Dai migranti al Reddito di cittadinanza: i nuovi indifferenti
PIAGA SENZA TEMPO - Sia Dante sia il filosofo politico criticano coloro che non si schierano: lezione valida anche oggi su questioni che interessano tutta la società come migranti, guerra, giustizia e vengono lasciate in mano a pochi
di Luca Sommi
“Odio gli indifferenti!”, scriveva Antonio Gramsci, “vivere vuol dire essere partigiani”. E ancora: “Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti”.
Sono parole del 1917 ma che, rileggendole, vanno bene anche oggi. Ma chi sono, oggi, questi indifferenti? Forse coloro che non votano “perché tanto non cambia niente”; forse coloro che non partecipano alla vita sociale e politica “perché tanto non cambia niente”; forse sono coloro che non si indignano – sì, proprio così, indignano – quando affonda una barca carica di anime disperate “perché se non fossero partiti…”; forse sono coloro che se tolgono un reddito a chi non ha niente sorridono “perché stavano tutto il giorno sul divano”; ma forse sono anche coloro che se incontrano un uomo o una donna riversi al suolo non si fermano “perché chissà chi è”; o coloro che non ripudiano (versione rafforzata di “rifiutare”, presente nella nostra Costituzione) la guerra in ogni sua forma e, anzi, la dichiarano dal loro divano “perché esistono guerre giuste”; forse sono coloro che di fronte a parole come “etica”, “morale”, “libero arbitrio”, “coscienza critica” fanno spallucce “perché non so neanche cosa significhino”; forse sono coloro che di fronte a uno schifo di riforma della giustizia, che punisce i deboli e aiuta i potenti, non reagiscono “perché non è vero”. E potremmo andare avanti all’infinito. Per questo è importante rileggere le parole di Antonio Gramsci, un uomo che ha dato la vita per la libertà, libertà “da” e libertà “per”. Sentite: “L’indifferenza è il peso morto della Storia. L’indifferenza opera potentemente nella Storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti. È la materia bruta che si ribella all’intelligenza e la strozza”. Gramsci parla di assenteismo come forma di indifferenza e dei tanti “fatti della vita sociale che maturano nell’ombra”, in poche mani, non sorvegliate da nessun controllo. Mani che tessono – diceva lui – la tela della vita collettiva e che “la massa ignora, perché non se ne preoccupa”. E quindi sembra che sia la fatalità a travolgere tutto, sembra che la Storia sia alla stregua di un fenomeno naturale – sarebbe accaduto ugualmente… – come un’eruzione, un terremoto. “E alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch’io fatto il mio dovere sarebbe successo ciò che è successo? Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza”. Parole giuste, parole attualissime, che mettono in risalto coloro che non hanno dato braccia a quegli altri che, per evitare un disastro, “combattevano”. Perché se è vero (come è vero) che un politico è grande in misura della sua forza di previsione, allora possiamo dire ce ne sono pochi, pochissimi, di politici come li intendeva lui. Però questo non deve essere una scusa. Come non deve esserla quella di non andare a votare o evadere le tasse perché le cose non vanno come vorremmo. È vero che, come diceva un grande economista inglese come William Beveridge, il patto sociale tra cittadino e istituzioni si rompe qualora a fronte del pagamento delle tasse lo Stato non riesce a sollevare i cittadini dalle paure. Che tradotto significa: un letto d’ospedale se sto male, l’istruzione a mio figlio, la sicurezza quando cammino per strada, un ammortizzatore sociale se perdo il lavoro, e via dicendo. Come dire: se accade questo mi sento in diritto di non pagare le tasse. No, non funziona così. Questo, anzi, è l’inizio dell’indifferenza, l’inizio delle fine. E non è una giustificazione neanche la demagogia imperante, molto praticata dalla politica, “sgambetti logici – li descriveva Gramsci – per apparire nel vero, che falsano scientemente i fatti per apparire i trionfatori, che per ubriacarsi della vittoria di un istante sono insinceri o affrettati”. Lo abbiamo visto durante il Covid, politici pronti a tutto per una manciata di consensi, come condannare chi seguiva le regole, chi ascoltava la comunità scientifica – e chi altri avremmo dovuto ascoltare? Ecco ancora Gramsci: “Gli ospedali, che dovrebbero essere il concretarsi organico della piena collettività, sono lasciati in balìa di gente irresponsabile” e l’assistenza “che è un diritto, diventa un regalo, una umiliante carità che si può fare e non si può fare. E nessuno controlla”. Gli indifferenti, appunto, che esistono da sempre. Sentite come li descrive Dante nella Commedia: non li mette neanche all’Inferno, perché non sono degni neanche di quello. Gli ignavi, coloro / che vissero senza n’nfamia e senza lodo, dice Virgilio al poeta. Quelli che in vita non hanno mai preso posizione, che non furono né ribelli né fedeli a Dio. E perché non lo meritano? Per non dare gloria, dice Virgilio, agli altri dannati che al confronto con loro, di qualsiasi malefatta si siano macchiati, sentirebbero la loro superiorità per il solo fatto di aver compiuto scelte, anche se sbagliate: Caccianli i ciel per non esser men belli, / né lo profondo inferno li riceve, / ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli. Traduciamo: i cieli li cacciarono per non perdere bellezza, né l’Inferno li accoglie nelle sue profondità, poiché i dannati potrebbero ricevere gloria dalla loro presenza.
Insomma, gli indifferenti di cui parla Gramsci. Tanto che la guida latina usa parole sprezzanti ormai celebri: non ragioniam di lor, ma guarda e passa. Non sono degni di nessuna nota. E sentite la pena che devono scontare per il fatto di non aver mai preso posizione, tanto da spiacere a Dio quanto al Diavolo: sono tormentati da continue punture di vespe e mosconi, che rendono il loro viso una maschera di sangue. Sangue che quando cade a terra è mischiato alle loro lacrime e viene raccolto da vermi ripugnanti. Era il Quattordicesimo secolo. Evidentemente gli indifferenti erano una piaga anche allora.
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