina fanno la fila per il bagno, e che negli “spazi comuni” non incontrano l’architetto di grido o lo studente ipersolvente, ma il coinquilino figlio di puttana che ha mangiato il tuo ultimo yogurt. Insomma, la tendenza è chiara da tempo: rendere affascinanti, moderne e sexy, dinamiche sociali che sono invece indotte dalla povertà. Secondo una recente ricerca della Fondazione Feltrinelli, per dirne una, gli under 40 italiani sarebbero ormai orientati verso la coabitazione “fluida”, cioè cercare casa con qualcuno che non conosci perché una casa tua non te la puoi permettere.
Il racconto ideologico quotidiano, martellante, di come convivere con la povertà indice di modernità e progresso è un vero e proprio format, e lo confermano anche gli entusiasmi irrefrenabili per l’abbigliamento usato. “Il boom dei mercatini!”, “Le occasioni da non perdere!”, è tutto un florilegio di quanto sia fico scovare il corsetto della nonna o vecchi pantaloni da lavoro vintage, che figata! Che affarone! Poi c’è il popolo – fuori dalle pagine patinate e dalle lezioni di vita “alternativa” e “semplice” – che fa i conti della serva. Secondo una ricerca Confesercenti, nel 2024 il 50 per cento degli italiani ha comprato abiti usati. Dai siti modaioli ai mercatini di quartiere, un altro segnale che si è poveri assai, anche se questo fatto di comprare roba usata passa spesso per “tendenza di costume” e sciccheria borghese. Chissà che le nuove frontiere non impongano mode più innovative. Tipo: tu mangi a pranzo e il tuo coinquilino a cena. Tu dormi di giorno e quell’altro di notte, così ottimizzate gli spazi e avete il co-dreamin’, un’altra “Nuova frontiera”, un altro “Fenomeno del momento”. Colpiscono i toni entusiasti, gli accenti messi sulla condivisione, sull’ottimizzazione, lotta allo spreco e ritorno alla semplicità, una specie di “sostenibilità” dell’essere sfigati. Insomma una propaganda sottile e perpetua, fascinosa e instagrammabile, per abituarci all’idea che diventare poveri non è poi così male.
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