giovedì 11 dicembre 2025

L'Amaca

 

Com’è antica la guerra
di Michele Serra
Le foto aeree di Gaza mostrano una distruzione quasi totale. Metro per metro, un annientamento che si estende oltre l’orizzonte. Una visione da evo antico, quando la presa di una città spesso valeva la sua cancellazione fisica, così che i superstiti non potessero fare altro che andarsene. Molte città (una per tutte, Venezia) sono state fondate da profughi in fuga dagli invasori, ma non risulta che per i gazawi questo sbocco sia verosimile. Rimangono lì, sulle loro macerie, con tende e materassi piazzati laddove c’erano muri, pavimenti, cucine, mobili. In una condizione primordiale: primordiale come la distruzione e come la tenacia della vita.
I discorsi sulle guerre a noi contemporanee sono intrisi di tecnologia, i droni, l’intelligence, la sofisticazione dei sistemi di difesa e di offesa. A cose fatte, però, ci sono montagne di cadaveri sotto montagne di macerie, come dall’alba dei tempi, i villaggi che bruciano, le città distrutte, la cenere e la polvere che assorbono e calcificano la carne e il sangue.
La vera opposizione ideale alla mostruosa riqualificazione di Gaza come resort turistico sarebbe lasciarla tale e quale, una specie di enorme museo a cielo aperto della guerra. Da visitare con le scolaresche in fila indiana, chilometri nel nulla, una città sbriciolata. È un’ipotesi puramente teorica, l’impulso umano a ricostruire e ricominciare a vivere è incontenibile. E alla rimozione delle macerie si somma, come è normale, la rimozione del dolore, perché la vita deve continuare. Ma quasi dispiace che una testimonianza così precisa e lampante del potere di distruzione degli uomini possa scomparire. Un museo fatto solo di quelle foto e di quelle macerie basterebbe a fare di Gaza (come Leningrado, come Dresda, come Hiroshima) una città simbolo.

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