Quelle gambe al quadrato che portarono in Italia
la rivoluzione dell'eros
DI MICHELE SERRA
La loro apparizione negli anni sessanta fu un cambio d' epoca, come se in pieno bianco e nero si potesse presagire un mondo a colori
Per capire la consacrazione quasi mitologica delle gemelle Kessler nell'Italia degli anni Sessanta, bisogna risalire a ritroso le ere geologiche. Come se dovessimo spiegare agli animali nel neozoico come erano quelli del cenozoico. Era l'Italia dei nostri genitori e nonni (per i nati nel terzo millennio: l'Italia dei bisnonni, ancora viventi i trisnonni). Si tratta, dopotutto, solo di tre o quattro generazioni. Ma era una società così radicalmente diversa, nel bene e nel male, da quella odierna, che per raccontarla non si sa da che parte cominciare.
Proviamo a partire da un dato antropologico: l'altezza media degli italiani maschi, nel 1960, era intorno al metro e sessantotto. Alice e Ellen erano dieci centimetri più alte: uno e settantotto. Ammirarle dal basso in alto non era dunque solo il pregiudizio culturale di un popolo latino, cattolico, oserei dire piuttosto represso. Era una circostanza fattuale: le Kessler erano parecchio più alte della media dei maschi italiani.
Al cinema, nei caffè, davanti ai juke-box dei litorali, mentre il boom economico allargava le prospettive e moltiplicava le aspettative, il mito erotico incontrastato erano "le svedesi", nome generico per indicare il femminile nordico: laddove, nell'immaginario popolare, le femmine da sognare erano tutte alte, bionde e libere (vedi Il Diavolo, con Alberto Sordi, che è del 1963).
Quando arrivarono le Kessler, con le loro gambe lunghe, gambe al quadrato, fu come se quella sognata libertà battesse un colpo. Era un Crazy Horse molto castigato, in versione domestica e democristiana, buono per le famiglie, non sovversivo: però, che diamine, le gambe erano davvero lunghe e si vedevano fino all'inguine, anche se tutto era fasciato e inguainato per benino: e nelle case degli italiani non era, quel vedere, qualcosa che potesse passare inosservato. Era un cambio d'epoca, come se in pieno bianco e nero si potesse presagire un mondo a colori, come già il cinema – non la televisione – sapeva offrire.
Quando le Kessler conquistano l'Italia, mancano quasi dieci anni alla legge sul divorzio, tredici al referendum che quella legge mette in salvo, diciassette alla legge che legalizza l'interruzione della gravidanza. L'adulterio è ancora un reato e il delitto d'onore riconosce il tradimento della moglie come un'attenuante. La rivoluzione sessuale, vera o presunta che sia, è ancora lontana, niente può ancora far presagire che l'Italia possa e voglia sentirsi "moderna" al punto di scrollarsi di dosso il suo timor panico per tutto ciò che non è "famiglia tradizionale".
La minigonna che Mary Quant battezzerà a Londra nel 1965 viene raccontata sui media nazionali come una clamorosa provocazione, tal quale (pochi anni dopo) la moda del topless sulle spiagge. A mostrare le gambe, dal '65 in poi, non saranno solo le ballerine, licenziose per luogo comune ("scappare con una ballerina", o con una sciantosa, quando ero bambino, era tra gli adulti una comune definizione della perdita di controllo del bravo padre di famiglia).
A mostrare le gambe, dalla seconda metà dei Sessanta in poi, sono le ragazze, le studentesse, le figlie di famiglia, le donne contente di esserlo liberamente: prima di loro, bisogna considerare che la licenza di mostrare le gambe era concessa solamente a certe artiste, e per ragioni artistiche. Che le gambe delle Kessler, legalizzate per onore di palcoscenico, potessero essere l'antipasto di una rivoluzione sociale e popolare, chi poteva immaginarlo?
Infine passiamo al dato mediatico (forse il più rilevante?). Le Kessler debuttano a Giardino d'inverno nel gennaio del '61, e approdano al fastoso sabato sera della Rai, Studio uno, nel successivo ottobre. È sbagliato dire: su Rai uno. Perché la Rai era l'unica rete televisiva italiana. Rai due, il secondo canale, comincia le trasmissioni nel novembre del '61, e dunque le Kessler vanno in onda, nel momento del loro clamoroso debutto, nell'unico canale televisivo esistente in Italia.
Se pensiamo al successivo, febbrile (e inevitabile) sgretolarsi della televisione – della visione pubblica in generale – in dieci, cento, mille rivoli, fino all'attuale auto-palinsesto che pay tivù e piattaforme varie possono consentire, possiamo capire quale potenza incontrastata, e oggi inconcepibile, avesse la Rai negli anni Sessanta. Decidere di mandare in onda qualcosa o qualcuno, negli anni Sessanta, equivaleva a orientare in modo oggi inimmaginabile i gusti e la sensibilità di un intero popolo.
Questo ci porta a dire che, volenti o nolenti, gli allora gestori dell'unico canale televisivo pubblico italiano, ben coscienti di essere monopolisti incontrastati dello sguardo popolare, decisero che le gambe delle donne non potevano più essere oscurate. Da censori diventarono complici, sebbene involontari, dell'eros. Oppure, se preferite: tra eros e censura, la spunta sempre il primo.
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