Clara Mattei: “L’austerità serve a rendere i lavoratori docili e ricattabili”
L'ECONOMISTA - “Non ha a che fare coi conti in ordine, è una scelta politica: dare ai pochi, togliere a molti”
di Marco Palombi
La sanità collassa, salari e pensioni non si sentono tanto bene e l’intero sistema, per la verità, pare incapace di tener fede al patto sociale. Secondo Clara Mattei, economista italiana della New School for Social Research di New York (e collaboratrice del Fatto), non è un caso, ma l’esito voluto di quelle precise scelte politiche che vanno sotto il nome di “austerità” (Operazione austerità, Einaudi, è un suo bel libro del 2022): “I tagli alla sanità, che sono iniziati molti anni fa, vanno insieme a quelli sulla scuola, ai tagli alla spesa sociale come quello al Reddito di cittadinanza in Italia: l’austerità è una piattaforma politica e la sua logica non è tanto, o solo, tagliare la spesa, quanto spostarla da beni che interessano la maggior parte dei cittadini, specie i più poveri, ai settori in cui possono trasformarsi in guadagno per pochi, Ad esempio, per restare all’oggi, finanziando la difesa o la guerra”.
Eppure col Covid pareva che tutti avessero capito l’importanza di un servizio sanitario efficiente e radicato nel territorio.
Infatti o siamo tutti scemi o c’è una logica superiore di funzionamento del sistema: meno sanità pubblica significa più sanità privata, significa maggiore dipendenza dal mercato e dunque minore capacità di leva dei lavoratori rispetto alle imprese. L’austerità serve a silenziare le persone: a impoverirle e renderle docili.
Altro tema d’elezione degli “austeriani” sono le pensioni: la Francia, però, scende in piazza da settimane contro l’aumento dell’età pensionabile.
Ecco, l’ossessione per le pensioni dimostra ancora una volta quanto l’austerità sia strettamente collegata ai rapporti di forza nel mondo del lavoro. Certo, ogni tanto ci sono proteste come in Francia, però sono sempre azioni di difesa, per non farsi togliere qualcosa che si era conquistato anni fa, mai per chiedere qualcosa in più. E non è che manchino le cose da chiedere…
Anche in Inghilterra ci sono stati molti scioperi contro il caro-vita: se non altro il sistema è in crisi di consenso.
Un’inflazione così alta è destabilizzante, anche perché le persone s’arrabbiano. La priorità allora diventa imbavagliare il dissenso: in questa fase a disciplinare i lavoratori ci stanno pensando le Banche centrali con gli aumenti dei tassi che – negli Usa lo dicono esplicitamente – servono ad aumentare la disoccupazione. Ma attenzione, austerità monetaria, fiscale e nelle politiche industriali e del lavoro sono un pacchetto unico, vanno sempre di pari passo.
Ma l’inflazione, direbbe il banchiere centrale, è un problema per tutti.
Intanto va capita una cosa. Non ci sono problemi economici che non siano problemi politici. L’inflazione, secondo i modelli teorici degli economisti delle banche centrali, si abbassa solo impedendo alla gran parte della popolazione (quella meno abbiente o povera) di consumare, mai intaccando i profitti: come si vede, una politica esplicitamente classista mascherata da soluzione tecnica super partes.
C’è un fatto strano: l’austerità dovrebbe migliorare i bilanci pubblici, ma finisce sempre per peggiorarli.
Perché non serve a quello, ma a spostare risorse dai molti ai pochi, lasciando che i primi siano sempre più dipendenti dal mercato.
Com’è possibile, allora, che giri da cent’anni?
La retorica dell’austerità funziona perché è simile al senso comune: risparmiare, non vivere al di sopra dei propri mezzi… In realtà, come qualcuno avrà capito negli anni del Covid, il vero problema non è se i soldi ci siano o no: ci sono sempre quando servono per alimentare i profitti di pochi, mai quando servono per tutti gli altri perché il punto è non emancipare le persone, non metterle nella condizione di non farsi sfruttare o di pensare che le cose possano andare in un’altra maniera. Non si può lasciare che i lavoratori mettano in discussione l’economia di mercato.
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