Ue: niente bando per i Pfas: “Indispensabili per le armi”
DI NICOLA BORZI
Fermare la produzione dei Pfas, 4.700 composti chimici “eterni” e cancerogeni che solo in Europa hanno già contaminato oltre 23 mila siti industriali e avvelenato l’acqua usata da 12,5 milioni di cittadini, 350 mila dei quali in Veneto a valle della Miteni? Meglio di no, dice uno studio commissionato dal Parlamento Ue e pubblicato nei giorni scorsi: perché “i Pfas sono insostituibili per l’industria delle armi e dei chip”. Nel dibattito sull’ambiente arriva così un parere “autorevole” per il quale la tutela della salute pubblica deve passare in secondo piano “a causa della crescente insicurezza geopolitica globale e della possibilità di notevoli interruzioni delle catene di approvvigionamento”. Lo ha messo nero su bianco l’ufficio studi dell’Europarlamento (Eprs) in un rapporto richiesto dalla Commissione per l’industria, la ricerca e l’energia (Itre). Eppure in un altro rapporto del gennaio 2024 l’Agenzia europea per l’ambiente stimava che l’inquinamento da Pfas da decenni ammala di ipertensione e problemi respiratori, causa lieve ritardo mentale nei bambini e uccide ogni anno migliaia di persone in tutta la Ue provocando cancro ai reni e ai testicoli.
Nel rapporto I Pfas e il loro ruolo come fattori abilitanti per la competitività dell’industria europea, la Direzione generale industria della Commissione Ue sostiene che la messa al bando o la limitazione delle sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche (i Pfas, appunto) colpirebbe almeno circa 39 mila imprese europee, di cui il 90% costituito da Pmi, e oltre 2,9 milioni di lavoratori, causando un costo di 570 miliardi solo nel primo anno dell’applicazione di eventuali misure. Sul fronte sanitario, invece, un’analisi del 2019 stimava che l’impatto dell’esposizione ai Pfas costa alla Sanità dei Paesi europei tra i 52 e gli 84 miliardi l’anno, non pagati dalle aziende inquinanti ma dai cittadini e dai contribuenti.
Ma nelle proposte finali dello studio della Direzione generale industria all’Europarlamento la salute passa in secondo piano. L’analisi del think tank comunitario consiglia la deroga a tempo illimitato, da rivedere ogni 10-15 anni, per i Pfas usati nelle applicazioni aerospaziali “data la mancanza di alternative disponibili”, una deroga a tempo indeterminato per i Pfas impiegati per il settore della Difesa “a causa della crescente insicurezza geopolitica globale e della possibilità di notevoli interruzioni delle catene di approvvigionamento”, infine una deroga permanente per i Pfas adoperati nel settore dei semiconduttori prodotti nella Ue. Perché? Secondo lo studio, la ragione sta nel fatto che “la sostituzione è spesso irrealizzabile, in particolare in questi settori. Tutte le opzioni di restrizione dei Pfas prevedono perdite economiche e ripercussioni occupazionali ingenti, con rischi per la competitività globale dell’Europa”. Lo studio raccomanda così “deroghe permanenti o a lungo termine per i settori critici, estendendo i periodi di transizione per le tecnologie verdi ed escludendo i gas fluorurati dalla restrizione”, raccomanda “ulteriori ricerche e un fondo per l’innovazione per sviluppare alternative” e “propone un approccio equilibrato” (qualsiasi cosa significhi) “che protegga l’ambiente preservando al contempo la forza industriale e tecnologica”. Secondo l’analisi, un divieto totale di queste sostanze chimiche sarebbe l’opzione più costosa e potrebbe comportare costi di almeno 562,8 miliardi nel primo anno, con costi annuali successivi pari ad almeno 72,8 miliardi. Una deroga a tempo limitato potrebbe essere appena meno costosa.
La ricerca sostiene che nelle applicazioni aerospaziali c’è “la mancanza di alternative disponibili” ai Pfas, che garantiscono “la sicurezza degli aeromobili per i passeggeri”. Per quanto attiene all’industria delle armi, l’analisi suggerisce “uno studio su larga scala della catena di approvvigionamento chimica del settore della difesa per identificare più specificamente quali Pfas vengono usati e dove nel settore” e raccomanda “iniziative più collaborative tra le autorità europee e il settore della difesa per sostituire gradualmente e con attenzione sostanze e materiali indesiderati, in modo da garantire la sicurezza europea”. Quanto al settore dei seminconduttori, la ricerca propone “una deroga permanente per i Pfas” perché “senza semiconduttori, l’economia digitale europea si fermerà”. Lo studio suggerisce “l’elaborazione di un quadro normativo dedicato alle sostanze chimiche per i semiconduttori nell’ambito del Chips Act europeo”, “la ricerca di tecnologie di produzione alternative”, mentre “nel frattempo un nuovo flusso di finanziamenti nel Chips Act potrebbe consentire l’adozione delle più recenti tecnologie di abbattimento per garantire rigorosi controlli delle emissioni di Pfas”.
Insomma, per la Ue i Pfas sono insostituibili, nonostante sia dimostrata la correlazione tra il loro inquinamento e diversi tipi di cancro, malattie della tiroide, disfunzioni immunitarie e ormonali. Oltretutto, la diffusione nell’aria e nell’acqua di questi inquinanti è ormai globale e spesso irrimediabile, perché alcune di queste sostanze non possono essere eliminate in nessun modo. Nel 2019 i costi di risanamento delle aree più compromesse dai Pfas in 32 Paesi europei furono stimati sino a 170 miliardi di euro. Ma i bisogni della Difesa pare vengano prima di tutto.
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