Un reato per comitive
di Michele Serra
Che caso è, il caso Epstein? Più si leggono le cronache relative, più si rischia di perdere cognizione dell’accaduto. L’unica certezza è che un numero notevole di donne, anche minorenni, sostiene di essere stato abusato, lungo gli anni, da uomini in media ricchi e potenti: come spesso accade in luoghi e ambienti dove il denaro non teme limiti e non riconosce regole.
Su quella base, che ha un’evidente rilevanza etica e giudiziaria, si è poi accumulata come una smisurata muffa una montagna di illazioni, voci, gossip, sospetti, ricatti politici incrociati il cui risultato è una confusione totale e indistricabile: come si dice a Roma, la si è buttata in caciara.
E così da un lato colpe e reati, violenza e dolore, quasi scompaiono dentro quel blob infetto; dall’altro lato (come è capitato a un ignaro opinionista del New York Times) essere stati fotografati a una cena con sessanta persone, una delle quali era Epstein, vale l’inclusione nei cosiddetti Epstein Files.
Che tu sia un violatore di minorenni o uno che ha incontrato Epstein da amici comuni o uno che lo frequentava, sì, ma non per approfittare dei suoi servigi sessuali, cambia moltissimo, ovviamente. Ma quali e quante di queste differenze risultano nitide, comprensibili, quando leggi un lunghissimo elenco di nomi tutti intruppati, tutti ficcati nello stesso sacco?
E se è vero che leggere un articolo per intero è diventato un sacrificio mostruoso per i neuroni dei contemporanei, quanti si fermeranno al titolo, dunque del caso Epstein terranno a mente solamente un elenco di nomi? E i veri colpevoli, quanto saranno sollevati dalla trasformazione di un reato individuale in una specie di reato per comitive? E le vere vittime, quanto abbandonate a se stesse?
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