giovedì 9 marzo 2023

L'Amaca

 

L’importanza di chiamarsi vip

DI MICHELE SERRA

Leggo di incresciosi fatti di cronaca in una “palestra dei vip” e mi domando quali attributi — architettonici, igienici, ginnici — distinguano le palestre dei vip da quelle normali. Mi ero fatto la stessa domanda pochi giorni fa alla notizia che un “dentista dei vip” era nei guai: che trapano userà, su quali poltrone favolose farà sedere i pazienti, e quale camice indosserà mai, un dentista dei vip?
Anche quando andò in fiamme, a Milano, “il condominio dei vip”, un onesto grattacielo di periferia, fermai la macchina — giuro — nelle vicinanze per valutare l’imponente sagomatura dell’edificio, le lussuose rifiniture e il circostante splendore: senza trovarne traccia.
Il termine vip (acronimo divery important person) si diffuse ormai mezzo secolo fa.
E nonostante sia una paroletta al tempo stesso scema e classista, o forse proprio per questo, ebbe un travolgente e durevole successo giornalistico. La categoria, in origine, comprendeva star del cinema, cantanti, volti della televisione, principesse, playboy e miliardari celebri.
Il cosiddetto jet-set. Via via ha inglobato anche miliardari non celebri, concorrenti di reality show (anche quelli eliminati dopo un quarto d’ora), influencer, fidanzate di calciatori, ballerini di TikTok, cani eroi, chiunque sia riuscito a ritagliarsi i suoi dieci minuti non di celebrità, come si suole dire distrattamente, ma di esistenza pubblica, che è tutt’altra cosa.
Propongo una via d’uscita. Si decida una buona volta che, grazie al prodigioso evolversi dei media, e specialmente dei social, tutti sono vip. Così che qualunque palestra, qualunque dentista, qualunque condominio sia “dei vip”. Fino a rendere, piano piano, inutile specificarlo.

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