lunedì 23 giugno 2025

Auguri

 

Il sultano Bezos uccide Venezia. Ma la città era già bell’e morta
DI TOMASO MONTANARI
Il matrimonio, la ferocia Le persone che protestano contro il magnate filo-Trump e filo-Israele sono le stesse costrette a lavorarci. L’abuso della ricchezza infinita
Da giovedì a sabato Jeff Bezos si prenderà Venezia. Il terzo uomo più ricco del mondo, con un patrimonio di 215 miliardi di dollari, privatizzerà acque, isole, chiese, canali, taxi in un’orgia di esclusività (cioè esclusione) esibita, celebrando l’unico vero potere onnipotente: quello del denaro. Una festa da dieci milioni di euro, con 27 cambi d’abito della sposa, che culminerà usando come ‘sala da ballo’ la chiesa della Misericordia, che già fu un lazzaretto (e c’è solo da sperare nello sdegno dei fantasmi): un bel cortocircuito simbolico tra l’aver a cuore i miseri, e lo schiacciarli con un fiume di lusso e quattrini. I veneziani consci di se stessi, sempre meno ma sempre lucidi e determinati, cercheranno in ogni modo di far capire a Bezos che “Venezia è una città”, l’affermazione ormai rivoluzionaria che Tommaso Cacciari giustamente ripete in queste ore. Una città: non una location, un bordello, un resort, un parco acquatico… Naturalmente, tutto questo a Venezia (come a Firenze) è già successo, passato in giudicato, digerito: Venezia e Firenze per moltissimi versi non sono più, da tempo, delle città. E non appartengono a chi le vive, ma a chi le usa estraendone valore simbolico e rendita, secondo la più tipica logica petrolifera: inquinamento (ambientale e morale), consorterie corrotte, monopoli, controllo dell’informazione. Come Maramaldo, Bezos uccide, simbolicamente, una città morta. Una città morta che non si rassegna a morire, il paradosso che da decenni tiene accesa una fiammella di speranza, nonostante tutto. In questo paradosso sta anche la non separabilità dei ruoli: per vivere a Venezia devi mangiare il veleno che la uccide. Per usare ancora parole di Tommaso Cacciari, a organizzare le tante azioni di disturbo e ‘malvenuto’ a Bezos: “Saremo esattamente le stesse persone che, contemporaneamente, lavoreranno per il matrimonio. L’arroganza e la stoltezza di Bezos sta tutta qui. Crede di arrivare in una città dal fondo in cartapesta, senza pensare che il ragazzo che ha assoldato come fonico sarà lo stesso che, con il suo barchino, lo aspetterà davanti alla chiesa della Misericordia; che la donna che pulirà le stanze al termine di una delle ennesime feste era tra le voci dell’assemblea”. Se ci volete schiavi, insomma, aspettatevi la rivolta degli schiavi: e non sarete tranquilli nemmeno nei vostri bagni. Oltre a tutte le ragioni che riguardano Venezia, ce ne sono altre che indurrebbero a boicottare il festino di Jeff Bezos ovunque lo volesse fare. Amazon, innanzitutto: Amazon in sé, ovviamente, per le condizioni di lavoro e la desertificazione del commercio, e dunque del tessuto civile, locale. E poi il suo supporto al genocidio ​ iniziato da Israele a Gaza. Oltre a vendere ogni sorta di prodotto israeliano, Amazon promuove perfino il merchandising di IDF, dalle magliette e cappellini ai modellini che riproducono carri armati, soldati, armi di ogni tipo: uno shopping dell’orrore che basterebbe, e avanzerebbe, per non volere Bezos nella propria città. Infine, e forse soprattutto, il suo sostegno militante, culturale ed economico a Donald Trump, e alla internazionale nera che questi rappresenta. Un ordine di negazionismo climatico, colonialismo senza veli, sopraffazione, arbitrio, disprezzo del diritto internazionale: e non certo di pace, come dimostra l’incondizionato sostegno a un Israele mai così esplicito negli intenti genocidiari, e nell’uso della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie della sua regione. Bezos si è immediatamente allineato alla nuova linea: mentre finanziava con un milione di euro l’incoronazione del satrapo, interrompeva il sostegno economico alla più importante organizzazione mondiale di certificazioni ambientali, e produceva un grottesco documentario su Melania Trump. Era solo l’inizio, ora l’elenco sarebbe lunghissimo: e spicca la normalizzazione del suo Washington Post, messo al servizio del potere come un Libero qualunque. L’unico attrito tra i due negli ultimi tempi si è registrato, ovviamente, sui dazi: come anche per Musk, per Bezos solo una cosa viene prima di Trump, e cioè l’interesse economico. Non i bambini di Gaza, non i civili dell’Iran, non la libertà delle università, non la difesa della libertà e della dignità di Los Angeles: tutto questo a mr. Amazon non importa. Ecco perché anche l’Anpi partecipa al fronte del boicottaggio del trionfo dei Bezos su Venezia: perché, questa volta, nella città espugnata e vinta, è visibile con rara evidenza anche la minaccia verso la polis, cioè la fine della democrazia, mortalmente minacciata dall’alleanza tra l’incondizionato arbitrio di una ricchezza infinita e la violenza di potere politico che irride e calpesta i limiti costituzionali. Venezia è una straordinaria quinta simbolica, usata da secoli per legittimare poteri e persone: per questo barrare il nome di Bezos sul grande striscione che pendeva dal campanile di San Giorgio è stato simbolicamente importante. Per dire no, noi non lo vogliamo un mondo così.

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