Il problema della bellezza
di Michele Serra
Volendo (ma anche non volendo) questa qualità — una bellezza quasi unica — che rende secondarie tutte le altre, è una condanna, una restrizione. E certo, dipende anche dal peso che lo sguardo maschile ha sempre avuto nelle cose del mondo.
Ma non può sfuggire ad alcuna, ad alcuno, che la bellezza di Bardot non era solo una condanna: era un potere formidabile, travolgente, impossibile da contenere, domare, possedere. E in quanto sottratto al merito, allo studio, all’intelligenza, era un potere sorgivo, naturale, diciamo immeritato, che annichilisce ogni altro criterio. E mette in difficoltà ogni giudizio.
L’altro grande sex symbol femminile del Novecento, Marilyn Monroe, non resse quel potere, forse lo odiava, forse era troppo intelligente, forse troppo sensibile per accettare che l’eros fosse il solo criterio per eccellere (non per caso, Monroe fu anche una brava attrice).
Bardot era il suo contrario, cavalcò la tigre della sua bellezza con leggerezza, con spavalderia. Diventò simbolo di un dongiovannismo femminile che non poteva non spaventare gli uomini. Chi voglia mai tentare un grande sunto della rivoluzione sessuale del Novecento, non potrà non dedicare un capitolo a Bardot.
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