sabato 6 dicembre 2025

Corrispondenza

 

Giovedì scorso Antonio Padellaro aveva scritto:

Su Albanese il Pd avvitato nell’ipocrisia
DI ANTONIO PADELLARO
Lasciar perdere la cittadinanza onoraria, ma limitarsi a esprimere solidarietà alla Palestina e alla Relatrice speciale dell’Onu per i territori palestinesi dopo le sanzioni americane. L’esilarante “punto di caduta” escogitato dalla maggioranza di Palazzo Vecchio a Firenze (Pd e Avs) sulla onorificenza negata a Francesca Albanese la dice tutta sul costante testacoda della classe politica dem (e affini). Che come certi ragazzini viziati vuole sempre averla vinta e se non ci riesce si porta via il pallone.
Il caso è noto: Albanese pur condannando l’assalto a Torino della squadraccia ProPal con devastazione della redazione de La Stampa lo ha definito, con espressione sconsiderata, un “monito” ai giornalisti “perché tornino a fare il proprio lavoro”. E qui comincia il teatrino grottesco a cui danno vita la sindaca progressista di Firenze Sara Funaro e, per certi versi, Matteo Lepore a Bologna. Che dopo avere sgomitato per essere i primi a consegnare alla Albanese cittadinanze onorarie, chiavi della città, medaglie e collari vari (erano i giorni delle grandi manifestazioni a favore della Palestina, un richiamo irresistibile per i “buoni” a caccia di consenso) adesso che lei è diventata “cattiva” se ne vogliono liberare.
Forse perché toccata da inaspettata (e insperata) popolarità ad Albanese capita di straparlare (Liliana Segre definita “poco lucida”, il sindaco di Reggio Emilia cazziato mentre la omaggiava per avere osato citare gli ostaggi nelle mani di Hamas), però delle due l’una. O parliamo di un personaggio la cui opera a favore del popolo palestinese e contro la pulizia etnica attuata dal governo Netanyahu resta meritoria. In tal caso la cittadinanza onoraria va mantenuta, pur nella critica sacrosanta al “monito”. Perché se bastasse una parola sbagliata, sbagliatissima a cancellare di colpo un encomiabile e coraggioso lavoro, allora vorrebbe dire che tutti quei riconoscimenti erano falsi, falsissimi. Così come il cinismo si addice alla destra, l’ipocrisia della sinistra può raggiungere delle vette abissali.


Oggi Francesca Albanese risponde così sul Fatto:


“Straparlo? Il rumore intorno a me un’arma per distrarre da Gaza”
DI FRANCESCA ALBANESE
Caro dottor Padellaro, ho letto con attenzione il suo commento sul Fatto di giovedì e l’ho apprezzato; mi permetto, però, alcuni piccoli chiarimenti, necessari per correttezza verso il mio ruolo oltre che persona.
Non credo di “straparlare”: esprimo ciò che penso, rendendomi disponibile a rispondere a giornalisti di tutto il mondo ogni giorno, tra continue conferenze e un delicato lavoro di inchiesta che da tre anni mi porta a confrontarmi con istituzioni, accademie e società civile dei cinque continenti. Le mie posizioni sono il frutto di studio, esperienza sul campo e un mandato Onu che non si improvvisa. I tanti riconoscimenti ricevuti dovrebbero essere motivo di orgoglio anche per l’Italia. Capisco che alcune mie critiche possano apparire “fuori dal coro” italiano; ciò non le rende meno fondate. Se talvolta il mio tono è sembrato brusco me ne assumo la responsabilità. Ma trovo francamente disturbante la reazione scomposta seguita alle mie parole dopo l’aggressione alla sede de La Stampa.
Non ho mai – MAI – auspicato violenza contro chicchessia (come potrei io che da una vita mi batto contro la violenza in tutte le sue forme?), né inteso che ciò che è accaduto servisse da “avvertimento” ai giornalisti, come qualcuno ha fantasiosamente suggerito, pontificando sulla parola “monito” e sul virgolettato trasfigurato ad arte all’interno del quale è stato fatto circolare. Il mio richiamo era, ed è, alla necessità di riflettere sul diffuso clima di imprecisione, superficialità e violenza verbale ed epistemica consolidatosi in Italia, di cui la copertura mediatica della Palestina è esempio. Un clima da cui tutti dovremmo difenderci, ciascuno facendo il proprio lavoro con rigore.
Difendo la libertà d’espressione ogni giorno, inclusa quella degli attivisti israeliani che operano nel Territorio palestinese occupato pagando spesso un prezzo alto per questo. Proprio per questo considero gravissimo che oltre 220 giornalisti siano stati uccisi a Gaza negli ultimi 750 giorni, un fatto che in Italia passa quasi sotto silenzio (quando non viene addirittura liquidato con insinuazioni indegne). In un ordine di valori universale, l’uccisione anche di un solo giornalista è decisamente più grave dell’imbrattare un muro (pur essendo anch’esso un gesto da condannare), per cui fa spavento che la mattanza di giornalisti in corso a Gaza (assieme a medici, scienziati, accademici, bambini) non susciti una reazione pubblica almeno altrettanto seria, lucida e compassionevole.
Quanto al suo riferimento alla mia presunta “popolarità inaspettata e forse insperata”, Le assicuro che non è certo motivo di giubilo. Ne farei, anzi, molto volentieri a meno, dato che è il frutto dell’essere divenuta testimone – quasi oculare – di un genocidio, e delle persecuzioni seguite alle denunce che il mio ruolo mi impone di formulare. Trovo infatti che l’attuale rumore attorno alla mia persona stia servendo a continuare a ignorare i crimini incessanti di Israele e, insieme, a non raccontare la straordinaria presa di coscienza che sta attraversando l’Italia. L’abbiamo vista di nuovo, potente, limpida, incontestabile, riversarsi per le strade di Genova e Roma il 28 e 29 novembre: decine di migliaia di cittadine e cittadini rispondere alla chiamata dei camalli di Genova, i portuali, dei sindacati di base, degli studenti, di persone comuni che non vogliono più essere bestie da soma, e pretendono di sapere perché debbano portare fardelli insopportabili. Il fardello del genocidio, commesso anche con il loro involontario contributo; ma anche quello di un futuro ipotecato mentre i soli a prosperare sono i produttori di armi e di sistemi di sorveglianza.
Questo mi permette anche una riflessione sul tema, certo non prioritario, delle cittadinanze onorarie, delle chiavi, dei sigilli e dei premi che ho iniziato a ricevere subito dopo essere stata sanzionata dagli Usa la scorsa estate. Ho sempre risposto allo stesso modo: non conferitemi nulla se non potete sostenerne il peso. Per quanto le sanzioni siano gravi e vessatorie, la vera vittima non sono io ma il popolo palestinese, travolto da una furia genocida che in soli due anni ha ucciso o ferito 200.000 persone a Gaza e lasciato quasi due milioni di sopravvissuti senza casa, costretti a vivere in tende allagate, con poco cibo e quasi nessun medicinale. Per questo mi considero, al massimo, una custode temporanea di quei riconoscimenti, e soprattutto del dovere che essi comportano. Chi me li offre sa che essi comportano coerenza politica. Come hanno fatto quei Comuni e altri enti e istituzioni che hanno avuto il buon senso di interrompere i rapporti con uno Stato oggi sotto processo per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio.
Dinanzi a tutto questo non vedo alcuna ragione per mascherare il mio sgomento di fronte a un ordine internazionale che, grazie alla complicità di troppi Stati e di chi tace o giustifica i crimini che andrebbero invece denunciati, si è tragicamente, e pericolosamente, inceppato. E quando il sistema pubblico, dalle istituzioni all’informazione, abdicano al proprio compito, il prezzo lo pagano sempre i più vulnerabili.
La ringrazio comunque per aver posto la questione con misura. Il confronto civile resta essenziale, soprattutto ora, mentre la libertà di parola si restringe e mentre, altrove, si muore per raccontare la verità. Io continuerò a fare il mio lavoro, con rigore e senza infingimenti, come si addice a chi cerca di servire il diritto, incurante dell’opportunità del momento.
Con stima.
La ringrazio. AP

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