La volpe è nel pollaio
di Michele Serra
La scalata di Netflix a Warner Bros, non ancora ratificata, sembra fatta apposta per farci capire se nel capitalismo del terzo millennio l’antitrust e la lotta ai monopoli sia ancora un fattore attivo oppure solo un cascame novecentesco. Ovvero se il capitalismo sia ancora disposto ad ammettere regole o non ne conosca al di fuori della legge del più forte che fagocita il più debole.
Vedremo come si pronunceranno in proposito gli enti regolatori degli Stati Uniti – ammesso che Trump non ficchi pure loro, a male parole, nel novero degli enti inutili che si impicciano di cose che non li riguardano. Nell’attesa, fa una certa impressione ricordare che, nei dintorni della caduta del Muro e del disastro dell’economia pianificata di Stato, legioni di ottimisti pronosticarono che il trionfo mondiale del liberismo (allora in piena sintonia con la globalizzazione) avrebbe prodotto, a pioggia, un contagio virtuoso, e un moltiplicarsi febbrile dello spirito imprenditoriale. Fu la stagione (breve) degli yuppies, degli impiegatini che si atteggiavano a manager, in uno sforzo simulatorio di “capitalismo popolare” che si rivelò ben presto, anche prima della grande crisi del 2008, molto differente da quanto promesso, o ingenuamente immaginato.
Il rattrappirsi del ceto medio, la crescita vertiginosa degli oligopoli della tecnologia e della distribuzione commerciale, sono invece lo sbocco visibile e tangibile del neoliberismo: e non assomigliano alle premesse dei suoi propagandisti di allora. L’idea di un possibile quasi-monopolio anche nella produzione dell’immaginario sorprende, dunque, quanto scoprire che la volpe è entrata nel pollaio. Ci era già entrata da un bel pezzo.
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